Charles Dickens: differenze tra le versioni

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Charles Dickens

Charles Dickens (1812 – 1870), scrittore e giornalista britannico.

Citazioni di Charles Dickens

  • Anche Fledgeby si sedette, ma in modo meno rumoroso, poi a poco a poco levò la mano dal naso. Tuttavia, fu colto dai forti dubbi sul soffiarselo o meno visto che quest'organo aveva assunto una posizione tanto delicata e personale, per non dire pubblica. Ma a poco a poco vinse gli scrupoli e con modestia si prese quella libertà, quasi una tacita protesta. – Lammle – disse con accento servile, compiuta l'operazione – spero che siamo di nuovo amici.[1]
  • Ci sono delle corde, [...] nel cuore umano, che è meglio non toccare.[2]
  • Ho un'esperienza vastissima di ragazzi, e siete tutti manigoldi.[3]
  • Il lavoro [...] è l'anima degli affari e la chiave di volta della prosperità.[2]
  • In tale gruppo così numeroso e composto da elementi eterogenei, poteva apparire quasi assurdo cercare disciplina, ma la disciplina perfetta c'era, perché, qualunque fossero le sue caratteristiche, Crocco è stato senza dubbio un capo.[4]
  • La città si sveglia di nuovo coi Pulcinella, i borsaioli, i comici e i mendicanti; con gli stracci, le marionette, i fiori, la vivacità, la sporcizia e la universale degradazione; si risveglia sciorinando al sole il suo abito d'Arlecchino, l'indomani e tutti gli altri giorni, cantando e digiunando, danzando e giocando sulla riva del mare.[5]
  • Noi che pur siamo amanti e ricercatori del pittoresco, non dobbiamo fingere di ignorare la depravazione, la degradazione e la miseria a cui è irrimediabilmente legata l'allegra vita di Napoli![6]
  • Non dovremmo mai vergognarci delle nostre lacrime, perché sono pioggia sull'accecante polvere della terra.[7]
  • [Rispondendo a Stendhal] Pensate se voi ed io fossimo italiani e fossimo cresciuti dall'infanzia ad ora minacciati continuamente da confessionali, prigioni e sgherri infernali, potremmo voi ed io esser migliori di loro? Saremmo noi così buoni? Io, se ben mi conosco, no.[8]
  • Se non ci fossero persone cattive non ci sarebbero buoni avvocati.[9]
  • Scosso da un tremito dalla testa ai piedi, l'uomo solleva [...] il busto, sostiene sulle braccia il corpo tremolante e si guarda intorno. Si trova in una piccola stanza, più di ogni altra squallida e soffocante. Attraverso la tenda logora, la debole luce dell'albe penetra da una misera corte. Giace vestito, di traverso, su un letto ampio e indecente, il cui telaio ha ceduto sotto il peso. Distesi, anch'essi vestiti e anch'essi di traverso, non nel senso della lunghezza, ci sono un cinese, un marinaio indiano e una donna scarna. I primi due sono in uno strato di sonno o stordimento; la terza sta tirando da una specie di pipa, per accenderla. E mentre tira, e schermandola con la mano magra ne concentra una favilla di luce rossa, nella mattina buia essa funge da lampada, e gli mostra quello che vede di lei. – Un'altra? –, dice la donna, in un lamentoso sussurro ansante. – Te ne fai un'altra? –.[10]
  • Un'infarinatura di tutto, e di nulla un'esatta conoscenza.
A smattering of everything and a knowledge of nothing.[11]
  • Usando il freddo linguaggio della gente di mondo, la signora Lammle e la signorina Podsnap hanno in poco tempo stretto una relazione assai intima. Usando invece il caldo linguaggio [[...]] signora Lammle, lei e la sua cara Georgiana sono diventate una cosa sola: cuore, mente, sentimenti e anima.[1]

Cantico di Natale

Incipit

Maria Luisa Fehr

Marley era morto, tanto per cominciare. Non c'era dubbio su ciò: il suo atto di morte era firmato dal pastore, dal coadiutore, dall'uomo delle pompe funebri e dal capo dei piagnoni. L'aveva firmato anche Scrooge, ed il nome di Scrooge alla Borsa degli scambi valeva per qualunque cosa a cui egli decidesse di metter mano. Il vecchio Marley era morto come un chiodo di un uscio.
[Charles Dickens, Canto di Natale, traduzione di Maria Luisa Fehr, RCS Libri, 1997]

Alessandra Osti

Marley era morto, tanto per cominciare. Non c'era alcun dubbio. Il registro della sua sepoltura era stato firmato dal pastore, dal chierico, dall'impresario delle pompe funebri e dal responsabile della cerimonia funebre. L'aveva firmato anche Scrooge. E il nome di Scrooge alla Borsa era valido per qualsiasi cosa su cui lui decidesse di mettere mano. Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta.
[Charles Dickens, Canto di Natale, traduzione di Alessandra Osti, La Repubblica-L'Espresso, 2012. ISBN 9788888240206]

Federigo Verdinois

Marley, prima di tutto, era morto. Niente dubbio su questo. Il registro mortuario portava le firme del prete, del chierico, dell'appaltatore delle pompe funebri e della persona che aveva guidato il mortoro. Scrooge vi aveva apposto la sua: e il nome di Scrooge, su qualunque fogliaccio fosse scritto, valeva tant'oro. Il vecchio Marley era proprio morto per quanto è morto, come diciamo noi, un chiodo di porta.
[Charles Dickens, Cantico di Natale, traduzione di Federigo Verdinois, Hoepli, 1888]

Citazioni

  • Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto "allegro Natale" in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio! (prima strofa)
  • – Chi siete e che cosa siete? – domandò Scrooge.
    – Sono lo Spirito di Natale passato.[12] (seconda strofa)
  • È un bel compenso, ed è anche giusto e consolante nell'ordine delle cose umane, che se il dolore e il malanno si attaccano, non ci sia al mondo cosa più contagiosa del buonumore e del riso. (terza strofa)
  • Le azioni umane adombrano sempre un certo fine, che può diventare inevitabile, se in quelle ci si ostina. Ma se vengono a mutare, muterà anche il fine. (quarta strofa)
  • Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. (quinta strofa)

Casa desolata

  • È una triste verità che perfino i grandi uomini hanno parenti poveri.
It is a melancholy truth that even great men have their poor relations. (cap. XXVIII)
  • Il più grande principio della legge inglese è il guadagno. Non ci sono altri princìpi distintamente, certamente, e consistentemente mantenuti attraverso i suoi limitati interventi.
  • Ma l'ingiustizia porta l'ingiustizia, e il combattere con le tenebre e l'essere sconfitti da esse porta necessariamente l'inizio dei combattimenti.
  • Nebbia dappertutto. Nebbia su per il fiume, che fluisce tra prati e isolette verdi; nebbia giù per il fiume...[13]

Dombey e Figlio

Incipit

Dombey era seduto nell'angolo della camera in penombra, sulla grande poltrona accanto al letto, e il Figlio era avvolto al calduccio in una cesta posata con cura su un basso divano proprio davanti al fuoco e molto vicino ad esso come se, simile ad un muffin per costituzione, appena fatto andasse abbrustolito.

Citazioni

  • Dombey aveva circa quarantotto anni. Il Figlio circa quarantotto minuti. Dombey era piuttosto calvo, piuttosto rosso, e pur essendo in tutto e per tutto un bell'uomo aveva un atteggiamento piuttosto rigido e sicuro di sé per riuscire attraente. Il Figlio era motlo calvo, e molto rosso, e pur essendo (com'è naturale) innegabilmente un bel neonato, appariva nel complesso ancora un po' sgualcito e chiazzato. Sulla fronte di Dombey, come un albero destinato al momento giusto a essere abbattuto, il Tempo e l'ansia sua sorella – gemelli spietati che a lungo percorrono le foreste umane, segnando di tacche la loro strada – avevano impresso qualche solco, mentre il viso del Figlio era attraversato da migliaia di piccole rughe che quello stesso Tempo impostore si sarebbe divertito a lisciare col piatto della sua falce fino a farle scomparire, come per prepararsi la superficie su cui avrebbe poi agito molto più in profondità.
  • Quando trovate qualcosa, prendetene nota. (XV, citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 520-521)
When found, make a note of.
  • Tutto procede come al solito. Le onde sono roche a forza di ripetere il loro mistero; la sabbia si ammucchia sulla riva; gli uccelli marini si librano nell'aria e volteggiano,; venti e nuvole continuano il loro volo che non lascia tracce; nel chiarore lunare i bracci bianchi rivolgono un cenno al paese invisibile e lontano.

David Copperfield

Incipit

Ada Marchesini

Nacqui a Blunderstone, un paesino dell'Inghilterra meridionale, in una ventosa notte di marzo; e precisamente alla mezzanotte d'un venerdì. Mio padre era morto prima ch'io nascessi, e io crebbi quindi tra le cure di mia madre e dell'affettuosa governante Peggotty.
Le prime cose che ricordo, quando tento di rievocar la mia infanzia, sono precisamente la figura della mamma, col suo bel visino giovane e la sua personcina graziosa, e quella di Peggotty, goffa e sfortunata, coi vestiti sempre troppo stretti, gli occhi così neri che sembravano oscurar tutto quello che le stava attorno, e le guance e le braccia così sode e così rosse che non capivo perché gli uccelli non le beccassero a preferenza delle mele.

