Friedrich Dürrenmatt: differenze tra le versioni

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* Ci sono dei rischi che non bisogna correre, mai. E uno di questi è la distruzione dell’umanità. ('''Möbius''', atto II)
* Ci sono dei rischi che non bisogna correre, mai. E uno di questi è la distruzione dell’umanità. ('''Möbius''', atto II)
* Ciò che l'aureo re gli aveva rivelato non era infatti un segreto, perché era pensabile, e tutto ciò che è pensabile viene pensato, prima o poi. ('''Dottoressa''', atto II)
* Ciò che l'aureo re gli aveva rivelato non era infatti un segreto, perché era pensabile, e tutto ciò che è pensabile viene pensato, prima o poi. ('''Dottoressa''', atto II)
{{NDR|Friedrich Dürrenmatt, ''I fisici'', traduzione di Aloisio Rendi, Giulio Einaudi editore, 1972. ISBN 9788806329129}}


==''La morte della Pizia''==
==''La morte della Pizia''==

Versione delle 13:49, 30 ago 2019

Friedrich Dürrenmatt

Friedrich Dürrenmatt (1921 – 1990), scrittore, drammaturgo e pittore svizzero.

Citazioni di Friedrich Dürrenmatt

  • Einstein soleva parlare di Dio così spesso che mi sorge quasi il sospetto che fosse un teologo sotto mentite spoglie. (da Una partita a scacchi con Albert Einstein))
  • Il fine dell'uomo consiste nel pensare, non nell'agire. Qualsiasi sciocco è in grado di agire. (da Giustizia)
  • Patria, si fa chiamare lo Stato ogniqualvolta si accinge a uccidere. (da Romolo il Grande)

I Fisici

Incipit

Commissario: Si potrà pur fumare?
Infermiera capo: Non usa, qui dentro.
Commissario: Domando scusa. (Rimette il sigaro nell'astuccio).
Infermiera capo: Prende una tazza di tè?
Commissario: Preferirei un grappino.
Infermiera capo: Lei dimentica che siamo in una casa di cura.
Commissario: E allora niente.

Citazioni

  • Anch'io ne capisco poco, di elettricità. Mi limito a formulare una teoria in merito, basata su osservazioni empiriche. Questa teoria io la trascrivo in linguaggio matematico, e ne ricavo un paio di formule. Poi vengono i tecnici, che badano solo alle formule. Quelli, l'elettricità la trattano come un ruffiano tratta una puttana; cioè, la sfruttano. Creano delle macchine, quelli lì, e una macchina è veramente utilizzabile solo quando è diventata indipendente dal pensiero scientifico che ha portato alla sua invenzione. E così al giorno d'oggi qualsiasi imbecille può far brillare una lampadina elettrica - o far esplodere una bomba atomica. (Newton, atto I)
  • Il miglior modo per cancellare il passato è di comportarsi da pazzi, se già ci si trova al manicomio. (Möbius, atto I)
  • L'esser pazzi è un lusso che costa caro. (Möbius, atto I)
  • Con tutto il rispetto per i suoi sentimenti personali, non deve dimenticare che lei è un genio e con ciò bene pubblico. Lei è riuscito a penetrare in nuovi settori della fisica, ma non ha mica un diritto in esclusiva sulla scienza. Al contrario, lei ha il dovere di aprire la porta anche a noialtri, che non siamo dei geni. (Newton, atto II)
  • Ci sono dei rischi che non bisogna correre, mai. E uno di questi è la distruzione dell’umanità. (Möbius, atto II)
  • Ciò che l'aureo re gli aveva rivelato non era infatti un segreto, perché era pensabile, e tutto ciò che è pensabile viene pensato, prima o poi. (Dottoressa, atto II)

La morte della Pizia

Incipit

Stizzita per la scemenza dei suoi stessi oracoli e per l'ingenua credulità dei Greci, la sacerdotessa di Delfi Pannychis XI, lunga e secca come quasi tutte le Pizie che l'avevano preceduta, ascoltò le domande del giovane Edipo, un altro che voleva sapere se i suoi genitori erano davvero i suoi genitori, come se fosse facile stabilire una cosa del genere nei circoli aristocratici, dove, senza scherzi, donne maritate davano a intendere ai loro consorti, i quali peraltro finivano per crederci, come qualmente Zeus in persona si fosse giaciuto con loro.

