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Federico Odorici

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Federico Odorici (1870 circa)

Federico Odorici (1807 – 1884), bibliotecario e storico italiano.

Le bresciane illustri

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  • [Laura Cereta] [...] già fatta grandicella, noi la vediamo coll'animo e colla mente volta ad un corso impreveduto e quasi opposto all'indole giovanile ed al vergine cuore d'una fanciulla più bisognoso di affetti che di pensiero.
    E non era spettacolo frequente neppure al secolo XV l'esempio di una ragazza di quindici anni, che, lasciate da un canto le immagini dorate e il fascino potente della vita novella di cui sembrano circondarsi a quella età le nostre giovinette, medita sulla Bibbia, tormenta l'ingegno nelle matematiche e l'approfonda nei rudimenti della filosofia quale apprendevasi nell'età sua: che in mezzo a ciò, quasi ancor non bastasse all'irrequieto suo spirito, fatta precettrice de' suoi fratellini, sorvegliavane la prima educazione; che solerte, operosa, mettendosi a tutte cose della domestica economia, trovava il tempo al ricamo, vivissima in allora delle sue passioni, e per la quale vegliando le intere notti, come narra di sé, riproduceva coll'ago le ardenti fantasie del suo pensiero. (pp. 8-9)
  • [Laura Cereta] [...] non è maraviglia se noi la vediamo cimentarsi nelle lettere greche, siccome già possedeva le latine, e con isvariata coltura mettersi agli ardui insegnamenti della giurisprudenza, della storia civile e naturale; e, com'era dell'indole del secolo XV, non le paresse quieto l'animo se non avesse ad un tempo sperimentata l'astronomia. Mirabile vitalità che basta per insegnarci come i tempi combattono talvolta, ma non arrestano gl'ingegni, quando gl'ingegni han risoluto. (p. 9)
  • [...] sotto forme regolari e un po' severe [dell'immagine di Laura Cereta conservata dai monaci benedettini di Santa Eufemia] traspare una dolce e pensosa malinconia, che molto si addice alla tempera squisita del suo cuore. Pallido è il volto e di bellezza virile; aperta la fronte, quasi greco il profilo, e dalla bruna pupilla risplende un lampo del suo robusto ingegno, una luce serena, ma quasi domata dalie sventure. La nera chioma, divisa in alto da una sottile dirizzatura, scende piana e modesta a contornarle la fronte, ripiegandosi all'orecchio per risalire ad accrescere il volume delle trecce non contenute che da un picciolo nastro, mentre un candido ma semplice collare rovesciandosi all'abbandonata, spicca reciso dalla nera veste fermata al sommo da un cordoncino, sicché non appare discoperto che il ben tornito suo collo. Coll'una mano porge Laura il volume delle sue lettere e sul volume la scritta – EPISTOLÆ FAMILIARES – mentre posa il manco braccio sulle opere di Aristotele, quelle opere fatali che impressionarono di sé con una specie di antagonismo le fantasie lombarde del medio evo. Il quadro ha l'epigrafe: LAURÆ CERETÆ MATRONEÆ BRIX. ERUDITISSIMÆ QVOD RELIQVVM RECOLITUR. (pp. 15-16)
  • L'epistolario di Laura Cereta è la storia della sua mente e del suo cuore.
    Con tatto ciò, la scuola di quel tempo fu maggiore di lei; d'onde un fare talvolta sentenzioso più dovuto all'austera severità del filosofo, che all'anima soave di una fanciulla; uno studio delle formole: che, indipendenti dal pensiero, avvertissero la ricercata latinità, quand'anche sarebbesi preferito l'abbandono confidenziale d'uno stile appassionato; una erudizione qualche volta inopportuna; cose tutte che annunciano in quella donna un maschio ingegno che ha dovuto in quel tempo piegarsi all'indole prepotente dell'età sua. (pp. 18-19)

Storie bresciane

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Io non saprei veramente qual altra delle lombarde in sé medesima raduni, come la provincia nostra [Brescia], le impronte moltiplici e svariate della geologica natura di quasi tutta l'Italia settentrionale: ed è perciò che provincia delle subalpine io non conosco né più caratteristica, né più amena, né comparabilmente più produttiva di questa, nella quale se fra i ghiacci camuni e triumplini[1] ergesi immane il larice e rompe delle brune sue masse l'abbagliante candore delle nevi, tra le molli e tiepid'aure benacensi dispiega l'agave americana le sue corolle.