Silvio Spaventa Filippi

Si vedrà da queste pagine se sarò io o un altro l'eroe della mia vita. Per principiarla dal principio, debbo ricordare che nacqui (come mi fu detto e credo) di venerdì, a mezzanotte in punto. Fu rilevato che nell'istante che l'orologio cominciava a battere le ore io cominciai a vagire.
Dalla infermiera di mia madre e da alcune rispettabili vicine, alle quali stetti vivamente a cuore parecchi mesi prima che fosse possibile la nostra conoscenza personale, fu dichiarato, in considerazione del giorno e dell'ora della mia nascita, primo: che sarei stato sfortunato; secondo: che avrei goduto il privilegio di vedere spiriti e fantasmi; giacché questi due doni toccavano inevitabilmente, com'esse credevano, a quegli sciagurati infanti dell'uno o dell'altro sesso, che avevano la malaugurata idea di nascere verso le ore piccole di una notte di venerdì.
[Charles Dickens, David Copperfield, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1949]

Citazioni

  • Capitano incidenti anche nelle migliori famiglie.
  • Morendo, ella era tornata alla calma serena della sua giovinezza, cancellando tutto il resto.
    La madre ch'era sepolta nel cimitero accanto alla casa, era la madre della mia infanzia; la piccola creatura tra le sue braccia, ero io stesso, com'ero stato un tempo, unito a lei nella sua pace, per sempre. (p. 81)
  • Unico spiraglio di luce in tanta tristezza erano i miei libri; fui fedele a loro com'essi eran rimasti fedeli a me e li rilessi da cima a fondo non so quante volte. (p. 95)
  • Solo la mia moglie bambina.
  • Un reddito annuo di venti sterline e spese annue di diciannove sterline e sei pence portano alla felicità. Un reddito annuo di venti sterline e spese annue di venti sterline e sei pence portano all'infelicità. (Mr. Micawber)
  • "Era vero," disse il signor Barkis, "...come sono vere le tasse. E niente è più vero delle tasse."
  • Non c'è ostacolo maggiore fra due sposi della disparità d'animo e di carattere. (2012)
  • Allora mi lasciai cadere davanti allo scrittoio, solo, e piansi pensando alla fatalità di quel nome, alla rapidità con cui i fiorellini avvizziscono, teneri ancora, sul loro stelo." (2012)
  • Nel cielo la luna è alta e chiara. Guardo fuori, nella notte, le lacrime mi scorrono fitte giù per le guance, e il mio cuore ribelle è punito, punito terribilmente. (2012)
  • Quando partii, ti amavo, Agnes. Lontano, ti amavo... Ritornai, e ti amavo... (2012)

Il circolo Pickwick

Incipit

Il primo raggio di luce che viene a rompere ed a fugare le tenebre nelle quali pareva involta l'apparizione dell'immortale Pickwick sull'orizzonte del mondo scientifico, la prima menzione officiale di quest'uomo prodigioso trovasi negli statuti inseriti fra i processi verbali del Circolo. L'editore dell'opera presente è lieto di poterli mettere sotto gli occhi dei suoi lettori, come una prova della scrupolosa attenzione, dello studio diuturno, dell'acume, che hanno sempre accompagnato le sue ricerche nella farraggine dei documenti affidati alle sue cure.

Citazioni

  • Ben di rado i grandi uomini sono molto scrupolosi nella cura della persona. (cap. 2)
  • Pochi momenti vi sono nella vita di un uomo, nei quali sia così ridevole il suo imbarazzo e così scarsa in altri la commiserazione, come quando egli si trova ad inseguire il suo cappello. È indispensabile, in questa operazione del ricuperare un cappello volato via, una forte dose di freddezza e un grado speciale di giudizio. Non bisogna essere frettoloso, né precipitarvisi sopra; né d'altra parte si deve cadere nell'estremo contrario e rischiare di perderlo a dirittura. Il miglior mezzo è questo: di tener dietro dolcemente all'oggetto che si ha in mira, di essere vigile e cauto, di attendere il destro, avanzarlo di qualche passo, far poi una subita diversione, afferrarlo, e cacciarselo in capo solidamente: e tutto questo, sorridendo sempre con una certa grazia, come se la cosa vi paresse il giuoco più piacevole di questo mondo. (cap. 4)
  • Dietro la carrozza era strettamente legata una canestra di vaste dimensioni – una di quelle canestre che per una vaga associazione di idee non mancano mai di destare in una mente contemplativa visioni di polli rifreddi, lingue e bottiglie di vino – e a cassetta sedeva, in uno stato di profonda sonnolenza, un ragazzo grasso e rubicondo, che un arguto osservatore avrebbe subito riconosciuto pel dispensiere ufficiale del contenuto della canestra suddetta quando il tempo opportuno per la distribuzione di quello fosse arrivato.[14] (cap. 4)
  • – Maledetto ragazzo, s'è addormentato di nuovo!
    – Davvero, un ragazzo straordinario, – disse il signor Pickwick; – dorme sempre a questo modo?
    – Se dorme! – esclamò il vecchio signore. – Va per una commissione e dorme, serve a tavola e dorme.
    – Strano davvero!
    – Altro che strano! Io sono superbo di questo ragazzo; non lo darei per tutto l'oro del mondo. Perbacco, è una curiosità, capite! Joe, via questa roba, e dà qua un'altra bottiglia Joe!
    Il ragazzo grasso si scosse, aprì gli occhi, ingoiò il pezzo di pasticcio che teneva in bocca nel punto che s'era addormito, e lentamente eseguì gli ordini del padrone, contemplando con aria cupida e molle i rimasugli del banchetto nel levare i piatti e rimetterli nella canestra.[14] (cap. 4)
  • – [...] La miglior cosa in queste occasioni e di fare quel che fa la massa.
    – Ma supposto che ve ne siano due delle masse? – suggerì il signor Snodgrass.
    – Bisogna gridare con la più numerosa, – rispose il signor Pickwick. (cap. 13)
  • Non c'è un mese in tutto l'anno in cui la natura si adorni di più bella veste come nel mese di Agosto. (cap. 16)
  • Non c'è nulla di così rinfrescante come il sonno, come disse la fantesca prima di sorbirsi il guscio d'ovo pieno di laudano. (Sam Weller: cap. 16) [wellerismo]
  • Lingua; bravo, eccellente quando non è di donna. (Sam Weller: cap. 19)
  • È una bella cosa giocare al volante, quando però non siete voi il volante e le racchette non sono due avvocati. A questo modo, il giuoco diventa troppo eccitante. (Sam Weller, cap. 20)
  • – Ho trovato una cura numero uno per la gotta, Sam – rispose il signor Weller posando il bicchiere.
    – Una cura per la gotta! – esclamò il signor Pickwick cavando in fretta il suo portafogli; – e qual'è?
    – La gotta, signore, – rispose il signor Weller, – la gotta è un certo malanno che viene dalle troppe comodità e dall'averne troppi. Se mai vi piglia la gotta, signore, subito sposatevi una vedova che abbia una buona dose di voce e che se ne serva discretamente, e la gotta ve lo dico io che non torna più. È una ricetta miracolosa, signore. Io la prendo regolarmente tutti i giorni, e posso garentire che son sicuro da qualunque malattia prodotta dallo star troppo bene. (cap. 20)
  • [...] penso che il pover'uomo è vittima della connubiabilità, come disse il cappellano privato di Barba Blù con una lagrima pietosa quando andò a vederlo atterrare. (Sam Weller, cap. 20) [wellerismo]
  • È una cosa molto curiosa [...] che la miseria e le ostriche debbano andar sempre insieme. (cap. 22)
  • Oramai è passata e non c'è più che fare, e questa è una consolazione, come dicono sempre in Turchia, quando tagliano la testa ad uno per un altro. (Sam Weller, cap. 23) [wellerismo]
  • Prima gli affari, e i piaceri dopo, come disse il re Riccardo terzo quando ammazzò quell'altro re nella Torre, prima di strangolare i bambini. (Sam Weller, cap. 25) [wellerismo]
  • Addoloratissimo di recare un qualunque disturbo, signora, come disse il brigante alla vecchia signora quando la mise sul fuoco [...]. (Sam Weller, cap. 26) [wellerismo]
  • [...] che poi valga la pena di passar tanti guai per imparar così poco, come disse il ragazzo quando fu arrivato in fondo all'alfabeto [...]. (Tony Weller, cap. 27) [wellerismo]
  • – Benissimo, signore. C'è da basso un paio di Segaossi.
    – Un paio di che? – domandò il signor Pickwick, alzandosi a sedere nel mezzo del letto.
    – Un paio di Segaossi.
    – Che è un Segaossi? – domandò il signor Pickwick, non ben certo se si trattasse di un animale vivo o di qualche cosa
    – Come! non sapete che cosa è un Segaossi? – esclamò il signor Weller; – io mi figurava che tutti sapessero che un Segaossi è un chirurgo.
    – Ah, un chirurgo, eh? – disse sorridendo il signor Pickwick...
    – Per l'appunto, signore, – rispose Sam. – Questi di giù non sono però dei Segaossi patentati; si tirano su pel mestiere.
    – In altri termini, sono studenti di medicina, volete dire?
    Sam Weller accennò di sì col capo.
    – Ne godo davvero, – disse il signor Pickwick, gettando energicamente il berretto sul piumino. – Bravi ragazzi cotesti studenti; bravissimi giovani, il cui giudizio è maturato dall'osservazione e dalla riflessione, e il cui gusto viene educato dalla lettura e dallo studio. Ne godo davvero. (cap. 30)
  • All'età mia, sarà un gran colpo, questo è certo; ma io son duro parecchio, questo è che mi consola, come disse il vecchio tacchino quando il pollaiolo gli disse che temeva di dovergli tirare il collo per portarlo al mercato. (Tony Weller: cap. 33) [wellerismo]
  • Sicché colgo l'occasione di questo giorno, Maria mia cara, come disse cuel tal debitore che usciva soltanto le domeniche [...]. (Sam Weller, cap. 33) [wellerismo]
  • — Lo scrivete col V o col doppio V?
    — Questo dipende dal gusto e dalla fantasia di chi lo scrive, eccellenza. (cap. 34)
  • [...] io non son troppo abituato a cantare senza lo strumento: ma tutto pel quieto vivere, come disse il marinaio quando fu nominato custode della lanterna del molo. (Sam Weller, cap. 43) [wellerismo]
  • [...] doveva esser così, e così è stato, come disse la vecchia signora dopo che si fu sposato il servitore. (Sam Weller, cap. 52) [wellerismo]
  • Non ci badate; tutto pel mio meglio, come disse lo scolare pentito quando gli dettero il cavallo. (Tony Weller, cap. 52) [wellerismo]
  • È destino di molti uomini, che vivono fra la gente e vanno innanzi con gli anni, di farsi molti veri amici e di perderli poi nel corso della vita. È destino di tutti gli autori o cronisti di crearsi degli amici immaginari, e di perderli nel corso dell'arte. Né qui si arresta la disgrazia loro; perché si richiede inoltre da loro che di quelli rendano un conto preciso. (cap. 57)

