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Guido Zucchini (storico)

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Guido Zucchini (1882 – 1957), ingegnere e storico dell'arte italiano.

Bologna

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Il territorio bolognese conserva numerose tracce della vita di antichissimi popoli, forse di razza mediterranea, riparati da le belve ne le disperse stazion lacustri e nelle grotte. A Rastellino, a Bazzano, a Pragatto, nella grotta del Farneto sulla destra del torrente Zena la terra ha gelosamente custodito, per secoli, modesti vasi di creta, rozzi utensili di pietra, selci di difesa e d'offesa, ossa lavorate di bruti.

Citazioni

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  • Verso il 1199 Bologna vide elevarsi contemporaneamente le due torri più singolari e più famose: snella e vibrante, come una spada appuntata verso il cielo, quella costruita dagli Asinelli e lanciata nell'alto per più di novantasette metri sopra una base quadrata di circa otto metri di lato; larga poco meno, poggiata ugualmente su un basamento rivestito di bozze di selenite, ma inclinata verso oriente ed incompiuta per avvenuto cedimento del terreno, quella dei Garisendi, che nella nuova gara di emulazione signorile dovettero arrestare la costruzione del simbolo di loro forza. (pp. 28-30)
  • Allo spessirsi delle torri, al meraviglioso gruppo delle duecento moli scure di mattoni s'aggiungeva la grande torre campanaria di San Pietro, innalzata da Alberto, inzigniero del Comune e del Capitolo in puro stile romanico: ai suoi piedi il vescovo Enrico della Fratta elevò la sua sede episcopale ornandola di un altissimo portico a colonne tonde ed archi circolari. (pp. 38-39)
  • La libertà conquistata [dai bolognesi] contro i Visconti, il desiderio di porre a suggello del nuovo regime repubblicano una costruzione grandiosa, dedicata a un santo locale, forse l'emulazione, che li spingeva a superare il duomo di Milano e quello di Firenze, furono le cause dell'erezione di San Petronio. (p. 54)
  • I quarantadue anni, nei quali Giovanni II [Bentivoglio] col nome di gonfaloniere a vita, concessogli dalle convenzioni di Paolo II[1] (1465), fu vero signore, segnano un'epoca di splendore mai più raggiunta per la storia della città [di Bologna]. La signoria avveduta e scaltra di Giovanni condusse ad immediati benefici e ad un grado di prosperità e di indipendenza notevole. (p. 79)
  • [Giovanni II Bentivoglio] Non trascurò di amicarsi il popolo con prodigalità di feste e tornei e banchetti e corteggi splendidi, di migliorare notevolmente la città favorendo e procurando abbellimenti alle vie, alle case, ai templi, di chiamare alla sua piccola corte letterati e artisti e a mostrare come al pari degli altri signori anch'egli potesse aspirare al titolo di padre della patria. (p. 80)
  • L'orma lasciata dal Bentivoglio nel campo delle arti fu veramente grande: a lui si deve buona parte dell'assetto attuale delle vie e delle piazze principali [di Bologna] e al suo desiderio di offrire ai forestieri qui convenuti per illustri sposalizi e per splendidi tornei la vista di una città rinnovata e fiera della sua importanza. Le rocche del contado e le mura e le porte della città furono rinforzate secondo quanto voleva la nuova scienza bellica e i nuovi metodi ossidionali[2]: la sua reggia fu terminata, e arricchita di una grande torre e di giardini, di loggie e sale dipinte e ornate con soffitti d'auro (Gigli) e di vastissime scuderie: gli edifici del Comune e del Podestà per suo volere furono restaurati e rivestiti con nuove architetture: i privati a gara erigevano case e palazzi per modo che in curto tempo se renovò la magior parte della città e ogni omo se sforzava fabricare in piacere del signor messer Joane (Gaspare Nadi). Accorsero architetti e muratori dalla Lombardia e dal Veneto, scultori dalla Toscana, pittori e miniatori da Ferrara e da Modena; nuove e ricche decorazioni in cotto di vivissimo colore, eleganti candeliere ed ornati di macigno salirono ad ornare le facciate delle case, nuovi quadri ed affreschi arricchirono le chiese, e Bologna in breve fu «ardita, fantastica, formosa» (G. Carducci). (p. 81)
