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Aleksandr Isaevič Solženicyn

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Aleksandr Solženicyn nel 1974
Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1970)

Aleksandr Isaevič Solženicyn (1918 – 2008), scrittore, drammaturgo, dissidente e storico russo.

Citazioni di Aleksandr Solženicyn

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  • Alla fine della mia vita posso sperare che il materiale storico i temi storici, i quadri di vita e i personaggi da me raccolti e presentati, riguardanti gli anni durissimi e torbidi vissuti dal nostro Paese, entreranno nella coscienza e nella memoria dei miei connazionali [...]. La nostra amara esperienza nazionale ci aiuterà nella possibile nuova ripresa delle nostre mutevoli fortune, ci metterà in guardia e ci terrà lontani da rovinose rotture.[fonte 1]
  • Bisogna saper migliorare con pazienza quanto ogni giorno ci offre.[fonte 2]
  • C'è una parola che si usa molto oggi: "anticomunismo". È una parola molto stupida e mal composta perché dà l'impressione che il comunismo sia qualche cosa di primitivo, di basico, di fondamentale. E così, prendendolo come punto di partenza, anticomunismo è definito in relazione a comunismo. Per questo affermo che la parola è stata mal scelta e fu composta da gente che non conosceva l'etimologia: il concetto primario, eterno, è Umanità. Ed il comunismo è anti-Umanità. Chi dice "anti-comunismo", in realtà sta dicendo anti-anti-Umanità. Un costrutto molto misero. Sarebbe come dire: ciò che è contro il comunismo è a favore dell'Umanità. Non accettare, rifiutare questa ideologia comunista, inumana, è semplicemente essere un essere umano. Non è essere membro di un partito.
There is a word very commonly used these days: "anti-communism." It's a very stupid word, badly put together. It makes it appear as though communism were something original, something basic, something fundamental. Therefore, it is taken as the point of departure, and anti-communism is defined in relation to communism. Here is why I say that this word was poorly selected, that it was put together by people who do not understand etymology: the primary, the eternal concept is humanity. And communism is anti-humanity. Whoever says "anti-communism" is saying, in effect, anti-anti-humanity. A poor construction. So we should say: that which is against communism is for humanity. Not to accept, to reject this inhuman Communist ideology is simply to be a human being. It isn't being a member of a party.[fonte 3]
  • Gli uomini hanno finito per convincersi, partendo dalle loro stesse disgrazie, del fatto che le rivoluzioni distruggono il carattere organico della società; che danneggiano il corso naturale della vita; che annientano i migliori elementi della popolazione dando campo libero ai peggiori; che nessuna rivoluzione può arricchire un Paese.[fonte 2]
  • Il popolo ha indubbiamente diritto al potere, ma quel che vuole il popolo non è il potere (solo un due per cento lo desidera), bensì, prima di tutto, un ordine stabile.[fonte 4]
  • Nella vita sociale, libertà e uguaglianza tendono a escludersi reciprocamente, sono antagoniste: infatti, la libertà distrugge l'uguaglianza sociale, è proprio questa una della funzioni della libertà, mentre l'uguaglianza limita la libertà, perché diversamente non vi si potrebbe giungere.[fonte 2]
  • [Sulle elezioni presidenziali in Russia del 1996] Oggi alcuni dicono con soddisfazione che in Russia c'è la libertà, ma questa esiste forse soltanto nelle grandi città, Mosca, dove stampa e intellighentzija possono esprimersi abbastanza liberamente. Provate a farlo in provincia! La verità è che da noi la democrazia non c'è mai stata e non esiste neppure adesso. Abbiamo 100-150 persone che stanno sull'Olimpo e gestiscono tutto. Arrivano le elezioni, e molti si domandano: per chi votare, se non c'è nessuno che merita il nostro voto? È vero, non c'è nessuno che lo merita. Siamo in una trappola. Molti intellettuali mi dicono: pur essendo Eltsin un leader che non risponde ai nostri auspici, siamo costretti a votare per lui perché è il meno peggio. Ma bisogna dimenticare i leader, bisogna imparare a puntare su noi stessi.[1]
  • Più di mezzo secolo fa, quando ancora ero un bambino, ricordo che un certo numero di anziani offriva questa spiegazione per i disastri che avevano devastato la Russia: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto". Da quel giorno, ho passato 50 anni a lavorare sulla storia della nostra rivoluzione (la rivoluzione russa); ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali. Ma se mi fosse domandato di formulare in maniera più concisa possibile la principale causa della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito quasi 60 milioni di russi, non potrei metterla in maniera più accurata che ripetendo: "Gli uomini hanno dimenticato Dio, perciò tutto questo è accaduto."[fonte 5]
  • Questa antica triunità della Verità, del Bene e della Bellezza non è semplicemente una caduca formula da parata, come ci era sembrato ai tempi della nostra presuntuosa giovinezza materialistica. Se, come dicevano i sapienti, le cime di questi tre alberi si riuniscono, mentre i germogli della Verità e del Bene, troppo precoci e indifesi, vengono schiacciati, strappati e non giungono a maturazione, forse strani, imprevisti, inattesi saranno i germogli della Bellezza a spuntare e crescere nello stesso posto e saranno loro in tal modo a compiere il lavoro per tutti e tre.[fonte 6]
  • Sarebbe assolutamente vano sperare che la rivoluzione possa rigenerare la natura umana.[fonte 2]
  • Si può rimpiangere un regime che scriveva dio con la minuscola e Kgb maiuscolo?[fonte 7]
  • Sono infinitamente difficili tutti gli inizi, quando la semplice parola deve smuovere l'inerte macigno della materia. Ma non c'è altra strada se tutta la materia non è più tua, non è più nostra. Anche un grido può provocare una valanga in montagna.[fonte 8]
  • Un uomo d'ingegno sa di possedere sempre molto, non si rammarica di dover dividere con altri.[fonte 9]

