Thomas Mann: differenze tra le versioni

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*Ciò che vedeva era soltanto questo: [[comicità]] e [[miseria]], comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l'orgoglio della conoscenza, venne la [[solitudine]], perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva. (1970)
*Ciò che vedeva era soltanto questo: [[comicità]] e [[miseria]], comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l'orgoglio della conoscenza, venne la [[solitudine]], perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva. (1970)
*Perché quello che si dice non può mai, in nessun caso, essere la cosa più importante, bensì null'altro che la materia, indifferente di per sé, dalla quale si deve ricavare, in un composto dominio di gioco, l'immagine estetica. (1970)
*Perché quello che si dice non può mai, in nessun caso, essere la cosa più importante, bensì null'altro che la materia, indifferente di per sé, dalla quale si deve ricavare, in un composto dominio di gioco, l'immagine estetica. (1970)
*Se quello che avete da dire vi preme troppo, se il vostro cuore palpita con troppo slancio a suo riguardo, allora potete esser certa di un fiasco completo.
*Se quello che avete da dire vi preme troppo, se il vostro cuore palpita con troppo slancio a suo riguardo, allora potete esser certa di un fiasco completo.<br>Cadrete nel patetico, ne sentimentale; qualcosa di pesante, di goffamente serio, di non dominato, non ironico, scipito, noioso, banale uscirà dalle vostre mani, e per concludere non otterrete che indifferenza tra il pubblico e delusione e desolazione in voi stessa... (1970)
Cadrete nel patetico, ne sentimentale; qualcosa di pesante, di goffamente serio, di non dominato, non ironico, scipito, noioso, banale uscirà dalle vostre mani, e per concludere non otterrete che indifferenza tra il pubblico e delusione e desolazione in voi stessa... (1970)
*Le opere di valore nascono soltanto sotto il premere di una vita cattiva e [...] chi vive non lavora e [...] per essere perfetti creatori bisogna essere morti.
*Le opere di valore nascono soltanto sotto il premere di una vita cattiva e [...] chi vive non lavora e [...] per essere perfetti creatori bisogna essere morti.
*Un [[artista]], nel suo intimo, è sempre un avventuriero. (1970)
*Un [[artista]], nel suo intimo, è sempre un avventuriero. (1970)

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Medaglia del Premio Nobel
Medaglia del Premio Nobel
Per la letteratura (1929)
Thomas Mann

Paul Thomas Mann (1875 – 1955), scrittore e saggista tedesco.

Citazioni di Thomas Mann

  • Chi non è artista si trova di fronte a un quesito molto imbarazzante, se gli si chiede fin dove l'artista prenda sul serio ciò che per lui dovrebbe essere, e sembra essere, la cosa più seria; quanto prenda sul serio se stesso e quanto invece sia scherzo, celia o mascherata.[1]
  • Collocare sul medesimo piano morale il comunismo russo e il nazifascismo in quanto entrambi sarebbero totalitari, nel migliore dei casi è superficialità, nel peggiore è fascismo. Chi insiste su questa equiparazione può ben ritenersi un democratico, in verità e nel fondo del cuore è in realtà già fascista, e di certo solo in modo apparente e insincero combatterà il fascismo, mentre riserverà tutto il suo odio al comunismo.[2]
  • Dove ci sono io, c'è la cultura tedesca.[3]
Wo ich bin, ist die Deutsche Kultur.
  • Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni.[4]
  • Il blocco non parteggia per lo scultore, è contro di lui.[5]
  • Il mio atteggiamento democratico non è perfettamente sincero, è solo una reazione irritata all'irrazionalismo dei tedeschi, alle loro profondità fasulle e al fascismo in genere, che non riesco proprio a sopportare. Ho sempre sentito che, al tempo della mia ostinazione reazionaria, nelle Considerazioni di un impolitico ero stato molto più interessante e lontano dalla banalità.[6]
  • L'incompleta comprensione di se stesso, il non ammettere che il suo amore non era per nulla più sublime, ma un amore come tutti gli altri, se pure – almeno al tempo suo – con più scarse possibilità di felice esaudimento, questo equivoco insomma lo spinse all'ingiustizia, all'insanabile amarezza, all'esacerbato rancore per il dispregio e la durezza in (sic) cui la sua ardente dedizione si scontrava quasi ad ogni momento ed esso ha parte evidentissima nel suo risentimento contro la Germania e contro tutto ciò che è tedesco, e finì per spingerlo all'esilio ed alla morte solitaria.[7]
  • Il tempo è un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori, più saggi, più maturi, più perfetti.[8]
  • Il vero principio artistico è la riserva.[9]
  • La capacità di godere richiede cultura, e la cultura equivale poi sempre alla capacità di godere.[10]
  • L'artista è l'ultimo a farsi illusioni a proposito della sua influenza sul destino degli uomini [...]. L'arte non è una forza, è soltanto una consolazione.[11]
  • La giustizia non è ardore giovanile e decisione energica e impetuosa: giustizia è malinconia.[12]
  • La musica dodecafonica è un abile tentativo di ridare ordine e norma alla musica, che va dissolvendosi nell'arbitrio soggettivo. Essa vuole oggettività e composizione rigorosa.[13]
  • Le parole grosse, trite come sono, non si addicono molto a esprimere le cose straordinarie; vi si riesce meglio sublimando quelle piccole, portandole al culmine del loro significato.[14]
  • L'uomo ha tendenza a considerare la sua condizione del momento, sia essa serena o intricata, tranquilla o appassionata, come quella vera, caratteristica e duratura della sua esistenza, e soprattutto a elevare immediatamente, nella sua fantasia, ogni felice ex tempore a bella regola e inviolabile consuetudine, mentre in realtà è condannato a improvvisare e a vivere, dal punto di vista morale, alla giornata.[15]
  • Noi cammineremo insieme, la mano nella mano, anche nel regno delle ombre.[16]
  • «Non è europeo», disse scuotendo la testa.
    «Non è europeo, signor Fischer? E perché?»
    «Non capisce niente delle grandi idee umane.»[17]
  • Se ho firmato la "petizione di Stoccolma contro la bomba atomica", l'ho fatto perché mi fu presentata non come azione comunista, ma prettamente umanitaria. L'hanno sostenuta molti non comunisti, convinti della necessità di conservare la pace. È abominevole che si avvilisca la parola "pace" facendone la parola d'ordine del Partito Comunista.[13]

