Miguel de Cervantes: differenze tra le versioni

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====Anonimo====
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Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, coll'aggiunta di qualche piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso portando un vestito di rascia della più fina.
CAPITOLO I<br>

''Della condizione e delle operazioni del rinomato idalgo Don Chisciotte della Mancia.''<br>
Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, coll'aggiunta di qualche piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso portando un vestito di rascia della più fina.<br>
{{NDR|Miguel de Cervantes Saavedra, ''[https://www.liberliber.it/mediateca/libri/c/cervantes/don_chisciotte_della_mancia/pdf/cervantes_don_chisciotte_della_mancia.pdf La storia di don Chisciotte della Mancha]'', Edoardo Perino editore, Roma, 1888}}
{{NDR|Miguel de Cervantes Saavedra, ''[https://www.liberliber.it/mediateca/libri/c/cervantes/don_chisciotte_della_mancia/pdf/cervantes_don_chisciotte_della_mancia.pdf La storia di don Chisciotte della Mancha]'', Edoardo Perino editore, Roma, 1888}}


====Vittorio Bodini====
====Vittorio Bodini====
In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena quasi ogni sera, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore.
CAPITOLO I<br>
''Che tratta del grado sociale e delle abitudini<br>del famoso cavaliere don Chisciotte della Mancia.''<br>In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena quasi ogni sera, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore.<br>
{{NDR|Miguel de Cervantes, ''Don Chisciotte della Mancia'', traduzione di Vittorio Bodini, Einaudi Tascabili 1994. ISBN 8806126199}}


====Ferdinando Carlesi====
====Ferdinando Carlesi====
In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito. Qualcosa in pentola, più spesso vacca che castrato, quasi tutte le sere gli avanzi del desinare in insalata, lenticchie il venerdì, un gingillo il sabato, un piccioncino ogni tanto in più la domenica, consumavano tre quarti delle sue rendite; il resto se ne andava tra una casacca di castoro con calzoni e scarpe di velluto per le feste, e un vestito di fustagno, ma del più fino, per tutti i giorni.
CAPITOLO I<br>
''Il quale tratta della condizione e delle occupazioni del famoso gentiluomo Don Chisciotte della Mancia.''<br>
In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito. Qualcosa in pentola, più spesso vacca che castrato, quasi tutte le sere gli avanzi del desinare in insalata, lenticchie il venerdì, un gingillo il sabato, un piccioncino ogni tanto in più la domenica, consumavano tre quarti delle sue rendite; il resto se ne andava tra una casacca di castoro con calzoni e scarpe di velluto per le feste, e un vestito di fustagno, ma del più fino, per tutti i giorni.<br>
{{NDR|Miguel de Cervantes, ''Don Chisciotte della Mancia'', traduzione di Ferdinando Carlesi, Arnoldo Mondadori Editore, 1974}}


====Bartolomeo Gamba====
====Bartolomeo Gamba====
Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarti della sua rendita per mangiare più bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato intingolo di pecore mal capitate, lenticchie il venerdì, e qualche piccolo piccioncino di giunta le domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso, portando un vestito di rascia della più fina.
CAPITOLO PRIMO<br>
'''Le condizioni e le opere del rinomato idalgo don Chisciotte della Mancia'''<br>
Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarti della sua rendita per mangiare più bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato intingolo di pecore mal capitate, lenticchie il venerdì, e qualche piccolo piccioncino di giunta le domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso, portando un vestito di rascia della più fina.<br>
{{NDR|Miguel de Cervantes, ''Don Chisciotte della Mancia'', traduzione di [[Bartolomeo Gamba]], Edizioni "A Barion" della Casa per Edizioni popolari - S.A, Sesto San Giovanni (Milano), 1933}}


===Citazioni===
===Citazioni===

Versione delle 11:20, 9 dic 2019

Miguel de Cervantes Saavedra

Miguel de Cervantes Saavedra (1547 – 1616), scrittore spagnolo.

