Marco Pola: differenze tra le versioni

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*Carissimo Pola, mi scusi davvero se con tanto ritardo Le scrivo per ringraziarLa del bellissimo libro ''Gli uccelli''. Del quale non ho apprezzato semplicemente la raffinata veste grafica, ma soprattutto i versi: certo il lettore trova necessariamente delle preferenze tra i vari «capitoli» – ma quel conta (mi sembra) è l'impegno del Poeta su un tema costruito che (ancora mi sembra) è il risultato di un'attenzione distribuita nel tempo e non di una scelta (per di così) esterna. Basterebbero, del resto, a testimoniare di questa autenticità non pochi momenti ella Sua precedente Opera. Qui si aggiunge, in buona parte delle poesie, una delicatezza (e una garbatissima ironia) di favola, che non mancherà (non avrà mancato) di catturare la simpatia dei lettori. ([[Giovanni Giudici]])
*Carissimo Pola, mi scusi davvero se con tanto ritardo Le scrivo per ringraziarLa del bellissimo libro ''Gli uccelli''. Del quale non ho apprezzato semplicemente la raffinata veste grafica, ma soprattutto i versi: certo il lettore trova necessariamente delle preferenze tra i vari «capitoli» – ma quel conta (mi sembra) è l'impegno del Poeta su un tema costruito che (ancora mi sembra) è il risultato di un'attenzione distribuita nel tempo e non di una scelta (per di così) esterna. Basterebbero, del resto, a testimoniare di questa autenticità non pochi momenti ella Sua precedente Opera. Qui si aggiunge, in buona parte delle poesie, una delicatezza (e una garbatissima ironia) di favola, che non mancherà (non avrà mancato) di catturare la simpatia dei lettori. ([[Giovanni Giudici]])
*Caro Pola, ho avuto ieri la sua antologia e la ringrazio. Per combinazione era da me [[Vanni Scheiwiller]]. Ho letto ieri sera e questa mattina, parecchie delle sue liriche. Alcune in dialetto mi sono parse tra le più belle. Quella che più mi è piaciuta, incomincia così: A na vita che brusa / come na fassina / de sarmentèi... E quella invocazione di chiusura me la sono presa per me, perché è valida per tutti i poeti «ma dal calor che vene dala sfiamada / signor, fa che no resta demò zendro! / Se nò, percòssa viver e brusar?». Caro Pola, forse non esiste quel «percòssa»: forse la fiamma è la stessa vita e solo sua la legge. Non v'è la fine oltre l'ardere, il fiammare. Noi possiamo solo farci l'augurio che qualche nostro verso susciti una favilla in altri. Che è quello che lei invoca. E io con lei. ([[Biagio Marin]])
*Caro Pola, ho avuto ieri la sua antologia e la ringrazio. Per combinazione era da me [[Vanni Scheiwiller]]. Ho letto ieri sera e questa mattina, parecchie delle sue liriche. Alcune in dialetto mi sono parse tra le più belle. Quella che più mi è piaciuta, incomincia così: A na vita che brusa / come na fassina / de sarmentèi... E quella invocazione di chiusura me la sono presa per me, perché è valida per tutti i poeti «ma dal calor che vene dala sfiamada / signor, fa che no resta demò zendro! / Se nò, percòssa viver e brusar?». Caro Pola, forse non esiste quel «percòssa»: forse la fiamma è la stessa vita e solo sua la legge. Non v'è la fine oltre l'ardere, il fiammare. Noi possiamo solo farci l'augurio che qualche nostro verso susciti una favilla in altri. Che è quello che lei invoca. E io con lei. ([[Biagio Marin]])
*Dopo il lungo labor nelle viscere del terreno dialettale, Pola ormai non può impunemente distaccarsene, e il felice reciproco stimolarsi di realtà e fantasia gli continua meglio in fioriture di lingua trentina. Così accade sia in «''Davanti a mi''» (1972), sia nel recente «''Na strada per encontrarse''» (1974), una gentile e partecipe serie di «cartoline» inviate ad amici poeti veneti, che si conclude con un atto di totale libertà, con un totale invito: «Liberi de pensar quel che volén – de lassar qualche segn che ne ricorda – o de finir en gnent – come 'n sofi de vent – che passa tra le fòie – dei àrboi – senza sbregarne una». ([[Andrea Zanzotto]])
*E anche se egli resta in parte un poeta dell'idillio, e che concede alla "provincia" qualcosa, se egli permane sostanzialmente legato alle sue origini radicate nel tempo fra le due guerre, in un'area vagamente intimistica se non ermetica (figura monologante su uno sfondo di monti impervi e pur cari, o, più di recente, figura dai lievi o sofferti colloqui in una qualche piazza della sua nobile città), la sua attenzione costante, ansiosa, verso gli apporti del mondo culturale, e insieme l'auscultazione della "memoria" della sua gente, introducono sempre nella sua opera un fermento che rompe le riaffioranti tentazioni della staticità, per aprire verso molteplici orizzonti. E impresa non da poco è stata anche il suo appassionato e sottile lavoro di investigazione concreta nelle possibilità espressive del dialetto di Trento: una parlata che ha le tipiche asprezze dei linguaggi di montagna, ma che tuttavia è alquanto addolcita da elementi "urbani". ([[Andrea Zanzotto]])