Impressioni italiane

  • Potemmo vedere Genova prima delle tre e l'osservare come gradualmente si sviluppava il suo splendido anfiteatro, fila di case che spuntavano sopra fila di case, giardino sopra giardino, palazzo sopra palazzo, altura su altura, fu ampio motivo di occupazione per noi finché non entrammo nel suo porto imponente. (pp. 28-29)
  • [Su Genova] Mai, in vita mia, fui così sbigottito! La meravigliosa novità di tutto, gli odori sconosciuti, l'inesplicabile sudiciume (malgrado sia considerata la più pulita delle città italiane), l'ammucchiarsi disordinato di case sporche, una sopra il tetto dell'altra; i vicoli, più squallidi e stretti che quelli di St. Giles o di Parigi vecchia; dentro e fuori i quali passavano e ripassavano non dei vagabondi ma delle signore eleganti, con veli bianchi e grandi ventagli; la totale assenza di rassomiglianza di qualsiasi casa d'abitazione o negozio o muro o sostegno o colonna con qualcosa che uno avesse visto prima; lo sporco scoraggiante, il disagio e lo sfacelo, mi stordirono completamente. (p. 29)
  • Non immaginavo, quel giorno, che sarei mai arrivato ad avere un legame persino con le pietre della strada di Genova e che avrei ripensato alla città con affetto, perché connessa con tante ore di felicità e di quiete! (p. 30)
  • Le prime impressioni che un posto del genere di Albaro, il sobborgo di Genova dove attualmente, come direbbero i miei amici americani, sono "situato", possono difficilmente non essere, devo supporre, lugubri e deludenti. Ci vuole un po' di tempo e di abitudine per superare la sensazione di dpressione che, all'inizio, nasce da tanta rovina e tanta trascuratezza. (p. 31)
  • La Villa Bagnarello: o la Prigione Rosa, espressione molto più indicata per l'edificio, è in una delle più splendide posizioni immaginabili. [...] Una decrepita, tetra, spettrale, echeggiante e sinistra casa disadorna: questo è; come non ne ho mai né viste né immaginate. (pp. 32, 34)
  • [Su Genova] È un posto che "cresce dentro di voi" giorno per giorno. Sembra sempre che vi sia qualcosa da scoprirvi. Potete smarrire il vostro cammino (che cosa gradevole è, quando siete senza meta!) venti volte al giorno, se vi aggrada; e ritrovarlo tra le più sorprendenti ed inaspettate difficoltà. Abbonda dei più strani contrasti: cose pittoresche, brutte, meschine, magnifiche, deliziose e disgustose vi si parano davanti allo sguardo ad ogni angolo. (p. 45)
  • Chi vuole vedere quanto è bella la campagna negli immediati dintorni di Genova deve salire, in una giornata serena, in cime al monte Faccio o, almeno, fare una cavalcata intorno alle mura della città che è un'impresa molto più facile da compiere. Non c'è panorama più bello e più vario delle mutevoli vedute del porto e delle valli dei due fiumi, la Polcevera e il Bisagno, da quelle alture lungo le quali sono costruite le mura, poderosamente fortificate, come una piccola grande muraglia cinese. (pp. 45-46)
  • La grande maggioranza delle strade è tanto stretta quanto un passaggio pubblico è possibile che lo sia – in un luogo dove la gente (sia pure degli italiani), si suppone che viva e circoli; trattandosi di veri vicoli, con qua e là una specie di pozzo o di posto per respirare. (p. 47)
  • Quando potrò dimenticare le strade dei palazzi: la strada Nuova e la strada Balbi? O come l'una mi apparve un giorno d'estate quando la vidi la prima volta sotto il più smagliante dei cieli estivi blu intenso che la sua stretta prospettiva di immense dimore riduceva ad una affusolata e preziosissima striscia di lucentezza, in contrasto con l'ombra scura sottostante? (p. 48)
  • Lo splendore e la varietà delle chiese genovesi può difficilmente essere esagerato. Specialmente la chiesa dell'Annunciata: costruita, come molte altre, a spese di una nobile famiglia e che ora viene lentamente restaurata: dalla porta esterna sino alla sommità dell'alta cupola, è così finemente dipinta e dorata che sembra (come dice il Simond, nel suo piacevole libro sull'Italia) una grande tabacchiera smaltata. (p. 65)
  • Ci sono tre teatri in città, a parte uno vecchio che viene aperto raramente. Il più importante – il Carlo Felice: il teatro dell'opera di Genova – è uno splendido, comodo e bel teatro. (p. 68)
  • Il Teatro Diurno è un palcoscenico coperto, all'aria aperta, dove gli spettacoli hanno luogo con la luce del giorno, nel fresco del pomeriggio; con inizio verso le quattro o le cinque e della durata di tre ore. È curioso, seduti tra il pubblico, godere una bella vista delle colline e delle case circostanti, vedere i vicini guardare dalle loro finestre e sentire le campane delle chiese e dei conventi suonare completamente a sproposito con quello che avviene in scena. (p. 69)
  • Non c'è in Italia, dicono (e io ci credo), un'abitazione più piacevole di Palazzo Peschiere [...] Si trova su un'altura all'interno delle mura di Genova ma appartato dalla città: è circondato da bei giardini interni, abbelliti con statue, vasi, fontane, bacini marmorei, terrazze, viali di aranci e di limoni, boschetti di rose e di camelie. Tutti gli appartamenti sono belli per proporzioni e decorazioni; ma il grande vestibolo, alto una cinquantina di piedi, con tre grandi finestre sul fondo, che guardano sull'intera città di Genova, il porto e il mare che la circonda, offre uno dei più deliziosi ed affascinanti panorami del mondo. Sarebbe difficile immaginare una dimora più gradevole e comoda di quella che offrono le grandi stanze, all'interno; e certamente niente di più delizioso potrebbe essere immaginato dello scenario fuori, alla luce del sole o al chiaro di luna. Somiglia più ad un palazzo incantato in una novella orientale che ad una sobria e grave dimora. (p. 78)
  • [Su Villa delle Peschiere] Che si possa vagare di stanza in stanza senza mai stancarsi di osservare le decorazioni fantastiche sui muri e sui soffitti, così vivaci nella loro freschezza di colori come se fossero stati dipinti ieri; o come un piano, o anche il grande ingresso su cui si aprono altre otto stanze, sia una spaziosa passeggiata; o come ci siano corridoi e camere da letto che non usiamo e che raramente visitiamo e delle quali a malapena ritroviamo la strada; o che ci sia una veduta diversa per ognuna delle quattro facciate dell'edificio, poco importa. Ma quel panorama del vestibolo è come una visione per me. (pp. 78-79)
  • [Sul Monte Fasce] [...] la più splendente delle colline con il bel tempo, ma la più tetra quando si avvicina il temporale [...] (p. 79)
  • [Sull'Acquasola] [...] una passeggiata pubblica dove la banda militare suona gaiamente, dove i veli bianchi delle genovesi si radunano numerosi e dove le famiglie nobili della città cavalcano in tondo e in tondo e in tondo, almeno in abito e carrozza di gala, se non con perfetta padronanza. (p. 80)
  • Quando i suoi straordinari paesaggi sono finiti e si snoda tra una lunga linea di sobborghi, che si stendono sulla piatta riva del mare, verso Genova, allora le mutevoli brevi apparizioni di questa magnifica città e del suo porto destano nuove fonti di interesse; rinnovate da ogni vasta, ingombrante, semidisabitata vecchia casa di periferia: e arrivando all'apice quando si raggiunge la porta della città e tutta Genova, con la sua bellissima baia e le colline circostanti, esplode orgogliosamente alla vista. (p. 93)
  • Deliziosa Verona! Con i suoi bei palazzi antichi e l'incantevole campagna vista in distanza da sentieri praticabili e da solide gallerie con balaustra. Con i suoi tranquilli ponti romani che tracciano la retta via illuminando, nell'odierna luce solare, con tonalità antiche di secoli. Con le chiese marmoree, le alte torri, la ricca architettura che si affaccia sulle antiche e quiete strade nelle quali riecheggiavano le grida dei Montecchi e dei Capuleti...
Pleasant Verona! With its beautiful old palaces, and charming country in the distance, seen from terrace walks, and stately, balustraded galleries. With its Roman gates, still spanning the fair street, and casting, on the sunlight of to-day, the shade of fifteen hundred years ago. With its marble-fitted churches, lofty towers, rich architecture, and quaint old quiet thoroughfares, where shouts of Montagues and Capulets once resounded...[15]
  • Perugia, munita di grandi mezzi di difesa dalla natura e dalla mano dell'uomo, sorge improvvisamente su di un'altura.[16]

La piccola Dorrit

Incipit

Una trentina d'anni fa, Marsiglia bruciava un giorno ai raggi infocati del sole.
Nella Francia meridionale, un sole ardente in un giorno canicolare di agosto non era allora un fenomeno più strano di quanto in altri tempi sia stato o di quanto sia adesso. Ogni cosa dentro ed intorno a Marsiglia pareva che avesse sbarrato gli occhi, abbagliata ed abbagliante, al cielo infocato; fino al punto che questo fissarsi ed abbagliarsi a vicenda era ivi divenuto come una mania generale. I forestieri venivano abbagliati dalla accesa bianchezza delle case, dei muri, delle vie, dal bagliore delle strade aride e delle prossime colline il cui verde era stato arso. Tutto intorno in un moto spasmodico sbarrava gli occhi. Tutto, meno le vigne; le quali piegandosi sotto il fardello dei grappoli, occhieggiavano di tratto in tratto, quando l'aura calda e grave muoveva appena le loro languide foglie.

Citazioni

  • [...] la vecchia signora viveva tuttavia deplorando la degenerazione dei tempi in compagnia di varie altre vecchie signore di ambo i sessi. (p. 129)
  • Gentiluomo una volta, gentiluomo sempre, gentiluomo fino all'ultimo. (p. 461)

Le avventure di Nicola Nickleby

Incipit

Abitava una volta, in un luogo appartato del Devonshire, certo Goffredo Nickleby, un onesto uomo, che, in età piuttosto avanzata, messosi in capo di ammogliarsi, e non essendo abbastanza giovane o abbastanza ricco da aspirare alla mano di una ereditiera, aveva per pura affezione sposato una vecchia fiamma, la quale a sua volta se l'era preso per la stessa ragione. Così due persone, che non possono permettersi di giocare a carte per denaro, si seggono tranquillamente a tavolino, e giocano una partita per mero piacere.

