Renato Barilli: differenze tra le versioni

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*Si veda per esempio, di [[Marcello Dudovich|Dudovich]], il manifesto per la Stock del 1904: la figura femminile esibisce uno strascico che sembrerebbe conformarsi ai gonfiori del [[Art Nouveau|Liberty]]; ma nel suo caso le forme assumono anche densità e plasticità, esattamente come in [[Umberto Boccioni|Boccioni]], quando sembra riprendere i contorcimenti di [[Gaetano Previati|Previati]].<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 57.</ref>
*Si veda per esempio, di [[Marcello Dudovich|Dudovich]], il manifesto per la Stock del 1904: la figura femminile esibisce uno strascico che sembrerebbe conformarsi ai gonfiori del [[Art Nouveau|Liberty]]; ma nel suo caso le forme assumono anche densità e plasticità, esattamente come in [[Umberto Boccioni|Boccioni]], quando sembra riprendere i contorcimenti di [[Gaetano Previati|Previati]].<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 57.</ref>
*Si vedano alcune delle creazioni che [[Marcello Dudovich|Dudovich]] esegue per la Rinascente: le carni si rassodano, si rapprendono, consistenti, forti come macchine, debitamente chiaroscurate a blocchi essenziali, precise e calibrate come strumenti di alta precisione. Si ha insomma una perfetta coesistenza tra gli aspetti del costume e i «valori» metafisici di un rilievo quattrocentesco, [[Masaccio|masaccesco]], che è poi il fine ambizioso del miglior Novecento [...].<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 59.</ref>
*Si vedano alcune delle creazioni che [[Marcello Dudovich|Dudovich]] esegue per la Rinascente: le carni si rassodano, si rapprendono, consistenti, forti come macchine, debitamente chiaroscurate a blocchi essenziali, precise e calibrate come strumenti di alta precisione. Si ha insomma una perfetta coesistenza tra gli aspetti del costume e i «valori» metafisici di un rilievo quattrocentesco, [[Masaccio|masaccesco]], che è poi il fine ambizioso del miglior Novecento [...].<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 59.</ref>
*Un emulo di Cassandre è il nostro [[Severo Pozzati]], meglio noto con il nome abbreviato di Sepo. Anche nella sua produzione di affiche resistono taluni spessori, e talune flessioni curvilinee, ma le une e gli altri risultano ridotti a misure minimali, così da non contraddire un discorso di grande nudità neoplastica, perfettamente sincrono al gusto pulito, a blocchi asciutti, che viene coltivato dall'architettura dell'epoca.<ref>Da ''L'arte e il manifesto: una storia comune''; citato in ''L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce'', p. 57.</ref>


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Versione delle 16:32, 1 set 2020

Renato Barilli (1935 – vivente) critico d'arte, critico letterario e accademico italiano.