*E anche se egli resta in parte un poeta dell'idillio, e che concede alla "provincia" qualcosa, se egli permane sostanzialmente legato alle sue origini radicate nel tempo fra le due guerre, in un'area vagamente intimistica se non ermetica (figura monologante su uno sfondo di monti impervi e pur cari, o, più di recente, figura dai lievi o sofferti colloqui in una qualche piazza della sua nobile città), la sua attenzione costante, ansiosa, verso gli apporti del mondo culturale, e insieme l'auscultazione della "memoria" della sua gente, introducono sempre nella sua opera un fermento che rompe le riaffioranti tentazioni della staticità, per aprire verso molteplici orizzonti. E impresa non da poco è stata anche il suo appassionato e sottile lavoro di investigazione concreta nelle possibilità espressive del dialetto di Trento: una parlata che ha le tipiche asprezze dei linguaggi di montagna, ma che tuttavia è alquanto addolcita da elementi "urbani". ([[Andrea Zanzotto]])
*Eppure, Marco, che gioia leggere le tue pagine, le tue poesie. Per tua fortuna (anche nella vita, spero e mi auguro) con gli anni, sei diventato un saggio che capisce le cose a fondo, che non si fa troppe illusioni, eppure, appunto, si mette una specie di berretto a sonagli e si diverte e fa divertire. O meglio no: in questo verbo resta sempre l'idea di qualcosa di superficiale. Mentre in te non c'è niente che somiglia a questa roba. Hai conservato intatta la purezza di sentire, l'entusiasmo, l'amore per la natura, gli animali, le cose vive, che sono proprie di un ragazzo. Un saggio con l'anima di un ragazzo. Che manda al diavolo tutti i sublimi traguardi di certa conoscenza e continua a guardare il mondo, a goderlo nei suoi aspetti più vivi e vivificanti, ridendo, qualche volta bonariamente sghignazzando, delle tante pretese e finte tragedie dei saputi. C'è la sofferenza, certo, il male, il caos, ma c'è anche un cielo e una natura pieni di meraviglie. E allora perché chiudersi nel pozzo a disperarsi e non mettersi su un'altura, invece, o anche a una finestra e di lì, saper cogliere quanto di generoso, di vivo, di bello sa offrire una giornata? Come sempre, insomma, la tua poesia diventa una gioia nella lettura e, al tempo stesso, una lezione di vita, di equilibrio, di libera, spensierata saggezza. Grazie. Anche perché non mi succede spesso, neanche coi così detti grandi, troppo compresi e sicuri della loro grandezza, per avere le briosità rinfrescanti delle tue pagine. ([[Gino Gerola]])
*Eppure, Marco, che gioia leggere le tue pagine, le tue poesie. Per tua fortuna (anche nella vita, spero e mi auguro) con gli anni, sei diventato un saggio che capisce le cose a fondo, che non si fa troppe illusioni, eppure, appunto, si mette una specie di berretto a sonagli e si diverte e fa divertire. O meglio no: in questo verbo resta sempre l'idea di qualcosa di superficiale. Mentre in te non c'è niente che somiglia a questa roba. Hai conservato intatta la purezza di sentire, l'entusiasmo, l'amore per la natura, gli animali, le cose vive, che sono proprie di un ragazzo. Un saggio con l'anima di un ragazzo. Che manda al diavolo tutti i sublimi traguardi di certa conoscenza e continua a guardare il mondo, a goderlo nei suoi aspetti più vivi e vivificanti, ridendo, qualche volta bonariamente sghignazzando, delle tante pretese e finte tragedie dei saputi. C'è la sofferenza, certo, il male, il caos, ma c'è anche un cielo e una natura pieni di meraviglie. E allora perché chiudersi nel pozzo a disperarsi e non mettersi su un'altura, invece, o anche a una finestra e di lì, saper cogliere quanto di generoso, di vivo, di bello sa offrire una giornata? Come sempre, insomma, la tua poesia diventa una gioia nella lettura e, al tempo stesso, una lezione di vita, di equilibrio, di libera, spensierata saggezza. Grazie. Anche perché non mi succede spesso, neanche coi così detti grandi, troppo compresi e sicuri della loro grandezza, per avere le briosità rinfrescanti delle tue pagine. ([[Gino Gerola]])

