Voltaire

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Voltaire

Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet (1694 – 1778), scrittore e filosofo francese.

Citazioni di Voltaire[modifica]

  • Ai vivi si devono dei riguardi, ai morti si deve soltanto la verità.[1][2][3]
  • Alla corte, figliolo, l'arte più necessaria | Non è di parlar bene, ma di saper tacere.[4]
  • Ama la verità, ma perdona l'errore.[5]
  • C'è chi in seconda fila brilla e in prima s'eclissa.[6]
  • Chi non ha lo spirito della sua epoca | Della sua epoca ha tutto il male.
Qui n'a pas l'esprit de son âge | De son âge a tout le malheur.[7]
  • Ci è dato di calcolare, pesare, misurare, osservare; questa è la filosofia naturale.[8]
  • Di tutte le scienze la più assurda, a parer mio, e la più capace di soffocare qualsiasi genio, è la geometria. Questa scienza ridicola ha per oggetto superfici, linee e punti inesistenti in natura. Si fanno passare in teoria centomila linee curve fra un cerchio e una retta tangente, per quanto in realtà non potrebbe passarvi un fuscello. La geometria, veramente, è uno scherzo di cattivo genere.[9]
  • Dichiariamolo apertamente noi che non siamo preti e che non li temiamo: la culla della Chiesa nascente è circondata solo da imposture. È una sequela ininterrotta di libri assurdi sotto nomi supposti.[10]
  • E che? non possedete ancora il segreto di obbligare tutti i ricchi a far lavorare tutti i poveri? Voi non avete ancora i primi rudimenti dell'organizzazione politica.[11]
  • È dal Nord che oggi ci viene la luce.[12]
C'est du Nord aujourd'hui que nous vient la lumière.
  • È meglio rischiare di salvare un colpevole, che condannare un innocente.[13]
  • È pericoloso avere ragione, quando il governo ha torto.[14]
  • È uno scrittore [Marivaux] che conosce tutti i viottoli del cuore umano, ma non sa la strada maestra.[15]
  • Ed ecco per l'appunto come si scrive la storia.[16]
Et voila justement comme on écrit l'histoire!
  • Egli compilava, compilava, compilava.[17]
Il compilait, compilait, compilait.
  • [Su Flavio Giuseppe] Era credulone e facile all'esagerazione.[18]
  • Ho fatto un po' di bene; è la mia opera migliore.[19]
  • I Negri e le Negre, trasportati nei paesi più freddi, continuano a produrvi animali della loro specie, e [...] i mulatti sono semplicemente una razza bastarda.[20]
  • I negri sono, per natura, gli schiavi degli altri uomini. Essi vengono dunque acquistati come bestie sulle coste dell'Africa.[21]
  • Il brasiliano è un animale che non ha ancora raggiunto la maturazione della propria specie.[22]
  • Il dispotismo è l'abuso della regalità, come l'anarchia è l'abuso della repubblica.[23]
  • Il dubbio non è piacevole, ma la certezza è ridicola. Soltanto gl'imbecilli sono sicuri di ciò che dicono.[24]
  • Il popolo dev'essere guidato e non istruito.[25][2]
  • Il saggio re Luigi XII, al centro di questi re, | s'innalza come una quercia e dà loro delle leggi, | egli perdonò spesso, egli regnò sui loro cuori, | ed asciugò il pianto degli occhi del suo popolo.
Le sage Louis XII, au milieu de ces rois, | s'élève comme un chêne et leur donne des lois, | il pardonna souvent, il régna sur les cœurs, | et des yeux de son peuple, il essuya les pleurs. (La Henriade)
Le secret d'ennuyer est celui de tout dire.
Il superfluo, cosa indispensabile.[30]
  • [Sulla lingua francese] [...] imbarazzata di articoli, sprovveduta d'inversioni, povera in termini poetici, sterile in giri arditi, schiava dell'eterna monotonia della rima, e contuttociò mancante di rime pei soggetti elevati.[31]
  • Impiccati, mio bravo Crillon.[32]
Pends-toi, brave Crillon!
[...] et la seule Mandragore de Machiavel vaut peut-être mieux que toutes les pièces d’Aristophane.[34]
  • La pace è preferibile alla verità.[35]
  • La religione esiste da quando il primo ipocrita ha incontrato il primo imbecille.[36]
  • [La storia è] una burla che i vivi giuocano ai morti.[37]
  • [La teologia è] una collezione di risposte incomprensibili a domande senza senso.[38]
  • Mentite, amici, mentite.[39]
Mentez, mes amis, mentez.
  • Non affermo niente; ma mi contento di credere che ci sono più cose possibili di quanto si pensi.[40]
  • Non che il suicidio sia sempre follia. Ma in genere non è in un accesso di ragione che ci si ammazza.[41]
  • Non l'amore bisognava dipingere cieco, ma l'amor proprio.[42][2]
  • Non possiamo sempre compiacere gli altri, ma possiamo sempre parlare in modo compiacente.[43]
  • Non vi è forse nulla di più grande, sulla terra, del sacrificio della giovinezza e della bellezza compiuto dal gentil sesso – giovani spesso di nobili natali – al fine di poter lavorare negli ospedali per l'alleviamento della sofferenza umana. La vista del qual sacrificio è cosa rivoltante, per il nostro animo delicato. Gli individui che si sono staccati dalla religione romana hanno imitato in modo assia imperfetto un così alto spirito di carità.[44]
  • Ogni uomo è colpevole di tutto il bene che non ha fatto.[45]
  • Perché dunque ha prevalso il monachesimo? Perché il governo fu quasi ovunque detestabile e assurdo da Costantino in poi; perché l'impero romano ebbe più monaci che soldati; perché ve ne erano centomila nel solo Egitto; perché erano esenti da lavoro e tasse; per ché i capi delle nazioni barbare che distrussero l'impero, essendosi fatti cristiani per governare dei cristiani, esercitarono la più orribile tirannide; perché ci si gettava in massa nei chiostri per sfuggire ai furori di questi tiranni, e ci si sprofondava in una schiavitù per evitarne un'altra; perché i papi, istituendo tanti ordini differenti di sacri fannulloni, si procurarono altrettanti sudditi negli altri stati; perché un contadino preferisce essere chiamato mio reverendo padre, e dar benedizioni, piuttosto che reggere l'aratro; perché non sa che l'aratro è più nobile che la cocolla; perché preferisce vivere a spese degli sciocchi che di un onesto lavoro; infine perché non sa che facendosi monaco si prepara giorni infelici, intessuti di noia e di pentimento.[46]
  • Quando la gente comincia a ragionare, tutto è perduto.[47]
Quand la populace se mêle de raisonner, tout est perdu.
  • Quando occorre, sono serissimo; ma vorrei non essere noioso.[48]
  • ... BOSWELL. «Quando venni a trovarvi, pensavo di vedere un grandissimo ma cattivissimo uomo». VOLTAIRE. «Siete molto sincero». BOSWELL. «Sì, ma la stessa [sincerità] mi fa confessare che ho trovato il contrario. Solo il vostro Dictionnaire philosophique [mi turba]. Per esempio. Âme, l'Anima...». VOLTAIRE. «Quello è un buon articolo». BOSWELL. «No. Scusate. Non è [l'immortalità] un'idea piacevole? Non è più nobile?». VOLTAIRE. «Sì. Voi avete il noblie desiderio di essere il Re d'Europa. [Dite] "Lo desidero, e chiedo la vostra protezione [per continuare a desiderarlo]". Ma non è probabile». BOSWELL. «No. Ma se non può essere in un modo, non è detto che non possa essere nell'altro. [Come Catone, diciamo] "Dev'essere così", finché [arriviamo a possedere] l'immortalità». VOLTAIRE. «Ma prima di dire che quest'anima esisterà, dobbiamo sapere che cosa sia. Io non conosco la causa. Non posso giudicare. Non posso essere un giudice. Cicerone dice, potius optandum quam probandum. Noi siamo esseri ignoranti. Siamo gli zimbelli della Provvidenza. Io sono il povero Punch». BOSWELL. «Non vorreste che vi fossero pubbliche funzioni?». VOLTAIRE. «Sì, con tutto il cuore. Riuniamoci quattro volte all'anno in un gran tempio con musica, e ringraziamo Dio di tutti i suoi doni. V'è un solo sole. V'è un solo Dio. Vi sia una sola religione. Allora tutti gli uomini saranno fratelli». BOSWELL. «Potrò scrivervi in inglese, e voi mi risponderete?». VOLTAIRE. «Sì. Addio».[49]
  • Se Dio non esistesse bisognerebbe inventarlo.[50]
Si Dieu n'existait pas, il faudrait l'inventer.
  • Tutti i generi sono buoni, tranne il genere noioso.[51]
Tous les genres sont bons, hors le genre ennuyeux.

Taccuino di pensieri[modifica]

  • Fra tutte le passioni l'amore è la più forte, perché aggredisce insieme testa, cuore e corpo.[52]
  • Gli esseri umani sono uguali. Non la nascita, | Ma la virtù fa la differenza.[53]
  • Gli uomini che cercano la felicità sono come ubriachi che non riescono a trovare la propria casa, sapendo di averne una.[54]
  • La bellezza appaga solo gli occhi, la dolcezza incanta il cuore.[55]
  • La politica è forse altra cosa dall'arte di mentire a proposito?[56]
  • Una battuta di spirito non prova niente.[57]

Attribuite[modifica]

  • Calunniate, calunniate, qualcosa resterà.
Tale citazione, con cui si voleva incitare alla demonizzazione della religione cattolica, apparteneva già a Francesco Bacone, che la sentenziò nel De dignitate et augmento scientiarum, l. VIII, c. 2,34.[58]
  • Ci salutiamo ma non ci parliamo affatto.[59][60]
Nous nous saluons bien, mais nous ne nous parlons guère.
  • Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo.
[Citazione errata] Tale citazione viene solitamente attribuita, anche in altre formulazioni, a Voltaire, ma trova in realtà riscontro soltanto in un testo della scrittrice americana Evelyn Beatrice Hall, conosciuta sotto lo pseudonimo di Stephen G. Tallentyre: The Friends of Voltaire[61], una biografia del filosofo scritta nel 1906. La citazione così formulata non ha riscontro in alcuna opera di Voltaire[62], tuttavia secondo alcuni autori la frase sarebbe stata estrapolata dal Trattato della tolleranza del 1763 e rappresenterebbe realmente una citazione dello scrittore francese.[63] In tale Trattato infatti si trovano alcune frasi simili. Inoltre esiste anche un'altra frase di Voltaire piuttosto simile che potrebbe aver ispirato l'aforisma: «Non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato [...].» (da Questioni sull'Enciclopedia).[64]
  • La parola all'uomo è stata data per nascondere il pensiero.
La parole a été donnée à l'homme pour déguiser sa pensée.
La citazione viene erroneamente attribuita a Charles Maurice de Talleyrand-Périgord e Joseph Fouché. Più probabilmente la citazione appartiene a Voltaire che scrisse nei Dialogues: «Ils [les hommes] ne se servent de la pensée que pour autoriser leurs injustices, et n'emploient les parles que pour déguiser leurs pensées» («Gli uomini usano il pensiero per giustificare le proprie ingiustizie, e il discorso solo per nascondere i loro pensieri»).[65]
  • Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione.[66]
Probabilmente è una rielaborazione a livello popolare o giornalistico della frase di Dostoevskij: "Il grado di civilizzazione di una società si può misurare entrando nelle sue prigioni", tratta da Memorie dalla casa dei morti del 1862[67]
  • Quegli stolti preferivano essere in disaccordo col Sole piuttosto che trovarsi d'accordo col Papa![68]
Secondo altre fonti questa sarebbe una citazione di Giovanni Keplero.

