Pat Conroy

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Pat Conroy & Tom Poland nel 2013

Pat Conroy (1945 – 2016), scrittore statunitense.

I ragazzi di Charleston[modifica]

Incipit[modifica]

Fu mio padre a definire la città la Dimora sul Fiume.
Alludeva a Charleston, South Carolina, dove era nato, fiero come un pavone di una città così bella da farti venire male agli occhi anche solo scendendo lungo le sue incantevoli viuzze. Charleston era il ministero di mio padre, il suo chiodo fisso, la sua tranquilla ossessione e il grande amore della sua vita. Il suo flusso sanguigno accese il mio di una passione che non ho mai perso né perderò mai. Io sono nato e cresciuto a Charleston. I suoi due fiumi, l'Ashley e il Cooper, hanno inondato e plasmato tutti i giorni della mia vita su questa storica penisola.
Mi porto appresso la squisita bellezza di porcellana di Charleston come il guscio incernierato di un mollusco dai tessuti cedevoli. La mia anima è forgiata dalla penisola e indurita dal sole e gonfiata dai fiumi. Le alte maree della città inondano ogni giorno la mia consapevolezza, soggetta ai capricci e alle armonie della luna piena che si leva dall'Atlantico. Mi calmo quando vedo i filari dei palmetti che montano la guardia sugli argini del lago Colonial, o quando sento le campane di San Michele battere il ritmo fra gli alberi pieni di cicale di Meeting Street. Nel profondo delle mie ossa, scoprii presto di essere una di quelle creature incorreggibili che vanno sotto il nome di charlestoniani. Mi viene in mente, come una forma sorprendente di conoscenza, che il mio tempo in città è più una vocazione che un dono; è il mio destino, non una mia scelta. Considero un grande privilegio essere nato in una delle più belle città americane; non una città che scaglia le gambe in alto, patinata e con labbra grosse di rossetto, non una città con campanelli sulle dita o unghie dei piedi dipinte a colori vivaci, ma una città arruffata, discreta, raffinata e intollerante alle ostentazioni. Benché Charleston abbia di sé una visione in smoking e in tela a righe bianche e blu, essa approva il riserbo molto più che la vanagloria.

Citazioni[modifica]