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Marco Pola (1906 – 1991), poeta italiano.

Citazioni di Marco Pola[modifica]

  • Bisogna sfatare la leggenda che il poeta sia una persona che vive con la testa nelle nuvole. Oggi il poeta è integrato nella società come qualsiasi altro; è un lavoratore anche lui. Avrà il dono della grazia poetica, ma come il falegname ha il dono di fare le tavole in perfetto equilibrio. Sfatiamo dunque questa leggenda. Il poeta è un uomo che vive le vicende di tutti, che le sentirà un po' di più, che le avvertirà in tutte le sfumature, mentre un altro, non se ne accorge nemmeno. Ma non è un personaggio da leggenda, e non è neanche un uomo fuori dal mondo.[1]
  • Lo scrivere in dialetto, sia pure nel dialetto della terra natale, costituisce un impegno non da poco. Infatti, anche se i valori astratti dello spirito rimangono talora esclusi da un gioco poetico che sempre lega e circoscrive l'evento e la vicenda, i valori della memoria e gli impeti del cuore devono pur trovare nel contesto una loro presenza espressiva, definita in tutta pienezza...[2]
  • No gh'è gnènt de pu vera | dela vita de n'òm | che tribola coi altri sula tera.[3]
Non c'è niente di più vero della vita di un uomo che tribola con gli altri sulla terra

Gli uccelli[modifica]

Incipit[modifica]

Il lucherino

Quel palloncino verde che strillava
dall'alto dell'abete appena in fiore
col suo beccuccio all'aria, era il sapore
del bosco, l'uccelletto lucherino.

Strillò teneramente e poi fuggì
dall'intrico dei rami e fu un bagliore
di piume, un puntolino lontanissimo
nel cielo tremolante del mattino.

