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Lodovico Corio

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Lodovico Corio

Lodovico Corio (1847 – 1911), insegnante, educatore e saggista italiano.

Il libro della vita

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  • Grande studio degli uomini, finché sono immaturi, è di parere uomini fatti, e poiché sono tali, di parere immaturi. (p. 13)
  • Osserva il Quinet che l'uomo politico, il quale ha perdute le proprie illusioni, diviene un reazionario; il banchiere che ha perduto le sue illusioni diventa un fallito, il soldato che ha perduto le sue illusioni diventa disertore; l'amico del popolo che ha perdute le sue illusioni diventa uno demagogo; un popolo che ha perdute le sue illusioni diventa uno schiavo.
    Efficace breviloquenza!
    Quante verità in sì poche parole!
    Eppure le illusioni, le speranze con dei nonnulla si tengono vive e l'uomo anzi fa di tutto per non lasciarsele spegnere nell'animo.
    La Speranza lo fa invecchiare lietamente, desiderando ed aspettando. (p. 17)
  • Formare il cuore, ecco lo scopo della educazione, come formare la mente è lo scopo dell'istruzione. Si possono trovare facilmente dei buoni maestri, è difficilissimo invece trovare dei buoni educatori. (p. 38)
  • La coltura dell'intelletto ha poca azione sulla condotta morale. Vediamo uomini, istruiti, educati, letterati, che non hanno affatto buona condotta, e sono scialacquatori, imprevidenti, ubbriaconi e viziosi. (p. 40)
  • Nome dolcissimo la carità: non è la filantropia, non è la beneficenza, non è l'elemosina, è una cosa a sé, e l'etimologia soltanto riesce a fornirci gli elementi per darne una definizione approssimativa.
    La carità è grazia, è delicatezza, è sapienza, è previdenza: può essere qualcosa di materiale e risolversi in un soccorso, può essere qualcosa di morale e allora si risolve in un conforto, più prezioso bene spesso d'un soccorso. (p. 124)
  • Uno dei sette sapienti della Grecia reputava non potersi chiamare felice, un uomo se non quando era morto: quel sapiente negava quindi potersi dare felicità in questo bel mondo sublunare. (p. 127)
  • Guai a colui, nel quale non s'agitano, massime nell'età giovanile, generose aspirazioni!
    In lui sarà morto sempre ogni spirito d'emulazione ed il suo piuttosto che vivere si potrà dire vegetare. (p. 128)
  • Le aspirazioni non devono avere altro limite che la ragionevolezza. (p. 129)
  • Ognuno secondo il suo temperamento ed umore chiama filosofia quello ch'egli fa, e non si dà altra briga. Tanto é filosofo uno, il quale è collerico e insofferente d'ogni cosa, quanto un altro, che sarebbe atto a soffrire che gli fosse mozzato il naso. Il sapere bene guidarsi nelle cose d'amore, è filosofia; ed è filosofia il guidarsi male. Un uomo, il quale lasci andare le faccende sue domestiche, come le vanno da sé, è filosofo: un altro, che giuochi gli occhi del capo, può essere stimalo anch'egli filosofo; e in breve non c'è condizion d'uomo veruno, il quale faccia quello che si voglia, che non si stimi filosofo da sé, o non si chiami talora con questo prelibato nome. (p. 139)
  • Salomone, morendo dopo essersi goduto la vita in lungo e in largo, esclamò: Vanitas, vanitatum, et omnia vanitas. Veramente ha aspettato un po' tardi ad accorgersi della vanità delle cose umane, ma pur troppo solo l'esperienza può insegnare la dura verità proferita dal grande Re d'Israele. (pp. 144-145)
  • I giudizii umani sono spesso erronei e fallaci.
    V'è chi si inganna per debolezza, v'è chi inganna per tristizia di mente. Quando l'interesse s'accampa tra il giudice e il giudicato, la sentenza non può essere più né imparziale né veridica. Si trova una compiacenza curiosa nel denigrare. (p. 167)

Milano in ombra. Abissi plebei

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Era il 1° agosto 1876, quando il periodico letterario la Vita Nuova pubblicò un saggio degli studii da me fatti intorno alla plebe di Milano.
Per ben due anni m'ero infognato dove poteva meglio vederla, osservarla, senza destare alcun sospetto, che mi togliesse il modo di studiarla nella sua piena libertà. Diciamolo tosto: la plebe è sospettosissima di quanti vestono abiti di panno. Forse non ha tutti i torti.
Ma lasciamola lì.
Avevo visitate bettole, stamberghe, scuole di ballo, locande; e tutti i vizii e tutti i peccati veniali e mortali m'erano passati innanzi in tutta la loro sfacciata bruttezza.
È dovere però confessare che ho vedute ancora miserie tormentose, dolori quasi insopportabili, abnegazioni deplorevoli, audacie formidabili, sdegni spaventosi, rassegnazioni ammirande.
Perle nel fango.

Citazioni

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  • Ma la feccia?... È difficile l'affermare il numero preciso delle persone che la compongono. Dalle statistiche ufficiali questo non si può rilevare.
    Nei più bassi gradi della classe operaia riscontrasi qualche tipo individuale che potrebbe essere preso per il trait d'union fra il popolo e la plebe. Il barabba, che è l'operaio corrotto, litigioso e beone, o come altrimenti il direbbero i toscani, sbarazzino, può facilmente trasformarsi in lócch; quindi la somma di questi è un po' incerta. Alcuni la pretendono ingente, altri la riducano entro limiti più ristretti, ma tanto i primi che questi partono da criteri particolari, e perciò il loro giudizio s'allontana dal vero. Il lócch di solito, nasce in un Brefotrofio, passa l'adolescenza nel Riformatorio , si sviluppa e vive nel carcere e muore all'ospitale. Tra l'uno e l'altro stadio di vita passa i giorni nel postribolo, nella taverna o sulla piazza. (Rancidumi statistici, pp. 20-21)
  • Vi meravigliereste ora se vi dicessero, che il vizio dell'ubbriachezza in Milano cresce, cresce, cresce?
    Ogni misero è re se il vin lo scalda, ha detto Pope nel suo Saggio sull'Uomo, epperò in mezzo all'aria repubblicana, che d'ogni intorno spira, il numero de' re (secondo Pope) andrebbe aumentando.
    Nel suo libro Intemperanza e Miseria il Léfort distingue l'ubbriacatura dall'ubbriachezza, la prima errore, la seconda vizio; ma invano egli vorrebbe trovare delle attenuanti per l'errore, che è per l'appunto questo che avvia alla colpevole abitudine.
    È curioso che da Pitagora al Mantegazza tutti i pensatori hanno alzata la voce contro l'ubbriachezza, ma non per questo il brutto vizio è cessato o accenna almeno a diminuire. (Intemperanza, pp. 27-28)

Bibliografia

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Altri progetti

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