Francesco Colangelo
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Francesco Colangelo (1769 – 1836), vescovo italiano.
Storia dei filosofi e dei matematici napolitani
[modifica]Volume primo
[modifica]- Crotone, centro delle Pitagoriche scuole, sedendo sulla riva del mare, e stendendo la sua destra alle più lontane genti, accolse tra le sue mura la gloria delle scienze, e delle arti, e contemplò la felicità delle sue armate, e delle sue flotte, e la compiuta opulenza de' suoi numerosissimi cittadini. Ne' nomi di Aristeo, di Alcmeone, di Ecfanto, di Arignoto, di Filolao, e di altri risplende ancora a' nostri tempi quella gloria, che dallo studio della geometria, della meccanica, della fisica, dell'astronomia, della medicina, e finanche dell'anotomia, proccurarono que' sommi uomini a questa lor patria comune. (vol. I, Epoca prima, p. 7)
- Or di questa, scoperta, che assegnava alla terra un moto progressivo intorno al Sole, se ne ascrive la gloria al nostro Filolao, non già perché egli ne fosse stato il primo inventore; ma perché, squarciato quel velo di enigmi col quale Pitagora l'avea occultata, egli ne fu a tutti il benemerito palesatore. (vol. I, Epoca prima, cap. III, p. 99)
- [Filolao] Egli stranamente abusando della nozione dell'onnipotenza, e della sapienza di Dio, cadde insieme coi suoi condiscepoli nell'errore di credere eterno ed incorruttibile il mondo, quasi che fosse un'ingiuria alla sapienza, alla potenza, ed alla bontà di un Dio infinito, se perisse l'opera sua. (vol. I, Epoca prima, cap. III, p. 106)
- [...] sebbene Pitagora si avesse presa molta pena per essere istruito dai Sacerdoti dell'Egitto, e dell'Asia; con tutto ciò o questi gli celarono, o pur non aveano notizia del quarto giorno, che compie la lunghezza dell'anno.
Fu il nostro Filosofo contaminato dal difetto di oscurità nelle sue opere. La ragione di questo nacque dalla sua soverchia condiscendenza alle astrazioni matematiche, ed alle armoniche corrispondenze. (vol. I, Epoca prima, cap. III, pp. 109-110)
- [Ocello Lucano] Delle sue opere ci è rimasta solamente quella: De Natura Universi. In essa l'autore stabilisce l'eternità del mondo, come già abbiam veduto essersi creduto dagli altri Pitagorici ed a somiglianza de' medesimi non esclude egli la dipendenza di questa eterna durata dall'azione di una Mente intelligente, ed ordinatrice della materia secondo le leggi di una sublime armonia. (vol. I, Epoca prima, cap. III, p. 136)
- [Ocello Lucano] [...] egli credeva Iddio essere l'unico autore dell'armonia, cioè delle leggi, mercé le quali fu ordinata la confusa materia, e disposta ne' corpi; che Iddio sia per eccellenza il principio di quel moto, che fa vivere la natura, e conseguentemente, che in lui ci debba essere una somma intelligenza, la quale ed abbia regolato quel moto, ed abbia tanto maravigliosamente disposte tutte le mondane leggi. (vol. I, Epoca prima, cap. III, p. 137)
- [Ocello Lucano] Venendo poi il nostro Filosofo a discorrere intorno allo proprietà de' varj enti, che compongono la geometrica catena di quest'universo, si smarrisce dietro quelle metafisiche sottigliezze, che furono sempre proprie di coloro, che pretesero di leggere il sistema della Natura ne' lor proprj cervelli, e non già ne' caratteri, che la luce de' fenomeni[1] ne palesava. Quindi que' tenebrosi discorsi di Ocello intorno alle forme, che sussistono anche dopo distrutti i corpi: e come da esse immateriali nascano poi il fuoco, l'acqua, e gli altri elementi. Quindi quel pungentissimo spinajo, in cui avvolge le proprietà de' corpi colle tante divisioni ipotetiche, e per niente appoggiate all'esperienza; e quindi quella tenebrosa notte di mal formate, ed indigeste nozioni intorno alla natura, nella quale rimane avvolto e spento anche qualche passaggiero lume, che pur vi scintilla, intorno all'utilità del metodo d'induzione. (vol. I, Epoca prima, cap. III, pp. 137-138)