Citazioni

  • L'aspetto del signor Squeers non era attraente. Egli aveva soltanto un occhio, e il pregiudizio popolare ne vuole due. (p. 21)
  • [...] vi sono soltanto due stili nella dipintura dei ritratti, il serio e il sorridente; e noi usiamo quello serio per la gente che ha una professione (tranne qualche volta per gli attori) e il sorridente per le signore e i signori che non si curano tanto d'aver un'aria di saggezza. (p. 69)
  • Compiango la sua ignoranza e lo disprezzo. (p. 104)
  • Non aveva parole abbastanza potenti da descrivere la bambina prodigio. — Sapete che vi dico, caro? — egli disse. — Le meraviglie di questa fanciulla non si possono immaginare. [...] Era straordinario; perché la bambina prodigio, quantunque piccina, sembrava d'un'età comparativamente maggiore della statura, e inoltre era rimasta degli stessi precisi dieci anni forse a memoria dei più vecchi abitanti del paese, ma certo da ben cinque anni. (p. 172)

Le avventure di Oliver Twist

Incipit

Deda Pini

Nella prima metà del milleottocento, e più particolarmente verso l'anno milleottocentotrenta, quando cioè con tutta probabilità i vostri trisnonni erano bambini piccoletti, c'era, fra gli edifici pubblici di una cittadina dell'Inghilterra della quale è inutile fare il nome, un asilo per i poveri; in questo asilo, un giorno che non saprei precisarvi, nacque il campione di umanità del quale tratta questo racconto.

[Carlo Dickens, Oliver Twist, a cura di Deda Pini, Malipiero, 1971]

Ugo Dettore

Tra i vari edifici pubblici di una certa città che per molte ragioni evito di nominare e a cui non voglio dare alcun nome fittizio, ve n'è uno comune da tempo a molte città grandi e piccole, voglio dire l'ospizio di mendicità. E in questo ospizio nacque, un giorno che non merita specificare perché non ha alcuna importanza per il lettore, almeno per ora, l'esemplare umano il cui nome appare in testa a questo capitolo.

[Charles Dickens, Le avventure di Oliver Twist, BUR classici, traduzione di Ugo Dettore, 11^ ed., luglio 1999, ISBN 88-17 -12319-6]

Citazioni

  • Ma le lacrime non erano cose che si facevano strada nell'anima di Mr. Bumble: il suo cuore era impermeabile.
  • Le sorprese, come le sfortune, raramente vengono da sole.
  • Il cuscino di Oliver era stato sprimacciato da mani gentili quella sera, e amore e virtù vegliarono sul suo sonno.
  • Gli uomini che tengono in considerazione la natura e i loro simili e piangono perché tutto è scuro e cupo sono nel giusto; ma i colori foschi sono i riflessi dei loro occhi invidiosi e dei loro cuori. I veri colori sono delicati e hanno bisogno di una visione più pulita.

Le campane

Incipit

Non sono molto numerosi — e giacché è desiderabile che tra chi narra una storia e chi la legge si stabilisca al più presto possibile una comprensione reciproca, prego di prender nota che io non limito questa osservazione né ai giovani né ai piccoli, ma la applico a ogni sorta di gente piccola e grande, giovane e vecchia, ancora nel periodo della crescita oppure già sul declinare — non sono, dico, molto numerosi coloro a cui piacerebbe dormire in una chiesa. Non intendo parlare con questo di dormirvi durante la predica di una giornata calda (cosa che è stata realmente fatta un paio di volte), ma di dormirvi di notte e soli. Una grande moltitudine di persone sarà violentemente sorpresa, lo so, da una tale asserzione nella piena luce del giorno; ma essa si applica alla notte e deve essere discussa di notte. E io mi impegno a sostenerla con successo, in qualsiasi notte piovosa che si scelga a questo scopo contro qualsiasi contraddittore scelto nella folla, che sia disposto a incontrarmi solo in un vecchio cimitero dinanzi alla porta di una vecchia chiesa e mi dia la preventiva autorizzazione a chiuderlo dentro, se questo è necessario per convincerlo, fino all'indomani mattina.

Citazioni

  • Non c'è niente che si ripresenti più regolarmente dell'ora di pranzo e niente che sia meno regolare, nel presentarsi, del pranzo. (Toby Veck, p. 331)
  • «Ma chi mangia la trippa?» disse il signor Filer dando un'occhiata in giro. «La trippa è senza eccezione l'articolo di consumo meno economico e più dispendioso che i mercati di questo paese abbiano la possibilità di produrre. È stato calcolato che la perdita che subisce nella cottura una libbra di trippa è superiore di sette ottavi di un quinto alla perdita che subisce una libbra di qualsiasi altra sostanza animale.
    «Per dire le cose come stanno, la trippa è più costosa dell'ananasso di serra. Tenendo conto del numero di animali macellati regolarmente ogni anno e facendo un calcolo minimo delle quantità di trippa che le carcasse di questi animali se macellati razionalmente possono produrre, ho scoperto che la perdita su quella quantità di trippa quando viene cotta potrebbe nutrire una guarnigione di cinquecento soldati per cinque mesi di trentun giorni e un mese di febbraio in più. Che spreco, che spreco!» (p. 342)
  • «Voi state per prendere marito, avete detto» proseguì l'assessore. «Una cosa molto sconvienente e indelicata per una donna, ma lasciamo andare. Quando vi sarete sposata, litigherete col marito e diverrete una moglie disgraziata. Ora potete credere che non sarà così; ma sarà così perché io ve lo dico. Desidero avvertirvi chiaramente fin d'ora che io sono deciso a farla finita con le mogli infelici. Così non venite a presentarvi davanti a me. Avrete dei figlioli, dei ragazzi. Questi ragazzi cresceranno cattivi, naturalmente, e andranno vagabondando per le strade senza né scarpe né calze. Badate bene, mia giovane amica, io li condannerò sommariamente, ciascuno di loro, perché sono deciso a farla finita coi ragazzi senza scarpe e senza calze. Forse vostro marito morirà giovane, ciò che è molto probabile, e vi lascerà con un bambino. In questo caso vi metteranno fuori di casa e anche voi andrete errando su e giù per le strade. Badate bene di non venire a errare vicino a me, mia cara, perché io sono deciso a farla finita con tutte le madri vagabonde. Anzi la mia decisione è di farla finita con tutte le madri di qualunque tipo. Non vi mettete in mente di poter addurre come scusa la malattia o i bambini, perché con tutti gli ammalati e con tutti i bambini (io spero che voi conosciate il servizio religioso, per quanto tema di no) sono deciso a farla finita. E se voi tenterete disperatamente, con ingratitudine, con empietà e con frode di affogarvi o impiccarvi, io non avrò nessuna pietà di voi, perché sono venuto nella determinazione di farla finita con tutti i suicidi. Se c'è una cosa» disse l'assessore con un sorriso soddisfatto di se stesso «della quale si può dire che io mi sia più deciso che a proposito di qualunque altra, è di farla finita coi suicidi. Perciò non ci provate. È questa la frase giusta, non è vero? Ah, ah, ora ci siamo capiti.» (pp. 347-348)
  • «Mia signora,» rispose Sir Joseph con solennità «io sono nondimeno l'amico e il padre del povero, e questi riceverà nondimeno ogni incoraggiamento possibile dalle mie mani. Ogni quindici giorni verrà messo in comunicazione col signor Fish; ogni giorno di Capodanno io e i miei amici berremo alla sua salute; una volta all'anno io stesso e i miei amici gli rivolgeremo un discorso col più profondo dei sentimenti; una volta in vita sua forse può perfino accadere che riceva in pubblico, alla presenza della gente come si deve, una piccolezza qualsiasi da un amico; e quando, non più sorretto da questi stimolanti e dalla dignità del lavoro, scenderà nella sua comoda tomba, allora, mia signora» e qui Sir Joseph si soffiò il naso «io sarò l'amico e il padre dei suoi figli alle stesse condizioni.» (p. 357)
  • Nere sono le nuvole che si accumulano e agitate le acque profonde allorché il Mare del Pensiero, destandosi da una bonaccia, restituisce i suoi morti. Sorgono strani e terribili mostri, in una resurrezione prematura e imperfetta; le varie parti e le varie linee di cose differenti sono congiunte e commiste a caso, e quando e come e attraverso quali gradi meravigliosi ciascuna di esse si separa dall'altra e ciascun senso e ciascun obiettivo della mente riprende la sua forma abituale e torna alla vita, questo nessun uomo può dirlo, benché ciascun uomo sia ogni giorno il depositario di questo aspetto del Grande Mistero. (p. 376)
  • «La voce del tempo» disse il fantasma «grida all'uomo: va' avanti! Il tempo esiste perché egli possa avanzare e migliorare, perché il suo valore sia più grande, più grande la sua felicità, migliore la sua vita, perché progredisca innanzi, verso quella meta che è nota a lui e che egli può vedere e che è stata fissata nel periodo nel quale il tempo e lui cominciarono a esistere. Epoche di oscurità, di malvagità e di violenza, sono venute e scomparse: milioni di persone hanno sofferto, hanno vissuto e sono morte per additare a lui la via che gli sta dinanzi. Chi cerca di farlo volgere indietro o di arrestarlo nel suo corso, ferma una macchina potente che stenderà morto l'intruso e che l'arresto momentaneo renderà più feroce e più violenta.» (p. 380)

Explicit

Trotty aveva sognato? Oppure le sue gioie e i suoi dolori e i personaggi di essi sono soltanto un sogno? Lui stesso è un sogno e colui che racconta questa storia un sognatore che si sveglia soltanto adesso? Se è così, ascoltatore, sempre caro a lui in tutte le sue visioni, cerca di tenere in mente le severe realtà dalle quali queste ombre sono nate; e nella tua sfera, giacché nessuna è troppo ampia e nessuna troppo limitata per questo scopo, cerca di correggerle, di migliorarle e di addolcirle. Possa l'anno nuovo essere un anno felice per te, e felice per tutti gli altri la cui felicità dipende da te. Possa ciascun anno essere più felice del precedente, e possa anche il più umile dei nostri fratelli e sorelle non esser privato della sua legittima parte di quel che il nostro Creatore ha creato per il suo godimento.