Conferenza stampa nella Casa Bianca di Vladivostok, La Stampa, 29 maggio 1994

  • [Su Egor Timurovič Gajdar] Non ha fatto altro che liberalizzare i prezzi in condizione di monopolio, slegando così le mani al mostro dell'economia socialista.
  • Il fatto è che da noi sono seccate le radici del vero patriottismo e al suo posto si fanno strada le caricature, un patriottismo degradato, perverso, irriconoscibile, che fa paura.
  • La Russia non fu mai una federazione, come gli Stati Uniti o la Germania. Questa fu una falsificazione dei bolscevichi.
  • Perdiamo le nostre parole russe, imitiamo come scimmie quelle altrui: voucher, holding, farmer. È una malattia del nostro spirito più che della nostra lingua.

La Stampa, 20 luglio 1994

  • Gorbaciov ha scelto la strada meno sincera e più caotica possibile. Non era sincera perché cercava di conservare il comunismo, ritoccandolo leggermente, e tutti i privilegi della nomenklatura. Ed era caotica perché, con la solita ottusità dei bolscevichi, ha lanciato l'«accelerazione», impossibile e mortale per via di strutture ormai vecchie...
  • Il guaio non è stata la dissoluzione dell'Urss, che era inevitabile. Ma una grande disgrazia – e una grande confusione per molti anni a venire – deriva dal fatto che essa ha seguito automaticamente i falsi confini leniniani, tagliando via dalla Russia regioni intere.
  • [I nazionalisti ucraini] sembrava avessero dannato Lenin in tutto, ma [...] fin dall'inizio si sono fatti tentare dal suo dono avvelenato: hanno accettato con gioia i falsi confini dell'Ucraina, tracciati da lui (compresa la Crimea, regalo di quel folle di Krusciov).
  • Ci sono solo tre strade: 1) portare via tutti i russi che lo desiderano dall'Oltre-Caucaso e dall'Asia Centrale, dove è improbabile che qualcosa di buono attenda i nostri, anche in tempi lunghi, e sistemarli bene in Russia. Per quelli che rimarranno si dovrà cercare una difesa nella doppia cittadinanza, oppure... oppure nell'Onu? ma non contiamoci troppo; 2) esigere dai Paesi baltici la rigida e completa osservanza di tutte le norme europee sui diritti delle minoranze etniche; 3) cercare la maggiore integrazione possibile in diversi campi con la Bielorussia, l'Ucraina e il Kazakhstan, ottenere almeno la «trasparenza» delle frontiere e, per le regioni a maggioranza russa, un autogoverno locale reale che garantisca lo sviluppo nazionale.
  • [Su Vladimir Žirinovskij] Personaggio vuoto e senza peso che, andando molto oltre tutto il peggio mai rimproverato alla politica russa, chiama nelle sue dichiarazioni folli, isteriche e deliranti ora a trasformare l'Asia Centrale in un deserto, ora all'Oceano Indiano, ora a inghiottire la Polonia e il Baltico, ora a insediarsi nei Balcani. È impossibile inventare una caricatura peggiore del patriottismo russo e una strada più breve per affogare la Russia nel sangue.
  • È indubbio il vivo interesse di numerosi politici occidentali di avere una Russia debole e possibilmente di frammentarla ancora.
  • Il terrore di essere indifesi e lo smarrimento si sono impadroniti del nostro popolo a causa della riforma di Gaidar e del visibile trionfo degli intraprendenti squali del commercio senza produzione...