Candido[modifica]

Incipit[modifica]

I traduzione[modifica]

Era nella Vesfalia, nel castello del baron di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che aveva avuto dalla natura i più dolci costumi. Se gli leggeva il cuore nel volto. Univa egli a un giudizio molto assestato una gran semplicità di cuore, per la qual cosa, cred'io, chiamavanlo Candido. I vecchi servitori di casa avean de' sospetti ch'ei fosse figliuolo della sorella del signor barone, e d'un buon gentiluomo e da bene di quel contorno, che questa signora non volle mai indursi a sposare perché non aveva egli potuto provare più di settantun quarti di nobiltà, il resto del suo albero genealogico essendo perito per l'ingiuria de' tempi.
[Voltaire, Candido, Sonzogno, LiberLiber, 1882]

Maria Moneti[modifica]

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-Tronckh, un ragazzo cui la natura aveva fornito un temperamento assai mite. Gli si leggeva in fronte l'indole sua. Aveva l'intelletto abbastanza solido, e il più ingenuo cuore del mondo: credo fosse chiamato Candido appunto per questo. I servitori vecchi di casa sospettavano ch'egli fosse figlio della sorella del signor barone e di un buono e rispettabil cavaliere del vicinato, non mai voluto sposare dalla damigella perché non gli era riuscito di provare che settantadue quarti soli, essendosi perduto il rimanente del suo albero genealogico per oltraggio del tempo.
[Voltaire, Candido, traduzione di Maria Moneti, Garzanti, 1973. ISBN 9788811360384]

Sara Di Gioacchino Corcos[modifica]

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, un giovanetto al quale la natura aveva largito i piú miti costumi. La sua fisionomia ne palesava l'anima. Aveva il giudizio alquanto retto, unito a un spirito dei piú semplici: per questa ragione, credo, lo chiamavano Candido. I vecchi domestici della casa sospettavano ch'egli fosse figlio della sorella del signor barone e di un buono ed onesto gentiluomo delle vicinanze, che quella damigella non volle mai sposare perché egli aveva potuto provare soltanto settantun quarti, e che il resto del suo albero genealogico era andato perduto per le ingiurie del tempo.
[Voltaire, Candido, traduzione di Sara Di Gioacchino Corcos, Edipem, 1974.]

Paola Angioletti[modifica]

Viveva in Westfalia, nel castello del barone di Thunder tentronckh, un ragazzo a cui la natura aveva fatto dono di un dolcissimo carattere. Il suo aspetto denunciava la sua anima. Univa un notevole giudizio allo spirito più semplice, e per questo, credo, era chiamato Candido. I vecchi domestici della casa sospettavano che fosse il figlio della sorella del barone e di un buono e onesto gentiluomo dei dintorni, che la signorina non aveva mai voluto sposare perché egli aveva potuto provare solo settantun quarti, mentre il resto del suo albero genealogico era andato perduto col tempo.
[Voltaire, Candido, traduzione di Paola Angioletti, Newton & Compton.]

Riccardo Bacchelli[modifica]

In Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, c'era un giovinetto che da natura aveva sortito costumi soavissimi. La fisionomia annunciava l'animo, e retto giudizio con rara semplicità di spirito gli avevano procacciato, cred'io, il suo nome: Candido. I vecchi servi di casa avevano sospetto che egli fosse figlio della sorella del signor barone e d'un buono e onorato gentiluomo delle vicinanze, che la damigella non aveva ma' voluto sposare, dato che costui non era riuscito a dimostrare più di settantun quarti, menre il resto del suo albero genealogico era andato perso per ingiuria del tempo.
[Voltaire, Candido, traduzione di Riccardo Bacchelli, Oscar Classici Mondadori.]

Giovanni Fattorini[modifica]

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, un giovane a cui la natura aveva conferito i costumi più miti. Il suo aspetto ne rivelava l'anima. Possedeva un giudizio abbastanza retto, unito a una grande semplicità; per questo, credo, lo chiamavano Candido. I vecchi domestici del castello sospettavano fosse figlio della sorella del signor barone e di un onesto e buon gentiluomo delle vicinanze che madamigella non volle mai come marito perché non aveva potuto provare che settantun quarti: il resto del suo albero genealogico era stato distrutto dalle ingiurie del tempo.
[Voltaire, Candido, traduzione di Giovanni Fattorini, Tascabili Bompiani, 1987.]

Piero Bianconi[modifica]

C'era in Vestfalia, nel castello del signor barone di Thunder-ten-tronckh, un giovinetto che la natura aveva dotato di costumi assai mansueti. Gli si leggeva l'anima sul volto. Aveva il giudizio abbastanza retto, con uno spirito grandemente semplice; perciò credo lo chiamavano Candido. I vecchi servi del castello sospettavano che fosse figlio della sorella del signor barone e d'un buono e onesto gentiluomo dei dintorni, che codesta damigella non volle mai sposare siccome non aveva potuto provare che settantun quarti: le ingiurie del tempo avevan distrutto il resto del suo albero genealogico.
[Voltaire, Candido, traduzione di Piero Bianconi, RCS Libri, 2007.]

Citazioni[modifica]