Lettere dall'Italia

  • [Su Villa Bagnarello] Mi trovo in una vecchia tenuta sconquassata, la più completamente solitaria, arrugginita, stagnante che tu possa immaginare. Che cosa non darei perché tu potessi solo dare un'occhiata al cortile! Lo contemplo ogni volta che passo vicino a una finestra che guarda da quel lato della casa, perché la stalla è così piena di «insetti e sciami» [...] che mi aspetto sempre di vedere la carrozza uscirsene trainata di peso da legioni di laboriose pulci perfettamente bardate, per proprio conto. (lettera a John Forster, 20 (?) luglio 1844; p. 21)
  • [Sui modi genovesi] [...] sono estremamente vivaci e pantomimici, tanto che due amici popolani in placida conversazione nella strada sembrano sempre sul punto di accoltellarsi da un istante all'altro. E uno straniero resta profondamente sconcertato dal fatto che poi questo non succeda. (lettera a John Forster, 20 (?) luglio 1844; p. 21)
  • Ma non so come te la caveresti sui lastricati, che mettono a dura prova. È come camminare su delle biglie roventi e fumanti, con ogni tanto uno spuntone che fa inciampare. (lettera al fratello Frederick, 22 luglio 1844; p. 22)
  • Vi è una Chiesa, qui, la Chiesa dell'Annunciazione, che stanno adesso restaurando (certe famiglie nobili) con gran dispendio, come opera pia. È un'ampia Chiesa, con un gran numero di cappellette all'interno, e una cupola davvero alta. Ogni Pollice di questo edificio è dipinto, e ogni Disegno è circondato da una gran cornice o bordatura dorata, di complicata lavorazione. Non puoi immaginare nulla di altrettanto splendido. Merita un intero viaggio solo il venirla a vedere. (lettera a Daniel Maclise, 22 luglio 1844; p. 24)
  • [Su Tour in Italy di Louis Simond] È un libro proprio incantevole e lo si apprezza soprattutto per l'eccellente proposito e determinazione di non riprodurre gli stereotipi convenzionali. (lettera a John Forster, 3 agosto 1844; p. 27)
  • [...] a un certo punto della sera e del mattino l'azzurro del Mediterraneo supera ogni immaginazione o descrizione. È il colore più intenso e meraviglioso, credo, di tutta la natura. (lettera a John Forster, 3 agosto 1844; p. 27)
  • La Villa [Bagnarello] è piuttosto disadorna in fatto di mobili, ma è estremamente pulita. La Sala è molto ampia e le camere da letto ottime. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 29)
  • [...] mi sono guardato attorno e credo d'aver concluso un accordo per una sistemazione alle Peschiere: spero di prendere possesso di quel Palazzo il primo d'ottobre. Ho a disposizione l'intero edificio, tranne il Piano Terra. Non so se abbiate mai visto le stanze. Sono davvero splendide, e ogni millimetro delle pareti è affrescato. I Giardini sono anch'essi bellissimi. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 29)
  • Che luogo triste è l'Italia! Un paese piombato nel sonno, e senza alcuna prospettiva di risvegliarsi. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; pp. 30-31)
  • Non dimenticherò mai, finché vivrò, le mie prime impressioni mentre avanzavo per le vie di Genova, dopo aver contemplato la splendida Vista della città, per un'ora intera, con un telescopio, dal ponte del vapore. Pensavo che fra tutte le più ammuffite, desolate, sonnolente, luride, abbandonate, immobili città del mondo intero, dimenticate da Dio, nessuna la potesse eguagliare. Mi pareva di essere giunto dove tutto finisce, dove non vi è più progresso, movimento, sviluppo, o possibilità di migliorare oltre. Tutto sembrava essersi fermato da secoli, per non riscuotersi mai più, restando immobile sotto il sole in attesa del giorno del Giudizio.
    Adesso, invece, mi attira molto andarvi a camminare o girovagare, quando mi ci reco, in una specie di stato sognante, che è anche estremamente distensivo. Mi sembra di pensare, ma non so a che cosa, non ne ho la minima coscienza. Posso sedermi in una chiesa, o fermarmi alla fine di uno stretto Vico, zigzagando come una lurida biscia verso la parte alta, senza sentire il minimo desiderio per alcun altro tipo di divertimento. Non diversamente mi stendo sugli scogli la sera, fissando l'acqua azzurra senza ritegno, o giro per gli stretti vicoli e guardo le lucertole inseguirsi per i muri (così leggere e rapide che mi sembrano sempre ombre di qualcos'altro che passi sulle pietre) e sparire nei loro buchi così all'improvviso da lasciare pezzetti di coda di fuori, senza che se ne rendano conto. (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 31)
  • Siete mai stato a Lione? Quello è il posto. È un grande Incubo, una cattiva coscienza, un colpo di indigestione, il ricordare di aver commesso un delitto. Un posto terribile! (lettera al Conte D'Orsay, 7 agosto 1844; p. 31)
  • Il Peschiere è tenuto in gran considerazione per la sua salubrità: è situato nel mezzo del più splendido panorama, entro le mura di Genova, nel cuore di tutte le passeggiate della Collina, circondato dai più deliziosi giardini (pieni di fontane, alberi di arancio, e ogni sorta di piacevolezza) che tu possa immaginare [...]. All'interno, è tutto dipinto, muri e soffitti, in ogni centimetro, nel più sfarzoso dei modi. Vi sono dieci stanze per piano: solo poche sono più piccole delle più grandi stanze d'abitazione del palazzo di Hampton Court, e una è sicuramente altrettanto larga e lunga del Saloon del Teatro di Drury Lane, con una gran copertura a volta più alta di quella della Galleria Waterloo nel Castello di Windsor, anzi, a pensarci bene, molto più alta. (lettera a Thomas Mitton, 12 agosto 1844; pp. 35-36)
  • Sono stato a cena dal console generale francese. Era presente, fra gli altri genovesi, il Marchese di Negro, un grassone molto più vecchio di Jerdan, [William Jerdan] con la stessa chiacchiera e misura di lingua. È stato amico di Byron: la sua casa, qui, è aperta a tutti, scrive poesie, improvvisa, ed è una sorta di ottimo vecchio Blunderbore, proprio lo strumento giusto per scavare un pozzo artesiano da qualsiasi parte. (lettera a John Forster, 20 (?) agosto 1844; p. 39)
  • [Sui Promessi sposi] È proprio un bel libro! Non mi sono ancora addentrato molto nella storia, ma ne sono del tutto incantato. I dialoghi fra lo Sposo e il Prete, la Mattina del mancato matrimonio, fra lo Sposo e la Sposa e la Madre di lei, e la descrizione del tragitto del povero Renzo alla casa del dotto avvocato, con i capponi, la scena fra loro due e l'idea complessiva del personaggio e della vicenda di Padre Cristoforo sono delineati a tocchi estremamente delicati e suggestivi. Ho appena lasciato il buon padre nella chiassosa Sala da Pranzo di Don Rodrigo e ti assicuro che sono ansiosissimo di andare avanti. (lettera a Samuel Rogers, 1 settembre 1844; pp. 42-43)
  • Ricordi la Chiesa dei Cappuccini, l'Annunciata? Stanno ridipingendola e rinnovando completamente le dorature. E stanno costruendo un portico di marmo sopra l'entrata principale. La parte dell'interno, circa due terzi, che hanno già finito di ridecorare, è quanto di più sfarzoso si possa immaginare. Se si guarda verso le tre Cupole in alto in un giorno luminoso, stando davanti al Grande Altare, si resta storditi dallo scintillìo e dalla gloria del luogo. Ma il contrasto tra questo Tempio e i suoi ministri è sicuramente il più singolare e netto che esista al Mondo. (lettera a Samuel Rogers, 1 settembre 1844; p. 43)
  • [...] mio caro amico, qualunque cosa al mondo tu abbia udito su Venezia, nessuna uguaglia la magnificenza e lo splendore della realtà. Le più sfrenate visioni delle Mille e Una Notte non sono nulla in confronto a Piazza San Marco e della prima impressione dell'interno della chiesa. La realtà sontuosa e stupefacente di Venezia è al di là delle fantasie del più audace sognatore. Nemmeno l'oppio potrebbe far sorgere un luogo simile, e un incantesimo sfumarlo poi in visione. Tutto quello che ho sentito dire, o letto in descrizioni realistiche o romanzate, o immaginato su di essa viene scavalcato di migliaia di miglia. E tu sai che, quando mi aspetto troppo da un luogo, è facile che ne resti poi deluso: ma Venezia è al di sopra, al di là, al di fuori della portata di ogni immaginazione umana. Non la si è mai decantata abbastanza. A vederla, ti commuoveresti fino alle lacrime. [...] Da oggi, Venezia è parte della mia mente. (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; pp. 61-62)
  • Non mi è mai successo prima di aver paura di descrivere quanto mi è capitato di vedere. Ma nel dirti che cos'è Venezia, ebbene, sento che mi è impossibile. (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; p. 62)
  • [...] giuro (con assoluta convinzione) che Venezia è il prodigio, la nuova meraviglia del mondo. Se tu potessi esservi trasportato, senza averne mai sentito parlare, sarebbe la stessa cosa. Calpestarne le pietre, averne davanti gli scorci e nella mente la storia è qualcosa che supera tutto ciò che di essa si scrive, si dice, si pensa. Non potresti parlarmi in questa stanza, né io a te, senza stringermi le mani e dire: «Buon Dio, mio caro amico, abbiamo vissuto per vedere tutto questo!» (lettera a John Forster, 12 novembre 1844; p. 62)
  • Sono rimasto alquanto scosso ieri (non sono molto forte in minuzie geografiche) nello scoprire che Romeo venne bandito a sole venticinque miglia. Tale è la distanza fra Mantova e Verona. Quest'ultimo è uno strano vecchio posto, con grandi case ormai solitarie e chiuse, esattamente come ci si aspetta che sia. La prima ha una gran quantità di farmacisti, tutt'oggi, che potrebbero interpretare la parte shakespeariana al naturale. Di tutti i piccoli stagni immobili visti finora, è il più verde e il più coperto d'erbacce. (lettera a Douglas Jerrold, 16 novembre 1844; pp. 63-64)
  • Non vi è nulla che mi abbia colpito in vita mia come Venezia. È la meraviglia del mondo. Un dannato antico posto da sogno, stupendo, immateriale, impossibile, perverso, irreale. Vi sono arrivato di sera, e la sensazione di quella sera e della luminosa mattina successiva è ormai parte di me per il resto della mia esistenza. (lettera a Douglas Jerrold, 16 novembre 1844; p. 64)
  • Quanto al vecchio Di Negro è ancora un po' più brutto di quando siamo arrivati all'inizio. Dà periodici ricevimenti alla Villetta in cui v'è una gran quantità di vasi di fiori e qualche gelato, senza altro rinfresco. Lui si aggira declamando costantemente versi estemporanei a ogni minimo spunto. Nella sua camera da letto ha un'Arpa Gigantesca e tiene sempre pronte carta e penna per fissare le idee man mano che gli vengono, una sorta di Re David profano, ma molto innocuo. (lettera alla Contessa di Blessington, 20 novembre 1844; p. 73)
  • [Sulla lingua napoletana] [...] è assai particolare ed estremamente difficile: per capirla ci vorrebbe almeno un anno di pratica costante. Non somiglia all'italiano più di quanto l'inglese non somigli al gallese. E poiché non dicono nemmeno la metà delle cose che intendono, sostituendo intere frasi con strizzate d'occhio o calci, mi meraviglio che riescano a comprendersi. (lettera a Thomas Mitton, 17 e 22 febbraio 1845; p. 90)
  • Il posto [Napoli] è bello, ma molto meno di quanto la gente non dica. Il famoso golfo, secondo me, come veduta, è incomparabilmente inferiore a quello di Genova, che è quanto di più bello abbia mai visto. Nemmeno la città, dal canto suo, è paragonabile a Genova, con cui in Italia nessuna regge il confronto, salvo Venezia. Quanto ai palazzi, nessuno uguaglia le Peschiere per architetture, collocazione, giardini o stanze. (lettera a Thomas Mitton, 17 e 22 febbraio 1845; p. 90)
  • Napoli in sé, invece, almeno un po' mi ha deluso. Il golfo non mi pare bello come quello di Genova, non è facile scorgerne o coglierne la linea, e l'effetto delle montagne è sciupato dalle sue dimensioni. La vita per le strade non è pittoresca e insolita neanche la metà di quanto i nostri sapientoni giramondo amino farci credere. (lettera a Emile De La Rue, 23 e 25 febbraio 1845; p. 90)
  • [...] In linea di massima, la gente comune, qui in Italia, mi piace moltissimo, ma i Napoletani meno di tutti e i Romani poco più, perché sono focosi e brutali. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il fascino che ha il golfo di Genova ai miei occhi manca completamente a quello di Napoli. La città di Genova è proprio bella e pittoresca e la casa in cui abitiamo [Villa delle Peschiere] non ha nulla da invidiare a un Palazzo delle fiabe. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • [...] Venezia è stata un tale splendido sogno che non riesco mai a parlarne, sentendomi del tutto incapace di descriverne l'impatto sulla mia mente. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il Colosseo di giorno, al chiaro di luna, a lume di torcia e con ogni sorta di luce è quanto di più stupendo e terribile. (lettera a Miss Burdett Coutts, 18 marzo 1845; p. 99)
  • Il Mediterraneo si stende a perdita d'occhio oltre la città, ed è così azzurro, in questo momento, che nemmeno il più puro e vivido blu di Prussia che Mac abbia mai preparato sulla sua tavolozza potrebbe sostenerne il confronto. (lettera a John Forster, (?) aprile 1845; p. 104)
  • Napoli mi ha ampiamente deluso. È pur vero che il tempo è stato brutto per gran parte della mia permanenza là, ma se non vi fosse stato il fango, vi sarebbe stata la polvere. E se anche avessi avuto il Sole, avrei comunque avuto anche i Lazzaroni, che sono così cenciosi, così luridi, abietti, degradati, immersi e imbevuti nella più totale impossibilità di riscatto, che renderebbero scomodo anche il Paradiso, semmai dovessero arrivarci. Non mi aspettavo di vedere una bella Città, ma qualcosa di più piacevole della lunga monotona filza di squallide case che si stendono da Chiaia al Quartiere di Porta Capuana, sì; e mentre ero piuttosto preparato all'idea di una popolazione miserabile, mi aspettavo comunque di vedere qualche straccio pulito ogni tanto, qualche gamba che ballasse, qualche viso sorridente, abbronzato dal sole. La realtà, invece, è che, se penso a Napoli in sé per sé, non mi resta un solo ricordo piacevole. (lettera alla Contessa di Blessington, 9 maggio 1845; p. 107)
  • [Su Lord Holland e la sua cuoca] Se anche dovessero aprire un ristorante pulito a Genova, cosa poco credibile, data la naturale predilezione per la sporcizia, l'aglio e l'olio dei genovesi, sarebbe lo stesso un grosso rischio, perché i preti farebbero di tutto per danneggiare un uomo che ha sposato una Protestante. (lettera a John Forster, 12 maggio 1845; p. 115)