Citazioni di Miguel de Cervantes

  • Amore e desiderio sono due cose distinte: non tutto ciò che si ama si desidera, né tutto ciò che si desidera si ama.
Amor y deseo son dos cosas diferentes; que no todo lo que se ama se desea, ni todo lo que se desea se ama.[1]
  • Da un'altra nube sbucò il gran Lope
    poeta insigne che, in versi e in prosa,
    nessuno supera e nemmeno uguaglia.[2]
  • Dio benedica chi ha inventato il sonno, mantello che avvolge i pensieri di tutti gli uomini, cibo che soddisfa ogni fame, peso che equilibra le bilance e accomuna il mandriano al re, lo stolto al saggio.[3]
  • L'uomo è di fuoco, la donna di stoppa, il diavolo arriva e soffia.[4]
  • Le ingiurie sono sempre grandi ragioni per coloro che non ne hanno.[5]
  • Non c'è buon ragionamento che sembri tale quando è troppo lungo.[6]
  • Sii tardo di lingua e lesto d'occhio.
Sé lento con la lengua y rápido con el ojo.[7]
  • Brigida: [...] Solo l'altro giorno ho trovato per via un poeta, che di buonissima volontà e con molta cortesia mi regalò un sonetto sulla storia di Piramo e Tisbe, e me ne promise altri trecento in mia lode.
    Cristina: Meglio sarebbe stato per te incontrare un genovese che ti regalasse trecento reali.
    Brigida: Già, i genovesi sono in tale abbondanza e tanto facili da attirare, come falchi allo zimbello! Adesso poi, che sono tutti abbacchiati e mosci per il decreto!
    Cristina: Senti, Brigida, di una cosa ti dico che devi esser certa: che vale di più un genovese fallito che quattro poeti interi.[8]
  • Trenta monaci e il loro abate non possono far ragliare un asino contro la sua volontà.[4]
  • [Napoli] Gloria d'Italia e ancor del mondo lustro, madre di nobiltade e di abbondanza, benigna nella pace e dura in guerra.[9]

Attribuite

  • Nella bocca chiusa non entrano le mosche.
La citazione è presente in alcune traduzioni in lingua inglese del Don Chisciotte: «A close mouth catches no flies» (parte I, cap. 25); essa, però, non trova alcun riscontro nell'originale in lingua spagnola.
  • Non si possono prendere trote con i calzoni asciutti.
Proverbio spagnolo corrispondente all'italiano: «Chi vuole il pesce, bisogna che s'ammolli». In Don Chisciotte (parte II, cap. LXXI) è citato solo parzialmente: «No se toman truchas..., y no digo más».

Don Chisciotte della Mancia

Incipit

Anonimo

Viveva, non ha molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che tengono lance nella rastrelliera, targhe antiche, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarte parti della sua rendita per mangiare piuttosto bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato minuzzoli di pecore mal capitate, lenti il venerdì, coll'aggiunta di qualche piccioncino nelle domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso portando un vestito di rascia della più fina.

[Miguel de Cervantes Saavedra, La storia di don Chisciotte della Mancha, Edoardo Perino editore, Roma, 1888]

Vittorio Bodini

In un paese della Mancia, di cui non voglio fare il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono la lancia nella restrelliera, un vecchio scudo, un ossuto ronzino e il levriero da caccia. Tre quarti della sua rendita se ne andavano in un piatto più di vacca che di castrato, carne fredda per cena quasi ogni sera, uova e prosciutto il sabato, lenticchie il venerdì e qualche piccioncino di rinforzo alla domenica. A quello che restava davano fondo il tabarro di pettinato e i calzoni di velluto per i dì di festa, con soprascarpe dello stesso velluto, mentre negli altri giorni della settimana provvedeva al suo decoro con lana grezza della migliore.

Ferdinando Carlesi

In un borgo della Mancia, di cui non voglio ricordarmi il nome, non molto tempo fa viveva un gentiluomo di quelli con lancia nella rastrelliera, scudo antico, ronzino magro e can da séguito. Qualcosa in pentola, più spesso vacca che castrato, quasi tutte le sere gli avanzi del desinare in insalata, lenticchie il venerdì, un gingillo il sabato, un piccioncino ogni tanto in più la domenica, consumavano tre quarti delle sue rendite; il resto se ne andava tra una casacca di castoro con calzoni e scarpe di velluto per le feste, e un vestito di fustagno, ma del più fino, per tutti i giorni.