  • Il precettore Pangloss era l'oracolo di casa, e il piccolo Candido ascoltava i suoi insegnamenti con la fiducia propria dell'età e del suo temperamento. Pangloss insegnava la metafisico-teologo-cosmologo-scempiologia. Egli dimostrava mirabilmente che non c'è effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili... è provato, diceva, che le cose non potrebbero andare altrimenti: essendo tutto quanto creato in vista di un fine, tutto è necessariamente inteso al fine migliore. I nasi, notate, son fatti per reggere gli occhiali: e noi infatti abbiamo gli occhiali... Ne consegue che coloro i quali hanno affermato che tutto va bene, han detto una castroneria. Bisognava dire che meglio di così non potrebbe andare. (cap. I edizione? edizione?)
  • «Amico» gli disse l'oratore «credete che il Papa sia l'Anticristo?» «Non l'avevo ancor sentito dire» rispose Candido; «ma sia o non sia, io non ho pane.» (cap. III, p. 17, 1988)
  • «Ahimè!» disse questi [Pangloss] «l'amore; amore, consolatore del genere umano, conservatore dell'universo, anima di tutti gli esseri senzienti, il tenero amore.» «Ahimè!» disse Candido «questo amore io l'ho conosciuto, questo sovrano dei cuori, quest'anima dell'anima nostra; mi valse in tutto un bacio e venti calci nel culo. [...] » (cap. III, pp. 19-21, 1988)
  • [Sulla sifilide] Era una cosa indispensabile, nel migliore dei mondi, un ingrediente necessario: perché se Colombo non avesse preso in un'isola dell'America questa malattia che avvelena la sorgente della generazione, che spesso anzi impedisce la generazione stessa, e che, evidentemente, si oppone al grande fine della natura, non avremmo né cioccolata né cocciniglia; bisogna poi osservare che nel nostro continente, fino a oggi, questa malattia è tipicamente nostra, come la controversia. Turchi, Indiani, Persiani, Cinesi, Siamesi, Giapponesi, non la conoscono ancora: ma c'è ragion sufficiente che debbano conoscerla a loro volta fra qualche secolo. Nel frattempo ha fatto meravigliosi progressi fra noi, e soprattutto in quei grandi eserciti composti di onesti mercenari beneducati che decidono del destino degli Stati; si può affermare che, quando trentamila uomini combattono in battaglia campale contro eserciti di egual numero, ci siano circa ventimila impestati per parte. (cap. IV, 1882)
  • Cento volte desiderai di uccidermi, ma mi piaceva tuttora di vivere. Questa ridicola debolezza è forse una delle nostre inclinazioni più funeste: c'è nulla infatti più sciocco di voler continuare a portare un fardello che si vorrebbe sempre buttar per terra? d'aver l'esser proprio in orrore, ed esserci attaccati? insomma, d'accarezzare il serpente che ci divora, finché non ci abbia mangiato il cuore? (vecchia; cap. XII, p. 59, 1988)
  • Insomma, madamigella, dell'esperienza ne ho, conosco il mondo, volete divertirvi? Invitate ogni passeggero a raccontarvi la sua storia; e se ve ne capita uno che non abbia bene spesso maledetta la sua vita, che non si sia detto più e più volte d'essere il più infelice degli uomini, buttatemi a testa in giù nel mare. (vecchia; cap. XII, p. 59, 1988)
  • «Che razza di paese è mai questo,» si chiedevano entrambi, «sconosciuto a ogni altro, e dove la natura si mostra tanto diversa da quello che è nei nostri? Sarà questo il paese dove tutto va bene; poiché un paese cosiffatto bisogna assolutamente che ci sia. E checché ne dicesse Mastro Pangloss, avevo notato sovente che in Vestfalia andava maluccio.» (cap. XVII edizione? edizione?)
  • Amico, io l'ho già detto e lo ripeto: il castello dove son nato non vale certo il paese in cui siamo; ma la madamigella Cunegonda insomma qui non c'è, e anche voi avete lasciato senza dubbio in Europa una qualche amica. Finché restiamo qui, siamo uguali a tutti costoro; se invece ce ne torniamo al mondo nostro, anche con una sola dozzina di pecore cariche dei ciottoli di El Dorado, saremo più ricchi di tutti i re sommati insieme, non avremo più nulla da temere da parte dell'Inquisizione, e potremo riprendere senza difficoltà la damigella Cunegonda. (cap. XVIII edizione? edizione?)
  • "Che cos'è l'ottimismo" diceva Cacambo – "Ahime!" disse Candido "è la smania di sostenere che si tutto va bene quando si sta male". (cap. XIX edizione? edizione?)
  • [...] vi confesso, dando un'occhiata a questo globo, o per meglio dire a questo globulo, che ritengo che Dio l'ha abbandonato a qualche essere malefico, eccezion fatta sempre per Eldorado. Non vidi mai città che non desiderasse la rovina della città vicina, non famiglia che non volesse lo sterminio di qualche altra famiglia. Dovunque sia, i deboli esecrano i potenti davanti ai quali strisciano, mentre i potenti li trattano come greggi delle quali si vende la lana e la carne. Un milione d'assassini irreggimentati, scorrendo da un capo all'altro d'Europa, esercitano l'omicidio e il latrocinio disciplinatamente e per guadagnarsi il pane, perché non hanno più onesto mestiere; e nelle città apparentemente favorite dalla pace, dove le arti sono in fiore, gli uomini son divorati da invidie, e cure, e inquietudini, maggiori dei flagelli a cui è soggetta una città assediata. I dolori segreti sono anche più crudeli che le pubbliche miserie. (Martino; cap. XX, pp. 107-109, 1988)
  • «Siete mai stato in Francia, signor Martino?» disse Candido. «Sì, sono passato per diverse province: in alcune, metà degli abitanti è pazza, in qualche altra son troppo furbi, in altre ancora il comune delle persone è d'indole abbastanza buona e stupida; in altre fanno i belli spiriti; e in tutte, occupazione principale è l'amore, seconda, la maldicenza, terza, dire sciocchezze.» (cap. XXI, p. 111, 1988)
  • «Si, ho visto Parigi, che contiene un po' d'ogni sorta di quel che ho detto: un caos, una calca dove ognuno cerca il piacere e quasi nessuno lo trova, per lo meno secondo quel che m'è parso. Mi ci sono fermato poco. All'arrivo, dei borsaiuoli mi rubarono ogni avere alla fiera di San Germano; passai per ladro io stesso, e dopo otto giorni di prigione divenni correttore di bozze per guadagnarmi di che tornare a piedi in Olanda. Conobbi la canaglia scrivente, la canaglia intrigante e la canaglia convulsionaria. Dicesi che in quella città vi siano persone molto civili: voglio crederlo.» (cap. XXI, pp. 111-113, 1988)
  • «Credete» disse Candido «che gli uomini si siano trucidati a vicenda come oggi in ogni tempo? che sempre siano stati mentitori, imbroglioni, perfidi, ingrati, ladroni, deboli, mutevoli, vili, invidiosi, golosi, ubbriaconi, avari, ambiziosi, sanguinari, calunniatori, crapuloni, fanatici, ipocriti, e sciocchi?» «Credete che gli sparvieri, incontrando piccioni, li abbiano mangiati sempre?» disse Martino. «Certo, senza dubbio» disse Candido. «Bene» disse Martino «se gli sparvieri han sempre avuta la stessa indole, perché volete che gli uomini abbiano mutata la propria?» (cap. XXI, p. 113, 1988)
  • «È vero che a Parigi» disse Candido «si ride perennemente?» «Sì» disse l'abate «ma colla rabbia in corpo, perché qui ci si lagna d'ogni cosa fra grandi scoppi di risa, e si fanno le più nefande azioni, sempre ridendo.» (cap. XXII, p. 119, 1988)
  • L'uomo di gusto spiegò assai bene come un lavoro teatrale possa aver qualche interesse senza valer nulla. In brevi parole dimostrò che non basta produrre una o due situazioni, di quelle che in ogni romanzo si trovano e che sempre seducono lo spettatore, ma che bisogna esser nuovo senza bizzarria, spesso sublime e sempre naturale, conoscere il cuore umano e farlo parlare, essere gran poeta senza che mai nessun personaggio del lavoro appaia poeta, conoscere perfettamente la lingua, parlata con purità, con armonia continua, senza che il senso scapiti mai per la rima. (cap. XXII, p. 123, 1988)
  • Il giorno dopo Candido destandosi ricevette una lettera così concepita:
    «Signore e mio carissimo amante, da otto giorni sono in questa città ammalata. Vengo a sapere che siete qui. Volerei fra le vostre braccia, se potessi muovermi. Seppi che siete passato per Bordeaux, dove ho lasciato il fedel Cacambo e la vecchia, che mi devono seguire presto. Il governatore di Buenos Aires s'è presa ogni cosa, ma il vostro cuore mi rimane. Venite, la vostra presenza mi ridarà la vita, o mi farà morire di piacere.» (cap. XXII, p. 129, 1988)
  • «In fede mia» disse fra' Garofolo «signore, io vorrei tutti i teatini in fondo al mare. Certe volte ho avuta la tentazione di dar fuoco al convento e di farmi turco. I miei mi sforzarono all'età di quindici anni a mettermi addosso questa veste detestabile, per fare più ricco un maledetto fratello maggiore, che Dio confonda! Gelosia, discordia, rabbia, stanno in convento. È un fatto che ho tenute alcune predicacce, le quali m'han reso qualche soldo, e metà me li ruba il priore, il resto mi serve a mantenere delle sgualdrine, ma quando a sera rientro in convento, poco ci manca che non mi rompa la testa contro le mura del dormitorio. E tutti i confratelli sono nel mio caso.» (cap. XXIV, p. 141, 1988)
  • Preferirei forse l'opera, se non si fosse trovato il segreto di farla diventare un mostro che mi ripugna. Vada chi vuole a vedere delle brutte tragedie in musica, dove le scene son fatte solo per condurre a sproposito marcio due o tre ridicole canzoni, che fan valere l'ugola d'un'attrice. Sdilinquisca di piacere chi vuole o chi può, a vedere un castrato gorgheggiare la parte di Cesare e di Catone, passeggiando sul palcoscenico con aria goffa; per me, ho rinunciato da un pezzo a tali dappocaggini, le quali oggi fan la gloria d'Italia e son pagate tanto care da dei sovrani. (Pococurante; cap. XXV, p. 145, 1988)
  • In altri tempi mi dieder da bere che nel leggerlo [l'Iliade] ci provavo gusto, ma quel continuo ripeter battaglie simili tutte, quegli dei che sempre si adoperano per non concluder mai nulla, quell'Elena causa della guerra e che riesce appena ad essere un'attrice della commedia, quella Troia assediata e non presa, tutto ciò mi annoiava a morte. Qualche volta ho chiesto a gente dotta, se quella lettura li annoiasse quanto me: tutti i sinceri mi hanno confessato che il libro cadeva loro di mano, ma che tuttavia conviene averlo in biblioteca come un monumento dell'antichità e come quelle medaglie arrugginite che non possono aver corso. (Pococurante; cap. XXV, p. 147, 1988)
  • [Su Orazio] Ha delle sentenze profittevoli per un uomo di mondo, le quali, chiuse in energici versi, si imprimono più facilmente nella memoria, ma non m'importa niente del suo viaggio a Brindisi, né che mi descriva d'aver pranzato male, o quella lite di facchini con non so qual Pupilus, dal parlare pieno di marcia, e con quell'altro, dal parlare, dice lui, d'aceto. Non potei leggere senza nausea i suoi versi triviali contro le vecchie e le streghe, e non vedo che merito sia dire all'amico Mecenate che se verrà posto da lui fra i poeti lirici, toccherà con sublime fronte le stelle. (Pococurante; cap. XXV, p. 147, 1988)
  • Gli sciocchi ammirano ogni cosa in un autore stimato: io leggo per me e mi piace solo quel che mi serve. (Pococurante; cap. XXV, p. 147, 1988)
  • [Su Cicerone] Mai lo leggo. A me fa ch'egli abbia difeso Rabirio o Cluenzio? Mi bastano i processi che devo giudicare io. Avrei avuto più genio per le sue opere filosofiche, ma quando ho visto che dubitava di tutto, ho concluso che ne sapevo quanto lui, e che non m'occorre nessuno, per essere ignorante. (Pococurante; cap. XXV, p. 149, 1988)
  • [Su Milton e il suo Paradiso perduto] Chi? questo barbaro che per commentare il primo capitolo della Genesi tira in lungo dieci libri di versi duri; questo grosso imitatore dei greci, che sfigura la creazione, e che, mentre Mosè rappresenta l'essere eterno nell'atto di produrre col verbo il mondo, fa che il Messia prenda nell'armadio del cielo un gran compasso per tracciar l'opera? Io avere stima di colui che ha guastato l'inferno e il diavolo del Tasso, e contraffà Lucifero o da pigmeo o da rospo, facendogli ribadire cento volte gli stessi discorsi e disputare di teologia; colui che imitando in serio l'invenzione ridevole delle armi da fuoco dell'Ariosto, fa che i diavoli sparino in cielo il cannone? Non io, e nessun altro in Italia abbiam potuto dilettarci di tutte queste tristi stravaganze. Il matrimonio del peccato e della morte e le serpi partorite dal peccato, fanno vomitare ogni uomo di gusto un po' delicato; e la sua lunga descrizione di un ospedale va bene per i beccamorti. Questo poema oscuro bizzarro e ripugnante, fu spregiato quando nacque, e io lo tratto oggi come fu trattato in patria dai contemporanei. (Pococurante; cap. XXV, pp. 149-151, 1988)
  • Il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno. (cap. XXX edizione? edizione?)
  • Oh, migliore dei mondi possibili, dove sei adesso? capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?
  • Tutto è bene, tutto va bene, tutto va per il meglio possibile. capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?
Tout est bien, tout va bien, tout va le mieux qu'il soit possible.
  • Viveva in quei pressi un derviscio famosissimo, che aveva fama d'essere il maggior filosofo di Turchia. Andarono a consultarlo. Pangloss prese la parola, e disse: "Maestro, siam venuti a pregarvi che ci spieghiate perché sia stato creato un animale così bizzarro com'è l'uomo."
    "Ma di che ti vai a impicciare?" disse il derviscio; "che te ne importa?"
    "Ma, padre mio reverendo," osservò Candido, "v'è pur nel mondo una quantità spaventosa di mali."
    "E che diavolo importano," rispose il derviscio, "i mali ed i beni? Quando Sua Altezza spedisce una nave in Egitto, si da ella forse pensiero se i topi che sono nella stiva stanno comodi o no?"
    "E allora che dobbiamo fare?" domandò Pangloss.
    "Tacere", rispose il derviscio. capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?
"Io m'ero illuso" riprese Pangloss, "di poter ragionare un pochino con voi delle cause e degli effetti, del migliore dei mondi possibili, dell'origine del male, della natura dell'anima e dell'armonia prestabilita."
A questo il derviscio sbatté loro l'uscio in faccia. capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?
  • "So anche," disse Candido, "che bisogna lavorare il nostro orto."
    "Avete ragione," rispose Pangloss; "infatti, quando l'uomo fu messo nel Paradiso Terrestre, ci fu messo ut operaretur eum, perché lo lavorasse, la qual cosa prova che l'uomo non è nato per stare in ozio."
    "Lavoriamo senza discutere," fece Martino, "non c'è altro modo per sopportare la vita." ...
    "Voi dite bene," rispondeva Candido; "ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto". capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?
  • "Non c'è effetto senza causa," – rispose Candido con modestia –, "tutto è necessariamente concatenato e ha come fine il meglio. Era necessario che fossi cacciato lontano da Cunegonda, che passassi sotto le verghe, ed è necessario che elemosini il pane finché non riuscirò a guadagnarlo; tutto questo non poteva andare altrimenti". capitolo/pagina? edizione? capitolo/pagina? edizione?