Federico e la grande coalizione

  • Tutto il realismo psicologico di questo ritratto di un re, infatti, che fece sembrare allora il saggio quasi un libello denigratorio (e qualche stupido lo ha veramente considerato tale), non riesce a eliminare o per lo meno nascondere la sua tendenza guerrafondaia e la continua allusione al «giorno e all'ora» del 1914. Sia pure. Voglio concedere al pezzo il posto cronologico e autobiografico che gli compete in questo volume.
    Sembra però che l'istinto politico, una volta che sia stato violentemente risvegliato alla pura follia, come accadde a me per gli sconvolgimenti degli anni 1914-1918, riacquisti subito un equilibrio con la personale intelligenza. Ad ogni modo io ho intuito con tormentosa chiarezza il terribile pericolo con cui ciò che si denominava nazionalsocialismo minacciava la Germania, l'Europa e il mondo; questo subito, all'epoca in cui il mostro si sarebbe potuto annientare facilmente. Proprio allora io mi opposi ad esso, con consapevoli ammonizioni, quando, mascherato come culto del profondo, rivoluzione conservatrice e nobile oscurantismo spirituale, preparava il cammino alla catastrofe. (premessa alla ristampa del 1953, p. 4)
  • Poiché però tempo e spazio protestano a gran voce che noi, in questo saggio sulla genesi di una guerra di cui oggi viviamo la ripetizione e la continuazione, vogliamo incominciare dalle più profonde origini, diamoci una scrollatine e iniziamo dalla «grande diffidenza», la profondamente radicata e, se vogliamo essere giusti, abbastanza fondata diffidenza del mondo nei confronti di Federico II di Prussia. (p. 5)
  • Proprio "lui" dimostrò cosa fosse in realtà il dispotismo: prima non se ne aveva avuto un concetto ben definito e, per completare il significato del termine, doveva arrivare un re in grado di lavorare come lui. Egli creò però anche una varietà di dispotismo: era il despota illuminato, in quanto i suoi sudditi potevano pensare e dire ciò che volevano, purché lui, da parte sua, potesse fare ciò che voleva, e questo era un accordo proficuo per entrambe le parti, come si fu costretti ad ammettere. Le religioni non avevano importanza, dato che le disprezzava. Nei suoi stati gli atei perseguitati trovarono non solo asilo, ma anche impieghi ufficiali. Non si curava delle satire, degli scritti denigratori e dei libelli indirizzati contro di lui; non temeva lo spirito perché, finché esso era innocuo, sapeva trovare un giusto equilibrio fra amore e disprezzo. Quando sentì parlare di un suddito tendenzialmente critico, chiese:
    «Ha centomila uomini? Se no, cosa volete che me ne preoccupi!». (p. 21)
  • Federico scrisse l'Antimachiavelli, ma non si trattava di ipocrisia, era semplicemente letteratura. Amava l'umanesimo, la ragione, la secca chiarezza — un amore problematico, derivato dagli elementi demoniaci e utilitari riuniti in lui. Così amava Voltaire, il figlio dello spirito, il padre dell'illuminismo e di ogni cultura antieroica. Baciava la mano magra che scriveva: «Odio tutti gli eroi», ed egli stesso faceva dell'ironia sulla guerra dei sette anni con le parole «debolezze eroiche». Metteva però anche nero su bianco: se avesse voluto punire una provincia, l'avrebbe fatta governare da letterati; il suo illuminismo era così superficiale, che se ne sentiva immune. Quando poi vuole chiarire il vero motivo che lo ha indotto a scambiare la dolce quiete di una vita dedita alla letteratura con i tremendi sforzi ed i sanguinosi orrori della guerra, parla in generale di un «segreto istinto». Ciò che egli definisce in questo modo era più forte della letteratura: diresse le sue azioni e decise della sua vita; ed è un concetto tipicamente tedesco che questo istinto segreto, questo elemento demoniaco fosse in lui sovrumano: era la forza del destino, lo spirito della Storia.
    In fondo era una vittima. Egli pensava ad ogni modo di essersi sacrificato: nella giovinezza per il padre e nella maturità per lo Stato. Ma sbagliava se pensava che sarebbe stato libero di agire diversamente. Era una vittima. Doveva agire ingiustamente e vivere contrariamente al pensiero; non gli fu concesso di essere un filosofo, ma dovette fare il re, perché un grande popolo compisse la sua missione nel mondo. (pp. 77 sg.)

Giuseppe il nutritore

Citazioni

  • Il nostro essere è solo il punto di incidenza tra il non essere e il sempre essere, e la nostra esistenza temporale è solo il mezzo attraverso cui l'eternità si manifesta.
  • L'inferno è per i puri; questa è la legge del mondo morale. Esso è infatti per i peccatori, e peccare si può soltanto contro la propria purezza. Se si è una bestia, non si può peccare e non si sente nulla di un inferno. Così è stabilito, e certamente l'inferno è tutto popolato soltanto da gente per bene, il che non è giusto; ma che cos'è mai la nostra giustizia!
  • Spiare nelle alcove è al di sotto della dignità di colui che sta narrando questa storia.[18]

I Buddenbrook

Incipit

Anita Rho

– Com'è...? com'è...?
– Eh, diavolo, c'est la question, ma très chère demoiselle!
La moglie del console Buddenbrook, seduta accanto alla suocera sul sofà rettilineo laccato di bianco e adorno di una testa di leone dorata, con i cuscini ricoperti di stoffa giallo-chiara, gettò un'occhiata al marito nella poltrona al suo fianco e venne in aiuto alla figlioletta, che il nonno teneva sulle ginocchia, presso la finestra.

[Thomas Mann, I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia, introduzione di Cesare Cases, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino, 2002. ISBN 8806128760]

Furio Jesi e Silvana Speciale Scalia

«Come si dice?... Come... Si dice...»
«Eh, diavolo, c'est la question, ma très chère demoiselle!»
La moglie del console Buddenbrook, di fianco a sua suocera sul sofà dalle linee rigide, laccato di bianco e ornato da una testa di leone dorata, l'imbottitura rivestita di stoffa giallo-chiara, gettò un'occhiata al marito che le sedeva vicino su una poltroncina, e venne in soccorso a sua figlia, che il nonno teneva sulle ginocchia presso la finestra.