Bartolomeo Gamba

Viveva, or non è molto, in una terra della Mancia, che non voglio ricordare come si chiami, un idalgo di quelli che hanno lance nella rastrelliera, scudi antichi, magro ronzino e cane da caccia. Egli consumava tre quarti della sua rendita per mangiare più bue che castrato, carne con salsa il più delle sere, il sabato intingolo di pecore mal capitate, lenticchie il venerdì, e qualche piccolo piccioncino di giunta le domeniche. Consumava il resto per ornarsi nei giorni di festa con un saio di scelto panno di lana, calzoni di velluto e pantofole pur di velluto; e nel rimanente della settimana faceva il grazioso, portando un vestito di rascia della più fina.

Citazioni

  • 'Mi dica, Don Alvaro', disse Don Chisciotte, 'assomiglio in qualche modo al Don Chiosciotte di cui parla?'[10]
  • ... per effetto del dormir poco e leggere molto, gli si inaridì il cervello al punto che perse il senno.[11]

Prima parte

  • Così pensando, diresse verso il suo villaggio Ronzinante il quale, quasi sentisse il fiuto della sua stalla, cominciò a trottare di tanto buona voglia che pareva non toccasse la terra coi piedi. (IV; 2007)
  • Mi pare proprio di vederla ora, con quel viso che aveva, di qua il sole e di là la luna. (XII; 2007)
  • C'è chi passa tutte le ore della notte seduto al pie' di qualche quercia o dirupo, e lì, senza che abbia chiuso gli occhi lagrimosi, estatico e rapito nei suoi pensieri, il sole lo ha ritrovato la mattina; e c'è chi, senza dar posa né tregua ai sospiri, quando più arde l'ora di un pomeriggio estivo, steso sull'arena cocente, manda i suoi lamenti al cielo pietoso. (XII; 2007)
  • Ma, pur dato il caso che siano uguali le bellezze, non ne viene che abbiano ad essere uguali i desideri, perché non tutte le bellezze innamorano, essendovene di quelle che sono una gioia per gli occhi ma non soggiogano il cuore. (XIV; 2007)
  • È proprio vero, insomma, che ci vuole del tempo per arrivare a conoscere le persone, e che non c'è nulla di sicuro in questo mondo. (XV; 2007)
  • Tuttavia, ti faccio osservare, fratel mio Panza — replicò don Chisciotte — che non c'è ricordo cui il tempo non cancelli, né dolore a cui la morte non metta fine. (XV; 2007)
  • Sappi, Sancio, che un uomo non vale più d'un altro se non fa più d'un altro. (XVIII; 2007)
  • È il carattere naturale delle donne, questo — disse don Chisciotte: — disdegnare chi le ama e amare chi le aborrisce. (XX; 2007)
  • Chi ti vuol bene, ti fa piangere. (XX; 2007)
  • Dopo di questo, incontenente avverrà che ella figga gli occhi nel cavaliere e questi in quelli di lei e che l'uno sembri all'altro cosa più divina che umana e che, senza saper né come né perché, abbiano da rimaner presi e impigliati nella inestricabile rete amorosa, con tanto affanno dei loro cuori per non sapere come potersi parlare a fine di svelare le loro ansie e i loro sentimenti. (XXI; 2007)
  • Anzi io ho sentito dire — disse don Chisciotte, — che chi canta scaccia malinconia. (XXII; 2007)
  • Non si deve parlare di corda in casa dell'impiccato. (XXV; 2007)
  • Con la sua sparizione si addensò la notte della mia tristezza, tramontò il sole della mia gioia, rimasero senza luce gli occhi miei, senza più ragionare la mia mente. (XXVII; 2007)
  • Se le sue glorie Amor vende costose | Ha ragione ed il suo traffico è giusto, | Ché non ci sono gioie più preziose | Di quelle valutate dal suo gusto, | Ed è cosa evidente | Che non val ciò che poco costa o niente. (XLIII; 2007)
  • Ognuno è figlio delle sue azioni; e, perché uomo, posso ben diventar papa. (XLVII; 2007)