Explicit[modifica]

Tutta la piccola compagnia mise in opera questo lodevole proposito, ciascuno mettendo a profitto le proprie attitudini. Il poderetto fruttò assai. Cunegonda a dire il vero era brutta dimolto; ma diventò una pasticcera valente. Pasquina ricamava, e la vecchia accudì alla biancheria. Lo stesso Fra Garofolone si rese utile lavorando egregiamente da falegname, e giunse perfino a diventar galantuomo. Pangloss talvolta diceva a Candido:
«In questo migliore di mondi possibili, tutti i fatti son connessi tra loro. Tanto è vero che se voi non foste stato scacciato a gran calci nel sedere da un bel castello, per amore di madamigella Cunegonda, se non foste capitato sotto l'Inquisizione, se non aveste corso l'America a piedi, se non aveste infilzato il Barone, se non aveste perso tutte le pecore del bel paese di El Dorado, voi ora non sareste qui a mangiar cedri canditi e pistacchi.»
«Voi dite bene,» rispondeva Candido: «ma noi bisogna che lavoriamo il nostro orto.»

Citazioni su Candido[modifica]

  • È stato detto che il razionalismo di Voltaire ha uno sfondo teologico incommensurabile all'uomo quanto quello di Pascal. Io direi anche che il candore di Candide vale esattamente quanto lo spavento di Pascal, se non è addirittura la stessa cosa. Solo che Candide trovava finalmente un proprio giardino da coltivare... "Il faut cultiver nostre jardin"... Impossibile: c'è stato un grande e definitivo esproprio. E forse si possono oggi riscrivere tutti i libri che sono stati scritti; e altro anzi non si fa, riaprendoli con chiavi false, grimaldelli e, mi consenta un doppio senso banale ma pertinente, piedi di porco. Tutti, Tranne Candide. (Leonardo Sciascia)

Dizionario filosofico[modifica]

Incipit[modifica]

ABRAMO
Abramo è uno di quei nomi celebri nell'Asia Minore e in Arabia, come Thoth presso gli Egiziani, l'antico Zarathustra in Persia, Ercole in Grecia, Orfeo nella Tracia, Odino presso i popoli nordici e tanti altri noti più o meno per la loro fama che per una storia incontestata. Intendo qui la storia profana, in quanto nei confronti di quella del popolo ebraico, nostro maestro e nemico, per il quale sentiamo fiducia e odio, essendo stata visibilmente scritta dallo Spirito Santo in persona, nutriamo i sentimenti che dobbiamo nutrire. Ci riferiamo soltanto agli Arabi, che si vantano di discendere da Abramo per via di Ismaele e credono che quel patriarca abbia fondato la Mecca e sia morto in questa città. Il fatto è che la stirpe di Ismaele è stata favorita da Dio in misura infinitamente maggiore della stirpe di Giacobbe. L'una e l'altra, a dire il vero, hanno generato dei ladroni; ma i ladroni arabi sono stati prodigiosamente superiori a quelli ebrei: I discendenti di Giacobbe conquistarono una regione di assai modeste proporzioni, che poi perdettero; i discendenti di Ismaele conquistarono parte dell'Asia, dell'Europa e dell'Africa, fondarono un impero più vasto di quello dei Romani e scacciarono gli Ebrei dalle loro caverne, che chiamavano la terra promessa. A giudicare le cose solo in base agli esempi delle nostre storie moderne, sarebbe piuttosto improbabile che Abramo fosse stato il progenitore di popoli così diversi; ci dicono che era nato in Caldea e che era figlio di un povero vasaio, che si guadagnava la vita costruendo piccoli idoli di terra. Non è verosimile che il figlio di quel vasaio sia andato a fondare la Mecca a trecento leghe di distanza, sotto il tropico, attraversando deserti impraticabili. Se fu un conquistatore, puntò senza dubbio sul bel paese dell'Assiria; se invece fu soltanto un povero diavolo, come ci viene raffigurato, non ha fondato regni fuori dalla sua patria.
[Voltaire, Dizionario Filosofico, traduzione di Rino Lo Re, B.U.R., 1966]

ATEO, ATEISMO
Bayle si domanda se sia piú pericoloso l'ateismo o l'idolatria: se è maggior crimine non credere affatto alla divinità o avere intorno ad essa opinioni indegne... A me pare invece che avrebbe dovuto porre il problema in altri termini, e cioè se sia piú pericoloso l'ateismo o il fanatismo. Il fanatismo infatti è certamente mille volte piú funesto; perché l'ateismo non ispira affatto passioni sanguinarie, il fanatismo sí; l'ateismo non s'oppone certo ai delitti, ma il fanatismo induce a commetterli...
Gli atei sono per lo piú uomini di scienza coraggiosi, ma sviati nei loro ragionamenti, i quali non potendo comprendere la creazione, l'origine del male e altre difficoltà, ricorrono alla ipotesi dell'eternità delle cose e della necessità.
Gli ambiziosi, gli uomini dediti ai piaceri non hanno gran che tempo per ragionare e quindi non rischiano di abbracciare sistemi errati; essi hanno altro da fare che mettere a confronto le opinioni di Lucrezio con quelle di Socrate. Cosí vanno le cose da noi... Certo non vorrei aver a che fare con un principe ateo perché, nel caso si mettesse in mente d'avere interesse a farmi pestare in un mortaio, son ben certo che lo farebbe senza esitazione. Nemmeno vorrei, se fossi un sovrano, avere a che fare con cortigiani atei, che potrebbero aver interesse ad avvelenarmi... Quale conclusione trarremo da tutto ciò? Che se l'ateismo è estremamente pericoloso in quelli che governano, lo è pure negli uomini di studio, per quanto la loro vita possa essere pura, perché le loro idee possono uscire dal chiuso delle biblioteche e raggiungere le piazze; che l'ateismo infine anche se non è cosí funesto quanto il fanatismo, è quasi sempre fatale alla virtú. Va notato soprattutto che il numero degli atei è minore oggi che in qualsiasi altro tempo, da quando cioè i filosofi hanno riconosciuto che non esiste alcun essere vegetante senza germe, alcun germe senza struttura, ecc... Geometri non filosofi hanno potuto rigettare le cause finali, ma i veri filosofi le ammettono; e, come ha detto un noto autore, il catechismo annuncia Dio ai fanciulli e Newton lo dimostra ai sapienti. Se esistono atei, a chi farne colpa se non ai grandi mercenari delle anime, che, provocando in noi la rivolta contro i loro meschini espedienti, costringono qualche spirito debole a negare quel Dio che tali mostri disonorano? Quante volte le sanguisughe del popolo, esasperando i cittadini angariati, non li hanno costretti a ribellarsi contro il loro re?
[Voltaire, Dizionario Filosofico, Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1968, vol. XIV, pagg. 533-534]

Citazioni[modifica]