Martin Chuzzlewit

Incipit

Siccome nessuna signora e nessun signore che pretende di appartenere alla migliore società può provare qualsiasi simpatia per la famiglia Chuzzlewit senza aver ricevuto prove sicure della estrema antichità della sua stirpe, è una soddisfazione sapere con certezza che discende in linea diretta da Adamo ed Eva.[17]

Citazioni

  • La signora Gamp [che si occupa di cadaveri] si confortò con un pizzico di tabacco da fiuto e stette a guardarlo con il capo reclinato un po' da una parte, come un intenditore potrebbe contemplare qualche dubbia opera d'arte. A poco a poco s'impadronì della donna il ricordo di un ramo orribile delle sue specializzazioni; e, chinatasi, ella gli immobilizzò contro i fianchi le braccia agitate per vedere che aspetto avrebbe avuto una volta morto. Per quanto la cosa possa sembrare laida, le dita di lei fremevano dal desiderio di comporre le sue membra nell'estremo atteggiamento marmoreo. – Ah, – disse la signora Gamp, scostandosi un po' dal letto – sarebbe proprio una gran bella salma! –.
  • Sempre e sempre più forte rombava il tuono dalla voce profonda, come echeggiando nella miriade di sale di qualche enorme tempio del cielo; sempre più numerosi e accecanti divenivano i lampi; sempre più dirotta cadeva la pioggia. I cavalli [...] sembravano tuffarsi nei rivoli di fuoco vibrante che serpeggiavano sul terreno davanti a esso ed emergerne; ma i due uomini sedevano immobili nella carrozza e procedevano come se fossero stati soggetti a una forza d'attrazione invisibile.
  • Qualunque uomo può essere allegro e affabile quando è ben vestito. Non c'è un gran merito in questo. (V)
  • Questa è la regola per i buoni affari: "Frega gli altri uomini, perché loro lo farebbero con te."[18]

Racconto di due città

Incipit

Era il tempo migliore e il tempo peggiore, la stagione della saggezza e la stagione della follia, l'epoca della fede e l'epoca dell'incredulità, il periodo della luce e il periodo delle tenebre, la primavera della speranza e l'inverno della disperazione. Avevamo tutto dinanzi a noi, non avevamo nulla dinanzi a noi; eravamo tutti diretti al cielo, eravamo tutti diretti a quell'altra parte — a farla breve, gli anni erano così simili ai nostri, che alcuni i quali li conoscevano profondamente sostenevano che, in bene o in male, se ne potesse parlare soltanto al superlativo. Un re dalla grossa mandibola e una regina dall'aspetto volgare sedevano sul trono d'Inghilterra; un re dalla grossa mandibola e una regina dal leggiadro volto, sul trono di Francia. In entrambi i Paesi ai signori dalle riserve di Stato del pane e del pesce era chiaro più del cristallo che tutto in generale andava nel miglior ordine possibile e nel più duraturo assetto del mondo.

Citazioni

  • Noi uomini d'affari, che serviamo una casa, non siamo padroni di noi stessi. Più che a noi stessi, dobbiamo pensare alla casa. (Jarvis Lorry: cap. IV; p. 44)
  • Io ammetto d'essere una spia, professione che non ha una buona reputazione, sebbene sia necessario che qualcuno la eserciti; ma questo signore non è spia, e non veggo la ragione perché debba abbassarsi a far la spia. (John Barsad: cap. VIII; p. 160)

Explicit

«Veggo il bambino che le stava in grembo e che porterà il mio nome, diventar uomo, e farsi strada nel mondo nella stessa professione che una volta fu mia. Lo veggo arrivare vittorioso alla meta, e il mio nome, irradiato della luce del suo, mondarsi delle macchie di cui io l'aveva bruttato. Lo veggo ancora, o capo dei giudici giusti e degli uomini onorati, condurre in questo luogo un ragazzo dello stesso mio nome, con una fronte che io conosco e i capelli d'oro — questo luogo sarà allora bello da guardare, senza più le orribili tracce di oggi — e lo veggo narrare al bambino la mia storia, con tenera e tremola voce.
«Quel che faccio è il meglio, di gran lunga il meglio che io abbia mai fatto; e il riposo che m'attende è il più dolce, di gran lunga il più dolce che io abbia mai conosciuto».[19]

Tempi difficili

Incipit

– Ora, quel che voglio sono Fatti. Solo Fatti dovete insegnare a questi ragazzi. Nella vita non c'è bisogno che di Fatti. Piantate Fatti e sradicate tutto il resto. La mente d'un animale che ragiona si può plasmare solo coi Fatti; null'altro gli sarà mai di alcuna utilità. Con questo principio educo i miei figli e con lo stesso principio educo questi ragazzi. Attenetevi ai Fatti, signore!