[Thomas Mann, I Buddenbrook: decadenza di una famiglia, traduzione di Furio Jesi e di Silvana Speciale Scalia, Garzanti, 1995.]

Citazioni

  • Figliuol mio, attendi con zelo ai tuoi negozi durante il giorno, ma concludi soltanto quegli affari che ti consentano di riposare tranquillo la notte. (Johann Buddenbrook, fondatore della ditta; 2002)
  • [A Tony Buddenbrook] Perché si tratta del principio, capisce, dell'istituzione! Ecco che non sa piú cosa ribattere... Ma come? Basta che uno sia venuto al mondo, per essere un patrizio, un eletto... uno che guarda noi altri dall'alto in basso... noi che con tutti i nostri meriti non possiamo elevarci fino a lui?...
    [...]
    Noi, la borghesia, il terzo stato, come ci hanno chiamati finora, vogliamo che ci sia soltanto un'aristocrazia del merito, non riconosciamo piú la nobiltà corrotta, neghiamo l'attuale diversità dei ceti... vogliamo che tutti gli uomini siano liberi e uguali, che nessun individuo sia soggetto a un altro, ma che tutti siano soggetti soltanto alle leggi!... Bisogna abolire i privilegi e gli arbitrî!... Tutti debbono essere figli dello Stato, con uguali diritti, e come non esistono intermediari fra i laici e Iddio, cosí anche il cittadino dev'essere con lo Stato in rapporti diretti... Vogliamo la libertà di stampa, di mestiere, di commercio... Vogliamo che tutti gli uomini, senza privilegi, possano gareggiare fra loro, e il merito abbia il suo premio!... (Morten Schwarzkopf: III, VIII; 2002, pp. 125-126)
  • [In una lettera] Infatti, sebbene la parola parlata possa agire in modo piú vivo e immediato, la parola scritta ha il privilegio di venir scelta e pesata con calma, di rimaner fissata sulla carta, e, in quella forma ben calcolata e ponderata dallo scrivente, può esser letta e riletta ed esercitare un'azione costante. (Johann Buddenbrook: III, X; 2002, p. 134)
  • [A Tony Buddenbrook, in una lettera] Mia cara figlia, noi non siam nati per quella che con vista miope consideriamo la nostra piccola, personale felicità, perché non siamo esseri staccati, indipendenti e autonomi, ma anelli di una catena; e, cosí come siamo, non saremmo pensabili senza la serie di coloro che ci hanno preceduti e ci hanno indicato la strada, seguendo da parte loro rigidamente e senza guardare a destra o a sinistra, una tradizione provata e veneranda. La tua via, a mio parere, è già chiaramente e nettamente tracciata da parecchie settimane, e non saresti mia figlia, non saresti nipote di tuo nonno che riposa in Dio, non saresti addirittura un degno membro della nostra famiglia se pensassi sul serio, tu sola, di seguire con caparbietà e sventatezza una tua strada irregolare e arbitraria. (Johann Buddenbrook: III, X; 2002, p. 134)
  • Ma io non voglio dimenticare! Dimenticare... è forse un conforto? (Tony Buddenbrook: III, XII; 2002, p. 142)
  • Oh Bethsy, [Tony Buddenbrook] è contenta di sé; questa è la felicità piú certa che si possa raggiungere sulla terra. (Johann Buddenbrook: III, XIV; 2002, p. 150)
  • Uomo non educato dal dolore riman sempre bambino![19] (Siegismund Gosch: IV, III; 2002, p. 167)
  • L'ordine, ho detto! Non son neanche state accese le lampade... Mi pare che vada troppo in là questa rivoluzione. (Johann Buddenbrook: IV, III; 2002, p. 176)
  • – Oh Dio! – esclamò [Tony Buddenbrook] a un tratto, e ricadde sul suo sedile. Solo in quel momento aveva afferrato tuttò ciò che la parola «bancarotta» implicava, il senso vago e terribile che fin dall'infanzia le aveva inspirato. «Bancarotta»... era una cosa piú atroce della morte, era disordine, crollo, rovina, vergogna, scandalo, disperazione e miseria. (IV, VII; 2002, p. 196)
  • Chi sta bene non si muove. (VII, V; 2002, p. 383)
  • Si ha l'età che si sente di avere... (Thomas Buddenbrook, VII, VI; 2002, p. 392)
  • Ho tanto pregustato queste gioie, ma come sempre, l'immaginarsele è stato la parte migliore, perché il bene arriva sempre troppo tardi, diventa realtà troppo tardi, quando non si è piú capaci di goderne...
    [...]
    E quando il bene che si è desiderato giunge, lento e tardivo, è accompagnato da piccinerie, contrarietà, fastidi, carico di tutta la polvere della realtà, che la fantasia non aveva previsto, e che irrita, urta... (Thomas Buddenbrook: VII, VI; 2002, p. 392)
  • Che cos'è il successo? Una forza segreta e indefinibile, chiaroveggenza, prontezza, la convinzione di influire sui moti della vita col solo fatto della nostra esistenza... La fede nell'arrendevolezza della vita in nostro favore... Fortuna e successo sono in noi; bisogna tenerli saldamente, intimamente. (Thomas Buddenbrook: VII, VI; 2002, p. 392)
  • [...] una proposta ci agita e ci manda in collera solo quando non ci sentiamo ben sicuri di saperla respingere, e siamo segretamente tentati di accettarla. (Tony Buddenbrook: VIII, II; 2002, p. 419)
  • Che cos'era dunque, egli tornava a chiedersi: un uomo pratico o un languido sognatore?
    Ah, questa domanda se l'era posta mille volte, e nei momenti di forza e di sicurezza aveva risposto in un modo, nei momenti di stanchezza in un altro. Ma era troppo onesto e sagace per non confessare infine a se stesso la verità, e cioè ch'egli era un miscuglio d'entrambi. (VIII, IV; 2002, p. 431)
  • I medici non sono al mondo per facilitare la morte ma per conservare a qualunque prezzo la vita. (IX, I; 2002, p. 518)
  • La morte era [per Thomas Buddenbrook] una felicità cosí grande che solo nei momenti di grazia, come quello, la si poteva misurare. Era il ritorno da uno sviamento indicibilmente penoso, la correzione di un gravissimo errore, la liberazione dai piú spregevoli legami, dalle piú odiose barriere... il risarcimento di una lacrimevole sciagura. (X, V; 2002, p. 597)
  • Amo il mare sempre di piú... forse una volta preferivo la montagna perché era tanto lontana. Adesso non vorrei piú andarci. Credo che proverei vergogna e paura. È troppo capricciosa, troppo irregolare, troppo varia... certo mi sentirei in condizioni d'inferiorità. Quali sono gli uomini che preferiscono la monotonia del mare? Sono quelli, mi sembra, che hanno scrutato troppo a lungo, troppo profondamente nel groviglio delle cose interiori per non chiedere almeno a quelle esteriori una cosa soprattutto: la semplicità... Non è il fatto che in montagna ci si debba arrampicare coraggiosamente, mentre al mare si sta placidamente sdraiati sulla sabbia. Ma io conosco il diverso sguardo degli appassionati dell'una e dell'altro. Occhi sicuri, audaci, giocondi, pieni di iniziativa, di coraggio e di risolutezza errano di vetta in vetta; ma sulla vastità del mare che con mistico e snervante fatalismo rovescia sulla spiaggia le onde, si posa uno sguardo sognante, velato, disincantato e pieno di saggezza, che è già penetrato profondamente in qualche intrico doloroso. Salute e malattia: ecco la differenza. Ci si inerpica arditi nella meravigliosa molteplicità delle vette dentate, frastagliate, dirupate per mettere alla prova un'energia vitale non ancora spesa. Ma si cerca riposo nella vasta semplicità delle cose esteriori, stanchi come si è della confusione di quelle intime. (Thomas Buddenbrook: X, VI; 2002, p. 610)
  • Il rispetto degli altri per le nostre sofferenze ce lo procura soltanto la morte, che nobilita anche le sofferenze piú meschine. (X, VIII; 2002, p. 623)
  • [Hanno Buddenbrook] Aveva sentito quanto male ci possa fare la bellezza, come possa gettarci nella vergogna e nella struggente disperazione, e annientare tuttavia in noi anche il coraggio e la capacità di vivere la vita comune. (XI, II; 2002, p. 640)
  • Io porto in me il germe, lo spunto, la possibilità di tutte le capacità e di tutte le attività.[20]
Ich trage den Keim, den Ansatz, die Möglichkeit zu allen Befähigungen und Bestätigungen der Welt in mir.