  • Questo libro può essere letto soltanto da persone illuminate; il volgo non è fatto per simili conoscenze: la filosofia non sarà mai il suo retaggio. Coloro che affermano che esistono verità che devono essere nascoste al popolo non devono allarmarsi, il popolo non legge: lavora sei giorni la settimana e il settimo va all'osteria. Insomma, le opere di filosofia sono fatte solo per i filosofi, e ogni uomo dabbene deve cercare di essere filosofo, senza piccarsi di esserlo. (Prefazione di Voltaire al Dizionario filosofico; 1950, p. 4)
  • I libri più utili sono quelli i cui lettori compiono essi stessi metà dell'opera; sviluppano i pensieri di cui si mostra loro il germe; correggono ciò che sembra loro difettoso, e fortificano con le loro riflessioni ciò che appare loro debole. (prefazione; 2012)[69]
  • Conosci te stesso è un magnifico precetto, ma soltanto Dio può metterlo in pratica: chi altri può conoscere la propria essenza? (Anima; 1968, p. 44)
  • [L'amicizia] È un tacito contratto fra due persone sensibili e virtuose. Dico sensibili, perché un monaco, un solitario può non essere malvagio e vivere senza conoscere l'amicizia. Dico virtuose, perché i malvagi hanno soltanto dei complici; i gaudenti, compagni di baldoria; le persone interessate, dei soci; i politici raccolgono attorno a sé dei partigiani; il volgo degli sfaccendati ha delle relazioni; i principi, dei cortigiani; solo gli uomini virtuosi hanno amici. (Amicizia; 1950, p. 20)
  • Si è discusso se un cristiano nei deserti d'Arabia potesse venir battezzato con la sabbia; si è risposto di no; se si potesse battezzare con acqua di rose; e si è deciso che occorreva dell'acqua pura, ma che ci si poteva anche servire di acqua fangosa. Si vede bene che tutta questa disciplina è dipesa dalla sapienza dei primi pastori che l'hanno stabilita. (Battesimo)[70]
  • Che vergogna, che miseria, aver detto che le bestie sono macchine prive di conoscenza e sentimento, che fanno sempre tutto ciò che fanno nella stessa maniera, che non imparano niente, non si perfezionano, ecc. ecc.! (Bestie; 1968, pp. 108-109)
  • I barbari uomini prendono questo cane che suol vincerli così facilmente nell'amicizia: lo inchiodano su una tavola, e lo sezionano vivo per mostrarti le vene mesaraiche. Tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, o meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento affinché egli non senta? Il cane ha dei nervi per essere impassibile? Non fare più di queste balorde supposizioni. (Bestie; 1968, pp. 109-110)
  • L'animale ha ricevuto le facoltà del sentimento, della memoria, e di un certo numero di idee. Chi gliele ha date? Colui che ha fatto crescere l'erba dei campi e gravitare la terra intorno al sole. (Bestie; 1968, p. 109)
  • Ma chi fa funzionare il soffietto degli animali: chi li fa respirare? Ve l'ho già detto: colui che fa muovere anche gli astri. Il filosofo che dichiarò: Deus est anima brutorum, aveva ragione; ma doveva andare più in là.[71] (Bestie; 1968, p. 110)
  • A me non piace ricorrere alle citazioni; di solito è una faccenda spinosa: si trascura ciò che precede e ciò che segue il passo che si cita e ci si espone a mille contestazioni. (Bene, Tutto è bene; 1950, p. 63)
  • Tutti gli uomini sarebbero dunque necessariamente uguali, se fossero senza bisogni. La miseria connessa alla nostra specie subordina un uomo a un altro uomo; non l'ineguaglianza è la vera disgrazia, ma la dipendenza. (Eguaglianza; 1950, p. 182)
  • L'entusiasmo è soprattutto il comune retaggio della devozione male intesa. (Entusiasmo; 1950, p. 188)
  • L'entusiasmo è esattamente come il vino: può eccitare tanto tumulto nei vasi sanguigni, e così violente vibrazioni nei nervi, che la ragione ne viene affatto distrutta. Può anche causare soltanto leggere scosse, che si limitano a dare al cervello solo un poco più di attività; è quel che accade nei grandi moti d'eloquenza, e soprattutto nella poesia sublime. L'entusiasmo ragionevole è la dote dei grandi poeti. (Entusiasmo; 1950, p. 189)
  • È vero: chi gode ne sa piú di chi riflette, o almeno sa meglio, è piú felice. Ma che volete? Non dipendeva da me né ricevere né respingere tutte le idee che sono venute nel mio cervello per combattersi fra loro e hanno preso le mie cellule midollari per loro campo di battaglia. Quando si sono ben battute, io non ho raccolto dalle loro spoglie altro che l'incertezza.
    È triste avere tante idee, e non sapere con precisione la natura delle idee.
    Lo ammetto; ma è assai piú triste, e molto piú sciocco credere di sapere quello che non si sa. (Idea; 1950, p. 245)
  • Non si può quasi leggere la storia senza concepire orrore per il genere umano. (Idolo, idolatra, idolatria; 1950, p. 257)
  • La nostra miserabile specie è cosí fatta, che quelli che camminano sulle vie battute gettano sempre sassi a quelli che insegnano le nuove vie. (Lettere, uomini di lettere o letterati; 1950, p. 282)
  • È vero che i rappresentanti delle città, negli Stati Generali di Francia tenuti il 1302, dissero, in un loro indirizzo al re, che "Bonifacio VIII era un c... se credeva che Dio legasse e imprigionasse in cielo ciò che Bonifacio legava sulla terra". (Pietro; 1968, p. 536)
  • Alla fine di quasi tutti i capitoli di metafisica dobbiamo mettere le due iniziali dei giudici romani quando non erano capaci di sbrogliare una causa. N.L., non liquet, non è chiaro.
  • Chi ci ha dato il sentimento del giusto e dell'ingiusto? Dio, che ci ha dato un cervello e un cuore.
  • Di tutte le religioni, quella cristiana è senza dubbio quella che dovrebbe ispirare più tolleranza, sebbene fino ad ora i cristiani siano stati i più intolleranti tra gli uomini. (1966)
  • Gli atei sono per lo più studiosi arditi e fuorviati che ragionano male e che, non riuscendo a comprendere la creazione, l'origine del male, e altre difficoltà, ricorrono all'ipotesi dell'eternità delle cose e della necessità. [...] Possiamo concludere che l'ateismo è un male mostruoso per coloro che governano; e anche per gli studiosi, anche se la loro vita è retta, perché con le loro opere possono influenzare chi è al governo; e che, anche se non è dannoso come il fanatismo, esso è quasi sempre fatale per la virtù. Ma soprattutto, lasciatemi aggiungere che ci sono meno atei oggi di quanti ce ne siano mai stati, perché i filosofi hanno compreso che non c'è vita senza germe, non c'è germe senza disegno, ecc.. (Ateismo; 1966)
  • Gli Ebrei non volevano che la statua di Giove fosse a Gerusalemme; ma i cristiani non volevano che fosse in Campidoglio. (Tolleranza)
  • Gli uomini odiano coloro che chiamano avari solo perché non ne possono cavare nulla.
  • Ho letto negli aneddoti della Storia d'Inghilterra ai tempi di Cromwell che una candelaia di Dublino vendeva ottime candele fatte col grasso degli Inglesi. Qualche tempo dopo uno dei suoi avventori si lamentò con lei del fatto che le sue candele non erano più così buone: Ahimè disse la donna è che gli Inglesi ci sono mancati in questo mese. Io mi domando chi fosse più colpevole, se quelli che sgozzavano gli Inglesi o questa donna che faceva candele col loro grasso.
  • Il fanatismo sta alla superstizione come il delirio alla febbre. [proporzione]
  • Il mondo è certamente una macchina meravigliosa; esiste quindi nel mondo un'intelligenza meravigliosa, in qualunque parte essa sia.
Le monde est assurément une machine admirable; donc il y a dans le monde une admirable intelligence, quelque part où elle soit. (Ateismo II; citato in Legarde, Michard, XVIIIe siècle, Bordas p. 114)
  • L'orgoglio dei piccoli consiste nel parlare sempre di sé, quello dei grandi nel non parlarne mai.
  • La carestia, la peste e la guerra sono i tre ingredienti più famosi di questo mondo.
  • La superstizione mette il mondo intero in fiamme; la filosofia le spegne.
La superstition met le monde entier en flammes; la philosophie les éteint.
  • Le verità della religione non sono mai capite così bene come da quelli che hanno perso la capacità di ragionare.
  • Molti fisici sostengono che in tal senso non ci sono miracoli, ed ecco le loro argomentazioni... Un miracolo è la violazione delle leggi matematiche, divine, immutabili, eterne. In base a questa sola definizione, un miracolo è una contraddizione in termini... Perché mai Dio farebbe un miracolo? Per venire a capo d'un certo disegno riguardo ad alcuni esseri viventi. Egli direbbe dunque: "Con la creazione dell'universo, con i miei decreti divini, con le mie leggi eterne, non sono riuscito ad attuare un certo disegno, cambierò le mie idee eterne, le mie leggi immutabili, per cercare di eseguire quanto non ho potuto fare per mezzo di esse". Sarebbe una confessione di debolezza, e non di potenza. Sarebbe in lui, a quanto pare, la più inconcepibile contraddizione. Pertanto, osare attribuire a Dio dei miracoli significa in effetti insultarlo (ammesso che degli uomini possano insultare Dio): è come dirgli "voi siete un essere debole e incoerente". (Miracoli)
  • Noi viviamo in società; non esiste dunque vero bene per noi se non ciò che fa il bene della società. (2012)
  • Non esistono né estreme delizie né estremi tormenti che possano durare tutta la vita: il sommo bene e il sommo male sono chimere.
  • Non troverete in loro che un popolo ignorante e barbaro, che coniuga da lungo tempo l'avarizia più sordida alla superstizione più odiosa e all'odio più irrefrenabile per i popoli che li tollerano e li arricchiscono. (Ebrei)
  • Quando la verità è evidente, è impossibile che sorgano partiti e fazioni. Mai s'è disputato se a mezzogiorno sia giorno o notte.
  • Raramente gli uomini sono degni di governarsi da sé. Questa fortuna deve toccare soltanto a piccoli popoli, che si nascondano in qualche isola o in mezzo a delle montagne, come conigli che vogliono sfuggire agli animali carnivori; ma, a lungo andare, vengono scoperti e divorati. (1966, p. 169)
  • Siamo tutti fatti di debolezza e di errori; perdoniamoci reciprocamente le nostre sciocchezze: è la prima legge di natura.
Nous sommes tous pétris de faiblesse et d'erreurs; pardonnons-nous réciproquement nos sottises; c'est la première loi de nature.
  • Tutti i giorni, nei paesi cattolici, si vedono preti e monaci che, uscendo da un letto incestuoso, senza neppur essersi lavate le mani sozze di impurità, vanno a produrre iddii a centinaia; a mangiare e bere il loro dio, a cacarlo e a pisciarlo. Ma quando poi riflettono che questa superstizione, cento volte più assurda e sacrilega di tutte quelle degli egiziani, ha reso a un prete italiano da quindici a venti milioni di rendita e il dominio di un paese di cento miglia di estensione in lungo e in largo, vorrebbero andare tutti, armi in pugno, a cacciare quel prete che si è impadronito del palazzo dei Cesari.
  • Tutti i vizi di tutte le età e di tutti i luoghi messi assieme non uguaglieranno mai i mali prodotti da una sola campagna. (2012)
  • Un parigino resta a bocca aperta quando gli si dice che gli Ottentotti fanno tirar via ai loro bambini uno dei testicoli; gli Ottentotti sono forse molto sorpresi che i Parigini li conservino tutti e due. (Circoncisione, BMM 1965, p. 206)
  • Una patria è un composto di più famiglie; e come di solito si sostiene la propria famiglia per amor proprio, quando non si abbia un interesse contrario, così per lo stesso amor proprio si sostiene la propria città o il proprio villaggio che si chiama patria. Più questa patria ingrandisce e meno la si ama, poiché l'amore suddiviso si indebolisce. È impossibile amare teneramente una famiglia troppo numerosa che si conosce appena. (1966, p. 260)
  • [Sull'omosessualità] Com'è possibile che un vizio, distruttore del genere umano se si generalizzasse, che un attentato infame contro la natura sia peraltro così naturale? Parrebbe il grado ultimo della corruzione riflessa, e tuttavia è il retaggio ordinario di quelli che non hanno avuto ancora il tempo di corrompersi. È entrato in cuori vergini, che non hanno ancora conosciuto né l'ambizione né la frode né la sete di ricchezza; è la gioventù cieca che, per un istinto confuso, precipita in un tale disordine all'uscire dall'infanzia. (Amore socratico; 1993, p. 55)
  • Che cos'è la virtù, amico mio? È fare del bene: farne, e questo basta. In tal caso ti faremo grazia del motivo. (Falsità delle virtù umane; 2016)

Il faut prendre parti, ou le principe d'action[modifica]

  • Le sofferenze degli animali ci sembrano dei mali perché, essendo anche noi animali, pensiamo che saremmo molto da compiangere se a noi si facesse altrettanto. Sentiremmo la stessa pietà per una pianta o per una pietra se sapessimo che, quando viene tagliata, essa soffre, ma la compiangeremmo molto meno di un animale, perché la pianta e la pietra ci somigliano meno. (1994, p. 660)
  • Del resto, noi cessiamo presto di commuoverci per la morte spaventosa degli animali riservati alla nostra tavola. I bambini, che piangono la morte del primo pollo che vedono sgozzare, la seconda volta ridono. Infine, è fin troppo certo che quella spaventosa carneficina messa senza posa in mostra nelle nostre beccherie e nelle nostre cucine non ci sembra un male: anzi, consideriamo quell'orrore, spesso pestilenziale, come una benedizione del Signore; e possediamo ancor oggi preghiere in cui lo si ringrazia di quegli assassinii. Eppure, c'è forse qualcosa di più abominevole del nutrirsi continuamente di cadaveri? (1994, p. 660)
  • Eppure io non vedo tra noi nessun moralista, nessuno dei nostri loquaci predicatori, nessuno nemmeno dei nostri Tartufi, che abbia mai fatto la minima riflessione su quest'orrenda abitudine divenuta in noi natura. (1994, p. 661)
  • Bisogna risalire fino al buon Porfirio, ai compassionevoli pitagorici, per trovare qualcuno che abbia cercato di farci vergognare della nostra cruenta ghiottoneria; oppure bisogna recarsi tra i brahamani. Infatti i nostri monaci, costretti dal capriccio dei fondatori dei loro ordini, a rinunziare alla carne, sono assassini di sogliole e di rombi, quando non lo sono di pernici e di quaglie. E né tra i monaci né nel concilio di Trento né nelle nostre assemblee del clero né nelle nostre accademie si è mai pensato di chiamare un male quella carneficina universale. Nei concili non vi si è pensato più che nelle taverne. (1994, p. 661)

Il filosofo ignorante[modifica]

  • Bisogna aver rinunciato al buon senso per non convenire che non conosciamo nulla se non attraverso l'esperienza.
  • Bisogna essere dei grandi ignoranti per rispondere a tutto quello che ci viene chiesto.
  • Chi sei? Da dove vieni? Che fai? Che diverrai? Sono domande che si devono porre a tutte le creature dell'universo, a cui però nessuna risponde.
  • Essere veramente libero significa potere. Libero sono quando posso fare quel che voglio; ma io voglio quanto voglio in modo necessario: altrimenti, vorrei senza ragione, senza causa: il che è impossibile. (XIII, Sono libero?)[72]
  • Ho interrogato la mia ragione; le ho domandato che cosa essa sia: questa domanda l'ha sempre confusa.
  • Il più grande dei crimini, almeno il più distruttivo e di conseguenza il più contrario al fine della natura, è la guerra; ma non vi è alcun aggressore che non colori questo misfatto con il pretesto della giustizia.
  • Per ciò che concerne i princìpi primi, siamo tutti nella stessa ignoranza in cui eravamo nella culla.
  • Qual è l'età in cui conosciamo il giusto e l'ingiusto? L'età in cui sappiamo che due più due fa quattro.

