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Al crepuscolo (antologia)

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Voce principale: Stephen King.

Al crepuscolo, antologia di Stephen King del 2008.

Introduzione

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  • La mia opera era anche la mia gioia. Nella maggior parte dei casi quei racconti mi sballavano, mi procuravano un viaggio. Sgorgavano uno via l'altro, come i successi dalla stazione rock AM che, quando scrivevo, ascoltavo sempre nel locale lavanderia che era anche il mio studio.
    Li scrivevo di getto, raramente ci tornavo sopra dopo la seconda stesura e mai mi sarei sognato di domandarmi da dove saltassero fuori o in che modo la struttura di un buon romanzo differisca dalla struttura di un romanzo, o con quale tecnica si affrontino questioni come la psicologia di un personaggio, retroscena e cornice temporale. Mi lasciavo trasportare da puro istinto, mi facevo guidare da nient'altro che dalle mie intuizioni e da una totale, infantile fiducia in me stesso. Per me contava solo che mi venissero quelle idee. Solo di quello dovevo preoccuparmi. Di certo non riflettei mai sul fatto che scrivere racconti sia un'arte fragile, di quelle che, se non vengono esercitate con costanza, vengono presto dimenticate. (p. XI)
  • Molte cose nella vita sono come andare in bicicletta, ma scrivere racconti non è una di esse. Ci si può veramente dimenticare come si fa. (p. XII)
  • Sono buoni questi racconti? Sì, io credo di sì. È letteratura? Non lo so e non sono sicuro che m'importi; chiedetelo a un critico. Vi aiuteranno ad ammazzare la noia di un lungo viaggio? Spero di sì, perché quando succede è come essere toccati da una bacchetta magica.
    Di sicuro, a me è piaciuto a scriverli. E spero che a voi piacerà leggerli, anche questo so. Spero che vi portino via. E finché ricorderò come si fa, non smetterò. (p. XIV)
  • Voglio ringraziarvi per esserci. Scriverei ancora se mi abbandonaste? La risposta è sì. Perché mi sento felice quando le parole si assommano e l'immagine si forma e le persone inventate fanno cose che mi deliziano. Però con te è meglio, Fedele Lettore.
    Sempre meglio con te. (p. XIV)

Willa

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Non vedi al di là del naso, gli aveva detto, ma non era sempre vero. Non sentiva del tutto immeritato il suo disprezzo, ma non era neppure del tutto cieco. E nella stazione dove si trovava, mentre le scorie del tramonto si scioglievano in un arancio tetro sopra la Wind River Range, David si guardò attorno e vide che Willa non c'era più. Disse a se stesso di non esserne sicuro, ma era solo la sua testa, le sue viscere in subbuglio ne avevano la certezza.

Torno a prenderti

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Dopo la morte della bambina, Emily prese a correre. Prima solo fino in fondo al vialetto, dove sostava piegata in due artigliandosi le gambe appena sopra le ginocchia, poi fino in fondo all'isolato, poi giù, fino al QwikPik di Kozy al termine della discesa. Lì comprava del pane o della margarina, magari una merendina al cioccolato, un Ho Ho o un Ring Ding, se altro non le veniva in mente. All'inizio tornava indietro camminando, ma poi prese a farla di corsa anche in senso inverso. Poi venne il momento di chiudere con le merendine. Fu sorprendentemente difficile.

Il sogno di Harvey

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Janet si gira dal lavello e bum, tutt'a un tratto al tavolo della cucina c'è seduto suo marito in maglietta bianca e boxer, che la guarda.
Sempre più spesso il sabato mattina ha trovato quest'uomo – che nei giorni lavorativi è un pezzo grosso di Wall Street – seduto proprio lì e vestito proprio così: spalle curve, sguardo vacuo, guance ispide di bianco, tettine maschili ad arrotondargli la maglietta, capelli dritti sopra la nuca come Alfalfa delle Piccole Canaglie, ma invecchiato e rimbambito.

Area di sosta

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Avrebbe potuto dire che in un punto imprecisato tra Jacksonville e Sarasota era stato protagonista di una versione letteraria della leggendaria trasformazione da cabina telefonica di Clark Kent, ma non avrebbe saputo dire dove o come. Dal che si deduceva che non era un fatto molto drammatico. Ma allora contava qualcosa?

Cyclette

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A una settimana dal check-up che aveva rimandato per un anno (per la verità gli anni erano stati tre, come avrebbe puntualizzato sua moglie se fosse stata ancora viva), Richard Sifkitz fu invitato dal dottor Brady a visionare e discutere i risultati. Non avendo avvertito niente di apertamente sinistro nella voce del medico, il paziente accettò abbastanza volentieri.

Le cose che hanno lasciato indietro

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Le cose di cui vi voglio raccontare, quelle che hanno lasciato indietro, sono comparse a casa mia nell'agosto del 2002. Ne sono sicuro, perché le ho trovate quasi tutte poco dopo aver aiutato Paula Robeson con il suo condizionatore. Il ricordo necessita sempre di un riferimento e questo è il mio. Paula era un'illustratrice di libri per bambini, bella (diavolo, molto bella), con un marito nell'import-export. Un uomo tende a ricordare le occasioni che gli capitano di poter dare una mano a una bella signora in difficoltà (persino una che continua a ripeterti di essere «molto sposata»); sono occasioni fin troppo rare. Di questi tempi di solito i cavalieri erranti in pectore riescono solo a peggiorare la situazione.