Volume secondo
[modifica]- [Marco Tullio Cicerone] Arpino fu la sua patria, Roma il teatro della sua gloria, e tutta la posterità giusta estimatrice del suo merito letterario. Istituito sotto ottimi maestri, ed arricchitosi di tante letterarie cognizioni ne' suoi ben intrapresi viaggi, divenne il precipuo ornamento, e la vera difesa di Roma. I primi saggi della sua arte del dire annunciarono il degno rivale della stessa Grecia eloquente. Egli recò sui Rostri Latini una eloquenza tutta sua propria: ricco, forte, tenero, stringente, e sempre sublime, sedò le popolari tempeste, disperse o conquise i colpevoli, salvò tanti illustri cittadini e spinse fuori di Roma il notturno artefice di catene al Campidoglio. (vol. II, Epoca seconda, cap. I, p. 25)
- [Marco Tullio Cicerone] [...] per verità si può affermare senza tema di errare, che la stessa Greca Filosofia sia debitrice a Cicerone, avendola egli disposta in quella maravigliosa unità di sistema, che apparisce in ogni pagina delle sue opere filosofiche. Di fatto gli argomenti circa l'esistenza di Dio, che egli ricava singolarmente da Platone, sono presentati nell'opera della Natura degli Iddii in una maniera facile, elegante, e veramente sistematica; ove che presso Platone bisogna, per così dire, sorprenderli tra gli antirivieni del suo sublime, ma non sempre chiaro dialogizzare. Similmente le ragioni da lui addotte per dimostrare la immortalità dell'anima ragionevole, sono per la maggior parte prese dal Fedone del Greco filosofo; ma nel Fedone sono disperse in un certo laberinto, in cui le circostanze forse consigliarono a Platone di nascondersi: presso Tullio però nella sua prima tra le Quistioni Tuscolane tutto è unito per vincolo, e per deduzioni di sistema; ogni idea fluisce naturalmente dalla precedente che la dispone; e già dalle prime pagine è manifestamente annunziato quel termine, a cui egli intende di pervenire. Il tutto poi è arricchito dalle più belle notizie intorno ad altri filosofi posteriori a Platone; i sentimenti de' quali sono da lui colla consueta perspicuità, eleganza, ed urbanità di opportune grazie riferiti. (vol. II, Epoca seconda, cap. I, pp. 27-28)
- Il principal vanto [...] per queste nostre provincie sarà sempre presso gli uomini dotti non prevenuti da' nazionali pregiudizj, l'aver prodotto nell'epoca dei Goti un Cassiodoro. Questi veramente, fu il lume dell'Italia, il mecenate del secolo, e l'eroe della Monarchia de' Goti. Quindi se il Regno di Napoli ebbe il vanto di aver data la culla al più sublime de' Romani Filosofi, qual fu senza fallo Cicerone, par che si perpetuasse nel possesso di rendersi benemerito di tutta l'italiana Letteratura col suo Cassiodoro, opportunamente nato a ritardare l'impeto della sopravegnente barbarie. (vol. II, Epoca terza, cap. I, p. 122)
- [Tommaso d'Aquino] Reca una somma maraviglia il vedere come mai quest'uomo distratto in tanti viaggi, occupato sempre negli esercizj della cattedra, e costantemente applicato alle opere di pietà, ed agli obblighi della sua professione, non essendo vissuto che 50 anni; pur nondimeno avesse potuto leggere un quasi infinito numero di scrittori sacri e profani, ne avesse saputo tanto sublimemente analizzare lo spirito, e disporne le dottrine con quella sua cotanto ammirabile precisione e chiarezza. (vol. II, Epoca terza, cap. III, p. 135)