Intervento nel Parlamento, La Stampa, 29 ottobre 1994

  • Nel Paese dilaga una criminalità con la C maiuscola. Ma avete visto in questi tre anni un solo processo? Una sola condanna contro i corrotti? Avete sentito di processi pubblici e di dure sanzioni?
  • Non c'è democrazia in Russia, oggi, c'è un'oligarchia di potenti che ha perduto i legami con i sentimenti del Paese.
  • La catastrofe nazionale non si è verificata il martedì nero dell'11 ottobre, ma quando il rublo è diventato equivalente a un centesimo.

Intervista di Natalia Zhelmorova sulla prima guerra cecena, L'Unità, 12 gennaio 1995

  • [Sulla prima guerra cecena] È stupefacente: in tutto il mio viaggio per la Russia ho detto molte volte che occorre concedere l'indipendenza alla Cecenia. Ma i giornali moscoviti e la televisione hanno completamente ignorato i miei interventi.
  • Si dice la Cecenia sarà confederata con noi. Ma non abbiamo bisogno né di confederazione né di federazione. Perché tutta la federazione in Russia è una falsa invenzione leniniana. La Russia non è mai stata una federazione, essa non è mai stata creata con un amalgama di formazioni statali bell'e pronte. E anche le repubbliche di oggi quasi tutte si basano sulle minoranza.
  • La Cecenia nelle sue frontiere nazionali vere va riconosciuta. Che sia indipendente se lo vuole.
  • Queste azioni militari hanno provocato un lugubre vicolo cieco. E la situazione post-bellica sarà estremamente difficile. Ma se non riconosciamo la loro indipendenza, che cosa sarà? Una confederazione? Vuol dire l'inizio della dissoluzione di tutta la Russia. Sottomettersi semplicemente la Cecenia significa innescare una guerra civile in tutto il Caucaso, significa accendere l'ostilità con tutto il mondo musulmano.

Arcipelago Gulag

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L'anno millenovecentoquarantanove ci capitò sotto gli occhi, a me e alcuni amici, una curiosa nota nella rivista «Natura» dell'Accademia delle Scienze. Vi si diceva, in minuti caratteri, che in riva al fiume Kolyma, durante gli scavi, era stato trovato uno strato sotterraneo di ghiaccio, antico torrente gelato, e racchiusi in esso esemplari pure congelati di fauna fossile (di qualche decina di millenni fa). Fossero pesci o tritoni si erano conservati tanto freschi, comunicava il dotto corrispondente, che i presenti, spaccato il ghiaccio, li mangiarono sul posto, VOLENTIERI.