Citazioni[modifica]

  • Ora la siepe è muta. Chissà dove | ti celerai batuffolino inerme, | scricciolo scriccioletto. Re dei re. (da Lo scricciolo, p. 16)
  • Chi ti rapisce gli occhi del crepuscolo | quando il cielo si fa tenero, pieno | di nuvole vermiglie | ancorate alle cime lontanissime, | non son forse le rondini? (da Le rondini, p. 20)
  • Se le tarme croccanti lo vedessero! | Se gli insetti volanti lo sapessero! | Come farebbe il dolce pettirosso | a rimpinzare il nido? | Solo il pesco sa. Ma il pesco tace, | nell'afrore dell'orto che si gonfia | con tutte le sementi e le radici. (da Il pettirosso, p. 28)
  • Pioverà! Pioverà! | Se canta il cùculo, | l'acqua non è lontana. | Pioverà! Pioverà! (da Il cùculo, p. 40)
  • Messer colombo tutto flemma e spocchia | non ama che le piazze e le contrade | dove cammina e svola | indifferente al mondo. (da Il colombo, p. 48)
  • Non hai mai visto un corvo solitario | sulla punta di un albero? | Col suo piumaggio nero è come il simbolo | delle nebbie autunnali. Il corvo gracchia | le tristezze ancestrali della razza | condannata agli esilî, alle migrate | continue... (da Il corvo, p. 52)
  • L'ultimo sole arrotolò la luce | dorata e contro il cielo cupo | si profilò la sagoma | del grande uccello dalle lunghe zampe, | che guardava beato l'orizzonte. || Chi ha visto la cicogna? Chi l'ha vista | sul tetto, appollaiarsi nella sera, | nascondendosi il becco tra le penne? (da La cicogna, p. 58)
  • Che sorpresa un mattino la civetta, | raccolta nel suo manto fra i nodosi, | fitti groppi del gelso. Che sorpresa! | Pareva che l'avessero scolpita nel legno, come una statuetta. (da La civetta, p. 60)
  • Ma l'aquila regina, | più che assassina è madre. | Lo sanno gli aquilotti che ogni giorno | si sporgono dal nido, | sospirando tremanti il suo ritorno. (da L'aquila, p. 62)