L'ingenuo[modifica]

Incipit[modifica]

Un giorno san Dunstano, irlandese di nazionalità e santo di professione, partì d'Irlanda su di una piccola montagna che navigò verso le coste di Francia, e arrivò con questo veicolo alla baia di Saint-Malo. Quando fu a riva, diede la benedizione alla sua montagna, che gli fece profonde riverenze e se ne tornò in Irlanda per la medesima strada da cui era arrivata.

Maria Moneti[modifica]

Un giorno S. Dunstano, irlandese di nascita e santo di professione, partì dall'Irlanda su di una piccola montagna che fece rotta verso le coste della Francia, e arrivò con questo mezzo alla baia di St-Malo. Quando fu a terra dette la benedizione alla sua montagna che, fattagli una riverenza, se ne tornò in Irlanda per la stessa strada per cui era venuta.
[Voltaire, L'ingenuo, traduzione di Maria Moneti, Garzanti, 1973.]

Sara Di Gioacchino Corcos[modifica]

Un giorno San Dunstano, irlandese di nazionalità e santo di professione, partí dall'Irlanda sopra una montagnina che navigò verso le coste di Francia, e giunse con quel veicolo nella baia di Saint-Malo. Quando fu a riva, diede la benedizione alla montagna, che gli fece profonde riverenze e se ne tornò in Irlanda per la stessa strada per la quale era venuta.
[Voltaire, L'ingenuo, traduzione di Sara Di Gioacchino Corcos, Edipem, 1974.]

Citazioni[modifica]

  • La signorina di Kerkabon, spaventata, rinunciava più che mai a ogni speranza di vedere il nipote suddiacono, e diceva piangendo che questi aveva il diavolo in corpo da quando era stato battezzato. (cap. VI, p. 66)
  • [...] la storia non è che il quadro dei delitti e delle disgrazie. (cap. X, p. 80)
  • Se ci occorrono delle favole, che queste favole siano almeno l'emblema della verità! Amo le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, e odio quelle degli impostori. (p. 82)
  • L'Ingenuo faceva rapidi progressi nelle scienze, e soprattutto nella scienza dell'uomo. La causa del rapido sviluppo della sua mente era dovuta alla sua educazione selvaggia, non meno che alla tempra dell'animo suo: poiché, non avendo appreso nulla nell'infanzia, non aveva imparato pregiudizi. Il suo intelletto, non essendo stato curvato dall'errore, era restato integro in tutta la sua rettitudine. Vedeva le cose come esse sono, mentre le idee che ci vengono inculcate nell'infanzia ce le fanno vedere per tutta la vita come esse non sono. (cap. XIV, p. 91)

Le sottisier[modifica]

  • Dio ci ha dato la vita, tocca a noi darci la bella vita.[2]
  • Dissimulare: virtù di re e di cameriera.[73]
  • È una delle superstizioni dello spirito umano avere immaginato che la verginità potesse essere una virtù.[2]
  • Gli uomini sono come gli animali: i grossi mangiano i piccoli, e i piccoli li pungono.[2]
  • I soldati si mettono in ginocchio quando sparano: forse per chiedere perdono dell'assassinio.[2]
  • Le parole sono per i pensieri quel che è l'oro per i diamanti: necessario per metterli in opera, ma ce ne vuol poco.[2]
  • Solo gli operai sanno quanto vale il tempo; se lo fanno sempre pagare.[74]

Lettere filosofiche[modifica]

  • Entrate nella Borsa di Londra [...] Lì l'ebreo, il maomettano e il cristiano si trattano reciprocamente come se fossero della stessa religione, e chiamano infedeli solo quelli che fanno bancarotta.
Entrez dans la Bourse de Londres [...] Là, le juif, le mahométan et le chrétien traitent l'un avec l'autre comme s'ils étaient de la même religion, et ne donnent le nom d'infidèles qu'à ceux qui font banqueroute.
  • L'uomo è nato per l'azione, come il fuoco tende in alto e la pietra in basso. Non essere per nulla occupato e non esistere è la stessa cosa per l'uomo. (lettera XXV, Sui pensieri di Pascal)[75]
  • Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle.
  • Schiacciate l'infame![76]
Ecrasez l'infame!

Trattato di Metafisica[modifica]

  • Sbarco nel paese della Cafraria, e comincio a ricercare un uomo. Vedo macachi, elefanti e neri. Tutti sembrano avere un baleno di una ragione imperfetta. Tutti hanno un linguaggio che non capisco e tutte le loro azioni sembrano ugualmente essere relazionate con qualche causa. Se dovessi giudicare le cose per il primo effetto che mi causano, crederei, inizialmente, che tra tutti questi enti l'elefante è l'animale ragionevole. Però, per non scegliere futilmente, prendo i piccoli di queste vari bestie. Esamino un piccolo di nero di sei mesi, un piccolo di elefante, un macachetto, un leonetto, un canetto. Vedo, senza dubbio, che questi giovani animali hanno incomparabilmente più forza e destrezza, più idee, più passioni, più memoria del negretto ed esprimono molto più sensibilmente tutti i loro desideri che quell'altro. Però, dopo un tempo, il negretto ha tante idee quante tutti loro. Mi dò questa definizione: l'uomo nero è un animale che ha lana sulla testa, cammina su due zampe, è quasi tanto pratico quanto una scimmia, è meno forte che gli altri animali della sua taglia, possiede un poco più di idee ed è dotato di maggior facilità di espressione. (1978, p. 62)
  • Vado alle regioni marittime dell"India Orientale. Adesso sono uomini d'un bel tono giallastro, non hanno lana, ma hanno la testa coperta da grande criniere nere. [...] Incontro una specie ancora più singolare che tutte queste. È un uomo vestito bene con un lungo abito nero, che si dice fatto per istruire agli altri [un prete, N.d.A.] Tutti questi uomini che vedi, mi dice lui, sono nati da uno stesso padre. E, allora, mi racconta una lunga storia. Però, quello che questo animale dice mi pare molto sospetto. Mi informo se un nero e una nera, di lana nera e naso piatto, gerano qualche volte bambini bianchi, di capelli biondi, naso adunco ed occhi blu. Mi hanno risposto di no, che i neri trapiantati, per esempio, alla Germania sono rimasti a generare neri. (1978, p. 63)

Incipit di alcune opere[modifica]

La Pulcella d'Orléans[modifica]

I. Io non son fatto per cantare i santi;
fioco ho il limbello, ed anche un po' profano;
ma pur Giovanna canterò che tanti
prodigi fe' colla virginea mano.
Contro l'anglica rabbia i vacillanti
gigli fermò sul gambo gallicano,
e il suo re tolto dall'ostil furore
unger fe' in Remme sull'altar maggiore.

II. Sotto modesto femminile aspetto,
in corto giubboncino ed in gonnella,
d'un vero Orlando l'animoso petto
ne' perigli mostrò l'aspra donzella.
Per mio spasso vorrei la sera in letto
una Rosetta dolce come agnella;
Giovanna d'Arco no; le die' natura
cuor di lione e mi farìa paura.

Micromegas[modifica]

I traduzione[modifica]

In uno di quei pianeti che girano intorno alla stella Sirio, c'era un giovane d'intelligenza molto sveglia, che io ebbi l'onore di conoscere l'ultima volta che visitò il nostro piccolo formicaio, e che si chiamava Micromegas.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Maria Moneti[modifica]

In uno dei pianeti che girano intorno alla stella che si chiama Sirio, c'era un giovane molto intelligente, che ho avuto occasione di conoscere durante il recente viaggio che ha fatto nel nostro piccolo formicaio. Si chiamava Micromega, nome perfettamente adatto a tutte le persone grandi. Era alto otto leghe, voglio dire, ventiquattromila passi geometrici di cinque piedi ciascuno.
[Voltaire, Micromega, traduzione di Maria Moneti, Garzanti, 1973.]

Sulla tolleranza[modifica]

L'assassinio di Calas, consumato a Tolosa con la spada della giustizia, il 9 marzo 1762, è uno dei più singolari avvenimenti degni dell'attenzione nostra e dei posteri. La turba dei caduti in innumerevoli battaglie è presto dimenticata, non soltanto perché così vuole l'inevitabile fatalità della guerra, ma perché coloro che sono morti in battaglia avrebbero potuto dar la morte ai loro nemici, non sono periti senza difendersi.