La montagna incantata

Incipit

Nel colmo dell'estate un comune giovanotto partito da Amburgo, sua città natale, se ne andava a Davos-Platz, nei Grigioni, per un soggiorno di tre settimane.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni

  • È l'amore, non la ragione, che è più forte della morte.[21]
  • "Ha sentito parlare il terremoto di Lisbona?"
    "No... Un terremoto? Qui non leggo giornali..."
    "Lei mi fraintende. E giacché ci siamo, è deplorevole… e significativo di questo luogo… che lei trascuri di leggere i giornali. Ma lei mi fraintende. Il cataclisma cui alludo non è attuale, E avvenuto circa 150 anni fa..."
    "Ho capito! Sì, sì... aspetti! Ho letto che quella notte, a Wieman, Goethe nella sua camera disse al domestico..."
    "Via, non volevo dir questo..." lo interruppe Settembrini chiudendo gli occhi e agitando la piccola mano bruna. "D'altro canto lei confonde le catastrofi lei hai mente il terremoto di Messina. Lo alludo alle scosse che sconvolsero Lisbona nel 1755." (1992, p. 414-415)
  • Il sintomo morboso, disse, sarebbe attività amorosa camuffata e ogni malattia amore trasmutato.
  • Io infatti non ho ancora incontrato un uomo perfettamente sano.[22]
  • L'interesse alla morte e alla malattia... non è che una variata espressione dell'interesse alla vita.[23]
  • L'uomo non vive soltanto la sua vita personale come individuo, ma – cosciente o incosciente – anche quella della sua epoca e dei suoi contemporanei, e qualora dovesse considerare dati in modo assoluto e ovvio i fondamenti generali e obiettivi della sua esistenza ed essere altrettanto lontano dall'idea di volerli criticare quanto lo era in realtà il buon Castorp, è pur sempre possibile che senta vagamente compromesso dai loro difetti il proprio benessere morale. Il singolo può avere di mira parecchi fini, mete, speranze, previsioni, donde attinge l'impulso ad elevate fatiche e attività; se il suo ambiente impersonale, se l'epoca stessa, nonostante l'operosità interiore, è in fondo priva di speranze e prospettive, se furtivamente gli si rivela disperata, vana, disorientata e al quesito formulato, coscientemente o no, ma pur sempre formulato, di un ultimo significato, ultrapersonale, assoluto, di ogni fatica e attività, oppone un vacuo silenzio, ecco che proprio nel caso di uomini dabbene sarà quasi inevitabile un'azione paralizzante di questo stato di cose, la quale, passando attraverso il senso morale psichico, finisce con l'estendersi addirittura alla parte fisica e organica dell'individuo. Per aver voglia di svolgere un'attività notevole che sorpassi la misura di ciò che è soltanto imposto, senza che l'epoca sappia dare una risposta sufficiente alla domanda "a qual fine?", occorre o una solitudine e intimità morale che si trova di rado ed è di natura eroica o una ben robusta vitalità.
  • La malignità caro signore, è lo spirito della critica, e la critica è l'origine del progresso e della civiltà.
  • La morte di un uomo è meno affar suo che di chi gli sopravvive.
  • La tolleranza diventa un crimine quando si applica al male.
  • Le opinioni non possono sopravvivere se uno non ha occasione di combattere per esse.
  • "[...] Qui c'è anzitutto molta Asia nell'atmosfera… non per nulla si devono brulicare i tipi della Mongolia moscovita! Questa gente" e Settembrini accennò col mento dietro a sé, "non si regoli spiritualmente su di loro, non si lasci contagiare dai loro concetti, ponga invece la sua natura, la sua superiore natura contro la loro, e consideri sacro tutto quanto a lei, figlio dell'Occidente, del divino Occidente, figlio della civiltà, è sacro per natura e tradizione, per esempio il tempo! Codesta liberalità, codesta barbara larghezza del consumo del tempo è stile asiatico... e forse per questo I figli dell'Oriente si trovano così bene quassù. Non ha mai notato che quando russo dice: "quattro ore" non dice più di quando uno di noi dice "una"? Non è difficile immaginare che la noncuranza di costoro in riferimento al tempo dipenda dalla selvaggia vastità del loro paese. Dove c'è molto spazio c'è molto tempo... infatti si dice che sono il popolo che ha tempo può aspettare. Noi no, noi europei non possiamo. Abbiamo poco tempo, come il nostro nobile continente, articolato con tanto garbo, ha poco spazio, noi dobbiamo ricorrere alla precisa amministrazione dell'uno e dell'altro, allo sfruttamento, caro ingegnere! Prenda per simbolo le nostre grandi città, centri e fuochi della civiltà, crogioli del pensiero! Come il terreno vi rincara, È lo spreco di spazio diventa impossibile, nella stessa misura, noti, anche il tempo diviene sempre più prezioso. Carpe diem! Lo disse uno che viveva in una metropoli. Il tempo è un dono di Dio, dato all'uomo affinché usi… ne usi, ingegnere, al servizio dell'umano progresso!" (1992, p. 402-403)
  • Scrivere bene significa quasi pensare bene, e di qui ci vuole poco per arrivare ad agire bene.

