La Repubblica (dialogo)

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Voce principale: Platone.

Frammento papiraceo de La Repubblica ritrovato a Ossirinico

La Repubblica (titolo originale Πολιτεία), dialogo di Platone del 360 a.C.

Incipit[modifica]

Ieri scesi al Pireo con Glaucone, figlio di Aristone, per pregare la dea e nello stesso tempo per vedere come avrebbero celebrato la festa, dato che è la prima volta che la fanno. Mi sembrò davvero bella anche la processione della gente del posto, ma non appariva meno decorosa quella condotta dai Traci. Fatte le nostre preghiere e contemplato lo spettacolo, stavamo tornando in città quando Polemarco, figlio di Cefalo, avendo visto da lontano che ci incamminavamo verso casa, mandò di corsa il suo giovane schiavo per invitarci ad aspettarlo. E il ragazzo, afferratomi da dietro per il mantello, mi disse: "Polemarco vi prega di aspettarlo". Io mi voltai e gli chiesi dove fosse.
"Eccolo qui dietro che arriva", rispose. "Aspettatelo".
"Certo che lo aspetteremo!", disse Glaucone.
Poco dopo arrivarono Polemarco, Adimanto fratello di Glaucone, Nicerato figlio di Nicia e altre persone, che probabilmente tornavano dalla festa. Allora Polemarco disse: "Mi sembra che voi, Socrate, vi siate mossi per fare ritorno in città".
"Hai proprio ragione!", replicai.
"Ma non vedi", disse, "quanti siamo?" "Come no?"
"Allora", fece lui, "o siete più forti di costoro o rimanete qui".
"Non c'è ancora un'alternativa", obiettai, "ovvero se riusciamo a persuadervi che conviene lasciarci andare?"
"Potreste forse persuadere chi non vi presta ascolto?", replicò.
"Proprio no", disse Glaucone.
"E allora state certi che non vi ascolteremo".

Citazioni[modifica]

