Emmanuel Carrère: differenze tra le versioni

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Questo sì che gli piace.
Questo sì che gli piace.


==[[Incipit]] de ''Il regno''==
Quella primavera ho collaborato alla sceneggiatura di una serie televisiva. Questo il soggetto: una notte, in un paese di montagna, tornano dei morti. Non si sa perché, né perché proprio quei morti e non altri. Loro stessi non sanno di essere morti. Lo capiscono dallo sguardo spaventato delle persone che amano, che li amavano, accanto alle quali vorrebbero riprendere il proprio posto.<ref>Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, ''Incipit'', Skira, 2018. ISBN 9788857238937</ref>
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Versione delle 19:03, 18 mar 2020

Emmanuel Carrère

Emmanuel Carrère (1957 – vivente), scrittore e sceneggiatore francese.

Citazioni di Emmanuel Carrère

  • Abbiamo perso l’abitudine, dopo François Mitterrand, a un presidente colto.[1]
  • Adesso è giusta la separazione Stato-Chiesa, ma l'editto di Costantino fu importante per la civiltà.[2]
  • Dell'Islam non posso e non potrei parlare perché non lo conosco bene, ne potrei fare una chiacchierata al bistrot ma come un incompetente. Si dicono oggi molte cose superficiali e io non voglio far parte di quelli che parlano senza conoscere.[3]
  • È curioso che persone normali, intelligenti, possano credere a una cosa tanto pazzesca come la religione cristiana, una cosa in tutto e per tutto identica alla mitologia greca e alle favole.[4]
  • In francese, non so se è lo stesso per l'italiano, ci sono due parole: "fede" e "credenza". La credenza è l'insieme dei dogmi, le rappresentazioni delle esperienze secondo un senso comune di chi pratica la religione. Io ho cercato di essere "credente" ma non ho nessuna nostalgia per quel periodo. La fede invece è qualcosa che esiste o non esiste ma resta nel mistero, si colloca fuori dalle credenze e dai dogmi. È vero che la religione cattolica è definita anche dai suoi perimetri dogmatici, ma io penso si possa essere cristiani anche senza aderire alle "credenze" della religione.[3]
  • Io sono interessato al Cristianesimo come fenomeno più ampio, non solo alle vicende del Cattolicesimo in senso stretto. Nel Cristianesimo, poiché non dipende tutto da quel che fa il papa o il Vaticano, ci sono forze e decisioni che sono più nel cuore segreto delle persone.[3]
  • La fede è un mistero della persona, la religione è una narrazione collettiva.[3]
  • Nella religione ci sono pure invenzioni e favole ma alcune parole sono verità, anche eclatanti. Ognuno può essere toccato da diverse cose. Io, anche se ho un rapporto distaccato e non credente, mi sento più vicino alle dimensioni realistiche di verità, umana, delle parole di Gesù. Del resto i Vangeli sono libri talmente immensi che ognuno può trovarvi una traccia per sé stesso.[3]
  • Non mi piace l'idea che un intellettuale debba avere un'opinione su tutto.[2]
  • Per onestà sono obbligato a riconoscere che sociologicamente io stesso sono quello che si definisce un bobo [bourgeois-bohème]. Quello che ci viene rimproverato è una sorta di scarto tra una generosità di principi e un grande egoismo di comportamenti.[5]
  • Quando mi occupo di un argomento, mi piace aggredirlo su più fronti, non prima di aver studiato una decina d'anni.[4]
  • [Su Leonardo Sciascia] Rigoroso e sofisticato nella ricerca e nello studio, un rigore che dà chiarezza alla sua scrittura.[2]
  • Se dovessi fare una lista dei fattori che hanno contribuito al successo del Cristianesimo direi che in testa ce n'è sicuramente uno: la letteratura. Perché la religione cattolica è nata in modo letterario, non è stata tanto dottrina quanto narrazione. Noi conosciamo le parole di Gesù, la sua storia, dal ritratto che ne fanno i Vangeli ed è per questo che io ho indagato quello che dal mio punto di vista mi affascinava di più, il Vangelo di chi più ha ragionato "da scrittore" ovvero Luca. Come lui, anche io o Philip Dick abbiamo aderito a una fede o avuto una crisi mistica, ma Luca ha avuto decisamente un'altra rilevanza nel trasformare in racconto questa sua adesione a una fede. Il mistero è che il punto d'origine sia quello, testimoniare una fede e scriverne.[3]
  • Spesso penso che la postverità non sia altro che una menzogna. C'è una frase di Kafka che amo molto: "Io sono ignorante ma questo non significa che la verità non esista". Quanto meno la verità fattuale esiste. A volte è fuori dalla nostra portata, non ne abbiamo accesso, ma esiste».[5]

