Vittorio Nisticò: differenze tra le versioni

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
→‎Citazioni su Vittorio Nisticò: Accorpo una citazione di Sorgi a due nuove sue citazioni e creo una sottosezione
Riga 6: Riga 6:


==Citazioni su Vittorio Nisticò==
==Citazioni su Vittorio Nisticò==
*Avevo quattro anni, forse cinque, quando ho incontrato per la prima volta Vittorio Nisticò. Entrai nel suo ufficio, al primo piano del palazzo di piazza Napoli, a Palermo, che ospitava [[L'Ora|«L'Ora»]], insieme con mio padre Nino Sorgi, grande amico di Vittorio e legale del giornale. Il ruolo dell'avvocato, in un piccolo giornale di battaglia come «L'Ora», era decisivo; il suo consiglio, indispensabile, a volte, per la pubblicazione dei testi più rischiosi. Così, invece di aspettare al suo studio l'autista trafelato, che all'ultimo momento (non c'era ancora il fax) gli portava le bozze ancora umide da rileggere, mio padre aveva preso l'abitudine di passare al giornale, verso l'una, prima di tornare a casa per colazione. Ricordo ancora bene l'atmosfera di concitazione e confusione, tipica dell'ora di chiusura dei giornali, che vissi con sorpresa, senza sapere che mi avrebbe accompagnato per il resto della vita: il ticchettio crescente delle macchine da scrivere (non c'erano ancora i computer), le corse dei fattorini, gli urli da una stanza all'altra, le montagne di carta sparsa sul pavimento, i titoli abbozzati con matite rosse e blu su tipici fogli da «brutta». ([[Marcello Sorgi]])
*Nel 1957, io mi inventavo e riciclavo giornalista. Cadevo nelle grinfie di un nevrotico abbarbicato al suo tavolo anche per sedici ore di fila, concentrato, incazzoso, scattante, balbettante per timidezza o per furore, dispensava rabbuffi gelidi o appallottolava e tirava in faccia le due cartelle, mi intimidiva da morire, sempre con un bicchiere di latte sul tavolo, fumando milioni di sigarette, finto distratto, finto arruffone, in realtà, attentissimo vigile appassionato, Vittorio Nisticò, che dirigeva ''[[L'Ora]]'' destreggiandosi tra gli scogli e le secche del merdaio palermitano, che aggrediva la città, frugava nelle sue pieghe, denunciava o blandiva dando voce al lettore inerme e indifeso contro i potenti, coagulando attorno a sé tensioni e buona volontà... ([[Giuliana Saladino]])
*Nel 1957, io mi inventavo e riciclavo giornalista. Cadevo nelle grinfie di un nevrotico abbarbicato al suo tavolo anche per sedici ore di fila, concentrato, incazzoso, scattante, balbettante per timidezza o per furore, dispensava rabbuffi gelidi o appallottolava e tirava in faccia le due cartelle, mi intimidiva da morire, sempre con un bicchiere di latte sul tavolo, fumando milioni di sigarette, finto distratto, finto arruffone, in realtà, attentissimo vigile appassionato, Vittorio Nisticò, che dirigeva ''[[L'Ora]]'' destreggiandosi tra gli scogli e le secche del merdaio palermitano, che aggrediva la città, frugava nelle sue pieghe, denunciava o blandiva dando voce al lettore inerme e indifeso contro i potenti, coagulando attorno a sé tensioni e buona volontà... ([[Giuliana Saladino]])
*Ora che se n'è andato, ora che i suoi occhietti guizzanti e lucenti sono stati per sempre sigillati dalla morte, la tentazione è quella di parlare della sua tenerezza e della sua caparbietà. Due doti con le quali riusciva a tenere insieme tutti noi, tre generazioni di giornalisti cresciuti alla sua scuola. La scuola de [[L'Ora]], quel quotidiano del pomeriggio, che negli anni della mafia spavalda, seppe diventare a Palermo una fabbrica di coraggio e di controinformazione. Si chiamava Vittorio Nisticò, classe 1919. Lucido, curioso, lettore instancabile di libri e giornali, fino a poche settimane fa si divertiva ancora a dirci perché quel titolo andava fatto così e perché quell'articolo doveva essere scritto in modo diverso e “non con quel linguaggio che mostra solo la pigrizia di chi lo ha scritto”. E sì, per Nisticò il giornalismo stava tutto lì: nella capacità di trovare una notizia, un dettaglio, una fotografia. E non nel lavoro velinaro di chi copia un comunicato della questura o si accontenta di una spiegazione ufficiale, sapientemente distribuita dai palazzi del potere. ([[Giuseppe Sottile]])
*Ora che se n'è andato, ora che i suoi occhietti guizzanti e lucenti sono stati per sempre sigillati dalla morte, la tentazione è quella di parlare della sua tenerezza e della sua caparbietà. Due doti con le quali riusciva a tenere insieme tutti noi, tre generazioni di giornalisti cresciuti alla sua scuola. La scuola de [[L'Ora]], quel quotidiano del pomeriggio, che negli anni della mafia spavalda, seppe diventare a Palermo una fabbrica di coraggio e di controinformazione. Si chiamava Vittorio Nisticò, classe 1919. Lucido, curioso, lettore instancabile di libri e giornali, fino a poche settimane fa si divertiva ancora a dirci perché quel titolo andava fatto così e perché quell'articolo doveva essere scritto in modo diverso e “non con quel linguaggio che mostra solo la pigrizia di chi lo ha scritto”. E sì, per Nisticò il giornalismo stava tutto lì: nella capacità di trovare una notizia, un dettaglio, una fotografia. E non nel lavoro velinaro di chi copia un comunicato della questura o si accontenta di una spiegazione ufficiale, sapientemente distribuita dai palazzi del potere. ([[Giuseppe Sottile]])
*Vittorio Nisticò fece un giornale leggendario che era [[l'Ora]] di Palermo. Vittorio diceva che i siciliani si dividono in due grandi categorie. I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va. ([[Andrea Camilleri]])
*Vittorio Nisticò fece un giornale leggendario che era [[l'Ora]] di Palermo. Vittorio diceva che i siciliani si dividono in due grandi categorie. I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va. ([[Andrea Camilleri]])