  • Io ritengo che il giusto non sia altro che l'interesse del più forte. (Trasimaco: I, 338c; 2005, p. 1092)
  • [...] giusto e giustizia sono sì un bene, ma per gli altri, in quanto sono di vantaggio a chi è più forte e ha il potere, mentre, per chi è costretto ad ubbidire, costituiscono in senso proprio un danno personale. Al contrario, l'ingiustizia la fa da padrona su quei veri ingenui che sono i giusti, dato che i sottomessi fanno l'interesse di chi è più forte, e in questo loro servire sono strumenti della sua felicità, e non certo della propria. (Trasimaco: I, 343c; 2005, pp. 1096-1097)
  • [...] l'ingiustizia, quando sia in sé perfetta, è più forte, più libera, più autorevole della giustizia. (Trasimaco: I, 344c; 2005, p. 1097)
  • «Si alimenteranno preparando farina d'orzo e di frumento, in parte cuocendola e in parte impastandola, facendo focacce deliziose e pani esposti su canne e su foglie pulite. Loro stessi e i loro figli, sdraiati su letti fatti da uno strato di mirto e smilace, banchetteranno, brindando a vino, mentre, inghirlandati, leveranno inni agli dèi, in sintonia di cuore, non generando più figli di quanto le risorse permettano e sforzandosi di evitare la povertà e la guerra».
    A tal punto s'intromise Glaucone dicendo: «A quanto sembra i tuoi uomini li fai mangiare senza companatico».
    «Hai ragione! – gli risposi –. Mi sono scordato che dovranno avere anche il companatico, vale a dire sale, olive e formaggio; si cucineranno anche cipolle e ortaggi vari, insomma tutte quelle verdure che si trovano in campagna. E per concludere il pasto serviranno loro anche fichi, ceci e fave; e arrostiranno alla brace bacche di mirto e ghiande, innaffiate dalla giusta dose di vino. Così trascorreranno la loro esistenza in pace e in buona salute, e come è prevedibile, moriranno avanti negli anni, comunicando ai loro eredi un'altra vita analoga a questa». (II, 372; 2005, p. 1121)
  • «Tutto quello che si è descritto, a quanto sembra, per alcuni non è sufficiente e neppure li accontenta il sistema di vita proposto. Costoro pretenderebbero in sovrappiù [...] piatti prelibati, essenze, aromi, cortigiane, dolciumi, e ogni altra ricercatezza di tutti i tipi. [...] E così avremo un sempre maggior bisogno di gente a servizio. O non vorrai, per caso, che manchino pedagoghi, balie, nutrici, acconciatrici, barbieri, cuochi e macellai? Avremo anche una gran richiesta di porcari. Tutto ciò non trovava posto nella Città di prima, perché non ce n'era necessità; in questa, invece, non se ne potrebbe fare a meno. E poi, dato che c'è chi se ne ciba, occorreranno pure altri animali di allevamento, di tutte le razze. O non è vero?».
    «Come no!».
    «E di conseguenza, dato che viviamo in un mondo siffatto, rispetto a prima crescerà, e di molto, il bisogno di medici».
    «Certo, di molto».
    «E così pure il territorio; quello che una volta bastava a nutrire i cittadini di prima, ora si è fatto insufficiente e non basta più. O non è così?».
    «È così», ammise lui.
    «Ecco quindi che saremo costretti a strappare una parte del territorio dei vicini, se vorremo avere abbastanza terreno da mettere a pascolo e a coltura? Ma, non è forse vero che anche i confinanti avrebbero bisogno dei nostri territori, quando come noi si abbandonassero ad una smodata ricerca di ricchezze, andando oltre i limiti dello stretto necessario?».
    «Per forza di cose, caro Socrate», disse.
    «E a tal punto, faremo guerra contro di loro, o Glaucone? O come andrà a finire?».
    «Proprio così», convenne.
    «E non diciamo – seguitai – se la guerra abbia buone o cattive conseguenze, ma limitiamoci a constatare che essa trae origine proprio da quelle condizioni che, quando si verificano, sono altresì responsabili per le Città di mali pubblici e privati». (II, 373; 2005, pp. 1121-1122)
  • E un cane, un cavallo, qualsiasi essere vivente potrà mai essere coraggioso se non ha anche istinto aggressivo? (II, 375; 2005, p. 1123)
  • E la disarmonia delle forme la mancanza di ritmo e di equilibrio sono parenti stretti di un discorso di un carattere sconvenienti come le qualità contrarie sono sorelle e le copie dei caratteri contrari, ossia di una condotta di vita assennata e virtuosa. […] Dovremmo, dunque, limitarci a sorvegliare i poeti costringendoli a trasfondere nelle loro opere il modello delle buone consuetudini, oppure dovremmo curare anche altri artisti, per impedire che riproducano questo malcostume, dissoluto, volgare e vergognoso nei loro quadri, nei loro edifici e in ogni altro manufatto? E a chi non sa fare che questo non si impedirà di operare qui da noi, per evitare che i nostri Custodi, allevati fra immagini di vizio, come fra male erbe, a furia di raccoglierne e di più carne in abbondanza, un po’ per giorno da tutte le parti, non finiscano per accumulare nella loro anima, senza neppure accorgersene, un gran male? (III, 401)[1]
  • Amico mio, non si direbbe che tu lodi, se ritieni che questo vada bene, la tavola siracusana e l'infinita varietà di leccornie siciliane. ( III, 404d.) [2]
  • Ogni re deriva da una stirpe di schiavi ed ogni schiavo ha dei re tra i suoi antenati.
  • Lo stato risibile della geometria solida mi ha fatto lasciar perdere questa branca.
  • Non ho mai conosciuto un matematico che sapesse ragionare.