Citazioni

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  • A che limiti di mostruosità si deve ridurre la vita della gente, perché migliaia di uomini, nelle prigioni, nei cellulari e nei vagoni invochino, come loro unica speranza di salvezza, la forza sterminatrice di una guerra atomica!...
    Ma nessuno piangeva. L'odio prosciuga le lacrime. (vol. 3, parte 6, cap. 4, p. 454)
  • Come riassumere in una frase l'intera storia russa? Il paese delle possibilità soffocate. (vol. 3, parte 6, cap. 5, p. 476)
  • I prigionieri, tra gli uomini, sono quelli che più soffrono il freddo, più di qualunque altra cosa. (vol. 3, parte 6, cap. 5, p. 477)
  • Ecco l'attimo che invocavamo, i miei amici e io, quando non eravamo ancora studenti. L'attimo per il quale pregano tutti gli zek[2] del GULAG (all'infuori degli ortodossi[3]). È morto, il dittatore asiatico[4]. Ha tirato le cuoia, la carogna. Oh, chissà che incontenibile giubilo ci deve essere in questo momento là da noi nel lager speciale! Mentre qui le maestre di scuola, delle giovani ragazze russe, singhiozzano da spezzare il cuore: «Cosa ne sarà adesso di noi?» Hanno perduto la persona più cara... Vorrei urlare loro attraverso tutta la piazza: «Cosa ne sarà di voi? Semplicemente, i vostri padri non verranno più fucilati! I vostri fidanzati non verranno più arrestati! E voi non sarete più delle ČS![5]» (vol. 3, parte 6, cap. 5, p. 485)
  • Di semplice c'è una cosa sola, una verità che la nostra società rifiuta più violentemente di ogni altra: e cioè che il tronco più profondo della nostra vita è la coscienza religiosa, e non la coscienza ideologica formata dal partito. (vol. 3, parte 6, cap. 6, p. 500)
  • [...] è difficile per un cuore umano rimanere sulla via della ragione. È difficile per un fuscello non seguire il corso dell'acqua. (vol. 3, parte 6, cap. 6, p. 509)
  • Se l'arresto è il ghiaccio che ricopre di colpo un liquido, la liberazione è un timido disgelo fra due periodi glaciali.
    Fra due arresti.
    Perché in questo paese a ogni scarcerazione deve necessariamente far seguito un arresto.
    Periodo fra due arresti: questa fu la liberazione in tutti i quarant'anni precedenti a Chruščev.
    Salvagente gettato fra due isole: dimènati nell'acqua fra un reticolato e l'altro.
    Da campanella a campanella: è questo il tempo da scontare. Da reticolato a reticolato: è questa la liberazione. (vol. 3, parte 6, cap. 7, pp. 511-512)
  • [Riferendosi alle vicissitudini dei detenuti liberati e inviati al confino] È un giro vizioso: non accettano al lavoro senza un permesso di soggiorno, non danno il permesso di soggiorno se non si ha un impiego. Senza lavoro non si ha neppure la tessera del pane. Gli ex detenuti ignoravano la regola secondo la quale la MVD[6] ha il dovere di sistemarli al lavoro. E anche se qualcuno ne era al corrente, aveva paura di rivolgersi a quel ministero: c'era da essere messi dentro...
    La libertà è libertà di piangere. (vol. 3, parte 6, cap. 7, p. 513)
  • [...] il filosofo arcadico J.S. Karpuniĉ-Braven trascrive con sussiego da un libro l'aforisma: «Non basta amare l'umanità, bisogna saper sopportare gli uomini». (vol. 3, parte 6, cap. 7, p. 532)
  • [...] la verità è, per natura, come timida: quando la pressione della menzogna si fa troppo impudente, la verità tace. (vol. 3, parte 7, cap. 1, p. 545)
  • La differenza [dei lager di Chruščёv] coi lager di Stalin non è data dal regime di detenzione, bensì dalla composizione degli effettivi: non ci sono più milioni e milioni di Cinquantotto[7]. Ma, come prima, i detenuti si contano a milioni e, come prima, molti sono esseri senza difesa, vittime di una giustizia iniqua e cacciati nei lager unicamente perché il sistema vuole sopravvivere ad ed essi rappresentano il suo nutrimento.
    I dirigenti cambiano, l'Arcipelago rimane.
    Rimane perché questo regime statale non potrebbe sussistere senza l'Arcipelago. Se si liquidasse questo, anche quello cesserebbe di esistere. (vol. 3, parte 7, cap. 2, p. 569)
  • Oh, pensatori occidentali «di sinistra», così amanti della libertà! Oh, laboristi di sinistra! Oh, studenti progressisti americani, tedeschi, francesi! Tutto questo è ancora troppo poco per voi! Per voi, tutto il mio libro si riduce in sostanza a nulla. Capirete ogni cosa, e di colpo, solo il giorno che – mani dietro la schiena! – partirete voi stessi per il nostro Arcipelago. (vol. 3, parte 7, cap. 3, p. 597-598)

Non è ancora giunto il tempo di affidare alla carta l'elenco completo di coloro senza i quali questo libro non sarebbe stato scritto, rielaborato, conservato. Essi sanno. M'inchino profondamente dinanzi a loro.
Roždestvo sull'Ist'a, maggio 1968

Come ricostruire la nostra Russia?

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L'orologio del comunismo ha cessato di marciare.
Ma il suo edificio di cemento non è ancora crollato.
E che noi, piuttosto che liberati, non si finisca schiacciati sotto le sue macerie.