Citazioni

  • Entrò nel santuario: morire, che evento solenne. Si domandò come avvenisse il morire: era emozionata, pregustava l'avventura. (p. 24)
  • «Pannychis», disse il veggente in tono paterno «solo la non conoscenza del futuro ci rende sopportabile il presente. Mi sono sempre stupito e continuo a stupirmi immensamente che gli uomini siano tanto smaniosi di conoscere il futuro. Sembra quasi che preferiscano l'infelicità alla felicità.» (p. 41)
  • Mi interessava sapere come mai gli uomini si lascino opprimere: per amore del quieto vivere, ho concluso, che spesso li induce addirittura a inventarsi le teorie più assurde per sentirsi in perfetta sintonia con i loro oppressori, come del resto gli oppressori escogitano teorie non meno assurde pur di riuscire ad illudersi di non opprimere gli individui su cui esercitano il loro dominio. (p. 53)
  • «Lascia perdere, vecchia,» disse Tiresia ridendo «non preoccuparti di ciò che può essere stato diverso da come ce l'hanno raccontato e che non smetterà di cambiare faccia se noi continueremo a indagare. Smettila di scervellarti su queste cose se non vuoi che sorgano altre ombre a impedirti di morire. […] La verità resiste in quanto tale soltanto se non la si tormenta.» (p. 64)
  • Come io che ho voluto sottomettere il mondo alla mia ragione ho dovuto in quest'umida spelonca affrontare te che hai provato a dominare il mondo con la tua fantasia, così per tutta l'eternità quelli che reputano il mondo un sistema ordinato dovranno confrontarsi con coloro che lo ritengono un mostruoso caos. Gli uni penseranno che il mondo è criticabile, gli altri lo prenderanno così com'è. Gli uni riterranno che il mondo è plasmabile come una pietra […], gli altri indurranno alla considerazione che, nella sua impenetrabilità, il mondo si modifica soltanto come un mostro che prende facce sempre nuove […] Gli uni ingiurieranno gli altri chiamandoli pessimisti, e a loro volta saranno da quelli irrisi come utopisti. (p. 67)