[Einaudi, traduzione di Maria Rita Cifarelli e Cristina Scagliotti]

Libro primo

  • [A Stephen Blackpool] Le istituzioni del tuo paese non sono affar tuo, e il tuo unico dovere è appunto badare ai tuoi affari. (Il signor Bounderby: XI; 1999, p. 92)
  • Meglio, mille volte meglio non avere neppure un tetto sulla testa che una casa nella quale si ha il timore di tornare! (XII; 1999, p. 99)
  • Come un astronomo che, in un osservatorio privo di finestre, volesse organizzare l'universo stellato col solo ausilio di carta, penna e inchiostro, cosí il signor Gradgrind nel suo privato osservatorio (e come il suo ve ne sono parecchi) non aveva alcun bisogno di gettare lo sguardo sugli esseri umani che gli brulicavano attorno, ma si compiaceva di tracciare i loro destini su una semplice lavagna, cancellando via le loro lacrime con un unico pezzetto di spugna sudicia. (XV; 1999, p. 116)

Libro secondo

  • È sempre un fatto curioso osservare come, in molte assemblee, gli ascoltatori soccombano passivamente all'insipienza di qualche presuntuoso, sia esso nobile o comune cittadino, di qualche uomo che essi – o almeno i tre quarti di essi – non riuscirebbero in alcun modo a sollevare dal suo abisso di stupidità e a portare al loro livello intellettuale. (IV; 1999, p. 168)
  • Ben piú difficile di quanto avesse mai potuto immaginare era separare, dentro di sé, la sensazione di abbandono da quella, ingiustificata, di vergogna e disonore. (IV; 1999, p. 174)
  • [Al signor Bounderby] Non serve il pugno di ferro. Non servono le vittorie e i trionfi. E non serve proprio a niente mettersi d'accordo per fare in modo che una parte ci ha sempre e comunque ragione e l'altra sempre e comunque torto. E non serve neppure lavarsene le mani. Lasciate pure migliaia e migliaia di persone a vivere la stessa vita, dentro ai guai fino al collo, ed ecco che diventeranno come un sol uomo, e voi tutti vi metterete di fronte come un altro uomo, e in mezzo ci sarà un abisso nero che non si potrà attraversare, per il poco o il tanto tempo che durerà questa miseria. A non voler stare vicino agli altri con gentilezza, pazienza e buonumore, perché è cosí che si sta vicini quando si hanno tanti guai, cosí ci si tira su quando si soffre nel bisogno (credo umilmente che in tutti i suoi viaggi questo signore [James Harthouse] non ha mai incontrato gente cosí generosa come qui), non ci si ricaverà niente finché il sole non si sarà cambiato in ghiaccio. E soprattutto non servirà a niente considerarli solo per la forza che hanno, trattarli come macchine o come numeri da sommare, senza sentimenti e senza simpatie, senza ricordi e senza preferenze, senza un animo che soffre e che spera, trattarli, quando tutto va bene, come se non hanno niente dentro e, quando va male, dicendo che non hanno sentimenti umani quando parlano con voi. Ma tutto questo non servirà a niente, signore, finché non si disferà l'opera di Dio. (Stephen Blackpool: V; 1999, p. 182)
  • È cosí naturale che tutti abbiano uno scopo o qualcosa da fare che chiunque se ne sta in ozio a bighellonare è, e si sente, sempre osservato. (VI; 1999, p. 196)
  • Neppure in quel momento, mentre si avvicinava alla sua vecchia casa, [Louisa Bounderby] avvertí su di sé alcun benefico influsso. Che cosa aveva piú da spartire ormai con i sogni dell'infanzia, con le sue fiabe leggiadre, con la grazia, la bellezza, l'umanità, le illusioni di cui si adorna il futuro? Tutte cose tanto belle in cui credere da piccoli, da ricordare con tenerezza una volta adulti perché, allora, anche la piú insignificante di esse si eleva alla dignità di una grande e benevola disposizione del cuore che consente ai piccini che soffrono di avventurarsi per le vie irte di sassi di questo mondo, conservando quel piccolo angolo fiorito con le loro mani pure. Un giardino nel quale i figli di Adamo farebbero meglio a entrare piú spesso per scaldarsi al sole con fiducia e semplicità, liberi da vanità mondane.
    Già, cos'aveva ormai da spartire con i ricordi dell'infanzia? Il ricordo di come, al primo incontro, attraverso la luce delicata dell'immaginazione, la Ragione, le fosse apparsa come una divinità benefica che additava a divinità altrettanto magnanime e non già come un idolo arcigno, gelido e crudele, con vittime legate mani e piedi; grossa figura ottusa dallo sguardo fisso che solo un sistema di leve, azionato da un preciso numero di tonnellate, sarebbe stato in grado di smuovere. La casa paterna e la fanciullezza le rimandavano immagini di fonti e sorgenti inaridite nell'istante stesso in cui sgorgavano dal suo giovane cuore. Niente acque dorate per lei: esse fluivano invece a fecondare la terra in cui si coglie l'uva dai rovi e il fico dal pruno. (IX; 1999, p. 236)
  • [Al signor Gradgrind] Come avete potuto darmi la vita e insieme privarmi di tutte quelle piccole cose che la distinguono da uno stato di morte cosciente? Dove sono le virtú della mia anima? E i moti del cuore? Che ne avete fatto, padre, del giardino che avrebbe dovuto fiorire in mezzo a questo deserto?
    [...]
    Se quel giardino fosse mai esistito, sarebbero bastate le sue ceneri a salvarmi dal vuoto in cui sprofonda la mia vita. Non volevo dire questo; ma, padre, rammentate l'ultima conversazione che avemmo in questa stanza?
    [...]
    Quel che m'è salito alle labbra adesso, l'avrei detto anche allora, se solo per un attimo mi aveste aiutata. Non vi rimprovero, padre. Quel che non avete coltivato in me, non l'avete coltivato neppure in voi stesso. Oh, se solo l'aveste fatto tanto tempo fa, oppure mi aveste trascurata, oggi sarei di certo una creatura migliore, e piú felice! (Louisa Bounderby: XII; 1999, p. 258)

Libro terzo

  • Tutte le forze troppo a lungo imprigionate, quando esplodono, portano distruzione. Anche l'aria cosí vitale per la terra, l'acqua portatrice di ricchezza, il calore che conduce a maturazione, si trasformano, se ingabbiate, in forze devastanti. Cosí avveniva anche allora nel suo cuore: le sue migliori qualità, troppo a lungo accanite contro se stesse, si erano trasformate in un cumulo di ostinazione, pronto a sollevarsi contro un'amica. (I; 1999, pp. 269-270)
  • Principio basilare della filosofia di Gradgrind era che tutto avesse un prezzo e che il prezzo andasse pagato. Nessuno doveva mai dare niente a nessuno, né offrire aiuto ad alcuno, senza corrispettivo. La gratitudine andava abolita, e le virtú che da essa scaturivano non dovevano esistere. Ogni frammento dell'esistenza umana, dalla nascita alla morte, era da considerarsi alla stregua di un contratto che andava stipulato da due parti contrapposte. E se a quel modo non si finiva in Paradiso voleva dire che il Paradiso non era un luogo dotato di caratteristiche politico-economiche, e non conveniva andarci. (VIII; 1999, p. 345)
  • [Al signor Gradgrind] Fembra proprio che i cafi fono due, vero, fignoria? Uno, che al mondo c'è una fpecie d'amore che dopo tutto non è foltanto intereffe, ma qualcofa di molto diverfo; e due, che quefto amore ha una fua maniera di calcolare o di non calcolare, e in un modo o nell'altro è difficile da fpiegarfi, come il modo di comportarfi dei cani! (Sleary: VIII; 1999, p. 349)
  • È sempre pericoloso scoprire qualcosa del mondo di un borioso fanfarone prima che sia lui stesso a scoprirlo. (IX; 1999, p. 351)
  • [Al signor Bounderby, riferendosi al suo comportamento] Niente di quel che fa un imbecille può destare sorpresa o indignazione: il comportamento di un imbecille può solo suscitare disprezzo. (La signora Sparsit: IX; 1999, p. 354)

Incipit di alcune opere

Grandi speranze

Il cognome di mio padre essendo Pirrip, e il mio nome di battesimo Philip, la mia lingua infantile non riusciva a cavare da entrambi alcunché di più lungo o di più esplicito che Pip. Da me stesso quindi mi chiamai Pip, e anche gli altri finirono per chiamarmi così.[20]

Il nostro comune amico

Ai nostri giorni (non importa precisare l'anno), una barca di sudicio e malandato aspetto, con due figure a bordo, s'aggirava sul Tamigi tra il Southwark Bridge, che è di ferro, e il London Bridge, che è di pietra, mentre il pomeriggio d'autunno andava già cedendo alla sera.[20]

Il segnalatore

«Ehi, laggiu!»
Quando udì una voce che lo chiamava, si trovava accanto alla porta del suo gabbiotto, con una bandiera in mano, arrotolata attorno al corto bastone. Considerata la natura del terreno, si sarebbe potuto pensare che non avesse dubbi sulla direzione da cui proveniva la voce; ma invece di sollevare lo sguardo verso il punto in cui mi trovavo, in cima alla trincea scoscesa quasi sopra la sua testa, si voltò e guardò la Linea. C'era qualcosa di particolare nel modo in cui lo fece, anche se non avrei saputo dire cosa.

La bottega dell'antiquario

È mio costume, vecchio qual sono, d'andare a passeggio quasi sempre di notte. L'estate, spesso, me n'esco di casa la mattina presto, e giro per i campi e i viottoli tutta la giornata, o anche me ne sto lontano per giorni o settimane di fila; ma, tranne che in campagna, di rado esco se non al buio, sebbene, e ne sia ringraziato il Cielo, io ami la luce del giorno e senta, al pari d'ogni creatura vivente, la gioia ch'essa riversa sul mondo.
Ho contratto quest'abitudine senza accorgermene, sia perché seconda la mia infermità, sia perché m'offre la più favorevole occasione di meditare sul carattere e la occupazione di quanti affollano le vie. Il barbaglio e il trambusto del pieno meriggio non s'adattano alle mie oziose fantasticherie; un'occhiata ai visi che passano, côlta al riflesso d'un fanale o d'una mostra di bottega, spesso vale per il mio proposito, più della loro intera rivelazione alla luce del giorno; e, sotto questo rispetto, la notte, a dire il vero, è più riguardosa del giorno, il quale, non di rado, senza la minima cerimonia o il minimo rimorso, distrugge un bel castello in aria nell'atto stesso che si riesce a coronarlo.