Citazioni

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  • Ecco come la vedo: senza indugi, ad alta voce e inequivocabilmente va proclamato che le tre repubbliche baltiche, le tre repubbliche transcaucasiche, le quattro centroasiatiche, ed anche la Moldavia, se si sente più attratta dalla Romania, queste undici – sì! – si separino totalmente e irrevocabilmente. (p. 13)
  • Oggi in tutto questo pompato Kazachstan, i kazachi sono meno di metà della popolazione. La loro tana, la loro solida patria d'origine, è il grande arco delle regioni meridionali, che si stende dalla parte più orientale verso ovest, fin quasi al Caspio, che è effettivamente popolato in prevalenza dai kazachi. E se, in questo ambito geografico, vogliono distaccarsi, che vadano pure con Dio. (pp. 13-14)
  • Vedo con timore che la risvegliata coscienza nazionale russa in larga parte non riesce a liberarsi dalla concezione spaziale del potere, dall'ubriacatura imperiale, vedo che ha derivato dal comunismo l'idea fasulla di un «patriottismo sovietico» mai esistito e mena vanto della «grande potenza sovietica», che all'epoca del burattino Il'ič secondo rosicchiava l'ultima produttività dei nostri decenni per armamenti mostruosi e del tutto inutili (e oggi in fase di gratuita distruzione), che ci ha svergognato, ci ha presentato al mondo intero come il conquistatore feroce e insaziabile: e questo quando già ci tremavano le ginocchia, quando già stavamo per crollare esausti. Eccola, la più nefasta deformazione della nostra coscienza: «In compenso siamo una grande potenza, con noi si debbono fare i conti». (pp. 15-16)
  • Non è alle dimensioni dello stato che dobbiamo mirare, ma alla purezza dello spirito, per quel che ce ne resta. Distaccando le dodici repubbliche, la Russia, apparentemente vittima, si libererà, al contrario, per un prezioso processo di sviluppo interiore, finalmente volgerà gli occhi al proprio interno, finalmente volgerà gli occhi al proprio interno e per sé spiegherà le proprie energie. (p. 16)
  • Smettiamola di ripetere pappagallescamente: «Siamo fieri di essere russi», «Siamo fieri della nostra patria sconfinata»... Bisogna capire che, dopo tutto quello di cui andavamo giustamente fieri, il nostro popolo soccombé alla catastrofe spirituale del 1917 (meglio: 1915-1932), e da allora, miserevolmente, non siamo più gli stessi, e non abbiamo più il diritto di inserire nei nostri progetti futuri la restaurazione della potenza statale e della grandezza esterna della Russia passata. I nostri nonni e padri, «infilando la baionetta nella terra» durante la guerra mortifera e disertando per seppellire il vicino nei pressi di casa, scelsero per noi, e fu una scelta valida per un secolo, e magari anche per due. E nessuna fierezza per la guerra contro la Germania, sui cui campi sono restati trenta milioni di morti, dieci volte più del nemico, mentre il dispotismo non faceva che rafforzarsi. Non essere fieri per aver proteso le zampe su vite altrui, ma piuttosto prender coscienza del proprio popolo, lambito nel vortice d'una malattia sfibrante, e pregare che Dio ci mandi la guarigione, e il senno delle azioni. (p. 18)
  • È un falso fabbricato di recente che già dal IX secolo sia esistito un distinto popolo ucraino, con una distinta lingua non russa. Tutti noi discendiamo dalla superba Kiev, «dove cominciò a esistere la terra nostra», secondo la cronaca di Nestore, e da cui c'è giunta la luce del cristianesimo. (p. 19)
  • Fu il popolo della Rus' kieviana a fondare lo stato moscovita. In Lituania e Polonia, russi bianchi e piccoli russi si sentivano russi, e lottavano contro la polonizzazione e la cattolicizzazione. Il ritorno di queste terre alla Russia fu da tutti percepito come Riunificazione. (p. 19)
  • Staccare oggi l'Ucraina significa passare attraverso milioni di famiglie e di persone: quanta commistione di popolazioni; intere regioni e cità a predominanza russa: quante persone imbarazzate a scegliere tra le due nazionalità; quanti di sangue misto; quanti matrimoni misti, che peraltro fino ad oggi nessuno considerava «misti». Nel fulcro della popolazione radicata non c'è ombra di intolleranza tra ucraini e russi. (pp. 21-22)
  • Certo, se il popolo ucraino desiderasse effettivamente separarsi, nessuno potrebbe impedirglielo con la forza. (p. 22)
  • Con quale impazienza la Georgia ambisce all'indipendenza nazionale! (Peraltro, non la Russia la conquistò con le armi, ma Lenin nel 1921.) Ma guardiamo a cosa succede oggi: emarginazione degli abchazy, emarginazione degli osetini e divieto ai meschi, deportati da Stalin, di rientrare nelle loro terre: è forse questa la reclamata libertà nazionale? (p. 28)
  • Ma fino a quando continueremo a rifornire e puntellare regime tirannici incapaci di stare in piedi da soli, veri depredatori delle nostre sotanze – Cuba, Vietnam, Etiopia, Angola, Corea del Nord – cosa resta per noi? E non li ho menzionati certo tutti. E poi ci sono migliaia di consiglieri, inviati ai quattro angoli della Terra. E tutto il sangue versato in Afghanistan: ci spiace che vada perso? E allora altri soldi che si mandano lì... Tutto questo assomma a decine di miliardi all'anno. (p. 30)