Citazioni su La montagna incantata

  • Nel romanzo di Thomas Mann l'esito della lotta resta incerto; ed esso avrebbe potuto esercitare una notevole funzione di orientamento, poiché il pareggio con cui termina lo scontro ideologico implica un'importante e feconda critica della democrazia; la dove il campione dell'ideologia democratica si attiene alla versione tradizionale della sua ideologia politica, cioè resta pressapoco al livello della realtà di Weimar, viene sempre battuto dalla demagogia sociale del suo avversario. (György Lukács)
  • Thomas Mann offre qui, nella sua maniera cauta, qualcosa di estremamente importante per la letteratura tedesca: cioè un'autocritica corrosiva dell'assenza di dimensioni sociali, spaziali e temporali, propria della letteratura tedesca del periodo imperialistico. L'azione viene qui consapevolmente situata in un ambiente artificialmente isolato. Gli uomini sono bensì determinati dalla loro psicologia sociale, ma si trovano al di fuori del loro normale ordito di legami sociali. Si ha così un simbolo ironico della descrizione della società nell'imperialismo tedesco. (György Lukács)

La morte a Venezia

Incipit

Brunamaria Dal Lago Veneri

Gustav Aschenbach o von Aschenbach, come ufficialmente suonava il suo nome dal giorno del suo cinquantesimo compleanno, in un giorno di primavera dell'anno 19.., quello che per mesi e mesi aveva mostrato al nostro continente una faccia tanto minacciosa, aveva intrapreso, da solo, una lunga passeggiata partendo da casa sua nella Prinzregenterstrasse di Monaco.
Sovreccitato dal lungo, difficile ed insidioso lavoro del mattino, che lo aveva costretto a procedere con la massima concentrazione, attenzione, prudenza e rigore della volontà, lo scrittore non era riuscito a contenere, nemmeno dopo il pranzo, l'impulso produttivo che gli urgeva dentro, quel motus animi continuus che, secondo Cicerone, è l'essenza della stessa retorica, né aveva potuto trovare nel sonnellino, che, a compensazione dell'esaurirsi sempre più rapido delle sue forze, gli era ormai così necessario, una volta nell'arco della giornata.
[Trad. Brunamaria Dal Lago Veneri- Ed. Newton Compton]

Paola Capriolo

Gustav Aschenbach, o von Aschenbach, poiché tale era ufficialmente il suo nome da quando aveva compiuto cinquant'anni, in un pomeriggio di primavera di quel 19.., che per mesi mostrò al nostro continente un volto così minaccioso, aveva lasciato il suo appartamento nella Prinzregentenstrasse di Monaco per intraprendere da solo una lunga passeggiata. Sovreccitato dal lavoro difficile e rischioso delle ore mattutine, che proprio in quel punto richiedeva in misura suprema cautela, circospezione, energia e precisione della volontà, neppure dopo pranzo lo scrittore aveva potuto arrestare l'eco interiore del meccanismo creativo, quel motus animi continuus nel quale consiste secondo Cicerone l'essenza dell'eloquenza, e non aveva trovato il sollievo del sonno che gli era così necessario, una volta al giorno, con il progressivo consumarsi delle sue forze.
[Thomas Mann, La morte a Venezia, trad. di Paola Capriolo, Giulio Einaudi Editore, 1991]