===[[Marcello Sorgi]]===
*Avevo quattro anni, forse cinque, quando ho incontrato per la prima volta Vittorio Nisticò. Entrai nel suo ufficio, al primo piano del palazzo di piazza Napoli, a Palermo, che ospitava [[L'Ora|«L'Ora»]], insieme con mio padre Nino Sorgi, grande amico di Vittorio e legale del giornale. Il ruolo dell'avvocato, in un piccolo giornale di battaglia come «L'Ora», era decisivo; il suo consiglio, indispensabile, a volte, per la pubblicazione dei testi più rischiosi. Così, invece di aspettare al suo studio l'autista trafelato, che all'ultimo momento (non c'era ancora il fax) gli portava le bozze ancora umide da rileggere, mio padre aveva preso l'abitudine di passare al giornale, verso l'una, prima di tornare a casa per colazione. Ricordo ancora bene l'atmosfera di concitazione e confusione, tipica dell'ora di chiusura dei giornali, che vissi con sorpresa, senza sapere che mi avrebbe accompagnato per il resto della vita: il ticchettio crescente delle macchine da scrivere (non c'erano ancora i computer), le corse dei fattorini, gli urli da una stanza all'altra, le montagne di carta sparsa sul pavimento, i titoli abbozzati con matite rosse e blu su tipici fogli da «brutta».
*Nel 1958 Nisticò aprì un'inchiesta sulla mafia e alla seconda puntata questi fecero saltare la rotativa con una bomba. L'inchiesta era condotta da un pool di sette diversi giornalisti che firmavano insieme sotto pseudonimo perché rischiavano veramente la vita. Erano tutti esponenti della prima generazione di giornalisti che rifondarono il giornale assieme a Nisticò, e oltre a questi c'era mio padre, avvocato della testata che firmava con il nome di Castrense Dadò.
*Nisticò era il formidabile animatore di una squadra che abbracciava tre generazioni di giornalisti: la prima, quella dei suoi coetanei, nati negli anni '20, la successiva, ovvero quella dei ventenni negli anni '60, e la mia, la più fortunata, che avevamo circa vent'anni a metà degli anni '70. A poco a poco abbiamo avuto la possibilità di trasferirci e molti di noi, in seguito, hanno diretto o lavorato per importanti testate editoriali, alcuni di noi anche all'estero. Siamo andati tutti a lavorare in testate più grandi con un'attrezzatura professionale che ci ha consentito di far carriera senza passare per la gavetta. Nisticò ci aveva abituati alla dura militanza di un giornale di frontiera e ci aveva trasmesso il suo gusto per l'inchiesta. Con lui si cominciava a lavorare alle sette del mattino e alle otto non c'era più nessuno in redazione, ci buttava tutti fuori. Uno in questura, l'altro dai carabinieri, l'altro ancora in regione, dappertutto. La radio intercettava le frequenze della polizia e, spesso, sul luogo di un delitto arrivavamo insieme alle forze dell'ordine. È stato un grande maestro.