La valle del caos

  • Non concepire più nessun Dio e non concepirai più nemmeno l'inferno.
  • Se i poveri sono troppo pigri per arricchirsi tramite onesti crimini, e i ricchi durante le vacanze si burlano della povertà mangiando da piatti di metallo per sforzarsi di entrare nella cruna di un ago della grazia, la cristianità è la vostra ricompensa.
  • Erano dei farabutti, certo, ma lui aveva più stima di quelli che non di loro lì sotto. Quei diavoli d'uomo avevano giocato a poker, avevano furfanteggiato e puttaneggiato per tutta la vita, sempre a rischio di finire arrostiti sulla sedia elettrica, mentre loro non facevano altro che lamentarsi. Era una questione d'onore, si trattava di dimostrare che in testa avevano qualcosa in più che segatura, si trattava di orgoglio di dimostrare che erano qualcuno, gente che sà opporsi che non si fa andar bene tutto e che ha occhi e orecchie ben aperte. Dovevano riflettere, maledizione!
  • Se i poveri e gli affamati vanno nel regno dei cieli, perché il Grande Vecchio ha compassione dei poveri diavoli, e i ricchi solo perché a lui non resta altro che essere misericordioso, allora voi cristiani siete gli unici a meritare il regno dei cieli, siete la sua gioia, il suo orgoglio le lodi che egli intona di sé.
  • Non nel nobile spirito umano, non in tutti quei pensieri sublimi si vede il riflesso del Grande Vecchio, poiché lui stesso è in grado di pensarli, bensi in voi criminali. Egli vi ama per quello che siete, come voi lo amate per quello che è. Per i poveri e per i ricchi, ma anche per i giusti in eterno che tuttalpiù arrivano alla frode fiscale, al riciclaggio del denaro, alla politica, lui è il buon caro Vecchio che lascia correre, ma per voi è l'inesorabile boss. Egli vi ama, come voi amate lui. La sua collera brucia ed è molto pesante, la sua lingua è come un fuoco che disrugge.
  • Ma se lo erano meritato, dato che non si erano difesi dal presidente del Consiglio. Ma ora si vergognavano, e alla vergogna si accompagnava la rabbia e alla rabbia l'orgoglio. Si sentivano uniti, un solo popolo, più di un popolo, La Valle del Caos e apparteneva a loro comandare.
  • Faceva male la verità, bruciavano dentro come all'inferno. Potevano trascinare Sepp giù dal pulpito, picchiarlo, graffiarlo strangolarlo, ma lui aveva ragione, erano ottusi, pigri, rimbecilliti.
  • E tuttavia un tempo avevano cacciato gli stranieri, e adesso tutto il paese viveva di stranieri, oppure andava in rovina quando gli stranieri non c'erano, come erano andati in rovina quando predicavano la benedizione della povertà a una società straricca.
  • Partì dalle parole di Gesù dei tre vangeli sinottici, era più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei cieli, e dalla risposta di Cristo alla domanda spaventata dei discepoli su chi potesse essere salvato. La risposta era che le cose impossibili agli uomini non erano impossibili a Dio. Beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno dei cieli. Poveri di quale spirito? Dello spirito del Grande Vecchio in cielo? Allora non erano beati, bensì infelici. No, beati erano i poveri di spirito dell'uomo, i poveri, poiché lo spirito dell'uomo era il denaro, in latino pecunia, derivante da pecus, bestiame. Il denaro era bestiale. Dal baratto del bestiame contro bestiame, cammello contro cammello, si era arrivati al bestiame contro il denaro, al cammello contro il denaro, al valore contro il valore.
  • L'uomo valuta con il denaro. Per questo tutte le azione dell'uomo si fondano sul denaro, la sua cultura e la sua civiltà, e per questo tutto ciò che l'uomo fa o produce con o tramite il denaro, il buono o il cattivo, l'enorme giro di affari con il pane per i fratelli e la miseria per i fratelli, con ciò che ci veste e ciò che ci sveste, con ciò che merita di essere vissuto e ciò che non merita di essere vissuto, con il durevole e con il transitorio, con il necessario e con il superfluo, con la cinematografia e con la pornografia, con l'amore disinteressato e con l'amore veniale, non è altro che vanità. Opera dell'uomo e non del Grande Vecchio.
  • Ma se il povero che non possiede niente, possiede il regno dei cieli, chi possiede, non possiede il regno dei cieli, il suo possesso lo rende infelice anziché beato, grava su di lui perché ogni possesso è un peso. Per questo anche il giovane ricco si era afflitto da Gesù, perché aveva molti beni. Afflitto!! Certo, avrebbe voluto diventare povero, avrebbe voluto vendere tutto e dare il ricavato ai poveri, e diventare come Gesù ma cosa avrebbe ottenuto?? I poveri avrebbero sperperato la loro ricchezza in un modo assurdo e sarebbero ridiventati poveri. Ma il giovane ricco?? Certo, sarebbe diventato povero, ma non sarebbe andato nel regno dei cieli: la sua rovina non sarebbe avvenuta in cielo, nello spirito del Grande Vecchio, bensì nello spirito dell'uomo. Per infannare il destino a lui riservato di essere ricco.
  • Gesù l'aveva tentato, perché anche Gesù era un tentatore, quando se ne andava in giro vestito di stracci, per questo i cristiani pregavano: Non indurci in tentazione! Il giovane ricco non aveva resistito alla speranza di diventare povero, di andare vestito di stracci come Gesù, di diventare un barbone, e quindi la ricchezza era la croce dei cristiani e l'afflizione era il loro destino, mentre la serenità era destinata solo ai poveri, ai nullatenenti, sospirate cristiani, sospirate..
  • Come era stato facile scacciarli era facile raccoglierli, tramite la Grazia, poiché essa era l'impossibile, possibile solo con il Grande Vecchio, era qualcosa di totalmente immeritato. Infatti se la Grazia fosse meritata non sarebbe più Grazia bensì ricompensa. Davanti al Grande Vecchio gli ultimi erano i primi e i poveri erano ricchi, e i ricchi maledetti. Ma chi possedeva la Grazia non ne aveva bisogno poiché la Grazia era già in lui, e quindi la Grazia era riservata a loro, i ricchi, i maledetti, i sazi, la grazia con cui venivano incoronati come la sola faccia dell'umanità che ne aveva bisogno.

