Paolo Alatri: differenze tra le versioni

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*Si è imbarazzati quando si tenta di definire con una formula sintetica la personalità e la posizione politica di [[Luigi Albertini]]. Sembrerebbe infatti che a lui si adatti bene l'espressione: liberalismo conservatore. (p. 395)
*Si è imbarazzati quando si tenta di definire con una formula sintetica la personalità e la posizione politica di [[Luigi Albertini]]. Sembrerebbe infatti che a lui si adatti bene l'espressione: liberalismo conservatore. (p. 395)

*[...]; a capo di un giornale di opinione pubblica {{NDR|il ''Corriere della Sera''}} così potente come il più diffuso quotidiano d'Italia, s'intende che Luigi Albertini abbia tenuto un ruolo centrale in alcune delle svolte fondamentali della vita politica italiana di quegli anni: un ruolo silenzioso, perché Albertini non era amante di esibizionismi e fino al 1921, quando cedette al fratello Alberto, la direzione politica del ''Corriere'', non fece mai comparire la propria firma in calce alle colonne del giornale, ma non per questo un ruolo meno importante. (p. 398)


==''Mussolini''==
==''Mussolini''==

Versione delle 17:08, 12 set 2019

Paolo Alatri (1918 – 1995), docente, storico e politico italiano.

Le origini del fascismo

Incipit

Ideologicamente il nazionalismo si fonda sulla concezione astratta di Nazione, intesa come un assoluto e non come un composto organico e dialettico delle varie e concrete forze morali, sociali, politiche ed economiche che convivono nell'ambito di un popolo e di un paese.
Come formulazione ideologica e dottrinale, il nazionalismo affonda le sue radici, prevalentemente straniere, in scrittori soprattutto letterari. Si tratta di una mezza cultura «dai colori variopinti e chiassosi», che entusiasma la piccola borghesia, soddisfacendone i pregiudizi di superiorità morale e politica, la vacuità dei sentimenti fatti di retorica.

Citazioni

  • [...] su questo liberale [Vittorio Emanuele Orlando], che saprà trovare tanta fermezza nell'opporsi al fascismo, ricade una delle principali responsabilità che si possano imputare al liberalismo per il trionfo del fascismo stesso; infatti egli non solo sarà uno dei più autorevoli fiancheggiatori (questo è un destino al quale non si è sottratta nessuna delle correnti, nessuno degli esponenti del liberalismo, fosse conservatore o democratico) ma sarà addirittura vice presidente della commissione incaricata di studiare la riforma Acerbo[1], contribuendo col suo prestigio di costituzionalista a farla passare. (p. 340)
  • La pubblicistica nazional-fascista ha voluto far passare Antonio Salandra per un grand'uomo. Ma un grand'uomo Salandra non era. Egli per primo – bisogna riconoscerlo – ne ebbe coscienza. Non solo ammise più di una volta di essere quasi completamente privo di ogni dote di comunicativa, ma, parlando della mancata integrale solidarietà del paese in guerra, scrisse che «mancò forse l'uomo che fosse in grado di operare a un tratto il miracolo e di padroneggiare gli spiriti e le forze. Non ostante che, conscio dell'enorme compito, io vi avessi spesa tutta l'intelligenza, tutta la volontà e tutto il sentimento di cui disponevo, io non fui da tanto»[2]. (p. 381)
  • [...] è significativo che il cuore dei Salandra e dei Sarrocchi, grandi proprietari terrieri, pugliese il primo, toscano il secondo, cuore che non batteva facilmente quando erano in giuoco le grandi questioni della libertà e della democrazia, accelerasse il ritmo dei suoi palpiti quando alla Camera andarono in discussione progetti governativi, presentati dal governo fascista, che apparvero loro minacciosi della proprietà agraria a causa del troppo facile meccanismo delle espropriazioni per fini di pubblica utilità che tali leggi contenevano. (p. 393)
  • Si è imbarazzati quando si tenta di definire con una formula sintetica la personalità e la posizione politica di Luigi Albertini. Sembrerebbe infatti che a lui si adatti bene l'espressione: liberalismo conservatore. (p. 395)
  • [...]; a capo di un giornale di opinione pubblica [il Corriere della Sera] così potente come il più diffuso quotidiano d'Italia, s'intende che Luigi Albertini abbia tenuto un ruolo centrale in alcune delle svolte fondamentali della vita politica italiana di quegli anni: un ruolo silenzioso, perché Albertini non era amante di esibizionismi e fino al 1921, quando cedette al fratello Alberto, la direzione politica del Corriere, non fece mai comparire la propria firma in calce alle colonne del giornale, ma non per questo un ruolo meno importante. (p. 398)