  • Ciascun governo istituisce leggi per il proprio utile; la democrazia fa leggi democratiche, la tirannide tiranniche e allo stesso modo gli altri governi. E una volta che hanno fatto le leggi, eccoli proclamare che il giusto per i governati si identifica con ciò che è invece il loro proprio utile, e chi se ne allontana lo puniscono come trasgressore sia della legge sia della giustizia. In ciò consiste, mio ottimo amico, quello che dico giusto, identico in tutte quante le poleis, l'utile del potere costituito. Ma, se non erro, questo potere detiene la forza. Così ne viene, per chi sappia ben ragionare, che in ogni caso il giusto è sempre identico all'utile del più forte.
  • "Ebbene, caro amico, qual è il carattere della tirannide? È pressoché evidente che si tratta di un trapasso dalla democrazia."
    "Sì, è evidente."
    "Quindi la tirannide nasce dalla democrazia allo stesso modo in cui questa nasce dall'oligarchia?"
    "In che modo?"
    "Il bene che i cittadini si proponevano", spiegai, "e per il quale avevano istituito l'oligarchia era la ricchezza eccessiva: non è vero?"
    "Sì."
    "Ma l'insaziabile brama di ricchezza e la noncuranza d'ogni altro valore a causa dell'affarismo l'hanno portata alla rovina."
    "È vero" disse.
    "E anche la disgregazione della democrazia non è provocata dall'insaziabile brama di ciò che si prefigge come bene?"
    "E che cosa, secondo te, si prefigge?"
    "La libertà", risposi.
    "In una città democratica sentirai dire che questo è il bene supremo e quindi chi è libero per natura dovrebbe abitare soltanto là."
    "In effetti si ripete spesso questa sentenza", osservò.
    "Come stavo per chiederti", proseguii, "non sono dunque la brama insaziabile e la noncuranza d'ogni altro valore a trasformare questa forma di governo e a prepararla ad avere bisogno della tirannide?"
    "In che senso?", domandò.
    "A mio parere, quando una città democratica, assetata di libertà, viene ad essere retta da cattivi coppieri, si ubriaca di libertà pura oltre il dovuto e perseguita i suoi governanti, a meno che non sano del tutto remissivi e non concedano molta libertà, accusandoli di essere scellerati e oligarchici."
    "Sì", disse, "fanno questo."
    "E ricopre d'insulti", continuai, "coloro che si mostrano obbedienti alle autorità, trattandoli come uomini di nessun valore, contenti di essere schiavi, mentre elogia e onora in privato e in pubblico i governanti che sono simili ai sudditi e i sudditi che sono simili ai governanti. In una tale città non è inevitabile che la libertà tocchi il suo culmine?"
    "Come no?"
    "Inoltre, mio caro", aggiunsi, "l'anarchia penetra anche nelle case private e alla fine sorge persino tra gli animali."
    "In che senso possiamo dire una cosa simile?", domandò.
    "Nel senso", risposi, "che ad esempio un padre si abitua a diventare simile al figlio e a temere i propri figli, il figlio diventa simile al padre e pur di essere libero non ha né rispetto né timore dei genitori; un meteco si eguaglia a un cittadino e un cittadino a un meteco, e lo stesso vale per uno straniero."
    "In effetti accade questo", disse.
    "E accadono altri piccoli inconvenienti dello stesso tipo: in una tale situazione un maestro ha paura degli allievi e li lusinga, gli allievi dal canto loro fanno poco conto sia dei maestri sia dei pedagoghi; insomma, i giovani si mettono alla pari dei più anziani e li contestano a parole e a fatti, mentre i vecchi, abbassandosi al livello dei giovani, si riempiono di facezie e smancerie, imitando i giovani per non sembrare spiacevoli e dispotici."
    "Precisamente", disse.
    "In una città come questa", seguitai, "caro amico, il limite estremo della libertà a cui può giungere il volgo viene toccato quando gli uomini e le donne comprati non sono meno liberi dei loro compratori. E per poco ci dimenticavamo di dire quanto sono grandi la parità giuridica e la libertà degli uomini nei confronti delle donne e delle donne nei confronti degli uomini!"
    "Dunque", fece lui, "con Eschilo diremo quel ch'ora ci venne al labbro?"
    "È appunto ciò che sto dicendo", risposi: "nessuno, a meno di non constatarlo di persona, potrebbe convincersi di quanto la condizione degli animali domestici sia più libera qui che altrove. Le cagne, secondo il proverbio, diventano esattamente come le loro padrone, i cavalli e gli asini, abituati a procedere con grande libertà e fierezza, urtano per la strada chiunque incontrino, se non si scansa, e parimenti ogni altra cosa si riempie di libertà."
    "Stai raccontando il mio sogno", disse, "perché anche a me, quando vado in campagna, spesso capita proprio questo."
    "Ma non capisci", domandai, "che la somma di tutti questi elementi messi insieme rammollisce l'anima dei cittadini a tal punto che, se si prospetta loro un minimo di sudditanza, si indignano e non lo sopportano? Tu sai che finiscono per non curarsi neppure delle leggi, scritte e non scritte, affinché tra loro non ci sia assolutamente alcun padrone."
    "E come se lo so!", rispose.
    "Dunque, amico mio", dissi, "questo mi sembra l'inizio bello e vigoroso da cui nasce la tirannide." (VIII)
  • Il buon giudice non deve essere giovane, ma anziano, uno che ha appreso tardi che cosa è l'ingiustizia, senza averla sentita come personale e insita nella sua anima; ma per averla studiata, come una qualità altrui, nelle anime altrui
  • [I matematici] si servono e discorrono di figure visibili, ma non pensando a queste, sì invece a quelle di cui queste sono copia [...] per cercare di vedere quelle cose in sé che non si possono vedere se non con il pensiero.
  • La conoscenza che la geometria cerca è quella dell'eterno
  • La necessità è madre dell'invenzione.
  • Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi.
  • L'astronomia costringe l'anima a guardare oltre e ci conduce da un mondo ad un altro.