Incipit di alcune opere

Giustizia

Giovanna Agabio

Certo, scrivo questa relazione per amore dell'ordine, per una sorta di pedanteria, perché venga messa agli atti. Voglio costringermi a esaminare ancora una volta gli eventi che hanno portato all'assoluzione di un assassino e alla morte di un innocente.
[Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, traduzione di Giovanna Agabio, Adelphi, 2011. ISBN 9788845926280]

Fruttero & Lucentini

È forse solo per pedanteria, per amore dell'ordine, per mettere agli atti un altro documento, che scrivo questo rapporto. Voglio costringermi a riesaminare i fatti che hanno portato all'assoluzione di un omicida e alla morte di un innocente.
[Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Il giudice e il suo boia

La mattina del tre novembre 1948, nel punto in cui la strada di Lamboing (uno dei villaggi del Tassenberg) esce dal bosco che degrada lungo il vallone del Twannbach, il gendarme di Twann, Alphons Clenin, trovò una Mercedes azzurra ferma sul ciglio della strada. C'era nebbia, come spesso accade nei mattini di tardo autunno; Clenin era già andato oltre ma poi si decise a tornare indietro. Passando aveva gettato una rapida occhiata attraverso i cristalli appannati e aveva avuto l'impressione che il conducente se ne stesse abbandonato sul volante. Pensò che l'uomo fosse ubriaco: era una persona normale, Clenin, e ricorreva sempre alle spiegazioni più ovvie.

Il minotauro

L'essere che Pasifae, la figlia del dio Sole, aveva partorito dopo che, rinchiusa per suo desiderio in una finta vacca, era stata montata da un bianco toro consacrato a Poseidone, si trovò, dopo lunghi anni d'un sonno confuso, durante i quali era cresciuto in una stalla fra le vacche, trascinato laddentro dai servi di Minosse, che avevano formato lunghe catene per non perdersi sul pavimento del labirinto che era stato costruito da Dedalo per proteggere gli uomini da quell'essere e l'essere dagli uomini, d'un impianto cioè da cui nessuno che vi si fosse inoltrato trovava più la via d'uscita e le cui innumerevoli intricate pareti erano di specchi, tanto che l'essere stava accovacciato non solo di fronte alla sua immagine, ma anche all'immagine delle sue immagini: vide davanti a sé un'infinità di esseri fatti com'era lui, e come si girò per non vederli più, un'altra infinità di esseri uguali a lui.

Il tunnel

Un ventiquattrenne, grasso per non esser troppo vicino a quanto di orribile vedeva nascondersi dietro le quinte (e questa era una sua virtù, forse l'unica) e che preferiva tappare ogni buco della propria carne – attraverso questi buchi, appunto, le mostruosità avrebbero potuto penetrare in lui – sicché fumava sigari (Ormond Brasil 10), sopra gli occhiali ne portava un secondo paio – occhiali da sole – e nelle orecchie aveva dei batuffoli di cotone, questo giovane, ancora dipendente dai genitori e occupato in nebulosi studi presso una Università raggiungibile con un viaggio in treno di due ore, saliva una domenica pomeriggio sul suo solito treno – partenza alle 17.50 arrivo alle 19.27 – per assistere l'indomani a un seminario che già aveva deciso di bigiare.