L'avversario

Incipit

La mattina del sabato 9 gennaio 1993, mentre Jean-Claude Romand uccideva sua moglie e i suoi figli, io ero a una riunione all'asilo di Gabriel, il mio figlio maggiore, insieme a tutta la famiglia. Gabriel aveva cinque anni, la stessa età di Antoine Romand. Più tardi siamo andati a pranzo dai miei genitori, e Romand dai suoi. Dopo mangiato ha ucciso anche loro. Ho trascorso da solo, nel mio studio, il pomeriggio del sabato e l'intera domenica, in genere dedicati alla vita familiare, perché stavo finendo un libro al quale lavoravo da un anno: la biografia dello scrittore di fantascienza Philip K. Dick. L'ultimo capitolo raccontava i giorni che lo scrittore aveva passato in coma prima di morire. Ho finito il martedì sera, e il mercoledì mattina ho letto il primo articolo di «Libération» sul caso Romand. (p. 9)

Citazioni

  • I Ladmiral hanno vissuto quelle giornate come una prova voluta da Dio. I discepoli di Gesù hanno visto il Maestro arrestato, processato, messo in croce come l'ultimo dei criminali, eppure, sebbene Pietro abbia vacillato, hanno continuato a credere in lui. Il terzo giorno hanno saputo che avevano fatto bene a non arrendersi. Cécile e Luc hanno lottato con tutte le loro forze per non arrendersi. Ma il terzo giorno, se non prima, sono stati costretti ad ammettere che le loro speranze erano vane e che avrebbero dovuto fare i conti con quella realtà: non soltanto con la perdita di chi non c'era più, ma con la morte della fiducia, con una vita interamente corrosa dalla menzogna. (p. 16)
  • «Un banale incidente, un'ingiustizia possono provocare la follia. Chiedo scusa a Corinne, chiedo scusa agli amici, chiedo scusa alla brava gente dell'associazione Saint-Vincent che voleva spaccarmi la faccia».
    Questo diceva il biglietto d'addio lasciato in macchina. (p. 19)
  • Quando parlavano di lui, a tarda notte, non riuscivano più a chiamarlo Jean-Claude. Non lo chiamavano nemmeno Romand. Lui si trovava da qualche parte, al di fuori della vita, al di fuori della morte, senza più un nome. (p. 22)
  • Per i credenti l'ora della morte è l'ora in cui si vede Dio, non più in modo oscuro, come dentro uno specchio, ma faccia a faccia. Perfino i non credenti credono in qualcosa di simile: che nel momento del trapasso si veda scorrere in un lampo la pellicola della propria vita, finalmente intelligibile. Per i vecchi Romand, questa visione, anziché rappresentare il pieno coronamento, aveva segnato il trionfo della menzogna e del male. Avrebbero dovuto vedere Dio e al suo posto avevano visto, sotto le sembianze dell'amato figlio, colui che la Bibbia chiama Satana: l'Avversario. (p. 24)
  • Subito dopo l'incendio, quando credevano ancora a un incidente, Luc e Cécile avevano pregato perché morisse: allora pensavano a lui. Adesso pregavano perché morisse, ma pensavano a se stessi, ai loro figli, a tutti quelli che vivevano ancora. Se fosse rimasto nel mondo dei vivi, lui, la morte fatta uomo, avrebbe costituito una spaventosa minaccia, sempre incombente, la certezza che la pace non sarebbe tornata mai più, che l'orrore non avrebbe avuto fine. (p. 24)