  • Coloro che biasimano l'ingiustizia la biasimano per il timore non di farla, ma di subirla.
  • E ogni governo stabilisce le leggi in base al proprio utile: la democrazia istituisce leggi democratiche, la tirannide leggi tiranniche, e così gli altri governi; e una volta che le hanno stabilite proclamano ai sudditi che il proprio utile è giusto e puniscono chi lo trasgredisce come persona che viola le leggi e commette ingiustizia.
  • Chi commette un'ingiustizia è sempre più infelice di quello che la subisce. (frase originale di Democrito)
  • L'inizio è la parte più importante di un lavoro.
  • La direzione nella quale l'educazione di un uomo lo avvia, determinerà la sua vita futura.
  • L'esercizio fisico, anche quando è imposto, non fa male al corpo, anzi lo migliora; invece, le nozioni acquisite per forza non giovano per niente alla mente.
  • Queste, allora, saranno alcune delle caratteristiche della democrazia... essa sarà, con tutta probabilità, una comunità piacevole, senza legge, variegata, che tratta tutti allo stesso modo in un rapporto di uguaglianza, che essi siano veramente uguali oppure no.
  • La democrazia si muta in dispotismo.
  • Ne dobbiamo dunque concludere – affermai – che poiché dio è buono, egli non è la causa di tutto, come volgarmente si dice: egli è causa di una minima parte delle cose umane, non della maggioranza ché i nostri beni sono quasi un nulla di fronte ai nostri mali: egli è soltanto la causa dei beni; ma dei mali altrove che in dio va ricercato il principio.
  • Ecco, dunque come la scienza dell'unità è fra quelle scienze che guidano e volgono l'anima alla contemplazione dell'Essere [...] Ma se così è per l'unità – seguitai – lo stesso dobbiamo ripetere per ogni altro numero? [...] Ma in questo senso il calcolo e l'aritmetica vertono ad ogni modo sul numero. Il calcolo e l'aritmetica sono dunque scienze che volgono al vero. [...] Ma allora, a quanto sembra, sono fra quelle discipline che ricercavamo, ché necessario ne è lo studio all'uomo di guerra per le sue manovre tattiche, e al filosofo per cogliere quello che è l'Essere in sé uscendo fuori dal mondo del divenire, se no lo studio della matematica non gli servirebbe a nulla.
  • Si immaginino degli uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea, incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli oggetti proiettate sulla parete di fondo siano la realtà; e che gli echi delle voci dei trasportatori siano le voci delle ombre. Per un prigioniero, lo scioglimento e la guarigione dai vincoli e dalla mancanza di discernimento; sarebbe una esperienza dolorosa e ottenebrante. Il suo sguardo, abituato alle ombre, rimarrebbe abbagliato: se gli si chiedesse – con la tipica domanda socratica – di dire che cosa sono gli oggetti trasportati, non saprebbe rispondere, e continuerebbe a ritenere più chiare e più vere le loro ombre proiettate sulla parete. Per lui sarebbe difficile capire che sta guardando cose che godono di una realtà o verità maggiore rispetto alle loro proiezioni. Il dolore aumenterebbe se fosse costretto a guardare direttamente la luce del fuoco. E se fosse trascinato fuori dalla grotta, per l'aspra e ripida salita, e dovesse affrontare la luce del sole, la sua sofferenza e riluttanza si accrescerebbe ancora. Il suo processo di acclimatazione al mondo esterno dovrebbe essere graduale: prima dovrebbe imparare a discernere le ombre, le immagini delle cose riflesse nell'acqua, e poi direttamente gli oggetti. Il cielo e i corpi celesti dovrebbe cominciare a guardarli di notte, e solo in seguito anche di giorno. Una volta ambientatosi, potrebbe cominciare a ragionare sul mondo esterno, sulla sua struttura, e sul luogo che ha in esso il sole. Solo allora il prigioniero liberato, ricordandosi dei suoi compagni di prigionia e della loro conoscenza, potrebbe ritenersi felice per il cambiamento. Ma se ritornassero nella caverna, i suoi occhi, abituati alla luce, sarebbero quasi ciechi. I compagni lo deriderebbero, direbbero che si è rovinato la vista, e penserebbero che non vale la pena di uscire dalla caverna. E se qualcuno cercasse di scioglierli e di farli salire in superficie, arriverebbero ad ammazzarlo. Uccidere chi viene dall'esterno è facile, perché, essendo quest'uomo abituato alla gran luce dell'esterno, sarebbe costretto a contendere nei tribunali o altrove sulle ombre del giusto, con persone che la giustizia non l'hanno veduta mai. (VII)
  • Altre tre donne sedevano in cerchio a uguale distanza, ciascuna sul proprio trono: erano le Moire figlie di Ananke, Lachesi, Cloto e Atropo, vestite di bianco e col capo cinto di bende; sull'armonia delle Sirene Lachesi cantava il passato, Cloto il presente, Atropo il futuro. (X, 135, 34)
  • Quando cambiano i modi della musica, cambiano sempre con essi le leggi fondamentali dello Stato. (libro IV; citato in Edgar Wind, Arte e Anarchia)
  • Se un tale uomo [un poeta[3] pericoloso per lo Stato ideale] viene da noi per mostrarci la sua arte, ci metteremo in ginocchio davanti a lui, come davanti a un essere raro e santo e dilettevole.. L'ungeremo con la mirra e gli porremo un serto di lana sulla testa, e lo manderemo via, in un'altra città. (citato in Edgar Wind, Arte e Anarchia)
  • La città non potrebbe mai essere felice in altro modo, se non allorché ne tracceranno il disegno (diagrapseian) quei pittori che fanno uso del modello divino. (libro VI; citato in Qabbalah visiva, di Giulio Busi)
  • Non diremo forse ciò che ora ci è venuto alla bocca? (8,563c)
Οὐκοῦν ἐροῦμεν ὅτι νῦν ἦλθ' ἐπὶ στόμα;

