Michael McFaul
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Michael Anthony McFaul (1963 – vivente), diplomatico statunitense.
Intervista di Viviana Mazza, corriere.it, 20 febbraio 2022.
- Nella mia lettura della storia, la preoccupazione russa per l'accesso alla Nato aumenta o diminuisce a seconda dello stato delle relazioni tra Usa e Russia: non è il fattore scatenante del conflitto, ne è un riflesso. La causa centrale da quando Putin è presidente non è stata il dibattito sull'espansione della Nato [...]. Il fattore scatenante è quello che Putin definirebbe le "rivoluzioni colorate": nel 2003 in Georgia, nel 2004 in Ucraina, la Primavera araba nel 2011 quand'ero nell'amministrazione Usa, le grandi proteste in Russia tra 2011 e 2012, ancora l'Ucraina nel 2013-2014 in quello che Putin definisce "colpo di stato" e gli ucraini "Rivoluzione della dignità". In ognuno di questi casi, ci fu una mobilitazione di massa contro un regime autocratico e Putin pensava che ci fossimo noi dietro. Ogni volta che accade, il conflitto cresce e la questione dell'espansione Nato viene sollevata.
- La più grande paura di Putin è un'Europa democratica fiorente che includa l'Ucraina, perché scalza la tesi con cui cerca di legittimare il suo regime autocratico davanti al popolo russo. Se sono slavi e si tratta di popoli che — come lui ha scritto in un lungo articolo — non sono diversi, come può sostenere che la Russia abbia bisogno di uno zar e di uno Stato forte per via della sua cultura e avere accanto un Paese che ne condivide la storia ma è una democrazia funzionante?
- Vuole veder fallire questo governo e la democrazia ucraina, in modo da poter dire al suo popolo e al mondo: le democrazie non funzionano, i regimi come il mio sì.
- Farò una predizione radicale. Putin non guiderà la Russia per sempre. Resterà al potere quanto più gli è possibile, ma a un certo punto ci sarà un nuovo leader e non credo che il regime che Putin ha messo in piedi sia abbastanza forte da continuare il putinismo per 20 o 30 anni. In Russia oggi più sei giovane, istruito, ricco e vivi in città, più vuoi essere parte dell’Europa. La Russia è un Paese europeo e non accetto l'idea che, per un qualche gene autocratico, non sarà mai una democrazia.
Intervista di Francesco Manacorda, repubblica.it, 6 settembre 2025.
- [...] apprezzo che [Donald Trump] abbia cercato di avviare un processo di pace. E non sono contrario a parlare con i russi. Ma nell’incontro a Washington con Zelensky e i leader europei, così come quello in Alaska con Putin, non ha ottenuto nulla.
- [Sul vertice Russia-Stati Uniti del 2025] [...] tradizionalmente i vertici sono il culmine dei negoziati per portare a termine qualcosa. Il presidente russo può essere premiato con un incontro simbolico dopo che in sostanza è stato raggiunto un accordo. In Alaska è successo il contrario ed è stato solo un regalo a Putin, senza alcun vantaggio per l’interesse nazionale americano.
- [Sul vertice Russia-Stati Uniti del 2025] Non conosco molte trattative di successo in cui uno offre alla sua controparte tutto ciò che essa chiede e poi si aspetta qualcosa in cambio. Quindi Trump avrebbe dovuto concedere un vertice a Putin, ma solo se questo si fosse impegnato a incontrare Zelensky. Avrebbe dovuto dirgli: “In Alaska ti tratterò come un sovrano, ma poi dovrai accettare un cessate il fuoco”. A volte penso che Trump confonda i piani: pensa che gli incontri siano il risultato da raggiungere, mentre gli incontri sono i mezzi per ottenere risultati di politica estera.
- [...] se l’Ucraina accetta che la Russia occupi parti del suo territorio, presumibilmente per decenni, devono avere quantomeno la garanzia che non ci sia una nuova guerra.
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