Zadig[modifica]

O fascino degli occhi, assillo dei cuori, luce dello spirito, non posso baciare la polvere dei vostri piedi perché muovete così poco i passi o li muovete sopra tappeti iranici o su petali di rose.[77]

Citazioni su Voltaire[modifica]

  • "Come? il turco mio fratello? mio fratello il cinese? il giudeo? il siamese?". Era il diciottesimo secolo - e Voltaire faceva il verso ai razzisti di allora, agli eterni pregiudizi, alle radici salde dell'intolleranza. "Cadono le braccia a osservare come gli uomini si comportano con gli altri uomini", sì, ma una possibilità di correggersi c'è sempre. "Dobbiamo lottare contro noi stessi", scriveva in una lettera, commentando con irritazione la frase di chi, arrivato a una certa età, sbotta: "Ormai sono fatto così". "Be', vecchio stupido, cerca di cambiare". Comincia dalle parole. (Paolo Di Paolo)
  • Il procedimento di cui Luciano si vale nel capitolo sui «Sacrifici» e lo stesso che serve a Voltaire per canzonare la Bibbia: il ricorso al buon senso, contro l'assurdità della favole religiose. (Arrigo Cajumi)
  • Il Settecento è Voltaire. (Victor Hugo)
  • Il signor di Voltaire, a un parrucchiere che gli dava consigli sull'arte di poetare, rispose: "Mastro Andrea, fate parrucche..." Chiedo a me stesso se il grande scrittore francese non sarebbe stato più accorto consigliando a mastro Andrea di studiare la prosodia! (Federico De Roberto)
  • Il Voltaire mi sembra lo stesso secolo XVIII fatto uomo con tutte le sue virtù, le sue colpe ed i suoi contrasti. (Ernesto Masi)
  • Io non vi voglio affatto bene Signore; voi mi avete fatto i mali di cui potevo patire di più, a me, vostro discepolo e vostro fanatico partigiano. Avete rovinato Ginevra come prezzo dell'asilo che vi avete ricevuto; avete allontanato da me i miei concittadini come ricompensa degli applausi che vi ho prodigato fra di essi; siete voi a rendermi insopportabile il soggiorno nel mio paese; siete voi che mi farete morire in terra straniera, privo di tutte le consolazioni dei morenti, e gettato per unico onore in un deposito di rifiuti, mentre tutti gli onori che un uomo può aspettarsi vi accompagneranno nel mio paese. Vi odio, insomma, perché l'avete voluto; ma vi odio da uomo anche più degno di amarvi se voi l'aveste voluto. Di tutti i sentimenti di cui il mio cuore era compenetrato, vi resta solo l'ammirazione che non si può rifiutare per il vostro bel genio e l'amore per i vostri scritti. Se posso onorare in voi solo i vostri talenti, non è colpa mia. Non verrò mai meno al rispetto che è loro dovuto, né al modo di procedere che questo rispetto esige. (Jean-Jacques Rousseau)
  • La «filosofia» di Voltaire non va mai disgiunta dalle sue applicazioni, nel campo della morale sociale, dei problemi religiosi o politici o anche in quello degli sviluppi poetici. Incurante di un «sistema» egli si creò piuttosto una specie di metodo, innestando sul razionalismo cartesiano ormai diffusissimo l'empirismo di Locke e di Hume. (Mario Bonfantini)
  • Lucifero del secolo. (Johann Georg Hamann)
  • Maestro | Di coloro che mostran di sapere. (Giuseppe Parini)
  • Possiamo far meglio di Voltaire, superando gli abusi della religione e guardando il positivo del credere. (Julia Kristeva)
  • Ricordando una frase che è nella voce «letterati» del dizionario di Voltaire – «la più grande sventura dell'uomo di lettere forse non è quella di essere oggetto della gelosia dei colleghi, vittima dell'intrigo, disprezzato dai potenti; ma quella di essere giudicato dagli imbecilli» – possiamo aggiungere, ricordando questa frase, che Borgese ebbe, davvero in questo senso, «tutto»: tanti altri scrittori lo invidiarono, qualche intrigo fu ordito a suo danno, qualche potente lo disprezzò al punto di volerlo perdonare. Ma sopratutto ebbe quella che, secondo Voltaire, è la sventura maggiore: che molti imbecilli lo giudicarono e forse ancora, senza conoscerlo, continuano a giudicarlo. (Nota di Leonardo Sciascia a Le belle di G.A. Borgese, p. 176)
  • Un giorno Voltaire inviava uno squisito dolciume in un bel piatto di Sèvres ad una distinta marchesa. Il dolce era assai ben lavorato, il piatto era più squisitamente eseguito.
    L'illustre uomo ebbe in riscontro ed in rendimento di grazie un biglietto così concepito: Il dolce del quale avete deliziato la mia mensa fu degno de' Numi. Per serbarne viva la memoria riterrò meco ancora il piatto.
    Ei rispose con una parola: Cara memoria!
    E gli costò chiaro quel dono certamente. (Carlo Tito Dalbono)
  • [L'] uomo attorno al quale, anche dopo cent'anni, non esistono che giudizi partigiani: contro i liberatori dello spirito gli uomini sono implacabili nell'odio, ingiusti nell'amore. (Friedrich Nietzsche)
  • VOLTAIRE. Celebre per il suo spaventevole «rictus». Conoscenze scientifiche superficiali. (Gustave Flaubert)
  • Voltaire è una magnifica canaille piena di spirito. Ma io penso come l'abate Galiani che: «Un monstre gai vaut mieux qu'un sentimental ennuyeux.[78]»
    Voltaire è possibile e tollerabile solo nell'ambito di una cultura aristocratica, che appunto perciò può permettersi il lusso della canaillerie spiritosa... (Friedrich Nietzsche)
  • Voltaire era spiritoso perché beveva caffè. Uno stimolante liquido convenzionale. (Marcello Marchesi)
  • Voltaire, il quale, più della verità, cercava il paradossale e il nuovo, nel suo Discorso sulla poesia epica lodò gli Araucana di don Alonso de Ercilla come l'epopea della Spagna; non altrimenti che epopea dell'Italia pose la Gerusalemme liberata. Incapace egli per indole e abitudine d'intendere il sublime, il semplice, il puro; angusto per pregiudizio di scuola e per culto della forma, badando alla distribuzione anziché al fondo, pretendeva restringere ogni poema nel preconizzato modello di Virgilio. Ma poema d'una nazione è quello dove trovansi ritratte la vita, la credenza, le cognizioni di essa in un dato tempo, e massime di que' tempi primitivi, dove la mistura eterogenea non alterò, né l'incivilimento spianò ancora le forme, che perpetuamente costituiranno il carattere di essa. (Cesare Cantù)
  • Voltaire non voleva essere materialista. In lui fermenta evidentemente un'idea vaga ed incosciente della teoria di Kant, quando ripete a molte riprese quest'asserzione così espressiva: «Se Dio non esistesse, bisognerebbe inventarlo». [...]. Se Bayle, che credeva alla possibilità di uno Stato ateo, avesse avuto, diceva Voltaire, cinque o seicento contadini da governare, avrebbe ben presto fatto predicare l'idea di una giustizia divina. Togliendo a quest'idea la sua corteccia frivola, si vedrà che nell'opinione reale di Voltaire la credenza in Dio è indispensabile per il mantenimento delle virtù e della giustizia. (Friedrich-Albert Lange)

Joseph de Maistre[modifica]

  • La sfrenata ammirazione di che troppe persone il circondano, è il segno infallibile di un'anima corrotta. Non v'è da illudersi. Se alcuno percorrendo la propria biblioteca si sente attirato dalle opere di Ferney, non è amato da Dio. Si è spesso posta in derisione l'Autorità Ecclesiastica, che condannava i libri in odium auctoris: per verità, nulla eravi di più giusto. Si ricusino gli onori del genio a colui che fa abuso de' doni del medesimo. Se questa legge fosse rigorosamente osservata, si vedrebbero ben presto scomparire i libri avvelenati: ma poiché non dipende da noi il promulgarla, guardiamoci almeno dal cadere nell'eccesso riprensibile assai più che non si crede, di esaltare a dismisura gli scrittori cattivi, e massimamente questo. Egli senz'avvedersene ha profferito contro se stesso un decreto terribile, imperciocchè egli è quello che ha detto, uno spirito corrotto non fu mai sublime. Non v'è cosa più vera, ed ecco il perchè Voltaire co' suoi cento volumi non altro fu mai che galante; io n'eccettuo la tragedia, ove la qualità e la natura dell'opera lo costringeva ad esprimere sentimenti elevati, estranei al suo carattere; e su la scena eziandio ov'è il suo trionfo, egli non abbaglia i più esperti osservatori. Nelle sue migliori produzioni si assomiglia ai suoi due valenti rivali, come il più abile ipocrita somiglia ad un santo.
  • Non avete mai osservato che l'anatema divino fu scritto sul di lui volto? Dopo tanti anni si è tuttavia in tempo di farne l'esperimento. Recatevi a considerare la sua effigie al Palazzo del Romitorio [l'Ermitage di San Pietroburgo]: io non la guardo mai senza congratularmi ch'essa non ci sia stata tramandata da un qualche scalpello erede dei Greci, il quale avrebbbe forse saputo spargervi un certo bello ideale. Ivi tutto è naturale.
  • V'è tanta verità in quella testa, quanta ve ne sarebbe in un plasma fatto sul cadavere. Vedete quella fronte abietta, che non fu mai colorita dal pudore, que' due crateri estinti ne' quali sembra che ancora bollano l'odio e la lussuria? Quella bocca (io dirò forse male, ma non è mia colpa), quell'apertura spaventevole, la quale va da un orecchio all'altro, e quelle labbra piegate dalla malizia crudele, come una molla pronta a mettersi in azione per lanciare la bestemmia o il sarcasmo.

Indro Montanelli e Roberto Gervaso[modifica]

  • Erano cento i volumi comparsi sotto il nome di Voltaire, e non ce n'era uno che non contenesse qualche scintilla del suo genio. A distanza di due secoli, si può rileggerli tutti senza trovarvi un aggettivo superfluo, un grammo di adipe, ed emergere da questa scorpacciata con una fame intatta di Voltaire. Non conosciamo scrittore di cui si possa dire in piena coscienza altrettanto.
  • In nessuna epoca, in nessun Paese c'è mai stato un intellettuale più "moderno" di lui. Seguita ad esserlo, vecchio di due secoli. Non si può pensare in modo più libero di lui. Non si può scrivere in modo più penetrante di lui. Fu, e rimane, il "maestro" per antonomasia.
  • Non si può scrivere meglio di Voltaire, non si possono dire cose più serie con più aerea leggerezza ("La solennità è una malattia" diceva. E se i suoi colleghi italiani lo avessero ascoltato!...), con un più perfetto dosaggio di furore, d'umorismo e di fantasia picaresca.