Opera poetica[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Scominzia a piover. Taca a tonezar. | Se vede la Maranza col capèl. | Le nùgole le boie, le vòl nar. | E s'ciòca 'na frasèla sul pu bel. || Vardo la zènt. I scanpa su la strisa | del salesà, negadi fin al pè. | E dir che i poderìa star chì 'n camisa, | con tuti i busi e i pòrteghi che gh'è! || Lassè che 'l piova! L'acqua che ciapén | l'èi de la Val dei Mòcheni[4]e la ga | en bonodor de pégore e de fén, | de zìgole e de lardo fumegà. || Còssa volé de pù da 'n temporal... (da Temporal; in Le fize del sofà, p. 89)
  • Maria, sto persegar che è vegnù al mondo | cossì, senza saverlo, come ti, | sarà 'l pò quel'ossét che 'l Toni Róndola[5] | da matelòt l'aveva butta lì? | O èl forsi quel'insogni che se perde | lontan e che ò dovù desmentegar? | Chissà! Ma 'ntant fra le vaneze verde, | sotil come na pàia de forment, | fra i zighi dele pégore e del vent | Maria Lumeta è nat 'n persegar. (Da È nat en persegar; in Maria Lumeta e altre storie, p. 152)
  • A na vita che brusa | come na fassina | de sarmentèi | butada sule brase | del fogolar, | no gh'è rimedi. | La brusa e basta. | Ma dal calor che ven dala sfiamada, | signor fa che non resta demò zendro!| | Se nò percòssa viver e brusar? (da Parole; in Na strada per encontrarse, p. 308)
  • Noi che gavén la vita | e la passén ai altri | come se fussa 'n zòc, | noialtri, ma chi sente? | Viazadori del temp e del'amor, | i trasmisseri dele nòsse pene | secrete o zogadori e basta? || Signor, se te me scolti, | fa cascar 'n fil de luce | su sto mùcio de carne e de pensieri | che se nega pian piano entél so mar, | fra l'ansia de saver e la paura | de no capir percòssa che 'l gh'è al mondo. (da Cartoline de autun; in Veronica dei paesi, p. 315)
  • Vendo le mè poesie come brugne madure | apena tolte zo da la brugnara. | Le vendo a zeste, a sachi, a bène, a cari, | a treni, a bastimenti 'ntreghi, | finché ghe n'è, che i vegna pura | quei che ne vòl, le belle brugne fresche | ghe le dago anca a credito, | ma ades, perché doman l'è massa tardi, se fermerà 'l marcà, no i troverà che i pègoi... | Vendo le brugne! Vendo le brugne! (da Cartoline de autun; in Veronica dei paesi, p. 321)
  • Veronica, | ò vist ancora scrit sora i mureti | quel tò nome che rùdola 'nté la boca | come 'n bòmbo che no se desfa mai. || E ti sei contenta | de lézerlo, perché te sai | chi che l'à scrit e còssa | che 'l te ricorda. || E i è contenti anca i caradori | che torna dal mercà sul calar della sera. | No gh'è che i matelòti che no i sa, | che i ride e i ride | e forsi i finirà per scancelarlo. | Ma sora quei mureti, | ghe resterà su l'ombra del tò nome | forsi per sempre, e sarà come véderte, | come sentirte ancora fresca e zóvena. (da Cartoline de autun; in Veronica dei paesi, p. 322)
  • Al tò paés i ciàcera, Veronica, | come 'n tuti i paesi | del mondo. | Le ciàcere le gira | e te ghe sei en mèz, | i vèci i dis che te sei na strìa | per via dei zòveni | che te sospira, | e le done, Veronica, le done! | Quele le dis che bisogneria brusarte, | serarte l'us en facia | come a na cagna calda, | rognosa, e le matèle | le sbassa i òci, le diventa | rosse come le fragole | demò a pensar a ti. | Ma quando che te passi cole man sui fianchi | fra 'n coridor de ociàde e de silenzi, | te 'nipienissi 'l paés | e tase anca le róndole | per scoltar la tò voze cantarina | che rimbalza sui muri dele case, | sule porte serade, | dapertut, dapertut! (da Veronica dei paesi, p. 329)
  • Na porta che se daverze, | na porta che se sèra. | Come 'n libro smanzolà | da na pagina al'altra, | senza veder del tut quel gh'è dentro. || L'istes che no aver òci per vardarse, | nè parole da dirse, | nè brazzi longhi abastanza | per butàrsei ados. || Na porta che se daverze, | na porta che se sèra. | Come na lengua, 'n molinèl de fòch | che se 'mpizza de colp e pò se smorza. | E 'l temp che no 'l ga pu fisonomia. (da Le formighe del temp; in Veronica dei paesi, p. 333)
  • Le parole, | quele che da sècoi | continuen a dirne | ligandole una con l'altra | per far na drezza | dei nòssi penseri, | le à fenì de servirne, | no la ga pu la forza de convìnzerne. || Bisognerà 'nventarne dele altre | pu vere, pu precise se volén capirne | prima de nar per aria. || Dénteghe drìo! | Brusente le gramatiche bosiadre! | Fente 'n falò dei vèci vocabolari! | Zerchénte dentro dei noi, | pu 'n dentro che podén, | fra i nòssi patimenti, | fra le nòsse angosse, | magari fra i nòssi pecadi, ma zerchénte | Cristo! Zerchénte! || Ghe sarà pur qualcos, | qualche fil de speranza de trovarle! (da Le formighe del temp; in Veronica dei paesi, p. 336)

Poesie[modifica]

Incipit[modifica]

Tu sai di me ch'io sono un vagabondo smarrito
in una delle terre innumerevoli
che girano nel tuo cielo così lontano
e così bello Dio, nelle sere stellate.

Tu sai che il mio cuore è fremente,
impetuoso come l'acqua dei torrenti
che brilla gorgoglia e di sè fa schiuma
nelle cieche bordate contro la sponda inutile.