Citazioni

  • Ché la Bellezza, odimi bene, Fedro, la Bellezza soltanto è divina e visibile a un tempo, ed è per questo che essa è la via al sensibile, è, piccolo Fedro, la via che mena l'artista allo spirito.
  • Di corpo esile e minuto, sparuto ed emaciato anche nel viso, con un cappello sordido piazzato sulla nuca in modo da lasciar sfuggire un ciuffo di capelli rossicci da sotto la testa, se ne stava un po' discosto dai suoi, sulla ghiaia, in una posa di impertinente spavalderia, e lanciava, percuotendo le corde in un irruente canto declamativi, i suoi frizzi verso la terrazza, facendo un tale sforzo che le vene gli si gonfiavano sulla fronte. Non sembrava di stampo veneziano, piuttosto della razza dei comici napoletani, mezzo ruffiani, mezzo commedianti, brutali e protervi, pericolosi e spassosi.
  • È certamente un bene che il mondo conosca soltanto la bella opera e non le sue origini, non le condizioni e le circostanze del suo sviluppo; giacché la conoscenza delle fonti onde scaturisce l'ispirazione dell'artista potrebbe turbare, spaventare, e così annullare gli effetti della perfezione.
  • Felicità dello scrittore è il pensiero che può divenire totalmente sentimento, il sentimento che può divenire pensiero.
  • Fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza, non vuol dire semplicemente subire: è un'azione attiva, un trionfo positivo.
  • In quasi tutti gli artisti è innata la tendenza voluttuosa e ingannatrice ad accettare l'ingiustizia che genera bellezza, a rendere omaggio e mostrare simpatia alla predilezione aristocratica.
  • La solitudine genera l'originalità, la strana e inquietante bellezza, la poesia, ma anche il contrario: l'abnorme, l'assurdo, l'illecito.
  • Niente è più singolare, più imbarazzante che il rapporto tra due persone che si conoscono solo attraverso gli occhi, che si vedono tutti i giorni a tutte le ore, si osservano e nello stesso tempo sono costretti dall'educazione o dalla bizzarria a fingere indifferenza e a passarsi accanto come estranei, senza saluto né parola. Fra di loro c'è inquietudine ed esasperata curiosità, l'isteria di un bisogno insoddisfatto, innaturale e represso di conoscersi e di comunicare e soprattutto una sorta di ansiosa attenzione. Infatti l'uomo ama e onora l'uomo fino a che non è in grado di giudicarlo, e il desiderio è il frutto di una conoscenza incompleta.
  • Perché alla passione, come al delitto, non si addicono l'ordine stabilito e il benessere di tutti i giorni, anzi, al contrario, ogni allentamento dei legami civili, ogni turbamento e calamità del mondo sono i benvenuti, poiché vi intravedono possibilità di vantaggio.
  • Questa era Venezia, la bella lusinghiera e ambigua, la città metà fiaba e metà trappola,, nella cui atmosfera corrotta l' arte un tempo si sviluppò rigogliosa, e che suggerì ai musicisti melodie che cullano in sonni voluttuosi.
  • Riposare nella perfezione è il sogno di chi tende all'eccelso, e non è forse il nulla una forma di perfezione?
  • La sua bellezza era inesprimibile e, come altre volte, Aschenbach sentí con dolore che la parola può, sí, celebrare la bellezza, ma non è capace di esprimerla. (Rho, 1954)

[Trad. Brunamaria Dal Lago Veneri- Ed. Newton Compton]

Citazioni su La morte a Venezia

  • Thomas Mann assume qui l'eredità della critica sociale di Theodor Fontane, ma estendendola a una critica della prussificazione interiore di tutti gli intellettuali tedeschi. Ed egli mostra come questo «contegno» escluda bensì rigidamente l'uomo dal suo ambiente sociale, conferendogli l'apparenza e l'illusione dell'intima solidità morale, ma come basti la minima scossa per mettere in libertà il mondo psichico sotterraneo, il caos bestiale e barbarico che era stato puramente represso e artificialmente soffocato, ma non inteso e superato moralmente. (György Lukács)

Tonio Kröger

Incipit

Sulle strette vie della città il sole invernale era solo un pallido riflesso, lattiginoso e stanco dietro le coltri di nuvole. Le strade, fiancheggiate dai colmi aguzzi delle case, erano umide e ventose, e di tanto in tanto cadeva una specie di grandine mollliccia, qualcosa di mezzo tra la neve e il ghiaccio.
La scuola era finita. I liberati fluivano a sciami attraverso il cortile lastricato e, usciti dal cancello, si separavano affrettandosi a destra e a sinistra. I più grandi stringevano dignitosamente il loro pacco di libri alla spalla sinistra, mentre col braccio destro impugnavano contro il vento, diretti al richiamo del pranzo; i piccoli trottorellavano allegri, facendo schizzare tutt'intorno la poltiglia ghiacciata e malmenando gli arnesi della scienza contro gli zaini di pelle di foca. Ma piccoli e grandi, atteggiandosi a compunzione, si toglievano ogni tanto i berretti di fronte al cappello alla Wotan o alla barba da Giove olimpico di qualche professore, che si allontanava compassato.

[Thomas Mann, Tonio Kröger (Tonio Kröger, 1903), traduzione di Emilio Castellani, Mondadori, Milano, 1970.]

Citazioni

  • La felicità non sta nell'essere amati: questa non è che una soddisfazione di vanità mista a disgusto. La felicità sta nell'amare, e nel carpire tutt'al più qualche illusorio istante di vicinanza all'oggetto amato. (1970)
  • Seguì la via che doveva seguire, con passo un po' pigro e ineguale, fischiettando e guardando lontano innanzi a sè col capo reclinato da un lato; e se gli accadeva di sbagliar strada, ciò era perché per alcuni uomini non esiste una strada giusta. A chi gli chiedeva che cosa intendesse fare nel mondo, dava risposte contraddittorie, perché, come soleva dire (ed anche questo l'aveva già annotato), egli portava in sè possibilità per mille modi di esistenza, insieme alla segreta consapevolezza che, in fondo, si trattava di altrettante impossibilità. (1970)
  • Ciò che vedeva era soltanto questo: comicità e miseria, comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l'orgoglio della conoscenza, venne la solitudine, perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva. (1970)
  • Perché quello che si dice non può mai, in nessun caso, essere la cosa più importante, bensì null'altro che la materia, indifferente di per sé, dalla quale si deve ricavare, in un composto dominio di gioco, l'immagine estetica. (1970)
  • Se quello che avete da dire vi preme troppo, se il vostro cuore palpita con troppo slancio a suo riguardo, allora potete esser certa di un fiasco completo.
    Cadrete nel patetico, ne sentimentale; qualcosa di pesante, di goffamente serio, di non dominato, non ironico, scipito, noioso, banale uscirà dalle vostre mani, e per concludere non otterrete che indifferenza tra il pubblico e delusione e desolazione in voi stessa... (1970)
  • Le opere di valore nascono soltanto sotto il premere di una vita cattiva e [...] chi vive non lavora e [...] per essere perfetti creatori bisogna essere morti.
  • Un artista, nel suo intimo, è sempre un avventuriero. (1970)
  • Per essere creativi, bisogna essere morti. (1970)
  • Oh, se Inge fosse venuta! Avrebbe dovuto accorgersi che lui era sparito, intuire il suo dolore, seguirlo di nascosto, anche soltanto per pietà, posandogli la mano sulla spalla e dirgli: Vieni dentro con noi, sii contento, io ti amo. E Tonio tendeva l'orecchio dietro di sé, attendeva con impazienza assurda che ella venisse. Ma non venne. Simili cose non accadono sulla terra. (1970)
  • Quando un pensiero ti domina lo ritrovi espresso dappertutto, lo annusi perfino nel vento. (Tonio Kröger; 2003, p. 89)

Incipit di alcune opere

Altezza reale

È il mezzodì di un giorno feriale, in una stagione qualunque; siamo nell'Albrechtstrasse, la maggior arteria di comunicazione della capitale, che unisce l'Albrechtsplatz e il Vecchio Castello con la caserma della guardia.

Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull

Mentre prendo la penna per affidare alla carta paziente, in pieno ozio e ritiro — sano del resto, se anche stanco, molto stanco (cosi che potrò procedere solo a piccole tappe e con riposi frequenti) — mentre dunque mi dispongo a vergare le mie confessioni nella nitida e piacevole calligrafia che mi è propria, sono pur colto dalla fuggevole preoccupazione se in realtà io sia, per preparazione e per studi, adeguato all'impresa. Siccome però tutto quanto ho da comunicare trae materia dalle mie immediate esperienze, mancanze e passioni, così che son perfetto padrone dell'argomento, quel dubbio potrebbe al più riferirsi al mio tatto, alla compostezza nell'esprimermi — cose per le quali a mio avviso non sono decisivi gli studi regolarmente seguiti, ma piuttosto il naturale ingegno e la buona educazione. Questa non mi è mancata, giacché io provengo da una famiglia della buona borghesia, se anche da una casa poco seria.

L'inganno

Nel terzo decennio del nostro secolo a Düsseldorf sul Reno viveva in condizioni agiate se pur non lussuose la signora Rosalia von Tümmler, rimasta vedova da oltre due lustri, con la figlia Anna e il figlio Edoardo. Suo marito, il tenente colonnello von Tümmler, aveva lasciata la vita al primo inizio della guerra, e non in combattimento, bensì in uno stolido incidente automobilistico, così che si poteva pur sempre dire "sul campo dell'onore". Duro colpo, accettato con patriottica rassegnazione dalla vedova allora appena quarantenne, costretta alla mancanza del padre per i figlioletti e per se stessa a quella di un allegro consorte, le cui ripetute deviazioni dal rettilineo della fedeltà coniugale erano state solamente sintomo di esuberante gagliardia.

[Thomas Mann, "L'inganno" in: Le teste scambiate. La legge. L'inganno, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Mondadori, 1972, p. 279]

La legge

La sua nascita era irregolare; per questo amava intensamente la regola, l'inviolabile, il comandamento e il divieto. Giovane ancora, aveva ucciso, in una vampa di passione; per questo sapeva, meglio di chiunque non sia passato per quell'esperienza, che uccidere è, sì, delizioso, ma aver ucciso è tremendo; e che tu non devi uccidere. I suoi sensi erano ardenti; per questo anelava a ciò che è spirituale e puro e santo: all'Invisibile, che gli appariva spirituale, santo, puro.

[Thomas Mann, "La legge" in: Le teste scambiate. La legge. L'inganno, traduzione di Mario Merlini, Mondadori, 1972, p. 179]

Le teste scambiate

La storia dei fatti accaduti a Sita dai bei fianchi, figlia di Sumantra, l'allevatore di vacche oriundo di sangue guerriero, e ai due mariti, se così può dirsi, di lei, pone, crudele e sanguinosa com'è, le massime esigenze alla forza d'animo di chi ascolta e alla sua capacità di tener testa con l'intelligenza alle tragiche fantasie di Maya. Sarebbe augurabile che gli ascoltatori prendessero esempio dalla fermezza del narratore perché il raccontare una siffatta storia richiede quasi più ardimento che l'udirla. Dal principio alla fine essa si svolse come segue.
[Thomas Mann, Le teste scambiate; traduzione di Ervino Pocar, Collana Biblioteca Moderna Mondadori n. 625, Milano: A. Mondadori, 1960]

Tristano

Eccoci qui, al sanatorio "La Quiete"! Col suo lungo fabbricato principale e le ali contigue, si stende, bianco e rettilineo, in mezzo all'ampio giardino, che assai piacevolmente adornano grotte, pergolati e chioschetti rivestiti di corteccia d'albero; mentre dietro i tetti d'ardesia si ergono, imponenti, verso il cielo i monti verdi d'abeti e digradanti in piacevoli dirupi.
[Thomas Mann, Tristano (Tristan), traduzione di Emilio Castellani, Edizione Mondadori 1970.]

Citazioni su Thomas Mann

  • La narrazione si situa sempre dopo, mai prima, di un atto critico; ecco perché la continua presenza del saggista Mann, la sua ironia culturale, possono essere tanto indisponenti, far sospettare la fabbricazione. Paragonatelo a Cechov, a Joyce, a Proust, a Kafka; vi parrà un filisteo. (Franco Fortini)
  • Pessimista, dunque: conoscitore, direi degustatore profondo della morte, della malattia, del fallimento, della caducità, della stupidità umane. Ma al tempo stesso, eccolo anche ottimista invincibile, un credente nello spirito, convinto che l'uomo finirà per dimostrarsi, alla resa dei conti, un "esperimento cosmico riuscito". (Italo Alighiero Chiusano)
  • Risuscitando il mito di Faust Mann fa sì che Adriano [personaggio di Doctor Faustus], per salvarsi dall'aridità e dalla crisi dell'arte contemporanea, crisi che è nello stesso tempo crisi di una civiltà al tramonto, stringa un patto con il diavolo che gli darà la grandezza e la potenza creatrice in cambio della rinunzia all'amore e alla salvezza della sua anima. Per Mann la Germania, sfiduciata, inibita ed impotente, ha tentato di liberarsi dalle sue inibizioni con la morbosa e diabolica intossicazione nazista. Sembra che anche l'arte, nel mondo contemporaneo, non riesca a sopravvivere se non si allea con il morboso e con il diabolico, e se non ride di sè condannandosi nel momento stesso nel quale si crea, risolvendosi nella parodia di se stessa L'arte e in particolare la musica, è oggi, nel massimo disordine, nella massima ambiguità. Come uscirne? Come superare il caos? Come e dove trovare un principio, un ordine, un si stema di regole? Politicamente tale ordine è stato cercato nella negazione della libertà. Il compositore Adriano Leverkühn lo cerca nelle nuove regole della musica dodecafonica dopo essersi anche lui diabolicamente intossicato servendosi della malattia, della sifilide, come di una mostruosa droga, per stimolare la propria fecondità estetica, per poi sprofondare nella notte fonda della pazzia e della morte. (Enzo Paci)
  • Sarebbe un tentativo destinato all'insuccesso voler riconoscere nel suo pensiero una costante definita, coerente. Un socialista conservatore in politica, un innovatore tradizionalista in letteratura, un credente nel progresso che traeva ispirazione da Arthur Schopenhauer e da Richard Wagner... le contraddizioni della sua personalità d'intellettuale erano le stesse di cui soffriva la cultura del tempo. (Walter Laqueur)