  • L'inverno successivo mi sono ritrovato a scrivere il libro che, senza saperlo, inseguivo da sette anni. [La settimana bianca] L'ho portato a termine in pochissimo tempo, in maniera quasi automatica, e ho capito subito che era di gran lunga la mia opera migliore. Ruotava intorno all'immagine di un padre assassino che vagava da solo in mezzo alla neve, e ho pensato che, come tanti altri progetti naufragati, anche ciò che mi aveva affascinato nella storia di Romand avesse trovato in quelle pagine la sua giusta collocazione, e che scrivendolo mi ero liberato di quel genere di ossessioni. Finalmente potevo passare ad altro. A che cosa? Non ne avevo la più pallida idea, e non me ne importava niente. Se ero diventato scrittore, era per scrivere quel libro. Cominciavo a sentirmi vivo. (p. 31)
  • Per quanto la domanda [lei crede in Dio?] fosse imbarazzante, dovevo rispondere con un sì o con un no: alla cieca, ho risposto di sì. «Altrimenti non potrei affrontare una storia terribile come la sua. Per guardare in faccia, senza morbosi compiacimenti, le tenebre in cui lei si è trovato e si trova ancora immerso, bisogna credere che esista una luce grazie alla quale tutto ciò che è accaduto, perfino l'estrema infelicità e l'estremo male, diventerà comprensibile ai nostri occhi». (p. 35)
  • Avrebbe preferito davvero essere malato di cancro piuttosto che di menzogna - perché anche la menzogna era una malattia, con la sua eziologia, i suoi rischi di metastasi, la sua prognosi riservata _, ma il destino aveva voluto che si ammalasse di menzogna, e non era colpa sua. (p. 65)
  • Di fronte all'evidenza,si è difeso come l'uomo che aveva preso a prestito un paiolo nella storia cara a Freud: al proprietario che lo rimprovera di averlo restituito bucato, lui prima ribatte che quando l'ha riportato il paiolo non era bucato, poi che lo era già quando glielo aveva prestato e infine di non aver mai preso a prestito un paiolo in vita sua. (p. 86)
  • Si sa che gli uomini fuori del comune sono anche i più modesti, e i meno preoccupati dell'opinione altrui. (p. 90)
  • Ma lui si comportava come il re di una partita a scacchi minacciato su tutti i fronti, al quale resta solo una casella su cui andare: la partita è persa, non c'è dubbio, tanto varrebbe abbandonare, eppure si sposta ugualmente su quella casella, se non altro per vedere come l'avversario riuscirà a metterlo in trappola. (p. 113-114)
  • gli psichiatri incaricati di esaminarlo sono rimasti colpiti dalla precisione con cui si esprimeva e dalla sua costante preoccupazione di dare di sé un'immagine positiva. Probabilmente sottovalutava il fatto che non è facile dare un'immagine positiva di te quando hai sterminato un'intera famiglia, e per diciotto anni hai ingannato e truffato parenti e amici. (p. 139)
  • Non sono mai stato così libero, la mia vita non è mai stata così bella. Sono un assassino. La mia immagine agli occhi della società è la peggiore che possa esistere, ma è più facile da sopportare che i miei vent'anni di menzogne. (Jean-Claude Romand, p. 142)
  • Mentre tornavo a Parigi per rimettermi al lavoro, non vedevo più ombra di mistero nella sua lunga impostura, ma solo una misera commistione di cecità, disperazione e vigliaccheria. Ormai sapevo che cosa accadeva nella sua testa durante le lunghe ore vuote trascorse nelle aree di servizio o nei parcheggi dei bar, era una cosa che in qualche modo avevo vissuto anch'io, e che mi ero lasciato alle spalle. Ma mi chiedevo: che cosa accade, adesso, nel suo cuore durante le ore notturne di veglia e di preghiera? (p. 168)