Pomeriggio del diploma

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Janice non sa decidersi su come chiamare il posto dove vive Buddy. È troppo grande per definirlo villa con giardino, troppo piccolo per definirlo tenuta e il nome sul pilastrino all'imboccatura del viale d'accesso, HARBORLIGHTS, la fa vomitare. Sembra il nome di un ristorante di New London, di quelli dove la specialità è sempre pesce. Così si risolve quasi sempre a dire «da te», come in «andiamo da te a giocare a tennis» o «andiamo da te a fare il bagno».

28 maggio 2008

Caro Charlie,
mi fa un effetto strano chiamarti così e insieme mi sembra del tutto naturale, anche se l'ultima volta che ti ho visto avevo quasi la metà degli anni che ho ora. Ne avevo sedici e mi ero presa una sbandata tremenda per te. (Lo sapevi? Ma certo che lo sapevi.) Ora sono una donna felicemente sposata con un bambino piccolo e ti vedo continuamente alla CNN nella rubrica medica. Sei ancora attraente (be', quasi!) come lo eri ai vecchi tempi, quando si andava tutti e tre a pescare e al cinema, al Railroad di Freeport.

Il gatto del diavolo

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Guardandolo, Halston giudicò il vecchio sulla sedia a rotelle malato, terrorizzato e pronto a morire. Era un esperto in materia. La morte era il lavoro di Halston; nella sua carriera da operatore indipendente l'aveva consegnata a diciotto uomini e sei donne. Ne conosceva bene l'aspetto.

Il «New York Times» in offerta speciale

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Quando il telefono comincia a squillare, è appena uscita dalla doccia, ma anche se la casa è ancora piena di parenti — li sente al piano di sotto, sembra che non se ne andranno via più, sembra che non ne abbia mai avuti tanti — nessuno risponde. Nemmeno la segreteria telefonica, che James ha programmato perché scatti dopo il quinto squillo.

Muto

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I confessionali erano tre. La lucetta sopra la porta di quello centrale era accesa. Sui banchi non c'era nessuno. La chiesa era vuota. Dalle finestre entrava luce colorata che disegnava rettangoli nella navata centrale. Monette pensò se andarsene e rimase. Entrò allora nel confessionale in funzione. Quando ebbe chiuso la porta e si fu seduto, lo sportellino scorrevole alla sua destra si aprì. Davanti a lui, fissato alla parete con una puntina blu, c'era un cartoncino. Sul cartoncino, scritto a macchina, lesse: POICHÉ TUTTI HANNO PECCATO E HANNO MANCATO LA GLORIA DI DIO. Era passato molto tempo, ma a Monette non sembrava che fosse una frase della Chiesa di Roma. Nemmeno nella versione del catechismo di Baltimora.

Ayana

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Pensavo che non avrei mai raccontato questa storia. Mia moglie era contraria, diceva che nessuno mi avrebbe creduto e che mi avrebbe procurato solo imbarazzo. Quello che intendeva, naturalmente, è che avrebbe imbarazzato lei. «E Ralph e Trudy allora?» le chiesi. «Loro c'erano. Hanno assistito anche loro.»

Alle strette

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Tutte le mattine Curtis Johnson si faceva otto chilometri in bicicletta. Aveva interrotto per un po' dopo la morte di Betsy, ma aveva scoperto che senza la sua pedalata mattutina era più triste che mai. Così aveva ripreso. La sola differenza è che aveva smesso di mettersi il casco. Percorreva per quattro chilometri il Gulf Boulevard, poi girava e tornava indietro. Usava sempre le piste ciclabili. Non gli importava di vivere o morire, ma rispettava la legge.

Note al crepuscolo

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  • Uno degli aspetti più belli della fantasia è che offre allo scrittore la possibilità di esplorare cosa potrebbe (o non potrebbe) accadere dopo che il nostro giro di giostra finisce. [...] Sono stato cresciuto da metodista ortodosso e anche se ho rinnegato da molto tempo gli aspetti strutturati della religione e la maggior parte delle sue asserzioni dogmatiche, resto fedele all'idea fondamentale che, in un modo o nell'altro, sopravviviamo alla morte. Mi è difficile accettare che esseri così complicati e qualche volta meravigliosi vengano alla fine semplicemente scartati, gettati via come rifiuti sul ciglio di una strada. (Probabilmente è solo che non voglio crederlo.) Come potrebbe essere questa sopravvivenza, però... dovrò aspettare per scoprirlo. La mia ipotesi migliore è che potremmo sentirci confusi e non del tutto disposti ad accettare la nostra nuova condizione. La mia migliore speranza è che l'amore sopravviva anche alla morte (sono un romantico, fatemi pure causa, checcazzo). (p. 518)
  • Quando ci poniamo domande su Dio, una di quelle che stanno in cima alla lista è perché certe persone vivono e certe persone muoiono; perché certe persone guariscono e certe altre no. [...] Se una persona vive, diciamo: «È un miracolo». Se muore diciamo: «È la volontà di Dio». Non c'è una risposta razionale ai miracoli e non c'è modo di comprendere la volontà di Dio: il quale, se c'è davvero, potrebbe non avere per noi più interesse di quello che ho io per i microbi che in questo momento vivono sulla mia pelle. Ma i miracoli avvengono, a me sembra; ogni respiro è un miracolo nuovo. La realtà è sottile ma non sempre buia. (p. 526)
  • Alla fine ho scritto questo racconto per lo stesso motivo per cui ho scritto tanti altri racconti alquanto sgradevoli, Fedele Lettore: per passare a te quello che fa paura a me. Non posso chiudere senza confessare con quanto infantile divertimento l'ho scritto. Sono riuscito persino a disgustare me stesso.
    Be'.
    Un pochino. (p. 527)

Bibliografia

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  • Stephen King, Al crepuscolo, traduzione di Tullio Dobner, Sperling & Kupfer, 2008. ISBN 9788820046019.

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