- Gli Arabi dopo essersi stancati nelle conquiste, e satollati delle stragi recate a que' paesi, che caddero vittime del loro furore, finalmente verso i tempi di Carlo Magno si erano rivolti alle scienze, e le aveano coltivate con impegno. Eredi de' libri de' Greci maestri, ne' paesi de' quali erano entrati trionfatori, incominciarono a gustarli per mezzo degli stessi Greci caduti in ischiavitù, o invitati da essi con generose promesse. I loro ingegni penetranti e sottili rimasero colpiti dalla sublimità de' metodi, con cui i Greci aveano esposte la filosofia e la matematica; ma non cosi fu per le stesse belle lettere, essendo riuscite languide e fredde la poesia e la eloquenza de' Greci a quelle vulcaniche fantasie: che anzi tra gli stessi Greci filosofi più piacquero ad essi le arguzie, le divisioni, e le sottigliezze di Aristotile che non la maniera ampia, facile e nobile di quegli altri, che pur numerò ne' vetusti tempi quella gran nazione. Scelto dunque da costoro Aristotile, ed accreditato colla loro autorità, per esser eglino in que' tempi i custodi ed i coltivatori di simili scienze, si propagò la filosofia dello Stagirita, ed occupò què' paesi, che si erano prevaluti del soccorso degli Arabi per ravvivare le scienze. (vol. II, Epoca terza, cap. III, pp. 135-136)
- A' tempi ancora del Re Roberto d'Angiò fiori il celebre Barlaamo nato in Seminara. Rendutosi Monaco Basiliano viaggiò nella Grecia per desiderio di apprender quella lingua, e poi si stabilì in Costantinopoli. Ivi diede tal saggio dei suo sapere nell'astronomia, nelle matematiche, e nella filosofia, che la fama del suo sapere giunse fino al trono dell'Imperadore Andronico il giovane, e del suo favorito Giovanni Cantacuzeno. Barlaamo però irrequieto per natura, e di un ingegno alquanto battagliero intimò disfide, nelle quali fu e vincitore, e vinto. Uscito da Costantinopoli non tardò a ritornarvi. Altre dispute lo impegnarono con la medesima sorte in quella Metropoli del greco Impero. Fu spedito in Avignone Ambasciadore dello stesso Imperadore Andronico a Papa Benedetto XIII. Tra queste dimore in mezzo de' Greci smarrì, com'era naturale, la Cattolica credenza, e divenne seguace dello Scisma de' suoi emuli nella letteratura. Ma finalmente ritornato in se stesso scrisse alcuni libri in difesa della verità Cattolica, ne' quali ritrattò gli errori sparsi da lui con altre opere scismatiche. (vol. II, Epoca terza, cap. III, p. 146)
Volume terzo
[modifica]- Ladislao, marito infedele, Principe libidinosissimo, e guerriero ambizioso ed infelice; dopo d'aver impoverito il regio Patrimonio per le vendite de' Feudi, onde sostener le sue armate; dopo d'essere stato in pericolo di perdere il Regno, se Luigi II Conte di Provenza avesse saputo prevalersi della vittoria ottenuta contro di lui a Cepperano, morì finalmente nell'anno 1414 vittima delle sue sregolatezze, e con fama di mal Cristiano, come si spiega il Giannone[2]. (vol. III, Epoca quarta, p. 20)
- La gloria [...] del Pontano, che si era finora conservata splendida ed illibata fu ignominiosamente da lui contaminata nella venuta di Carlo VIII Re di Francia nel Regno di Napoli. In questa occasione non praticò in se stesso gl'insegnamenti di quella riconoscenza, che avea agli altri insinuata. All'arrivo di un Ambasciadore di Carlo subito consegnò le chiavi del Regno, ed il pieno dominio della Casa del Re, che allora era nel Castello Capuano. A questo primo passo, che la violenza ed il timore possono scusare, ce ne aggiunse altro indelebilmente vergognoso. Dovendo Carlo partir da Napoli, volle ricevere nel Duomo il solenne giuramento da tutti gli ordini de' cittadini, fu trascelto il nostro letterato a far le parti di pubblico oratore. Allora fu che, o ancor fosse indispettito per non aver ottenuta dagli Aragonesi la Contea di Carinola, per la cui ripulsa già avea composto il celebre Dialogo: Asinus, [...] o che volesse entrare in grazia de' Francesi, i quali per altro lo avean privato di tutti gli uffizj: allora fu, io dicea, che tenne una orazione, in cui lacerò la memoria de' suoi Re benefattori, e con una viltà indegna di un tant'uomo adulò il nuovo Regnante. (vol. III, Epoca quarta, cap. I, p. 39)