Explicit

Sono sicuro che non stia recitando per ingannare gli altri, mi chiedo però se il bugiardo che c'è in lui non lo stia ingannando. Quando Cristo entra nel suo cuore, quando la certezza di essere amato nonostante tutto gli fa scorrere sulle guance lacrime di gioia, non sarà caduto ancora una volta nella rete dell'Avversario?
Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera.

Parigi, gennaio 1999

Limonov

Incipit

Prima che Anna Politkovskaja venisse ammazzata sulle scale del palazzo in cui abitava, il 7 ottobre 2006, soltanto chi si interessava da vicino alle guerre cecene conosceva il nome di questa giornalista coraggiosa, dichiarata avversaria della politica di Vladimir Putin. Da un giorno all'altro, il suo volto dall'aria triste e decisa è diventato in Occidente un'icona della libertà d'espressione. A quel tempo io avevo da poco finito di girare un documentario in una cittadina russa – andavo spesso in Russia – sicché, appena si è diffusa la notizia, una rivista mi ha proposto di prendere il primo volo per Mosca.

Explicit

Di tutti i luoghi del mondo, continua Eduard, l'Asia centrale è quello in cui si trova meglio. In città come Samarcanda o Barnaul. Città schiantate dal sole, polverose, lente, violente. Laggiù, all'ombra delle moschee, sotto le alte mura merlate, ci sono dei mendicanti. Un sacco di mendicanti. Sono vecchi emaciati, con i volti cotti dal sole, senza denti, spesso senza occhi. Portano una tunica e un turbante anneriti dalla sporcizia, ai loro piedi è steso un pezzo di velluto su cui aspettano che qualcuno getti qualche monetina, e quando qualche monetina cade non ringraziano. Non si sa quale sia stata la loro vita, ma si sa che finiranno nella fossa comune. Sono senza età, senza beni, ammesso che ne abbiano mai avuti – è già tanto se hanno ancora un nome. Hanno mollato tutti gli ormeggi. Sono dei relitti. Sono dei re.
Questo sì che gli piace.

Incipit de Il regno

Quella primavera ho collaborato alla sceneggiatura di una serie televisiva. Questo il soggetto: una notte, in un paese di montagna, tornano dei morti. Non si sa perché, né perché proprio quei morti e non altri. Loro stessi non sanno di essere morti. Lo capiscono dallo sguardo spaventato delle persone che amano, che li amavano, accanto alle quali vorrebbero riprendere il proprio posto.[6]

Note

  1. Da Macron secondo Carrère, IL magazine, 21 novembre 2017.
  2. a b c Citato in Terrorismo: Carrère, condivido paura, Ansa.it, 6 agosto 2016.
  3. a b c d e f Citato in Emmanuel Carrère e "Il regno": "La fede è narrazione, altra cosa è la dottrina", Repubblica.it, 16 marzo 2015.
  4. a b Citato in A Carrére il "Tomasi di Lampedusa" "Non ho un’opinione su tutto", Live Sicilia, 7 agosto 2016.
  5. a b Citato in Alessandra Coppola, Emmanuel Carrère:«Non mi aspettavo il successo di Donald. Ora temo Le Pen», Corriere della Sera, 18 marzo 2017, pp. 2-3
  6. Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937

Bibliografia

  • Emmanuel Carrère, L'avversario, traduzione di Eliana Vicari Fabris, Adelphi, Milano, 2013. ISBN 978-88-459-2786-7
  • Emmanuel Carrère, Limonov, traduzione di Francesco Bergamasco, Adelphi Edizioni, 2012.

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