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Giuseppe Allievo

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Giuseppe Allievo (1830 – 1913), filosofo e pedagogista italiano.

La vita affettiva

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  • L'errore fondamentale dello stoicismo sta nell'attribuire alle idee della mente una virtù ed una efficacia sul sentimento e sul cuore, assai maggiore del conveniente e pressoché assoluta ed esclusiva, come se bastasse pensare che tutti siamo mortali per poter assistere impassibili alla morte dei nostri cari, mentre il sentire ha una natura e forza sua propria, che non potrà mai essere distrutta dal pensare. (p. 5)
  • Il principio fondamentale, su cui posa il quietismo di Molinos, sta nella passività assoluta dell'anima rispetto a Dio, nell'attività esclusiva di Dio sull'anima. La vita interiore, e quindi la beatitudine, risiede nell'annientare le nostre facoltà, abbandonarci ciecamente in potere di Dio e lasciare che faccia di noi ogni suo volere, senza chiedergli nulla, senza operare alcunché per lui, senza darci il menomo pensiero del nostro avvenire. Il voler operare è un offender Dio, usurpandogli parte di quell'attività, che spetta a lui solo in modo assoluto ed infinito. (p. 13)
  • Come il nostro Leopardi è il poeta del dolore, così Arturo Schopenhauer è fra i metafisici contemporanei il filosofo del pessimismo. Nato a Danzica il 1780, egli sortì da natura un'indole portata alla malinconia ed alla tristezza, sicché il pessimismo era già nella sua anima primaché nel suo pensiero, e nella sua vita primaché nella sua dottrina metafisica. Chiuso nel suo vivere solitario e taciturno, eppur dolente che la sua superiorità intellettiva, di cui aveva una viva coscienza, non fosse pubblicamente riconosciuta, egli si era formato della famiglia umana un triste concetto, che rasentava la misantropia. L'uomo profondamente triste già covava in sé il filosofo pessimista, il quale proclama, che la vita è la negazione della felicità, l'esistenza umana è la personificazione del dolore. (p. 18)