Note[modifica]

  1. Da Première lettre à M. de Genonville sur Œdipe, 1719, in nota.
  2. a b c d e f g h i Citato in Elena Spagnol, Enciclopedia delle citazioni, Garzanti, Milano, 2009. ISBN 9788811504894
  3. Questa nota manca in alcune delle prime edizioni della lettera, poiché fu aggiunta da Voltaire stesso a chiarimento di un pezzo che era stato tolto nelle prime edizioni per riguardo di una persona allora vivente che vi era criticata. (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921, p. 530)
  4. Da L'Indiscret; citato in Dizionario delle citazioni, n. 2292.
  5. Da Discours en vers sur l'homme; citato in Dizionario delle citazioni, n. 3798.
  6. Da La Henriade, I; citato in Dizionario delle citazioni, n. 2724.
  7. Da À madame du Châtelet, vv. 11-12.
  8. Citato in AA.VV., Il libro della matematica, traduzione di Roberto Sorgo, Gribaudo, 2020, p. 24. ISBN 9788858025857
  9. Da Jeannot e Colin, in Tutti i romanzi e i racconti e Dizionario filosofico.
  10. Da L'affermazione del cristianesimo, ed. Procaccini, Napoli, 1988, p. 88.
  11. Citato in Michel Foucault Storia della follia nell'età classica, ed. BUR, 2012, p. 137 (il quale riporta la citazione dall'edizione francese delle Œuvres complètes, ed. Garnier, XXIII, p. 337).
  12. Da Épitre à l'imperatrice de Russie, Cathérine II, 1771, v. 8.
  13. Da Zadig o il destino. Storia orientale, in Tutti i romanzi e i racconti e Dizionario filosofico.
  14. Il secolo di Luigi XIV, 1752
  15. Citato in Fernando Palazzi, Dizionario degli aneddoti, Baldini Castoldi Dalai, 2000.
  16. Da Charlot ou la Comtesse de Givry, I, 7.
  17. Da Le pauvre diable; citato in Fumagalli 1921, p. 240.
  18. Da Trattato sulla Intolleranza, cap. VIII.
  19. Da Epîtres. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  20. Citato in Marco Marsilio, Razzismo: un'origine illuminista, Vallecchi, 2006, p. 49.
  21. Dal Saggio sui costumi.
  22. Da Dialogues et anedoctes philosophiques, 1768.
  23. Da Pensieri sul governo, in Scritti politici, p. 450.
  24. Citato in Montanelli 1971, cap. 9, p. 127.
  25. Da Lettera a Damilaville, 19 marzo 1766.
  26. Da Discorso in versi sull'uomo, 6.
  27. Da Catilina.
  28. Da Le Mondain, v. 22; citato in Fumagalli 1921, p. 14.
  29. Qualcuno attribuisce erroneamente la frase ad Alphonse Karr. In realtà la citazione è di Voltaire e Karr, in Nouvelles guêpes (1853), ha solamente ripetuto e sviluppato il concetto: «Il superfluo è diventato cosi necessario che molte persone, per procurarselo, considerano il necessario come superfluo». Cfr. Fumagalli 1921, p. 14.
  30. Citato in Mario Lettieri, Il libro delle citazioni, De Agostini, Novara, 1998, p. 115. ISBN 88-415-5890-3
  31. Da Facéties; citato in Giacomo Leopardi, Puerili e abbozzi vari, V, Epigrammi, Discorso preliminare, a cura di Alessandro Donati, Laterza, Bari, 1924, p. 97.
  32. Citato in Fumagalli 1921, p. 751.
  33. Da Histoire de Charles XII, roi de Suède, 1731; citato in Guido De Franceschi, Storia breve della nazione ucraina e della secolare guerra russa, linkiesta.it
  34. (FR) Da Essai sur les mœurs et l'esprit des nations, Paris, Garnier, 1878, p. 246.
  35. Da una lettera a Jean Jacques Dortous de Mairan, Bruxelles, 14 maggio 1741, in Correspondance, n. 1435; citato in Arthur Schopenhauer, L'arte di ottenere ragione, a cura di Franco Volpi, traduzione di Nicola Curcio e Franco Volpi, Adelphi, Milano, 2017. ISBN 978-88-459-7890-6
  36. Citato in Antonio Lopez Campillo, Juan Ignacio Ferreras, Corso accelerato di ateismo, traduzione di Silvia Rupati, Castelvecchi Editore, 2007, p. 28.
  37. Citato in Montanelli 1971, cap. 9, p. 125.
  38. Citato in Indro Montanelli, Là dove comincia il grande mistero di Dio, Corriere della Sera, 23 maggio 1996.
  39. Citato in Fumagalli 1921, p. 532.
  40. Citato in Patrizia de Mennato, La ricerca «partigiana», Libreria CUEM, Milano, 1994.
  41. Da Lettera a Mariott.
  42. Da Lettera a Damilaville, 11 maggio 1764.
  43. Citato in Selezione dal Reader's Digest, dicembre 1962.
  44. Citato in Thomas E. Woods, Come la Chiesa cattolica ha costruito la civiltà occidentale, Cantagalli 2007, pp. 177-178.
  45. Citato in Sacramenti del bene, ISBN 9780244485788.
  46. Da L'uomo dai quaranta scudi, ne L'ingenuo-L'uomo dai quaranta scudi, traduzione di Lorenzo Bianchi, Feltrinelli, Milano, 1998, pp. 169-170. ISBN 88-07-82146-X
  47. Da Correspondance, 1/4/1766.
  48. Da La pulzella d'Orléans.
  49. Citato in James Boswell, Visita a Rousseau e a Voltaire, traduzione di Bruno Fonzi, Adelphi, 1973, pp. 108-109.
  50. Da Épître 104 – Épître à l'Auteur du Livre des Trois Imposteurs, v. 22.
  51. Citato in Fumagalli 1921, p. 541.
  52. Da Pensées, remarques et observations.
  53. Da Ériphyle, II, 1; anche in Maometto profeta, I, 4.
  54. Da Notebooks, II.
  55. Da Nanina, o il Pregiudizio vinto, I, 1.
  56. Da Pace di Vestfalia, in Annali dell'Impero dal tempo di Carlo Magno, in Opere storiche, a cura di Domenico Felice.
  57. Da Il pranzo del conte di Boulainvilliers.
  58. S. L. Murialdo, Scritti, Libreria editrice Murialdo, Roma 2001, p. 127
  59. Attribuita anche a Moncrif e a Bautru.
  60. Citato in Fumagalli 1921, p. 492.
  61. (EN) Da The Friends of Voltaire, Smith Elder & co., 1906, p. 199.
  62. Cfr. Le dieci regine delle citazioni bufala, Corriere.it, 19 marzo 2009.
  63. Cfr. Ceccarelli di Bruno, Per la democrazia, Armando Editore, 2007, p. 79. ISBN 8860811651
  64. Voltaire scrive, in particolare: «Mi piaceva l'autore de L'Esprit [Helvétius]. Quest'uomo era meglio di tutti i suoi nemici messi assieme; ma non ho mai approvato né gli errori del suo libro, né le verità banali che afferma con enfasi. Però ho preso fortemente le sue difese, quando uomini assurdi lo hanno condannato.» In originale: «J'aimais l'auteur du livre de l'Esprit [Helvétius]. Cet homme valait mieux que tous ses ennemis ensemble; mais je n'ai jamais approuvé ni les erreurs de son livre, ni les vérités triviales qu'il débite avec emphase. J'ai pris son parti hautement, quand des hommes absurdes l'ont condamné». Cfr. Questions sur l'Encyclopédie, articolo "Homme", in Voltaire, Histoire du Monde.net.
  65. Cfr. Fumagalli 1921, pp. 526-527 e The Oxford Dictionary of Quotations, a cura di Elizabeth M. Knowles, Oxford University Press, 1999, p. 797.
  66. Citato in numerose fonti, ad esempio: Sovraffollamento e carenze. Quale futuro per le carceri?, Avantionline; Le galere sono lo specchio della società
  67. "The degree of civilization in a society can be judged by entering its prisons". Come risulta da The House of the Dead (1862) traduzione di Constance Garnett; citato in The Yale Book of Quotations (2006) di Fred R. Shapiro, p. 210
  68. Citato in Piero Tempesti, Il calendario e l'orologio, Gremese Editore, 2006, p. 66
  69. Prefazione di Voltaire all'edizione Varberg del 1765.
  70. Citato in Raffaele Carcano, Adele Orioli, Uscire dal gregge, Luca Sossella editore, 2008, p. 69. ISBN 9788889829646
  71. Cfr. Attilio Pisanò, Diritti deumanizzati, Giuffrè Editore, 2012, p. 29: «La paternità dell'espressione Deus est anima brutorum [Dio è l'anima degli animali] è dubbia. La si può ritrovare, comunque, nel poema The Logicians Refuted di Jonathan Swift».
  72. Da Scritti filosofici, vol I, a cura di Paolo Serini, Laterza, Bari, 1962, p. 516.
  73. Citato in Dizionario delle citazioni, n. 3866.
  74. Citato in Dizionario delle citazioni, n. 3588.
  75. Da Scritti politici, p. 333.
  76. Frase con la quale Voltaire, riferendosi alla religione, chiudeva spesso le sue lettere agli amici e motto della sua campagna contro l'intolleranza religiosa.
  77. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
  78. Un mostro allegro è meglio di un sentimentale noioso.

Bibliografia[modifica]

  • Aa. Vv., Dizionario delle citazioni, a cura di Ettore Barelli e Sergio Pennacchietti, BUR, Milano, 2013. ISBN 9788858654644</ref>
  • James Boswell, Visita a Rousseau e a Voltaire, traduzione di Bruno Fonzi, Adelphi, 1973.
  • Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921.
  • Legarde, Michard, XVIIIe siècle, Bordas. Paris 1965.
  • Indro Montanelli, Roberto Gervaso, L'Italia del Settecento, Rizzoli, Milano, 1971.
  • Voltaire, Candido, traduzione di Anonimo, 1882
  • Voltaire, Candido, traduzione di Giovanni Fattorini, Tascabili Bompiani, 1987.
  • Voltaire, Candido, traduzione di Riccardo Bacchelli, Oscar Mondadori, Milano, 1988. ISBN 88-04-48812-3
  • Voltaire, Candido, Zadig, Micromega, L'ingenuo, traduzione di Maria Moneti, Garzanti, 2008. ISBN 9788811360384
  • Voltaire, Dictionnaire Philosophique, Flammarion. Paris 1964.
  • Voltaire, Dizionario filosofico (Dictionnaire philosophique, 1764), edizione condotta sul testo critico, a cura di Mario Bonfantini, con uno scritto di Gustave Lanson, Einaudi, Torino, 1950. ISBN 8806183443
  • Voltaire, Dizionario filosofico, a cura di Mario Bonfantini, Biblioteca Moderna Mondadori, 1965.
  • Voltaire, Dizionario filosofico, traduzione di Rino Lo Re, BUR, 1966.
  • Voltaire, Dizionario filosofico, a cura di Mario Bonfantini, Oscar Mondadori, 1968.
  • Voltaire, Dizionario filosofico, Sansoni, Firenze, 1993.
  • Voltaire, Dizionario filosofico, a cura di Mario Bonfantini, Einaudi, Torino, 2016. ISBN 9788858422984
  • Voltaire, Il faut prendre parti, ou le principe d'action (1772), in Oeuvres, Parigi, 1959; citato in Gino Ditadi, I filosofi e gli animali, vol. 2, Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-85944-12-4
  • Voltaire, Il filosofo ignorante, a cura di Michela Cosili, Rusconi.
  • Voltaire, L'Ingenuo e L'uomo dai quaranta scudi, prefazione di Sebastiano Nata, traduzione e cura di Lorenzo Bianchi, Feltrinelli Editore, 1998. ISBN 9788807821462
  • Voltaire, La Pulcella d'Orléans, traduzione di Vincenzo Monti, A. F. Formiggini, 1914.
  • Voltaire, Scritti politici, a cura di Riccardo Fubini, UTET, Torino, 1964.
  • Voltaire, Sulla tolleranza, traduzione di Piero Bianconi, RCS Quotidiani, 2010.
  • Voltaire, Taccuino di pensieri, a cura di Domenico Felice, Mimesis, Milano-Udine, 2019. ISBN 9788857563039
  • Voltaire, Tutti i romanzi e i racconti e Dizionario filosofico, traduzioni di Paola Angioletti e Maurizio Grasso, Newton Compton, 2012.

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