Giuseppe Bravi
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Giuseppe Bravi (1784 – 1865), presbitero, matematico e politico italiano.
Filosofia delle matematiche
[modifica]- Ogni filosofia che l'uomo può rinvenire nelle matematiche tutta si fonda e per intiero sta riposta nei principii che i geometri ammettono ed assumono per fondamento della loro scienza. Ogni aperta evidenza, ed ogni perfetta certezza provengono dal principio evidente di nostra ragione, detto anche principio di identità, o di contradizione. Questo principio, come ognun sa, consiste nell'essere evidentemente impossibile, che una cosa qualunque sia e non sia nel medesimo tempo. Tale principio non è scienza, ma lume evidente dell'animo, e perciò fondamento e base di ogni scienza evidente e dimostrativa. E perché questo lume dell'animo risplende in tutti della più perfetta luce di evidenza che esister possa per l'uomo, così i geometri sono ricorsi e si sono sempre unicamente appoggiati a questo lume ogni qualvolta nelle loro dimostrazioni vollero riuscire appieno persuasivi e rigorosi. Essi però compresero, che l'evidenza del ricordato principio accompagnava anco tutte le loro posizioni mentali, quali essi credettero di preporre a tutti i loro ragionamenti; osservando, che tali loro posizioni benché ideali o ipotetiche, ritenute però inalterabilmente quali le ponevano, a queste si poteva e veniva apertamente applicato il surriferito principio, perché anco per tali posizioni ripugnava che esse fossero e non fossero quali si erano immaginale e poste.
Citazioni
[modifica]- Gli antichi, come abbiamo già dello, ammisero la divisibilità infinita delle grandezze, ammisero il prolungamento infinito delle linee. Quando noi diciamo che gli antichi ammisero il concetto filosofico dell'infinito, noi stiamo in sulle forme generali, perché crediamo che tanto Euclide, quanto Archimede, e probabilmente diversi altri avanti di loro, avessero ammesso questo concetto. Non così pensa il signor Arrago, fisico e geometra francese, il quale nel tomo 22° delle Memorie dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Francia, tessendo la biografia di L. N. Carnot scrive: «L'infinito si manifestò per la prima volta nelle matematiche il giorno nel quale Archimede determinò il rapporto approssimato del diametro alla circonferenza, per una assimilazione del circolo al poligono circoscritto e composto di una infinità di lati.» Ma ognuno può conoscere quanta poca filosofia si trovi in questo suo modo di parlare e quanto poco sia esso consono all'esattezza storica. (cap. III, pp. 29-30)
- Il concetto dell'infinitesima quantità, è concetto ardito, e di difficilissima mentale concezione, ma i concetti che racchiudono le dottrine dei limiti sono ancora di più difficile concepimento, perché là dove nel sistema leibniziano tutto è razionalmente supposto, in quello dei limiti se lo pone ad infinita distanza, e ciò che più importa, tacitamente ma espressamente, si suppone di poterlo raggiungere e di determinare colle nostre concezioni, inette ad arrivare a questa inacessibile distanza e profondità infinita. Onde il considerare il metodo dei limiti più luminoso e chiaro di quello delle parti o quantità infinitesime, è la stessa cosa che dire, che l'infinito sia più adattato alla nostra concezione di quello lo sia l'infinitesimo, e che una cosa interminabile, (quale è l'approssimazione all'infinito) sia più semplice e chiara della supposta infinitesima quantità.
Cose tutte, che si dicono, e che nemmeno per approssimazione si provano, né si possono provare. (cap. VI, p. 307)
- Le scienze matematiche, e specialmente i loro rami puri, l'algoritmica e la geometria formano manifestamente certe operazioni dello spirito umano, e presentano perciò un'ordine particolare di fenomeni intellettuali. Il voler spiegare questi fenomeni per sé stessi, è aggirarsi in un circolo vizioso, e rendersi simili a que' fisici, i quali per ispiegare cosa sia la materia, suppongono di già la materia. Bisogna necessariamente risalire ad un ordine più elevato di fenomeni o di funzioni intellettuali, per ispiegare que' fenomeni intellettuali che costituiscono le scienze matematiche; quest'ordine più elevato è visibilmente ciò che forma la filosofia.
Noi conosciamo bene, che per quanto vera e ragionevole sia questa asserzione, i geometri si rifiutano a ricevere le loro leggi prime da una scienza differente dalla loro propria; e questo tanto più, che al giorno d'oggi la filosofia non ha potuto far fruttificare il suo diritto di legislatrice, delle scienze, diritto che essa ha per sua essenza istessa. (cap. VII, pp. 341-342)
- Noi non ci prenderemo la vaghezza di ricordare qui i differenti errori commessi dai geometri ogni qual volta si sono messi a derivare i principii delle scienze matematiche; noi ci limiteremo ad un solo esempio. Quanti sforzi non si sono fatti per dimostrare la teorica delle parallele, o la eguaglianza degli angoli chiamati corrispondenti. Ebbene vi sono arrivati? Si leggano negli Elementi di geometria di Legendre gli argomenti i più recenti, e per conseguenza secondo tutta la probabilità i più perfetti, destinati a porgere questa dimostrazione, e non potremo rattener le risa dal combattimento veramente puerile, che l'autore di quest'opera presenta per così dire alla sua ombra, e sopra tutto della soddisfazione nella quale si trova d'esser uscito vittorioso dalla battaglia. (cap. VII, p. 342)
Bibliografia
[modifica]- Giuseppe Bravi, Filosofia delle matematiche, coi tipi di Alessandro Lombardi, Milano, 1854.
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