Citazioni su Charles Dickens

  • Aprite un libro e cercate di leggere, ma scoprite che Shakespeare è trito e banale, Dickens insipido e pedestre, Thackeray nioso e Carlyle eccessivamente sentimentale. (Jerome K. Jerome)
  • Ci sono [...] scrittori che mostrano deficienze assolute di capacità costruttive e che quindi, nonostante la più fertile delle invenzioni, naufragano miseramente nella trama. A questa categoria appartiene Dickens. (Edgar Allan Poe)
  • Dickens attaccò le istituzioni inglesi con una ferocia senza precedenti all'epoca. Eppure, riuscì a farlo senza farsi odiare, e, soprattutto, a farsi apprezzare e lodare dalle stesse persone che aveva criticato, in modo da divenire egli stesso una istituzione nazionale. (George Orwell)
  • Dickens era un puro innovatore – un progressista per eccellenza – e non aveva alcun rimpianto delle epoche passate, ad eccezione forse di una sorta di sentimentalismo per le torri delle cattedrali. Era all'oscuro del terribile potere della superstizione – era essenzialmente un direttore di scena, la metteva in scena per provocare reazioni nel pubblico. Il suo Natale significava vischio e pudding – non la resurrezione dai morti, né la nascita di nuove stelle, né l'insegnamento di saggi o di pastori. (John Ruskin)
  • Dickens è uno scrittore delizioso e irritante. Quanto è difficile da maneggiare questo cordiale, unghiuto, un po' pingue, o forse pletorico, animale letterario, la cui gola poderosa sa articolare ogni sorta di voci : rugghi, rantoli, stronfi, e anche delicatissime fusa, tiepidi sgnaulii. Domestico o feroce? Quell'equivoco pelame, tra giaguaro e gatto domestico, ci fa cauti e perplessi. (Giorgio Manganelli)
  • Dickens narra con tale precisione, con tale minuziosità, da costringerci a seguire il suo sguardo ipnotizzante. Non aveva lo sguardo magico di Balzac [...], ma uno sguardo tutto terreno, uno sguardo da marinaio, da cacciatore, uno sguardo di falco per le piccole cose umane. – Ma sono le piccole cose – disse egli una volta – che formano il senso della vita. (Stefan Zweig)
  • Di tutti i romanzieri dell'età vittoriana [Dickens] è stato probabilmente il più critico verso la stessa età vittoriana. (Edmund Wilson)
  • Egli aveva uno spirito grande e pieno d'amore e la più forte simpatia per le classi povere. Provò sicuramente i migliori sentimenti e sentì la necessità di un'unione tra le classi, sperando che questa avesse luogo. E io prego perché ciò accada al più presto. (Regina Vittoria)
  • Il genio umoristico di Dickens è legato al suo senso morale. La sua comicità si esprime al massimo della forza quando scopre nuovi peccati. (George Orwell)
  • L'arte di Dickens era la più raffinata delle arti: era l'arte di godere di tutto. Dickens ha goduto di ogni personaggio dei suoi libri, e tutti hanno apprezzato i suoi personaggi. I suoi romanzi sono pieni di delinquenti e furfanti, ma i cattivi e vigliacchi sono persone talmente deliziose che il lettore si augura sempre il truffatore metta la testa attraverso una finestra laterale per fare un altro commento, o che il prepotente dica qualcosa d'altro dal fondo delle scale. Il lettore si augura davvero questo, ed egli non può sbarazzarsi della fantasia che l'autore speri proprio che lui pensi questo. (Gilbert Keith Chesterton)
  • La cosa bella di Charles Dickens è che ogni riga del suo romanzo è carica di ironia. (Roman Polanski)
  • Nel caso di Dickens i valori sono nuovi. Gli autori moderni si ubriacano ancora del suo vino. Con lui [...] non occorre corteggiamento, non c'è esitazione. Ci arrendiamo alla voce di Dickens: tutto qui. Se fosse possibile, mi piacerebbe dedicare cinquanta minuti di ogni lezione a meditare, concentrandoci in silenziosa ammirazione, su Dickens. (Vladimir Nabokov)
  • Non amare Dickens è un peccato mortale: chi non lo ama, non ama nemmeno il romanzo. (Pietro Citati)
  • Non c'è nessun autore inglese contemporaneo le cui opere sono lette in tutte le case e che possono dare piacere alla servitù quanto ai padroni, ai bambini come agli insegnanti. (Walter Bagehot)
  • Prendo tutti i giorni il rimedio che l'incomparabile Dickens prescriveva contro il suicidio. Consiste in un bicchiere di vino, un boccone di pane e di formaggio e una pipa di tabacco. (Vincent Van Gogh)
  • Quando la gente dice Dickens esagera, mi sembra che non abbia occhi né orecchie. Probabilmente essi hanno solo nozioni di ciò che le cose e le persone sono. (George Santayana)
  • Se mi venisse chiesto di indicare nell'arte moderna dei [...] modelli dell'arte superiore, religiosa, proveniente dall'amore di Dio e del prossimo, indicherei nella sfera della letteratura [...] le novelle, i racconti, i romanzi di Dickens: Tale of two cities, Chimes e altri. (Lev Tolstoj)
  • Un delizioso narratore inglese, che dipinge gli interni di famiglia con la verità di Teniers-le-Vieux e il tocco fine e delicato di Charles Nodier. Oh, che mirabili medaglioni questi ritratti di Scrooge, di Bob Cratchit e di Mrs Peerybingle! Come si avverte sotto il romanziere l'uomo onesto! E come nell'uomo onesto si sente il poeta, quando un folle, in punto di morte, grida (le Tocsin[21], cap. XVI)
    Presto sapremo cosa rende così fulgide le stelle! (Eugène Vermersch)
  • Vi è una fondamentale spietatezza dietro il suo stile traboccante di sentimentalismo. (Franz Kafka)

Note

  1. a b Da Il nostro comune amico.
  2. a b Da Barnaby Rudge.
  3. Da Grandi speranze.
  4. Da All the year round, vol. 15.  traduzione? traduzione?
  5. Da una corrispondenza di viaggio inviata al Daily News; citato in Le Guide Mondadori. Napoli e dintorni, Mondadori, Milano, p. 35. ISBN 88-04-4244-34
  6. Citato in Caterina Arcidiacono, Napoli, diagnosi di una città: i giovani e il lavoro, Magma, 1999.
  7. Da Grandi speranze; citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 198. ISBN 9788858024416
  8. Citato in Giordano Bruno Guerri, Gli italiani sotto la chiesa.
  9. Da La bottega dell'antiquario.
  10. Da Il mistero di Edwin Drood.
  11. Da Sketches by Boz, "Tales", 3.
  12. Citato in V per Vendetta.
  13. Citato in AA.VV., Il libro della letteratura, traduzione di Daniele Ballarini, Gribaudo, 2019, p. 148. ISBN 9788858024416
  14. a b Dalla descrizione del personaggio di Joe, il "ragazzo grasso" "letargico" è derivata la "sindrome di Picwick", altro nome con cui è nota la "sindrome obesità-ipoventilazione". Cfr.voce su Wikipedia.
  15. Da Pictures from Italy, Guntenberg.org.
  16. Citato in Perugia, Guide Electa Umbria, 1993
  17. Citato in Dizionario delle citazioni, a cura di Italo Sordi, BUR, 1992. ISBN 88-17-14603-X
  18. Citato in Pietro Di Lorenzo, L'odore dei soldi. Piccola filosofia del denaro da Platone a Wall Street.
  19. Citato nel film Il cavaliere oscuro - Il ritorno (2012). James Gordon cita infatti il passo durante l'elegia funebre per Bruce Wayne: «Quel che faccio è certo il meglio, di gran lunga, di quanto abbia mai fatto e quel che mi attende è di gran lunga il riposo più dolce che abbia mai conosciuto.»
  20. a b Citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993.
  21. Barnaby Rudge. La parte storica di questo romanzo è il racconto delle sommosse e degli incendi di Londra nel 1790. La Revue Britannique ne pubblicò un estratto intitolato La Cloche du tocsin. Cfr. Revue britannique, vol. III, p. 298.

Bibliografia

  • Charles Dickens, Barnaby Rudge, traduzione di Fernanda Pivano, Einaudi, Torino, 2004.
  • Charles Dickens, Cantico di Natale, traduzione di Federigo Verdinois, Hoepli, 1888.
  • Charles Dickens, Davide Copperfield (David Copperfield), traduzione di Ada Marchesini, Edizioni SAIE, Torino, 1959.
  • Charles Dickens, David Copperfield, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Casa Editrice Sonzogno, Milano, 1949.
  • Charles Dickens, David Copperfield, traduzione di Enrico Piceni, Oscar Mondadori, 2012. ISBN 978-88-04-62075-4
  • Charles Dickens, Grandi speranze, traduzione di Bruno Maffi, BUR, 2012. ISBN 9788858627679
  • Charles Dickens, Il circolo Pickwick, traduzione di Federigo Verdinois, F.lli Treves, 1930.
  • Charles Dickens, Il circolo Pickwick, a cura di Marisa Sestito, traduzione di Augusto C. Dauphiné, BUR, 20083.
  • Charles Dickens, Il segnalatore, traduzione di Grazia Alineri, in "Il colore del male. I capolavori dei maestri dell'horror", a cura di David G. Hartwell, Armenia Editore, 1989. ISBN 8834404068
  • Charles Dickens, Impressioni italiane, traduzione di Claudio Maria Messina, Robin Edizioni, Roma, 2005. ISBN 88-7371-178-2
  • Carlo Dickens, La bottega dell'antiquario, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1931.
  • Carlo Dickens, La piccola Dorrit, traduzione di F. Verdinois, Milano, F.lli Treves, 1879.
  • Carlo Dickens, Le avventure di Nicola Nickleby, traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno, Milano, 1937.
  • Charles Dickens, Le campane, in Racconti di Natale, traduzione di Emanuele Grazzi, Oscar Mondadori, Milano, 1990. ISBN 88-04-34018-5
  • Carlo Dickens, Le due città (o Racconto di due città), traduzione di Silvio Spaventa Filippi, Sonzogno (Tip. A. Matarelli), Milano, 1936.
  • Charles Dickens, Lettere dall'Italia, traduzione di Lucio Angelini, Rosellina Archinto Editore, Milano, 1987.
  • Carlo Dickens, Oliver Twist, a cura di Deda Pini, Malipiero, 1971.
  • Charles Dickens, Tempi difficili. Per questi tempi (Hard Times. For These Times, 1854), a cura di Maria Rita Cifarelli, traduzione di Maria Rita Cifarelli e Cristina Scagliotti, con un saggio di George Orwell, Einaudi, Torino, 1999. ISBN 8806151355

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