  • No, non si aprirà alcuna strada al popolo, e nulla di concreto riusciremo a fare, finché il partito comunista leniniano, ben oltre le concessioni su qualche punto della Costituzione, non cesserà di esercitare la menoma influenza sulla vita economica e politica, finché non abbandonerà completamente il timone del governo, in tutti i settori e luoghi della nostra vita. E si vorrebbe che questo avvenisse non con un'estromissione violenta, ma a seguito d'un suo pubblico atto di contrizione: ammetta che la sua catena di delitti, crudeltà e insensatezze ha cacciato il paese in un baratro, e che è incapace di trovare una via di uscita. Eco di cosa c'è bisogno, e non di metter su, con un'infame trasmissione ereditaria, un nuovo Partito comunista russo, riversando tutto il sangue e il fango sul popolo russo, e opponendosi al corso della storia. Questa pubblica ammissione, da parte del partito, delle proprie colpe, dei crimini e dell'impotenza sarebbe quanto meno una prima boccata d'aria in questa nostra pesantemente ammorbata atmosfera morale. (p. 32)
  • E su di noi incombe ancora il Kgb, a bloccarci la strada verso il futuro. Ingannevoli gli argomenti che esso sarebbe indispensabile, ora più che mai, per lo spionaggio internazionale. Tutti vedono che è vero il contrario. Suo unico obiettivo è di sopravvivere, e soffocare ogni moto popolare. Questa Čkgb, con la sua storia settantennale di crimini e sangue, non ha più giustificazioni, né diritto alla vita. (pp. 32-33)
  • [...] seguendo tutto il flusso dei tempi moderni, è fuor di dubbio che scegliamo la democrazia.
    Ma optando per la democrazia ci si deve ben rendere conto di cosa esattamente si sceglie, e a che prezzo. E la scegliamo come mezzo, non come fine. [...] E benché al nostro tempo molti paesi giovani, appena introdotta la democrazia, abbiano fatto bancarotta, è proprio la democrazia che, tra le varie forme di assetto statale, viene quasi elevata a principio universale della vita, quasi al rango di culto. (p. 64)
  • [Sul sistema proporzionale] Le elezioni proporzionali sulla base di liste rafforzano enormemente il potere delle istanze di partito, che compilano le liste dei candidati, e avvantaggiano i partiti grandi e ben organizzati. E questo risulta particolarmente vantaggioso per i partiti, che possono così distribuire i propri attivisti del centro in circoscrizioni lontane, ove essi non risiedono, e assicurarne l'elezione. [...] Col sistema proporzionale le piccole minoranze di norma riescono ad ottenere qualche seggio nelle assemblee rappresentative, ma si viene a formare un elevato numero di frazioni parlamentari e si arriva a un'atomizzazione di forze conflittuali. Ovvero, ciò induce i partiti a risolvere i loro problemi grazie a spregiudicate coalizioni, in dispregio dei loro programmi, pur di raccogliere voti e pervenire al governo. (pp. 71-72)
  • [Sul sistema maggioritario] Con questo sistema il partito, o blocco di partiti, che appena supera gli altri ottiene la maggioranza assoluta dei seggi, e quelli che seguono subiscono una disfatta totale: può capitare addirittura che, con un 49 per cento dei voti, non si ottenga un solo seggio parlamentare. E con una distribuzione disequilibrata delle circoscrizioni elettorali può capitare che il sistema maggioritario attribuisca la vittoria alla minoranza. [...] In compenso questo sistema garantisce la stabilità dei governi. (p. 72)
  • Nel sistema bipartitico, quale è quello degli Stati Uniti, i candidati indipendenti non hanno alcun peso: l'elettore conferisce il suo voto ad uno dei due partiti (che dispongono di forti apparati e di ingenti sostegni finanziari). Non subito e non sempre con una sola campagna elettorale, ma questo sistema dà sfogo allo scontento della società, anche se si tratta di uno sfogo di segno negativo: spazzar via il partito al potere, ma ignorando cosa farà chi verrà a prenderne il posto. (p. 73)
  • Ogni partito s'impegna non per tutto il popolo, ma per se stesso e per i propri. L'interesse nazionale viene subordinato agli obiettivi del partito: sopra a tutto sta ciò che serve al partito in vista delle successive elezioni; e quand'anche dall'attività del partito avversario possa scaturire qualcosa di utile per lo stato e per il popolo, non va appoggiato. Gli interessi dei partiti, e la loro stessa sopravvivenza, non coincidono affatto con gli interessi degli elettori. (pp. 80-81)
  • Su strade partitiche non si troverà nessuna soluzione radicale dei destini dello stato, né è questione che possa essere affidata ai partiti. Nella tempesta dello scontro tra i partiti, la nostra provincia cesserà di svolgere un qualsiasi ruolo, e la campagna resterà del tutto frastornata. Bisogna impedire che i «politici di professione» surroghino la voce del paese. Per le conoscenze professionali esiste un apparato di funzionari dello stato. (pp. 81-82)
  • [...] data l'assoluta impreparazione del nostro popolo alla complessa vita democratica, essa va costruita dal basso – gradualmente, pazientemente e saldamente – e non semplicemente proclamata dall'alto, reboantemente e affrettatamente, in tutta la sua ampiezza e globalità.
    Tutti i menzionati difetti non riguardano la democrazia delle piccole dimensioni spaziali: città non grandi, villaggi, stanicy, volosti, e nell'ambito dell'uezd. Solo in questa dimensione la gente può determinare, senza sbagliarsi, le persone dotate di qualità pratiche e morali da eleggere. Qui non reggono le reputazioni fasulle, né aiutano l'ingannevole eloquenza o le raccomandazioni di partito. (p. 83)
  • La democrazia dei piccoli spazi è forte perché è diretta. La democrazia è veramente efficace là dove prevede il ricorso alle assemblee popolari, e non alle assemblee popolari si tenevano già ad Atene, e ancora prima di Atene. Funzionano oggi egregiamente negli Stati Uniti, regolamentando la vita locale. (p. 84)