- Io qui non debbo entrare nel merito poetico del Pontano, intorno a che si può leggere il de Sarno[3], ma solamente mi debbo restringere a considerarlo come filosofo, nel che apparisce ugualmente grande, ed in modo particolare per quelle opere che scrisse intorno alla Filosofia morale. Nudrito sempre della lettura degli antichi scrittori, serba ne' suoi Dialoghi tutte le regole dell'arte, che in lui tanto è più difficile, quanto che è sempre naturale. Alle felici notizie delle opere degli antichi unisce quella che è propria dell'uomo, e ne delinea il carattere, i difetti, le risoluzioni, i doveri o nella vita privata, o ne' vincoli del matrimonio, o nella destinata al regolamento degli affari, o in quella che versa tra la prospera e la nemica fortuna; e tutto ciò con tanta naturalezza e verità, che ti sembra non già un filosofo che discorra dalla cattedra, ma che ogni uomo in ciascheduno di questi stati rappresenti se stesso. (vol. III, Epoca quarta, cap. I, pp. 41-42)
- [Antonio De Ferraris, detto il Galateo] Dopo di essersi arricchito colla lettura de' greci e de' latini scrittori, si risolvette a viaggiar per l'Italia, sì per desiderio d'impararvi le scienze più sublimi, come per brama di conoscervi i letterati più celebri. In questi suoi letterarj viaggi studiò le matematiche, la filosofia e la medicina in Ferrara con tanto profitto, che di quest'ultima facoltà ne ricevette solennemente la laurea con applauso universale. (vol. III, Epoca quarta, cap. I, p. 49)
- [Antonio De Ferraris, detto il Galateo] Non contento di farsi ammirare nel possesso delle opere d'Ippocrate e di Galeno, fece in Napoli una degna comparsa nelle facoltà matematiche e filosofiche, e si distinse ancora moltissimo nelle cose di belle lettere; lo studio delle quali formò sempre la più cara occupazione della sua vita. L'aria però di questa città non troppo confacevole alla sua salute, gl'interessi della sua famiglia e l'invidia de' cortegiani, che molte volte lo pose in pericolo di perdere la buona grazia del Re, l'obbligarono a ricondursi in seno della sua patria, ove sempre più si diede agli studj, ed alle letterarie produzioni. (vol. III, Epoca quarta, cap. I, p. 50)
- Fu il Galateo peritissimo delle greche e delle latine lettere. A questi studi accoppiò la medicina, la filosofia e le matematiche. Se nelle prime è egli anche al presente ammirabile, anche merita molta lode per le seconde; perciocché in tempi non al certo favorevoli per sì fatte scienze seppe talvolta innalzarsi sopra i volgari pregiudizj. Egli fu uno de' primi a ricercar disputando se fosse possibile la navigazione alle Indie orientali: intorno a che teneva frequenti discorsi col famoso Giorgio Interiano Genovese, che di que' giorni si tratteneva in Napoli. (vol. III, Epoca quarta, cap. I, pp. 51-52)
Note
[modifica]Bibliografia
[modifica]- Monsignor Francesco Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani e delle loro dottrine, Tipografia Trani, Napoli, 1833, vol. I, Epoca prima.
- Monsignor Francesco Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani e delle loro dottrine, Tipografia Trani, Napoli, 1834, vol. II, Epoca seconda e terza.
- Monsignor Francesco Colangelo, Storia dei filosofi e dei matematici napolitani e delle loro dottrine, Tipografia Trani, Napoli, 1834, vol. III, Epoca quarta.
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