Seconda parte

  • Ognuno è come Dio l'ha fatto e spesso spesso è magari peggio. (IV; 2007)
  • Il miglior condimento che ci sia è la fame. (V; 2007)
  • Oh, invidia, radice di mali infiniti e tarlo delle virtù! (VIII; 2007)
  • Orbene, a tutto c'è rimedio meno che alla morte, sotto il giogo della quale tutti si deve passare, per quanto, quando la vita finisce, ci dispiaccia. Questo mio padrone ho visto da mille prove che è un matto da legare, e anche io, del resto, non gli rimango punto indietro, perché, se è vero il proverbio che dice «dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» e l'altro «non donde nasci, ma donde pasci», sono più matto di lui perché lo seguo e lo servo. (X; 2007)
  • Due soli lignaggi ci sono nel mondo, come diceva una mia nonna, cioè, l'avere e il non avere. (XX; 2007)
  • Predica bene chi vive bene. (XX; 2007)
  • Dio sopporta i cattivi, ma non poi sempre sempre. (XL; 2007)
  • Il sangue si eredita, ma la virtù si acquista, e la virtù vale di per sé quel che il sangue non vale. (XLII; 2007)
  • Abbi il passo lento, parla pacatamente, ma non in modo che paia che tu ascolti te stesso: ogni affettazione è cattiva. (XLIII; 2007)
  • [Sancho] [...] uscendo io di qua, da come ne esco, nudo, non occorre altra prova per far capire che ho governato da angelo. (LIII; 2007)
  • [Ultime parole] [...] prego vivamente i nominati signori esecutori testamentari che se la buona sorte li portasse a conoscere l'autore che si dice abbia composto una storia, la quale va attorno col titolo di Seconda parte delle prodezze di don Chisciotte della Mancia, gli chiedano da mia parte, il più fervidamente ch'esser possa, che perdoni se io, senza pur pensarlo, gli ho dato occasione di scrivere tante e tante scempiaggini quante in essa ne ha scritte, poiché parto da questa vita con lo scrupolo di avergli dato motivo a scriverle. (LXXIV; 2007)

Explicit

"Per me sola nacque don Chisciotte, ed io per lui; egli ha saputo oprare, ed io scrivere; noi soli siamo due in uno, nonostante e a dispetto del falso e tordesigliesco scrittore che si arrischiò o si arrischierà a scrivere con grossolana e spuntata penna di struzzo le imprese del mio valoroso cavaliere, perché non è peso per le sue spalle, né tema per il suo costipato ingegno; e anzi l'avvertirai, se mai ti capitasse di conoscerlo, che lasci riposare nella tomba le stanche e ormai marcite ossa di don Chisciotte, e non cerchi di portarlo, contro ogni diritto della morte, nella Vecchia Castiglia, tirandolo fuori dalla fossa in cui realmente e veramente giace, lungo lungo, nell'impossibilità di fare una terza spedizione e una nuova uscita; che per farsi beffa di tutte quelle che fecero quei cavalieri erranti, son sufficienti le due che fece lui, con tanto spasso e consenso delle genti che ne hanno avuto notizia sia in questi che negli stranieri regni. E con ciò terrai fede alla tua cristiana professione, consigliando bene chi ti vuol male, e io resterò soddisfatto e fiero d'essere stato il primo a godere per intiero i frutti dei suoi scritti, come volevo, che altro non è stato il mio intento che quello di far odiare dagli uomini le bugiarde e assurde storie dei libri di cavalleria, che ad opera di quelle del mio autentico don Chisciotte van barcollando, e finiranno per cadere del tutto, senza alcun dubbio." Vale

[Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Vittorio Bodini, Einaudi Tascabili 1994. ISBN 8806126199]