Incipit di alcune opere

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Il primo cerchio

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Ma voi chi siete?
Le lancette traforate segnavano le cinque e cinque.
Nella cieca morente giornata decembrina il bronzo dell'orologio sull'étagère sembrava addirittura nero.
I doppi vetri dell'alta finestra, che cominciava dal pavimento, aprivano giù in basso lo sguardo sul frettoloso affaccendarsi della strada e dei portieri, che, sotto i piedi dei passanti, spazzavano la neve appena caduta ma già pesante e d'un colore bruno sporco.

Padiglione cancro

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Il padiglione cancro era il numero tredici. Pàvel Nikolàeviĉ Rusànov non era mai stato superstizioso, né avrebbe potuto esserlo, ma ebbe un tuffo al cuore quando vide scritto «padiglione N. 13» sul suo foglio di ricovero. Possibile non avessero avuto abbastanza buon senso da dare quel numero al padiglione delle protesi o a quello di patologia intestinale?
Ma era quella clinica, ormai, l'unico posto in tutta la repubblica, in cui si poteva fare qualcosa per lui.

Un giorno nella vita di Ivan Denisovič

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Alle cinque di mattina, come ogni mattina, fu suonata la sveglia: a colpi di martello contro un pezzo di rotaia, accanto alla baracca del comando.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni su Aleksandr Solženicyn