  • [Aristotile Fieravanti] [...] architetto e ingegnere del Comune di Bologna, abilissimo nel regolare le acque e ideare nuove opere idrauliche, nel raddrizzare torri, nello spostare casamenti, buon facitore di machine, come lo chiamò il Filarete[3], e bene intendente di misure. (pp. 82-83)
  • A lui [Aristotile Fieravanti] si deve con ogni probabilità il modello del palazzo del Podestà ordinato dal Reggimento nel 1472, giacché occorreva riparare la facciata verso la piazza maggiore che il Burselli diceva ruinosa per l'antichità. E bene si sarà apposto il Comune ad affidare lo studio dei nuovi lavori al Fieravanti, allora massimo della sua fama, cercato e invidiato dalle corti d'Italia e di fuori, peregrinante in quegli anni tra Roma, Napoli (1471) e Bologna. A nessuno meglio che a lui conveniva risolvere il problema di rifare il grande portico e la facciata romanica senza demolire interamente né l'uno né l'altro, ma solo rivestendoli con nuove forme. (p. 83)
  • [...] se le decorazioni delle candeliere e i capitelli e le modanature si devono a tagliapietre toscani, l'insieme architettonico del palazzo [del Podestà] mostra essere il parto di un artefice locale che nel disegnare il modello ebbe a guida le esigenze tecniche della costruzione, le nuove forme rinascenti e specialmente il partito delle lesene importato da Pagno di Lapo e infine alcuni usi prettamente locali, come quello di porre finestrelle circolari del fregio onde illuminare il grande e tradizionale soffitto piano ricco di legni intagliasti e dipinti. (p. 83)
  • Alla pace interna [nella città di Bologna] fa riscontro un nuovo sviluppo delle arti, specialmente dell'architettura: sì che la distruzione del palazzo Bentivoglio [nel 1507] sembra davvero segnare la morte delle eleganze e delle decorazioni minute e trite del quattrocento e l'inizio di una nuova rinascita inspirata dagli esempi classici. (p. 116)
  • La formazione del regno italiano favorì lo sviluppo di un'architettura eclettica e la rinnovata coscienza di nostra gente portò ben presto a grandiosi rinnovamenti edilizi e alle applicazioni delle recenti conquiste igieniche e sanitarie: ma forse un giorno il rimpianto sarà grande nel pensare a quali inesperte mani furono affidati i piani regolatori delle città italiane. L'improvvisa smania di demolizioni e l'improvviso amore ai larghi spazi e alle grandi vie matematicamente dritte e intersecantisi ad angolo retto impedirono di coordinare alle esigenze della viabilità e dell'igiene quelle della storia e dell'arte e di conservare assieme ai frutti delle nuove arti i testimoni delle passate e gli aspetti pittoreschi e le ragioni di tali aspetti. (p. 164)
  • Bologna non è conosciuta quanto essa merita: le sue bellezze severe, l'aspetto tetro delle vie e delle case, le fughe di portici interminati, i giochi di ombre e di luci delle sue vie tortuose e delle sue piazze luminose, gli atrii solenni e i fastosi scaloni, le minuzie decorative delle sue terrecotte, la pacatezza degli ornati seicenteschi non consentono al viaggiatore frettoloso immediati godimenti e non strappano gridi di ammirazione. La città, che ebbe prima fra tutte una civiltà antichissima, che tanta luce irradiò a mezzo dello Studio[4] alleato al fiorire del Comune altamente democratico e umanitario, che produsse pittori a sostenere con magnifico pennello l'arte barocca, va amata pazientemente, va scoperta tratto a tratto, angolo per angolo, atto per atto, intenzione per intenzione. (pp. 170-171)

Note

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  1. Papa Paolo II.
  2. Relativi all'assedio (lat. obsidio).
  3. Antonio di Pietro Averlino, o Averulino, detto il Filarete (1400 circa – 1469), scultore, architetto e teorico dell'architettura italiano.
  4. Lo Studium, nato intorno al 1088, nucleo iniziale dell'Università di Bologna.

Bibliografia

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  • Guido Zucchini, Bologna, Istituto italiano d'arti grafiche, Bergamo, 1905.

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