Citazioni[modifica]

  • Case, o case germogliate | come un pugno di sementi | sulle croste smisurate | di tutti i continenti! || Case a branco della pianura, | case sparse sulle colline, | case nude di pietra pura, | case candide di calcine. || Lividore di mattoni, | case azzurre case bionde, | coronate di bei balconi | rabbelliti di fiori e fronde; | case e case. Muri alti, | muri bassi, palizzate, | porte chiuse e spalancate | sulla polvere e sugli asfalti. || Tetti grigi inghirlandati | dai camini arsi dal vento | finestrelle in smarrimento | come gli occhi dei bimbi malati. || Tutto il mondo è pieno di case. | Ogni casa è tutta piena | d'allegria d'ansia di pena. | Case, case, case. O case! (Case, pp, 19-20)
  • Amici dell'ora fresca, | quando le belle sere | tornano, voi non tornate. || Dal mio cuore i vostri dolci nomi | salgono come dai campi il fiato | di terra pronta alla semente. || Odor di menta odor di rose | primaticce è nell'aria | gaia e limpida di maggio. || E l'Oste è là e ci aspetta, | e la chitarra è taciturna | come una donna che fu bionda. (Invito, p. 21)
  • Quando le belle sere | d'estivo lume sono invase, | dolce è bere nelle case | vinello malandrino di marasche. || Sotto la cenere calda e molle | senza bragia e senza lampo, | si rabbuffa il pan di campo. | Chi parla di tristezze? || Le tristezze sono morte. | La mano le interrò con le sementi. | Dio, pensa tu ai frumenti | per la nostra buona sorte! (da Terra, p, 28)
  • Come il carro che semina fili di fieno | semino la mia ombra sul terreno, | e non vedo che altissimo e giocondo | lo sfavillio delle costellazioni. (da Notturno, p. 41)
  • Era una stagione pallida | ch'io sognavo nei mattini grigi, | dimenticati, pieni di corvi. | Strana la casa: piangeva, | sopra i nidi vuoti delle rondini, | quando il sole abbagliò il cielo, | quando l'ora s'allungò come i germogli, | e per le vie del mondo | corse il piacere della vita. | Ohè! Ohè! | Tutti a cantare, sotto | la spuma bianca dei meli! || Tu venivi a cavallo, | sopra le nostre teste. (Primavera, p. 47)
  • Essere un ruscelletto limpido e saltellante | fra le piante e gli sterpi di una calda foresta, | dissetare gli uccelli e la biscia brigante | che sta ritta in agguato dondolando con la testa. || Consolare la pietra che si leviga e si sostiene | contro la cascatella a fiore del pantano, | rinfrescar la radice che viene | sotto la terra dal ceppo lontano. || Quando le foglie degli alberi, nella sera stringente, | si chiudono e s'incorniciano di luna e di umidore, | chiamare il vento a far secca la sorgente, | morir senza una lagrima di dolore. (Infiniti, pp. 58-59)

Explicit[modifica]

Fuggono le stagioni
nel gran tempo in ascolto.
Ogni stagione un volto
per le nostre consolazioni.

Chissà quale pena segreta
domina il loro moto,
o quale ordine ignoto
del loro padre pianeta.

Grandi uccelli in volo eterno
come le nubi, ansiosi
chissà di quali riposi:
primavera estate autunno inverno.

Citazioni su Marco Pola[modifica]