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  • È passato al misticismo. Molti dissidenti e molti di coloro che, per una ragione o per l'altra, han dovuto lasciare l'Unione Sovietica potevano essere buoni e utili cittadini russi. (Gian Carlo Pajetta)
  • Ho letto i libri di Solženitzyn, ma in inglese, inventa nuove parole, e ha devastato la vecchia lingua russa, che è così bella. (Aleksandra L'vovna Tolstaja)
  • È un grande scrittore, non v'è dubbio. Ma mi sembra che non sappia bene come stiano le cose adesso. Ha vissuto troppo tempo fuori dal paese. Veniamo dalla stessa regione, io da una famiglia di contadini poveri, lui da benestanti che parecchie decine di anni fa avevano già la Rolls Royce. Capisco perché va dicendo certe cose. (Michail Gorbačëv)
  • L'opera e la figura di Solženicyn, genio collerico della Russia, sono state fra le rivelazioni del nostro tempo. Con la sua imponente rappresentazione dei gulag ha scosso nell'intimo la cultura ideologica europea, a sinistra e anche all'estrema sinistra, più di Trockij e Chruščëv insieme, più di Orwell, Koestler, Gide, Serge, Merleau-Ponty e dei loro attenti lettori. (Alberto Ronchey)
  • Quello è pronto a regalare tutto, anche il Kazakhstan. Come risultato la Russia si ridurrebbe a Tula, e lui ci starebbe bene, come Tolstoj. (Vladimir Žirinovskij)
  • Scacciato dalla Russia per decreto di un'autorità che non poteva tollerarlo più né imprigionarlo ancora, prima Solženicyn fronteggiò con asprezza e superbia resistenti a ogni omologazione le insidie pubblicitarie dei mass-media occidentali, inalberando la sua ideologia amoderna, amarxista, aliberale, russa indigena, arcaica non meno di quella sua barba da profeta in battaglia. Poi scomparve nelle campagne del Vermont e tacque: «Qui è troppo facile parlare, non parlo». (Alberto Ronchey)
  • Il suo nome vivrà per sempre come esempio del fatto che una sola persona può fare la differenza, se continua a dire la verità. Nel caso di Solženicyn, una sola persona è riuscita a superare la potenza del sistema criminale più disumano.
  • Solženicyn simboleggiava il pentimento russo per tutti gli oltraggi mostruosi e disumani perpetrati contro l'intero paese nell'arco di 70 anni dall'organizzazione criminale Kgb. Solženicyn era "la voce che grida nel deserto".
  • Tutti i grandi scrittori della storia russa, come Tolstoj o Dostoevskij, sono sempre stati visti in Russia come qualcosa di più di un semplice uomo di lettere: erano profeti, oracoli, martiri e leader. Solženicyn era un uomo di quel genere.

Note

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  1. Citato in Solgenitsyn scettico. "Non c'è democrazia", La Repubblica, 3 luglio 1996.
  2. Abbreviazione di zaključënnnyj (detenuto).
  3. Detenuti rimasti fedeli all'ideologia comunista.
  4. Iosif Stalin.
  5. Člen semi (membro della famiglia), individuo incriminato in quanto «membro della famiglia» di un nemico del popolo.
  6. Ministerstvo vnutrennych del (Ministero degli Interni).
  7. Detenuti condannati per attività controrivoluzionaria in base all'articolo 58 del Codice penale.

Fonti

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  1. Da Il sole 24 ore, 4 agosto 2008.
  2. a b c d Da Dalla Vandea ai gulag: Il filo rosso di Solzenicyn, Avvenire, 27 settembre 2009 (archiviato dall'url originale il 1º ottobre 2009)..
  3. Da un discorso pubblico tenuto a Washington il 30 giugno 1975; da Solzhenitsyn: The Voice of Freedom, p. 30.
  4. Da Come dobbiamo ricostruire la Russia. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  5. Citato in Edward E. Ericson, Jr., "Solzhenitsyn – Voice from the Gulag", Eternity, October 1985, pp. 23–24.
  6. Da Lezione per il Premio Nobel, in Opere, t. IX, YMCA Press, Vermont-Paris 1981, p. 9.
  7. Citato in Antonio Socci, Nostalgici del Dio minuscolo, il Giornale, 29 dicembre 2005.
  8. Citato in: Marcello Veneziani, Imperdonabili, Venezia, 2017, ISBN 978-88-317-2858-4, p. 311.
  9. Da Il primo cerchio.

Bibliografia

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  • Aleksandr Isaevič Solženicyn, Il primo cerchio (V pervom kruge), traduzione di Pietro Zveteremich, Arnoldo Mondadori Editore, 1970.
  • Aleksandr Isaevič Solženicyn, Come ricostruire la nostra Russia? Considerazioni possibili, traduzione di Dario Staffa, Rizzoli Editori, 1990, ISBN 88-17-84073-4
  • Aleksandr Isaevič Solženicyn, Arcipelago Gulag, 3 voll., traduzione di Maria Olsûfieva, Oscar classici moderni, Arnoldo Mondadori Editore, 1995.
  • Aleksandr Isaevič Solženicyn, Padiglione cancro (Ràkovyi kòrpus), traduzione di Chiara Spano, Newton Compton editori, 1994.

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