Citazioni sul Don Chisciotte della Mancia

  • Ci troviamo di fronte a un interessante fenomeno: un eroe letterario che gradualmente perde contatto col libro che l'ha prodotto; che abbandona la patria, che abbandona lo scrittoio del suo autore per vagabondare nell'universo dopo aver vagabondato per la Spagna. In definitiva, don Chisciotte è più grande oggi di quanto lo fosse nel grembo di Cervantes. Ha cavalcato per trecentocinquanta anni nelle giungle e nelle tundre del pensiero umano – guadagnando in vitalità e statura. Non ridiamo più di lui. Il suo blasone è la pietà, il suo vessillo la bellezza. L'unica cosa che conta è il suo essere gentile, generoso, puro, solitario e valoroso. La parodia è diventata pietra di paragone. (Vladimir Nabokov)
  • I sogni discesi nella storia e nella politica producono violenze, guerre e regimi dispotici. Questa è in fondo la differenza fra Don Chisciotte e Che Guevara, uno degli ultimi miti politici, il cui sogno fece prigionieri e vittime lungo la strada, nemici, traditori e dissidenti, campesinos, per concludersi con la sua stessa uccisione. (Marcello Veneziani)
  • L'essenziale è non morire. Non morire! Non morire! Questa è l'ultima radice della follia chisciottesca. Ansia di vita, ansia di vita eterna ti dette l'immortalità. Don Chisciotte mio, il sogno della tua vita fu ed è il sogno di non morire. (Miguel de Unamuno)
  • La disgrazia di Don Chisciotte non è la sua fantasia, è Sancho Pancia. (Franz Kafka)
  • La più rude lettura che io conosca; lo lessi nelle ferie estive e tutta la mia sofferenza personale mi sembrò ne fosse impicciolita, degna tutt'al più che se ne ridesse. (Friedrich Nietzsche)
  • Un plotone di Don Chisciotte farebbe paura; invece un Cavaliere solitario e anacronistico, fuor di senno e di tempo, accompagnato solo dal suo fido scudiero e da un grappolo di sogni, miti e allucinazioni suscita un nugolo di sentimenti: riso, tenerezza pietà e nostalgia. La solitudine è la sua follia ma è anche la nostra salvezza. Il suo irrealismo cavalleresco lo destina alla sconfitta storica e alla gloria letteraria. In palio per Don Chisciotte non c'è la conquista del potere e il dominio del mondo, ma il favore di Dulcinea del Toboso e dei suoi ammiratori. (Marcello Veneziani)
  • Lodato sia don Chisciotte! Che seppe con tanto anticipo di secoli riconoscere un furibondo gigante sotto la maschera di un innocente mulino. (Gesualdo Bufalino)
  • Poche le opere tanto generose come il Don Chisciotte. Si direbbe che vi sono libri ingrossati dalla cupidigia e libri ingranditi dalla generosità. Senza alcun dubbio, il Don Chisciotte è tra questi ultimi; si estende per pagine e pagine, ma non per fare con esse un libro, bensì per disfarlo, proprio perché non sia un libro, per far sì che la letteratura, in esso, resti spezzata, sorpassata, tralasciata. Perché il Don Chisciotte è scritto non già contro i libri di cavalleria – quale errore! – ma contro i libri, contro il libro, così come il quadro Las Meninas fu dipinto contro i quadri, anzi, contro la pittura. (Ramón Gaya)

Il dottor Vetrata

Incipit

Passeggiando due studenti di signorile casata sulle rive del Tórmes, vi trovarono a dormire sotto un albero un ragazzo di un undici anni, vestito alla contadina. Ordinato a un servo di svegliarlo, quello lo svegliò, ed essi gli domandarono di dov'era e com'era che dormiva in quel luogo solitario. Al che il ragazzo rispose che il nome del suo paese se l'era dimenticato e che andava a Salamanca in cerca di un padrone da servire a patto soltanto che lo facesse studiare.[12]

Citazioni

  • Alla fine, esausti per le veglie, fradici e con le occhiaie, giunsero alla bellissima e splendida città di Genova e qui, dopo essere sbarcati nella sua darsena riparata e dopo aver fatto visita ad una chiesa, il capitano e tutta la brigata ripararono in un'osteria dove annebbiarono il ricordo di tutte le burrasche passate con il gaudeamus presente. [...] Il buon Tomás ebbe modo di ammirare anche i biondi capelli delle genovesi, l'eleganza e la cortesia degli uomini, l'ammirevole bellezza della città che sembrava avere le case incastonate su per quelle rocce come diamanti nell'oro. (2002; pp. 237-238)
  • C'era sul marciapiede di San Francesco un crocchio di genovesi e, passando egli di là, uno di loro lo chiamò e gli disse:
    – Venga qua, signor Vetrata, e ci conti un po' qualcosa.
    Egli rispose:
    – No, non vorrei che i miei conti venissero poi registrati a Genova. (2002; p. 256)