  • Anche scorrendo con un rapido sguardo le singole opere di Pola, ci si trova subito chiamati ad una serie di riscontri ed incontri, di antinomie felicemente risolte oppure lasciate in sospeso su quella terra di nessuno che sempre è la poesia al suo limite, là dov'essa esplora le proprie ragioni. E Pola non si è mai soffermato a lungo, ha sempre esplorato e camminato; gli anni sono stati per lui conferma ed insieme sorpresa. Egli ha saputo sempre "divagare" anche restando alle prese con una sua antichissima zona interiore, con un suo sillogismo o funzione dalle molte variabili. E ancora oggi sta interrogandosi, e le risposte, che non possono non essere interlocutorie, sono tuttavia felicemente produttive, nutrienti. La gravità della situazione si è accentuata, sempre più esponenziale si è fatta la minaccia contro l'uomo, o ciò che resta dell'uomo. Ma Pola ci insegna ancora, ci aiuta a scommettere ancora su una, pur vaga, luminosità, su un amore. Che è la poesia e più della poesia. (Andrea Zanzotto)
  • Carissimo Pola, mi scusi davvero se con tanto ritardo Le scrivo per ringraziarLa del bellissimo libro Gli uccelli. Del quale non ho apprezzato semplicemente la raffinata veste grafica, ma soprattutto i versi: certo il lettore trova necessariamente delle preferenze tra i vari «capitoli» – ma quel conta (mi sembra) è l'impegno del Poeta su un tema costruito che (ancora mi sembra) è il risultato di un'attenzione distribuita nel tempo e non di una scelta (per di così) esterna. Basterebbero, del resto, a testimoniare di questa autenticità non pochi momenti ella Sua precedente Opera. Qui si aggiunge, in buona parte delle poesie, una delicatezza (e una garbatissima ironia) di favola, che non mancherà (non avrà mancato) di catturare la simpatia dei lettori. (Giovanni Giudici)
  • Caro Pola, ho avuto ieri la sua antologia e la ringrazio. Per combinazione era da me Vanni Scheiwiller. Ho letto ieri sera e questa mattina, parecchie delle sue liriche. Alcune in dialetto mi sono parse tra le più belle. Quella che più mi è piaciuta, incomincia così: A na vita che brusa / come na fassina / de sarmentèi... E quella invocazione di chiusura me la sono presa per me, perché è valida per tutti i poeti «ma dal calor che vene dala sfiamada / signor, fa che no resta demò zendro! / Se nò, percòssa viver e brusar?». Caro Pola, forse non esiste quel «percòssa»: forse la fiamma è la stessa vita e solo sua la legge. Non v'è la fine oltre l'ardere, il fiammare. Noi possiamo solo farci l'augurio che qualche nostro verso susciti una favilla in altri. Che è quello che lei invoca. E io con lei. (Biagio Marin)
  • Dopo il lungo labor nelle viscere del terreno dialettale, Pola ormai non può impunemente distaccarsene, e il felice reciproco stimolarsi di realtà e fantasia gli continua meglio in fioriture di lingua trentina. Così accade sia in «Davanti a mi» (1972), sia nel recente «Na strada per encontrarse» (1974), una gentile e partecipe serie di «cartoline» inviate ad amici poeti veneti, che si conclude con un atto di totale libertà, con un totale invito: «Liberi de pensar quel che volén – de lassar qualche segn che ne ricorda – o de finir en gnent – come 'n sofi de vent – che passa tra le fòie – dei àrboi – senza sbregarne una». (Andrea Zanzotto)
  • E anche se egli resta in parte un poeta dell'idillio, e che concede alla "provincia" qualcosa, se egli permane sostanzialmente legato alle sue origini radicate nel tempo fra le due guerre, in un'area vagamente intimistica se non ermetica (figura monologante su uno sfondo di monti impervi e pur cari, o, più di recente, figura dai lievi o sofferti colloqui in una qualche piazza della sua nobile città), la sua attenzione costante, ansiosa, verso gli apporti del mondo culturale, e insieme l'auscultazione della "memoria" della sua gente, introducono sempre nella sua opera un fermento che rompe le riaffioranti tentazioni della staticità, per aprire verso molteplici orizzonti. E impresa non da poco è stata anche il suo appassionato e sottile lavoro di investigazione concreta nelle possibilità espressive del dialetto di Trento: una parlata che ha le tipiche asprezze dei linguaggi di montagna, ma che tuttavia è alquanto addolcita da elementi "urbani". (Andrea Zanzotto)
  • Eppure, Marco, che gioia leggere le tue pagine, le tue poesie. Per tua fortuna (anche nella vita, spero e mi auguro) con gli anni, sei diventato un saggio che capisce le cose a fondo, che non si fa troppe illusioni, eppure, appunto, si mette una specie di berretto a sonagli e si diverte e fa divertire. O meglio no: in questo verbo resta sempre l'idea di qualcosa di superficiale. Mentre in te non c'è niente che somiglia a questa roba. Hai conservato intatta la purezza di sentire, l'entusiasmo, l'amore per la natura, gli animali, le cose vive, che sono proprie di un ragazzo. Un saggio con l'anima di un ragazzo. Che manda al diavolo tutti i sublimi traguardi di certa conoscenza e continua a guardare il mondo, a goderlo nei suoi aspetti più vivi e vivificanti, ridendo, qualche volta bonariamente sghignazzando, delle tante pretese e finte tragedie dei saputi. C'è la sofferenza, certo, il male, il caos, ma c'è anche un cielo e una natura pieni di meraviglie. E allora perché chiudersi nel pozzo a disperarsi e non mettersi su un'altura, invece, o anche a una finestra e di lì, saper cogliere quanto di generoso, di vivo, di bello sa offrire una giornata? Come sempre, insomma, la tua poesia diventa una gioia nella lettura e, al tempo stesso, una lezione di vita, di equilibrio, di libera, spensierata saggezza. Grazie. Anche perché non mi succede spesso, neanche coi così detti grandi, troppo compresi e sicuri della loro grandezza, per avere le briosità rinfrescanti delle tue pagine. (Gino Gerola)
  • Si tratta di un approdo lirico di alta tensione quello delle ultime opere in italiano ma che contiene, e talvolta tocca, i pericoli dell'esternazione, della sazietà. E dopo questo volo di uccelli in cieli lucenti senza la mèta di un paradiso promesso, in esplosioni di fiori che cadono a grandi petali su volti dolcissimi di donna, l'autore avverte questi pericoli di scivolata e di caduta. E decide di tornare sulla terra: lo fa con una picchiata imprevedibile, con un mutamento, non immaginabile, di rotta, cambiando scenario, territorio, stile, linguaggio e perfino nome... (Renzo Francescotti)