Explicit[modifica]

Ma a Er fu impedito di bere l'acqua; non sapeva come e per quale via fosse tornato nel corpo, ma all'improvviso riaprì gli occhi e si vide disteso all'alba sulla pira. Così, Glaucone, il suo racconto si è conservato e non è andato perduto, e potrà salvare anche noi, se gli crederemo e attraverseremo felicemente il fiume Lete senza contaminare la nostra anima. Ma se daremo retta a me, considerando l'anima immortale e capace di sopportare ogni male e ogni bene, terremo sempre la via che porta in alto e praticheremo in ogni modo la giustizia unita alla saggezza; in questo modo saremo cari a noi stessi e agli dèi finché resteremo quaggiù e anche dopo che avremo riportato le ricompense della giustizia, come i vincitori che vanno in giro a raccogliere premi, e godremo della felicità su questa terra e nel cammino di mille anni che abbiamo descritto.

Citazioni su La Repubblica[modifica]

  • Che la filosofia debba provare a educare gli adulti e, in particolare, a insegnare loro a essere adulti era già il messaggio della Repubblica di Platone. Nel dialogo, Trasimaco sostiene che le uniche cose per cui vale la pena di vivere sono il denaro, il potere e la soddisfazione della lussuria; l'articolata replica di Platone è che vi sono molte altre cose per cui vale la pena vivere, oltre ai beni materiali. Credeva che il mondo potesse essere migliorato, così come le persone, con l'uso della ragione, comprese la ragione teoretica e la filosofia pura. (Hilary Putnam)
  • La democrazia alla quale si riferisce Platone non è la nostra. Democrazia per lui è la demagogia, ossia la liceità che porta al caos. Il difetto della demagogia è ai suoi occhi l'eccesso assoluto di libertà che scivola nella licenza. è in questa situazione che l'uomo scatena i suoi istinti peggiori. [...] Ogni governo - egli ci dice - è esposto al deterioramento. Le tre forme di governo che Platone ha immaginato - quelle "del migliore", "dei pochi" e "dei molti" - possono corrompersi. Ma il peggiore di tutti è il governo "del migliore": il re che si trasforma in tiranno. Platone non è mai stato tenero con i tiranni. (Giovanni Reale)
  • Sobbalzo all'idea che ci sia ancora qualcuno che prenda sul serio l'analisi che Popper ha dedicato a Platone - a "quell'acerrimo nemico della libertà", come sottoscrive acriticamente Marcello Pera - senza interrogarsi sui testi, controllarne le citazioni, metterle a confronto. Operazioni elementari. Oggi forse sconosciute ai più, ma alle quali uno studioso che ambisca a questo ruolo, o che ne abbia memoria, non può sfuggire.(Giovanni Reale, 23 agosto 2002)

Note[modifica]

  1. Citato da Umberto Eco in Storia della bruttezza, p. 33 Bompiani. ISBN 978-88-452-7389-6
  2. Trad. ita di Francesco Rizzo, Dialoghi politici e Lettere.
  3. Intendendo qui il termine poeta propriamente nel suo valore etimologico ossia che fa, creatore e quindi dalla sua derivazione da poiesi in quanto produzione e "attività creativa dell'essere umano". [nota di un coautore della voce]

Bibliografia[modifica]

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