  • [Charleston] Una città così affascinante da incantare i cobra facendoli uscire dai panieri, una città così adorna di cornicioni, così filigranata e guarnita da lasciare a bocca aperta i forestieri e compiacere gli indigeni. Nelle sue ombre, puoi trovare fregi in metallo delicati come merletti e scale a chiocciola complicate come yacht. Nel segreto dei suoi giardini, puoi scoprire gelsomini e camelie e altre centinaia di piante che sembrano ricamate e sottratte al giardino dell'Eden, per amore d'opulenza e per la gioia di derubare gli dei. (p. 8)
  • Per la sua attrazione devota e aggraziata nei confronti dei cibi, dei giardini e delle architetture, Charleston rappresenta tutti quei principi che rendono il viver bene sia una virtù civica che una norma. È un luogo entusiasmante e determinante per crescervi. Tutto ciò che vi rivelerò sarà plasmato da Charleston e governato da Charleston, e talvolta anche rovinato da Charleston. Ma è colpa mia, e non della città, che sia quasi arrivata a distruggermi. Non tutti reagiscono alla bellezza nello stesso modo. Sebbene Charleston possa fare molto, non sempre può rimediare alla stranezza del comportamento umano. Ha però una grande tolleranza verso l'eccentricità e la confusione. C'è, nella sua raffinatezza, un buongusto che deriva dalla coscienza che Charleston è una fossetta permanente nell'orizzonte placido, mentre noialtri siamo soltanto in visita. (pp. 8-9)
  • Il mondo di mia madre sembrava sconsolato e tragico ancor prima che lei sapesse quanto poteva essere tragica la vita. Una volta appreso che non esisteva vita in grado di evitare le conseguenze della tragedia, si ammorbidì in un ascetico riconoscimento del carattere illusorio dell'esistenza. Finì per credere veramente nel brusco risveglio. (p. 10)
  • Charleston ha il suo battito cardiaco e le sue impronte digitali, le sue foto segnaletiche, le sue immagini ufficiali e i suoi confronti all'americana. È una città d'invenzioni, di cianografie, di devozione a un modello che è come un ginocchio piegato davanti alla natura stessa della bellezza. Potei sentire il mio destino formarsi nelle foglie in alto sopra la città. Come Charleston, anch'io avevo le mie stradine, vicoli ciechi che non portavano a nulla, ma le dimore formavano come dei gioielli nel mio flusso sanguigno. Abbassando gli occhi, studiai la pianta della mia città, quella città che mi aveva mostrato tutte le esche della bellezza e mi aveva portato a diffidare della pretenziosità o dell'improvvisazione. Mi girai verso le stelle; stavo per compiere uno sventurato lancio di dadi, cercando di predire l'avvenire, ma mi fermai in tempo.
    Un ragazzo si fermò in tempo, in una città color dell'ambra che aveva un incanto vietato a un angelo inferiore. (pp. 13-14)
  • Non c'è nulla che accada per caso. Io lo appresi nel modo difficile, molto prima di sapere che il modo difficile era la sola strada che portasse a una vera, sicura conoscenza. Nella fase iniziale della mia vita, arrivai a temere il potere di strani transiti. Sebbene pensassi di aver sempre scelto la strada più sicura, non fui in grado di evitare le piccole perfidie del fato. (p. 17)
  • Il destino ti piomba addosso a passi felpati, inevitabile e assetato di sangue. Nel momento in cui nasci la morte è già predetta nelle tue cellule appena formate, quando tua madre ti solleva per poi a passarti a tuo padre [...] La morte vive in ciascuno di noi; comincia il suo conto alla rovescia il giorno delle nostre nascite e fa il suo brusco ingresso all'ultimo momento e con perfetta puntualità. (p. 18)
  • [Charleston] Una città dove la bellezza stava in agguato a ogni giro di ruota, premiando ogni paziente ispezione e penetrandoti nei pori e nel flusso sanguigno da ogni dove. Immagini che potevano cambiare il modo di sentire del mondo intero. Era una città che plasmava l'architettura dei miei ricordi e dei miei sogni, aggiungendo cornicioni e parapetti e tenebre arcuate di finestre palladiane ogni volta che percorrevo quelle strade. (p. 23)
  • Avrei avuto bisogno di una parte determinante della mia vita di adulto per rendermi conto che la tragedia veniva scagliata prodigalmente nella vita di ognuno. (pp. 23-24)

Explicit[modifica]

"È il 16 giugno 1990. Che cosa ha imparato questo gruppo più di qualsiasi altro?"
"Dillo, Rospo" mi esorta Trevor con un sorriso.
È semplice, dico ai miei amici qui riuniti. Abbiamo capito il potere del caso e della magia nelle faccende umane. Tutti noi che siamo qui stasera alla festa d'addio di Trevor Poe ci siamo trovati per combinazione insieme nel Bloomsday dell'estate 1969. Conosciamo meglio di chiunque altro l'immenso, incontrovertibile potere del fato, e sappiamo come un solo giorno possa modificare il corso di diecimila vite. Il fato può catapultarci in vite che non ci eravamo mai sognati di condurre, finché non inciampiamo in quell'unico giorno immortale. Quello che Trevor ha cercato di fare invocando la memoria di Sheba è un potente tentativo di preghiera. Ma va tutto bene, perché oggi è Bloomsday, e noi possiamo testimoniare che qualunque cosa può succedere durante un'estate di Bloomsday. Sì, è così: qualunque cosa può succedere. Sì.

Il principe delle maree[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Dai propri errori aveva ricavato la convinzione che l'amore non è al servizio della disperazione, non deve per forza far male. Quando mo padre ci picchiava, mia madre diceva: "Lo fa perché vi vuol bene." Ogni qual volta mia madre ci colpiva con la scopa, con la spazzola o con le mani, lo faceva in nome dell'amore. Ma mia nonna riportò dai suoi viaggi una dottrina rivoluzionaria: l'amore non ha armi, non ha pugni, non ammacca, non ferisce a sangue. (p. 146)
  • Mi sarebbe piaciuto vedere il mondo con occhi capaci soltanto di stupore e avere una lingua eloquente soltanto nelle lodi. (p. 296)

Bibliografia[modifica]

  • Pat Conroy, I ragazzi di Charleston, traduzione di Ettore Capriolo, Milano, Bompiani, 2009. ISBN 978-88-452-6376-7
  • Pat Conroy, Il principe delle maree, traduzione di Pier Francesco Paolini, Milano, Bompiani, 1996. ISBN 88-452-2896-7

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