Citazioni di Renato Barilli

  • Cappiello inaugura anche la vicenda, molto comune in quel tempo, degli artisti nostri che emigrano nella Ville Lumière per fare fortuna più rapidamente. Egli vi giunge nel 1898, precedendo di un decennio un suo concittadino di grande notorietà, livornese come lui, Modigliani.[1]
  • Certo è che Cappiello pratica le curve sforbiciate della stagione liberty con piglio più asciutto rispetto ai predecessori (Musica e musicisti, Ricordi 1901); si sente che il grande scoppio di linfe vegetali accenna a darsi un freno, a contenere le esuberanze; in fondo, il capo del secolo è già varcato, la festa è finita, bisogna rientrare in abiti da lavoro più contegnosi.[2]
  • Certo è che pure in Balla e in Depero le sagome si fanno esatte, plastiche, volumetriche, conciliate col piacere della decorazione. De resto Depero non è alieno dallo sfruttare anche lui il tema della maschera, seppure sotto la forma, più consona al credo futurista, del robot: e dunque si tratta di una maschera, di un burattino confacente al clima dell'industrialismo; così come il sostanziale realismo magico-incantato di Dottori cerca la legittimazione nell'Aeropittura. Ma sono alibi, giusto per non tradire la fede nel progresso, quando in realtà essa vacilla ed è scossa dal dubbio.[3]
  • Come è anche il caso di un protagonista assoluto dell'affiche. Leonetto Cappiello, nato nel '75, e quindi già quasi inserito nella generazione che porrà fine a quella delicata e fragile età «primaverile», riproponendo invece un'alleanza più ferma e robusta col mondo del progresso tecnologico.[4]
  • [Su Adolf Hohenstein] Ecco insomma che sul finire del secolo il nostro cartellonista sa già amministrare con consumata abilità e leggerezza quelle mosse sinuose, quelle falcate rapide che costituiscono il nocciolo del Liberty.[5]
  • Hohenstein è nato nel 1854, e dunque perfino qualche anno prima rispetto a un medio 1860 in cui vedono la luce i protagonisti della stagione simbolista. Nturalmente, bisogna concedere a lui e allo stile che rappresenta, il tempo d maturare, e mettere in conto anche un certo ritardo della nostra cutura su quella francese (ma neanche tanto).[6]
  • In Francia il gallerista Bing, proprio nei primi anni novante, apre uno spazio all'insegna, forse la più felice fra tutte, dell'Art Nouveau. I tedeschi rispondono proponendo addirittura uno «stile della giovinezza» (Jugendstil). In Austria si parla di «ver sacrum», in Inghilterra viene agitata l'idea del «sempreverde», «evergreen». Nel nostro paese magari non dice molto l'etichetta, destinata a imporsi più di altre, che si richiama semplicemente al nome di una ditta inglese, Liberty (il nome però è colmo di consonanze favorevoli e nobilitanti); assai più indicativo, invece, il fatto che si parli, in alternativa, di florealismo,; e certo, i fiori possono anche decomporsi, ma, presi al culmine della loro parabola, offrono un esempio perfetto dell'ansia di vivere, e soprattutto di mostrare il meglio della vita stessa.[7]
  • L'Italia non fa eccezione, in proposito, e così i cartellonisti di quella stagione non appaiono inferiori ai loro colleghi delle arti nobili. Apre la sfilata, a dire il vero, un russo tedesco, Adolf Hohenstein, ma di carriera italiana, svolta per gran parte a Milano, attorno alla casa Ricordi, che del cartellonismo grafico-pubblicitario in quegli anni è il massimo tempio, assieme alla ditta Mele di Napoli: Nord e Sud uniti, e una volta tanto su un piede di parità, nella prontezza di intervento.[8]
  • Lo stesso discorso può valere per Leopoldo Metlicovitz, triestino, nato già quasi al limite della generazione simbolista (nel 1868), di cui fra l'altro qui si mostra un intervento per la ditta Mele di Napoli, così da rispettare l'opportuna simmetria che allora esisteva tra le due aeree geografiche del nostro paese. Ma certo, mentre l'anziano Hohenstein non può che legare strettamente il proprio nome a quello stile, e poi sparire col declinare di esso, Metlicovitz procede sul filo degli anni e subisce varie metamorfosi; infatti lo troveremo in tappe successive di questa cronistoria.[9]
  • Ma un tale ambito sa produrre una figura di grande rilievo, perfettamente concorrenziale rispetto ad ogni altro artista «maggiore» dell'epoca. Si tratta del triestino Marcello Dudovich, nato a Trieste nel 1878 (e dunque appena quattro anni prima di Boccioni), ma di carriera per gran parte milanese, svolta presso la casa Ricordi, raccogliendo, anche lui, il testimone di una staffetta ideale dai già menzionati Hohenstein e Metlicovitz.[10]
  • Se poi lasciamo questo versante "astratto", decisamente coraggioso quando sia sviluppato nell'ambito del manifesto, per rientrare in un più accattivante linguaggio figurativo, constatiamo che anche qui i migliori cartellonisti del decennio non rinunciano allo spirito di una sintesi forzata: è l'occasione di elevare un peana al lavoratore, visto appunto come una "macchina" protesa nello sforzo, anche quando si concede al tempo libero dello sport o del turismo, di cui il regime è tenuto a farsi carico, come vuole il modello delle grandi dittature nazional-socialiste di quegli anni. Si veda in tal senso una splendida serie di contributi realizzati da F. Lenhart, che ci dà anche una specie di vocabolario dei piaceri "generosamente" orchestrati allora dal regime dominante: la partita a tennis, la gita sociale, in treno o in autobus, e infine il piacere allo stato puro, alquanto vizioso e dissipatorio, cioè l'elogio delle cartine per sigarette Modiano, affidato alla seduzione di una figura femminile redatta secondo canoni di moda anch'essi condotti con estrema essenzialità.[11]
  • Si veda per esempio, di Dudovich, il manifesto per la Stock del 1904: la figura femminile esibisce uno strascico che sembrerebbe conformarsi ai gonfiori del Liberty; ma nel suo caso le forme assumono anche densità e plasticità, esattamente come in Boccioni, quando sembra riprendere i contorcimenti di Previati.[12]
  • Si vedano alcune delle creazioni che Dudovich esegue per la Rinascente: le carni si rassodano, si rapprendono, consistenti, forti come macchine, debitamente chiaroscurate a blocchi essenziali, precise e calibrate come strumenti di alta precisione. Si ha insomma una perfetta coesistenza tra gli aspetti del costume e i «valori» metafisici di un rilievo quattrocentesco, masaccesco, che è poi il fine ambizioso del miglior Novecento [...].[13]
  • Un emulo di Cassandre è il nostro Severo Pozzati, meglio noto con il nome abbreviato di Sepo. Anche nella sua produzione di affiche resistono taluni spessori, e talune flessioni curvilinee, ma le une e gli altri risultano ridotti a misure minimali, così da non contraddire un discorso di grande nudità neoplastica, perfettamente sincrono al gusto pulito, a blocchi asciutti, che viene coltivato dall'architettura dell'epoca.[14]

Note

  1. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, Catalogo della mostra, Palazzo della Permanente, Spazio Baj Palazzo Dugnani, Ridotto dei palchi del Teatro della Scala, Milano 12 settembre – 29 ottobre 1989, Edizioni Artificio, Firenze, 1989, p. 55.
  2. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce p. 55.
  3. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 60.
  4. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce p. 55.
  5. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 55.
  6. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 55.
  7. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 53.
  8. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 55.
  9. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 55.
  10. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 57.
  11. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 62.
  12. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 57.
  13. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 59.
  14. Da L'arte e il manifesto: una storia comune; citato in L'Italia che cambia attraverso i manifesti della raccolta Salce, p. 57.

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