Note[modifica]

  1. Da Tesi di laurea di Maria Elena Goller, Dattiloscritto, Università degli studi di Padova, Facoltà di lettere e filosofia, Anno accademico 1976-1977; Citato in Marco Pola, Opera poetica, La Finestra editrice, Trento, 2006, pp. XXXVII e 693
  2. Citato da Alessandro Franceschini; in Introduzione, Marco Pola, Opera poetica, La Finestra editrice, Trento, 2006, p. XXXII.
  3. Da Òmeni e pòpi; in Campanò, versi trentini con alcuni disegni di Guido Polo, Edizione fuori commercio, Grafiche Artigianelli, Trento, 1988, p.7.
  4. La Val dei Mòcheni, in Trentino, è un'isola linguistica germanofona di origine medievale. Cfr.voce su Wikipedia.
  5. Toni Róndola, ossia Antonio Rondine, è lo pseudonimo con cui Marco Pola ha firmato le sue prime opere in dialetto trentino. Vedi Alessandro Franceschini, Introduzione; in Marco Pola, Opera poetica, La Finestra editrice, Trento, 2006, p. XXXIX.

Bibliografia[modifica]

  • Marco Pola, Gli uccelli, Edizioni Manfrini, Calliano (TN), 1977.
  • Marco Pola, Il villaggio di carta Poesie scelte, A cura della Biblioteca comunale di Trento, con scritti di Nunzio Carmeni, Stefano Crespi, Maria Elena Goller, Luigi Menapace, Andrea Zanzotto, Comune di Trento, 1988.
  • Marco Pola, Opera poetica, a cura di Alessandro Franceschini, La Finestra editrice, Trento, 2006.
  • Marco Pola, Poesie, Xilografie di Remo Wolf, Vallecchi, Firenze, 1938.

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