Saggi filosofici

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  • [...] si domanda: l'unione della mente nostra colla realtà, del soggetto coll'oggetto è dessa una verace e fedele rappresentazione delle cose conosciute o non piuttosto una mera apparenza, un sogno, un'illusione destituita di realtà? Gli oggetti, che noi crediamo conoscere, son dessi in sé veracemente tali quali noi li pensiamo e li giudichiamo, o non sono punto conformi alle idee che noi ce ne siamo formati giusta il tenore delle leggi della nostra intelligenza? In altri termini la natura assoluta o noumenica delle cose è dessa conforme od affatto discorde dalla loro natura relativa e fenomenica?
    Problema gravissimo e pauroso quant'altro mai è questo, che qui si agita intorno alla veracità e realtà oggettiva delle umane cognizioni; questione terribile di vita e di morte per l'umano pensiero, perché da essa pendono le sorti della scienza tutta, e la stessa vita pratica muta d'intendimento, di valore, di pregio a seconda della soluzione che altri dà al proposto problema. Poiché se l' uomo dopo tante fatiche e tanti sforzi per rintracciare il vero, fosse da un'inflessibile logica condotto a sentenziare che la verità reale ed oggettiva è un vano desiderio, anzi un tormento della nostra mente; che tutto il nostro sapere non è che illusione e vuoto fantasma, che noi non conosciamo che le apparenze, non già le realità quali esistono in natura; oh! in allora bisognerebbe pur dire, che la nostra esistenza è una maledizione, e lo spirito (osserva il Jacobi) dovrebbe aver paura del pensiero siccome della più orribile di tutte le cose. (Questioni di logica e gnoseologia, pp. 31-32)
  • Cartesio e Kant cercarono entrambi nella coscienza la prima verità immediata, da cui pigli le mosse la scienza. Ma qual è poi il fatto primitivo della coscienza, e quindi la verità che si presenta la prima di ogni altra nell'ordine logico dello sviluppo del pensiero umano? Pel filosofo francese [Cartesio] il primo atto posto dall'anima nostra è un ragionamento entimematico[1], mercé cui lo spirito umano apprende sé stesso come esistenza pensante: io penso, dunque sono. Per il critico di Koënisberg [Kant] il pensiero primordiale da cui iniziasi la cognizione è un giudizio. Federico Krause sostiene in contrario, che il fatto primitivo della coscienza, il punctum saliens del sapere è la nozione del me umano pura, semplice, indeterminatissima: in sua sentenza, il soggetto nostro prima di determinare sé stesso col mezzo di un giudizio o di un ragionamento, prima di affermare di sé la tale o talaltra proprietà particolare, afferma ed intuisce in modo confuso tutto sé stesso senza né escludere né designare veruno de' suoi attributi, od atti, o modi di essere; ed in questa indeterminala intuizione, che noi abbiamo della nostra essenza una ed intiera al di sopra di ogni distinzione, risiede a suo avviso il punto da cui ha da muover la scienza. Così Krause si avvisava di aver innovata e compiuta la teoria di Cartesio e di Kant su questo momentoso[2] argomento. (Saggi di logica critica, pp. 148-149)
  • Quanto poi al panteismo, [...] Krause si tenne sicuro di averlo scansato col pronunciare che Dio è personalità ed intelligenza infinita, che egli non è né lo spirito, né la natura, né l'umanità in particolare, ma la loro unità superiore e quindi distinta, l'essenza eminente, in cui sono contenute le essenze finite non come parti integrali di un tutto, ma come i colori si contengono nella luce che permane distinta da essi. L'universo tutto è in Dio, ma non è Dio: l'essenza divina è l'identità di essenza di tutte le cose mondiali, ma non è né ciascuna di esse in particolare né il loro aggregato: epperò questa immanenza od inesistenza di tutte cose in Dio non è, agli occhi di Krause, panteismo, ma teismo, o meglio pan-en-teismo (tutto in Dio). (Saggi di logica critica, pp. 150-151)
  • Afferrare il movimento speculativo di Kant, di Fichte, di Schelling e di Hegel per dominarlo e ravviarlo incentrandolo sopra un nuovo principio, fu questo il lodevole ed ardito tentativo di Krause. Ma il tentativo fu duramente contrastato: le menti germaniche quasi invasate dallo spirito dominatore del secolo non vedevan più nulla al di là del puro idealismo; esse giravano con moto necessario dentro all'orbita fatale del trascendentalismo, e mal sentivano il richiamo di un nuovo centro speculativo, che tentava spostare quei quattro soli del mondo germanico. Federico Krause moriva un anno dopo di Hegel; ma il suo sistema rivive tuttora nella scuola da lui fondata. (Saggi di logica critica, pp. 150-151)
  • Mentre le scienze tutte vanno dalla mano de' loro cultori ricevendo uno sviluppamento sempre più ampio e più felice, mentre il cielo, la terra, gli animali, le piante e perfino i metalli vantano ciascuno una compiuta scienza peculiare, l'educazione, quest'organo cosi poderoso di civiltà, trova per ora a mala pena un cantuccio nell'ampiezza dell'enciclopedico edificio. (Saggi di antropologia e di pedagogica, p. 252)
  • Interrogate Secrétan che cosa egli pensi del suo Assoluto nel primo suo momento di indeterminazione, o di libertà; e vi risponderà che è tutto ed è niente, perché come libertà è ancor nulla; essa potrebbe non realizzarsi; che è reale, cioè determinato perché esiste, e nel medesimo tempo non è reale, perché egli è indeterminato, non essendo altro che libertà; che infine esso non è essenzialmente Dio, essendo essenzialmente libero, cioè indeterminato; tantoché Dio non è personale di sua natura, né diventa persona se non nell'atto medesimo della creazione. È questo un linguaggio ontologico che starebbe a meraviglia in bocca di Hegel allorché discorre del suo Assoluto indeterminato, in cui l'essere ed il nulla si identificano insieme, e che induce in altri il sospetto e la tentazione di credere che il Dio di Secrétan altro non sia che l'Idea di Hegel vestita alla cristiana. (Saggi di filosofia critica, p. 341)

Incipit di Del positivismo in sé e nell'ordine pedagogico

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Riguardata ne' suoi antichi primordii, la filosofia appariva siccome l'informe abbozzo dell'Enciclopedia universa. Essa era, quale la denota il senso etimologico del vocabolo, amore della sapienza, epperò scienza delle cose divine ed umane e delle loro cagioni. L'uomo, la natura, Dio, questi tre massimi termini, in cui si raccoglie la realtà tutta quanta, porgevano il campo immenso delle sue indagini, quale si rivela nelle opere de' più antichi filosofi greci, e segnatamente di Platone e di Aristotele.

Note

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  1. Cfr. voce su Wikipedia.
  2. Importante.

Bibliografia

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Altri progetti

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