Note

  1. Da Doctor Faustus.
  2. Citato in Domenico Losurdo, Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, 2015, p. 14. ISBN 8843077007
  3. Dalla conferenza stampa al suo arrivo negli Stati Uniti, 1938; citato in Riemen, prologo a Steiner 2006, p. 15.
  4. Citato in I luoghi dell'arte, v. 11.
  5. Da La legge.
  6. Da una lettera a Ferdinand Lion, 1952; citato in Marino Freschi, Il reazionario amato dalla sinistra, il Giornale.it, 1º ottobre 2005.
  7. Parlando di August von Platen; da Nobiltà dello spirito. Saggi critici, in Tutte le opere, vol. X, Mondadori, Milano, 1953 e 1973, p. 372.
  8. T. Mann, Romanzo d'un romanzo, Milano, Mondadori, 1952.
  9. Da Goethe e Tolstoj. Frammenti sul problema dell'umanità, in Nobiltà dello spirito e altri saggi.
  10. Da Il piccolo signor Friedemann.
  11. Da L'artista e la società.
  12. Da Disordine e dolore precoce.
  13. a b Dall'intervista Cinque domande a Th. Mann, Epoca, 14 ottobre 1950, p. 9.
  14. Da Padrone e cane.
  15. Da Cane e padrone.
  16. Da Brindisi a Katja.
  17. Da un aneddoto sul suo editore ebreo ungherese di Berlino in un articolo scritto nel 1934 dopo la sua morte; citato in Riemen, prologo a Steiner 2006, p. 18 (da La montagna incantata).
  18. Da Giuseppe il Nutritore, ed. Mondadori, Milano, 1963, p. 359.
  19. In italiano nell'originale.
  20. Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 881714603X
  21. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 227. ISBN 9788858024416
  22. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 226. ISBN 9788858024416
  23. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 225. ISBN 9788858024416

Bibliografia

  • Thomas Mann, Doctor Faustus: la vita del compositore tedesco Adrian Leverkuhn narrata da un amico, traduzione di Ervino Pocar, Mondadori, 1952.
  • Thomas Mann, Federico e la grande coalizione. Un saggio adatto al giorno e all'ora, a cura di Nada Carli, Edizioni Studio Tesi, 1986.
  • Thomas Mann, I Buddenbrook. Decadenza di una famiglia, introduzione di Cesare Cases, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino, 2002. ISBN 8806128760
  • Thomas Mann, I Buddenbrook: decadenza di una famiglia, traduzione di Furio Jesi e di Silvana Speciale Scalia, Garzanti, 1995.
  • Thomas Mann, Confessioni del cavaliere d'industria Felix Krull, traduzione di Lavinia Mazzucchetti, Mondadori, Milano, 1978
  • Thomas Mann, La legge, traduzione di Mario Merlini, Baldini & Castoldi, 1997.
  • Thomas Mann, La legge, traduzione di Mario Merlini, Mondadori, 1947.
  • Thomas Mann, La montagna incantata, traduzione di Ervino Pocar, Corbaccio, 1992-2002. ISBN 88-7972-000-7
  • Thomas Mann, La morte a Venezia, traduzione di Anita Rho, Einaudi, Torino, 1954.
  • Thomas Mann, La morte a Venezia, Cane e padrone, Tristano, Tonio Kröger, traduzione di Brunamaria Dal Lago Veneri, Newton Compton, Roma, 2006 ISBN 88-7983-829-6
  • Thomas Mann, La morte a Venezia. Tonio Kroger. Tristano, traduzione di Enrico Filippini, Feltrinelli, 1971.
  • Thomas Mann, La morte a Venezia. Tristano. Tonio Kroger, traduzione di Emilio Castellani, Mondadori, 1970.
  • Thomas Mann, Le teste scambiate. La legge. L'inganno, traduzioni di Ervino Pocar, Mario Merlini e Lavinia Mazzucchetti, Mondadori, 1972.
  • Thomas Mann, Nobiltà dello spirito e altri saggi, a cura di A. Landolfi, Mondadori 1997.
  • Thomas Mann, Tonio Kröger, in La morte a Venezia; Tonio Kröger; Tristano, traduzione di Enrico Filippini, postfazione di Furio Jesi, Feltrinelli, Milano, 2003. ISBN 88-07-82-014-5
  • Thomas Mann, Tonio Kröger (Tonio Kröger, 1903), traduzione di Emilio Castellani, Mondadori, Milano, 1970.
  • Thomas Mann, Tonio Kroger. La morte a Venezia. Cane e padrone, traduzione di Salvatore Tito Villari, Garzanti, 1965.
  • Thomas Mann, Tristano (Tristan), traduzione di Emilio Castellani, Mondadori, 1970.
  • Thomas Mann, Tristano. La morte a Venezia. Cane e padrone, traduzione di Francesco Saba Sardi, Fabbri Editori, 1985.
  • George Steiner, Una certa idea di Europa (The idea of Europe), X Nexus Lecture, traduzione di Oliviero Ponte di Pino, prefazione di Mario Vargas Llosa, prologo di Rob Riemen, Garzanti, Milano, 2006.

Voci correlate

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