Citazioni

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  • [La città di Brescia] Fastosa di templi, di portici, di palagi, di larghe vie; superba dei monumenti di sue glorie antiche, animata dal murmore perenne delle sue fontane, allegra, simpatica, gentile, altra forse non è che al pari di lei rappresenti la vita energica e rigogliosa del popolo lombardo. (vol. I, libro I, cap. I, p. 21)
  • [...] sbarazzatisi dei Pelasgi e poi degl'Itali, [gli etruschi] allargarono ai popoli conterminanti la potenza loro. Erano dodici loro principali città confederate, e dodici i loro capi. È nota, indubbia, tradizionale la indipendenza, il florido commercio, l'arti splendide, i culti, le civiltà uguali forse alle elleniche della loro epoca prima, di poco minori al certo, assomigliantesi per grandi analogie.
    Combatterono gli Umbri, e vinsero: combatterono i popoli circumpadani, e vinsero, e ne presero le province, quasi Etruria seconda, fra l'Appennino e l'Alpi ed il mare, a cui per una loro colonia[2] fu dato il nome di Adriatico.
    Ed ivi ancora, siccome nell'Etruria antica, altre dodici principali città, e gli ordini medesimi, e le medesime colture. Brevemente: la potenza etrusca erede, né immeritevole, dei riti e delle civiltà degli antichi Tirreni, dilatavasi ad ampli confini, cui circondavano i Liguri alla marina col suolo che ancor Ligure si noma, i Taurisci alle sorgenti del Po, i Veneti all'Adriatico, gli Umbri a levante, gli Italo-Oschi e gli Elleni a mezzodì. (vol. I, libro I, cap. II, pp. 29-30)
  • Dell'imperatore, che scrivere non sapeva il proprio nome, fu secretario Cassiodoro, di cui restano le lettere importantissime. Serbò Teodorico l'ordinamento imperiale, i nomi dei magistrati civili; serbò gli uffici e gli ordini municipali; elesse giudici romani per la schiatta italiana, e giudici ostrogoti pe' suoi connazionali col nome germanico di graffioni; diede leggi poco meno che comuni ad ambo i popoli, e tale un accorto componimento d'istituzioni che Romani e Goti rimasero in pace fino agli ultimi anni del viver suo. (vol. II, libro VII, cap. I, p. 136)
  • Chiudeva Teodorico il secolo V recandosi a Roma, la quale per anco non avea veduta, seguitovi, come dicono gli storici, da tutta l'Italia superiore: fu accolto da papa Simmaco, e fra il plauso del popolo prometteva l'osservanza degli ordinamenti romani. Poi feste, giuochi, trionfi, larghezze alla plebe, ristauri al foro di Trajano, alle mura, agli acquedotti, al campidoglio. Indi, lasciate alcune leggi, tornò dopo sei mesi alla sua Ravenna. Uno è per altro di quei decreti che vorremmo passato dagli Ostrogoti all'età nostra, ed eccolo – Alle occulte delazioni non si creda. Chi accusò venga in giudizio, e se non provi sia morto. Che se Teodorico invecchiando se ne scostò, umana cosa è l'errare, ma il legittimar cogli ordinamenti le delazioni è infamia, e pur troppo succeduta. (vol. II, libro VII, cap. I, p. 138)

Note

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  1. I triumplini o trumplini erano un antico popolo alpino stanziato in Val Trompia.
  2. Si allude alla città di Adria.

Bibliografia

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Altri progetti

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