La panne

Ci sono ancora delle storie possibili, storie per scrittori? Se uno non intende raccontare di sé né romanticamente, liricamente generalizzare il proprio io, se non si sente affatto obbligato a parlare con assoluta veridicità delle proprie speranze e delle proprie sconfitte, o del proprio modo di fare all'amore, come se la veridicità ne facesse un caso universale e non piuttosto un caso clinico, psicologico, se uno non intende farlo e tirarsi da parte con discrezione, difendere garbatamente le proprie faccende private, ponendosi di fronte al proprio tema come uno sculture di fronte alla materia prescelta, lavorandoci e sviluppandosi attraverso di essa, e voglia, come fosse una specie di autore classico, non lasciarsi prendere subito dalla disperazione, anche se non si possono certo negare le vere e proprie assurdità che ovunque vengono a galla, allora scrivere diventa un mestiere più difficile, più solitario e anche più insensato.

La promessa

Nel marzo scorso dovevo tenere a Coira, presso la Società Andreas Dahinden, una conferenza sull'arte di scrivere romanzi polizieschi. Vi arrivai in treno che già annottava; nuvole basse e un nevischio deprimente, e gelo dappertutto. La conferenza si tenne nella sala dell'Unione Commercianti. Il pubblico era piuttosto scarso, dato che quella stessa sera Emil Staiger parlava nell'Aula magna del Liceo sull'ultimo Goethe. Non ero in vena quella sera – neanche gli spettatori lo erano del resto – e parecchi del luogo lasciarono la sala prima che la conferenza fosse finita. Mi intrattenni brevemente con qualche membro della presidenza, con due o tre professori liceali che avrebbero certo preferito essere andati anche loro ad ascoltare l'ultimo Goethe, una dama di beneficenza, presidentessa onoraria dell'Associazione delle domestiche della Svizzera orientale, e dopo aver incassato previa ricevuta onorario e rimborso spese mi ritirai nell'albergo che mi avevano destinato, l'Hotel Steinbock, vicino alla stazione. Ma anche qui desolazione.

Citazioni su Friedrich Dürrenmatt

  • Dürrenmatt mira a innescare sul terreno di una cosciente mistificazione, che dalla manipolazione dei topoi drammatici trasferiti in moduli kitsch perviene alla contraffattura parodistica calcolata more geometrico, un potenziale dirompente analogo a quello della «crisi» dialettica. In essa il radicalismo teologico-nichilista oppone il «no» dell'uomo e di un mondo inesorabilmente condannato, al «no» di Dio, fino alla loro consumazione, laddove il «colmo del peccato» diventa «il trionfo della grazia». (Ferruccio Masini)

Bibliografia

  • Friedrich Dürrenmatt, Giustizia, traduzione di Giovanna Agabio, Adelphi, 2011. ISBN 9788845926280
  • Friedrich Dürrenmatt, I fisici, traduzione di Aloisio Rendi, Giulio Einaudi editore, 1972. ISBN 9788806329129
  • Friedrich Dürrenmatt, Il giudice e il suo boia, traduzione di Enrico Filippini, Feltrinelli, Milano, 1991. ISBN 8807811073
  • Friedrich Dürrenmatt, Il minotauro, traduzione di Umberto Gandini, Marcos y Marcos, 1997.
  • Friedrich Dürrenmatt, Il tunnel, traduzione di Marco Zapparolo, Giampiero Casagrande, Lugano, 1988. ISBN 8877950226
  • Friedrich Dürrenmatt, La morte della Pizia, traduzione di Renata Colorni, Piccola Biblioteca Adelphi, 1998. ISBN 884590296X
  • Friedrich Dürrenmatt, La panne, traduzione di Eugenio Bernardi, Einaudi, 2005.
  • Friedrich Dürrenmatt, La promessa, traduzione di Silvano Daniele, Einaudi, 2005.
  • Friedrich Dürrenmatt, Romolo il Grande: una commedia storica che non si attiene alla storia in quattro atti, traduzione di Aloisio Rendi. Marcos y Marcos, Milano, 2006.
  • Friedrich Dürrenmatt, Una partita a scacchi con Albert Einstein, traduzione di Andrea Michler, Casagrande, 2005

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