Incipit di alcune opere

Il geloso dell'Estremadura

Non sono molti anni che da un paese dell'Estremadura se ne partí un gentiluomo, nobile di nascita, che, come nuovo figliuol prodigo, per diverse parti di Spagna, d'Italia e delle Fiandre andò consumando e anni ed averi; finché, dopo tante peregrinazioni, morti ormai i genitori e scialacquato il patrimonio, venne a stabilirsi nella grande città di Siviglia dov'ebbe occasione davvero bastevole per dar fondo a quel poco che egli era rimasto.[12]

La zingarella

Zingari e zingare pare che siano nati, in questo mondo, soltanto per esser ladri: nascono da genitori ladri, crescono in mezzo ai ladri, studiano da ladri e riescono infine a esser ladri fatti e finiti di tutto punto.[13]

Rinconete y Cortadillo

Nella locanda del Mulinello, che è al confine della gran bella pianura di Alcudia sulla strada che dalla Castiglia va in Andalusia, un ardente giorno d'estate si trovarono, per caso, due ragazzotti tra i quattordici e i quindici anni al massimo, non piú di diciassette né l'uno né l'altro; tutti e due di bello aspetto, ma nelle vesti molto sdruciti, sbrindellati e logori. Cappa, neppur per idea; i calzoni di tela e le calze di ciccia. C'erano però, in compenso, le scarpe: di sparto quelle dell'uno, rifinite dal portarle; traforate quelle dell'altro, senza suola; cosí che lo impacciavano piú che lo calzassero. L'uno aveva in capo una berretta verde da cacciatore, l'altro un cappello senza nastro, basso di forma e a falde larghe. Sulla spalla, l'uno portava una camicia di color camoscio, insaldata e tutta insaccata in una manica, a tracolla; l'altro camminava disimpacciato, senza bisacce; quantunque dal petto sporgesse un gran fagotto che, come si vide poi, era un collare di quelli che chiamano «alla vallona» inamidato ma di grasso, trapunto e ragnato che pareva tutto filacce. C'era involto e serbato un mazzo di carte da gioco, di figura ovale; giacché, con l'uso, gli angoli si erano sgualciti, ma, perché durassero di piú, erano stati ritagliati ed erano state lasciate in quella forma.[12]

Note

  1. Da La Galatea.
  2. Da Viaggio in Parnaso. Citato in José López Rubio, Lope de Vega, traduzione di Gianni Buttafava, Mondadori, 1973.
  3. Citato in Selezione dal Reader's Digest, giugno 1973
  4. a b Da Novelle esemplari
  5. Citato in G. B. Garassini e Carla Morini, Gemme, classe 5 maschile, Sandron, Milano [post. 1911].
  6. Da Los trabajos de Persiles y Sigismunda
  7. Citato in Pedro Salinas, Mateo Diez, Editorial J. Campodónico, 2002, p. 30. ISBN 9789972729416
  8. Da Il falso Biscaglino, in Farse spagnole del Secolo d'oro, traduzione di Cesco Vian, Istituto Geografico de Agostini, Novara, 1965, p. 146
  9. Citato in Renato de Falco, Del parlar napoletano, p. 85, Colonnese, Napoli, 2007 [1997]. ISBN 978-88-87501-77-3
  10. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 81. ISBN 9788858024416
  11. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 80. ISBN 9788858024416
  12. a b c Da Novelle, 1912.
  13. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

  • Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Bartolomeo Gamba, Edizioni "A Barion" della Casa per Edizioni popolari – S.A, Sesto San Giovanni (Milano), 1933.
  • Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia (El ingenioso hidalgo don Quijote de la Mancha), traduzione di Vittorio Bodini, Einaudi Tascabili, 1994. ISBN 8806126199
  • Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Ferdinando Carlesi, Arnoldo Mondadori Editore, 1974.
  • Miguel de Cervantes, Don Chisciotte della Mancia, traduzione di Alfredo Giannini, Rizzoli, Milano, 2007.
  • Miguel de Cervantes Saavedra, La storia di don Chisciotte della Mancha, Edoardo Perino editore, Roma, 1888.
  • Miguel de Cervantes, Il dottor Vetrata, in Novelle esemplari, traduzione di Paola Gorla, Einaudi, Torino, 2002. ISBN 88-06-16206-3
  • Miguel de Cervantes, Novelle, traduzione di Alfredo Giannini, Laterza, Bari, 1912.

Voci correlate

Altri progetti

Opere

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