Mussolini

  • Congedato [dal servizio militare] nel settembre 1906, due mesi dopo andò maestro a Tolmezzo, città friulana vicino alla frontiera austriaca, dove trascorse nove mesi, soggetto a vigilanza da parte della polizia. Non fu un esperienza felice: i suoi atteggiamenti politici non gli conciliavano le simpatie della popolazione locale, come insegnante si rivelò scarsamente capace di mantenere la disciplina tra i suoi allievi, inoltre beveva molto e pare che contraesse allora la blenorragia da una donna sposata, col marito della quale fece a pugni. Così alla fine dell'anno scolastico l'incarico non gli fu rinnovato. (Insegnante, pp. 11-12)
  • Radicale era la contrapposizione, che egli [Benito Mussolini] professava, tra proletariato e borghesia e la sua esaltazione di una necessaria rivoluzione sociale cruenta. E la violenza gli appariva come la sola arma politica. Ma le influenze da lui subite furono molteplici, ed egli, quando non rivendicava l'originalità del proprio pensiero (che peraltro non esisteva), le richiamava di volta in volta, a seconda di come gli faceva comodo. (Insegnante, p. 12)
  • Nel 1910 [Mussolini] aveva scritto nella Lotta di classe: «Io ho del socialismo una nozione barbarica. Io lo immagino come il più grande atto di negazione e di distruzione che la storia registri. Io penso ad un socialismo che non "distingue", che non "patteggia" che non si "mortifica"». (Dalla «neutralità assoluta» all'interventismo, p. 18)
  • Mussolini pretendeva di essere un uomo di grande cultura e amava molto le adulazioni di chi si riferiva a lui come un grande scrittore. Ostentava interesse e competenza in fatto, oltre che di letteratura e di filosofia, anche di musica, di architettura, di arti e di cinema. Favorì il realismo e avversò ogni forma di astrattismo e di avanguardia, come del resto gli altri due dittatori [Adolf Hitler e Stalin] a lui contemporanei. (Nel campo culturale, p. 37)
  • Da giovane, come si è detto, Mussolini era stato ferocemente anticlericale e perfino ateo, e non aveva nascosto questi suoi sentimenti, ma anzi li aveva ostentati, non senza manifestazioni clamorose e volgari. Ma una volta al governo, girò di 180 gradi. L'appoggio della Chiesa gli era prezioso per solidificare il suo potere, ed egli non esitò sia a manifestare opinioni personali lontanissime da quelle giovanili, sia a fare vistose concessioni politiche al Vaticano, ripagato con la sconfessione del Partito Popolare[3] e l'esilio comminato a Sturzo, sia con la benedizione dei gagliardetti e dei labari fascisti da parte di vescovi e sacerdoti, specialmente in occasione della guerra d'Etiopia e dell'intervento in Spagna[4]. (I Patti Lateranensi, p. 43)
  • È stato dimostrato che non vi furono pressioni tedesche su Mussolini perché si affiancasse ai tedeschi nella persecuzione degli ebrei. La sua iniziativa va dunque ascritta, oltre che al suo autonomo desiderio di stringere vieppiù l'alleanza con la Germania, anche e soprattutto a uno dei miti tipici del Duce, la convinzione che si dovesse rendere il popolo italiano, anche sul piano interno, duro e bellicoso, e che l'indicargli un nuovo nemico – gli ebrei – servisse a questo scopo. (La legislazione antisemita, p. 60)
  • Che cosa indusse Mussolini a tenere per tutta la seduta del Gran Consiglio[5] [del 24-25 luglio 1943] un atteggiamento nel complesso passivo? Due ne furono probabilmente gli elementi determinanti: l'illusione iniziale che fosse in causa la sola restituzione al re della delega dei poteri militari, e la fiducia che egli nutriva nell'amicizia di Vittorio Emanuele III. (La riunione del Gran Consiglio, p. 83)
  • Le sue [di Mussolini] contraddizioni erano senza fine. Mentre ebbe a riconoscere che le leggi antisemite potevano essere state un errore, ad amministrarle, nella Repubblica di Salò[6], mise Giovanni Preziosi, un ex prete, il più fanatico antisemita esistente in Italia, colui che, anche durante gli anni in cui di antisemitismo del regime ancora non si parlava neppure, aveva cercato di issare quella bandiera e di farla trionfare. (Le farneticazioni di Mussolini, p. 91)

Note

  1. Riferimento alla riforma elettorale maggioritaria che assegnava 2/3 dei seggi al partito più votato, qualora questo avesse superato il quorum del 25%.
  2. Antonio Salandra, La neutralità italiana (1914). Ricordi e pensieri, Milano, Mondadori, 1928, p. 241. [N.d.A.]
  3. Cfr. voce su Wikipedia
  4. Nella guerra civile spagnola.
  5. Cfr. voce su Wikipedia
  6. Cfr. voce su Wikipedia

Bibliografia

  • Paolo Alatri, Le origini del fascismo, Editori Riuniti, Roma, 1961.
  • Paolo Alatri, Mussolini, Tascabili economici Newton, Roma, 1995. ISBN 88-7983-812-1.

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