==Note==
==Note==

Versione delle 08:46, 26 gen 2022

Vittorio Nisticò (1919 – 2009), giornalista e saggista italiano.

Citazioni di Vittorio Nisticò

  • Chilanti aveva un raro senso del dovere professionale: pronto all'occorrenza ai lavori più modesti, come trascrivere una semplice notizia di agenzia oppure raccogliere al telefono la "chiamata" di questo o quel cronista in giro per la città. Ma era nell'inchiesta, nell'intervento polemico, nel grande reportage che Chilanti operava da dominatore, da quel superbo "solista" che era.[1]
  • [Su Felice Chilanti] Un battagliero giornalista [...] sanguigno e di forte passione civile, aveva anche lui un prepotente amore per il nostro mestiere. Avevamo inoltre in comune quel pizzico di spirito anarchico che, nel nostro lavoro, aiuta a preservare il gusto della propria libertà e una certa sospettosa insofferenza verso le interferenze di chi comanda.[1]

Citazioni su Vittorio Nisticò

  • Nel 1957, io mi inventavo e riciclavo giornalista. Cadevo nelle grinfie di un nevrotico abbarbicato al suo tavolo anche per sedici ore di fila, concentrato, incazzoso, scattante, balbettante per timidezza o per furore, dispensava rabbuffi gelidi o appallottolava e tirava in faccia le due cartelle, mi intimidiva da morire, sempre con un bicchiere di latte sul tavolo, fumando milioni di sigarette, finto distratto, finto arruffone, in realtà, attentissimo vigile appassionato, Vittorio Nisticò, che dirigeva L'Ora destreggiandosi tra gli scogli e le secche del merdaio palermitano, che aggrediva la città, frugava nelle sue pieghe, denunciava o blandiva dando voce al lettore inerme e indifeso contro i potenti, coagulando attorno a sé tensioni e buona volontà... (Giuliana Saladino)
  • Ora che se n'è andato, ora che i suoi occhietti guizzanti e lucenti sono stati per sempre sigillati dalla morte, la tentazione è quella di parlare della sua tenerezza e della sua caparbietà. Due doti con le quali riusciva a tenere insieme tutti noi, tre generazioni di giornalisti cresciuti alla sua scuola. La scuola de L'Ora, quel quotidiano del pomeriggio, che negli anni della mafia spavalda, seppe diventare a Palermo una fabbrica di coraggio e di controinformazione. Si chiamava Vittorio Nisticò, classe 1919. Lucido, curioso, lettore instancabile di libri e giornali, fino a poche settimane fa si divertiva ancora a dirci perché quel titolo andava fatto così e perché quell'articolo doveva essere scritto in modo diverso e “non con quel linguaggio che mostra solo la pigrizia di chi lo ha scritto”. E sì, per Nisticò il giornalismo stava tutto lì: nella capacità di trovare una notizia, un dettaglio, una fotografia. E non nel lavoro velinaro di chi copia un comunicato della questura o si accontenta di una spiegazione ufficiale, sapientemente distribuita dai palazzi del potere. (Giuseppe Sottile)
  • Vittorio Nisticò fece un giornale leggendario che era l'Ora di Palermo. Vittorio diceva che i siciliani si dividono in due grandi categorie. I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va. (Andrea Camilleri)

Marcello Sorgi

  • Avevo quattro anni, forse cinque, quando ho incontrato per la prima volta Vittorio Nisticò. Entrai nel suo ufficio, al primo piano del palazzo di piazza Napoli, a Palermo, che ospitava «L'Ora», insieme con mio padre Nino Sorgi, grande amico di Vittorio e legale del giornale. Il ruolo dell'avvocato, in un piccolo giornale di battaglia come «L'Ora», era decisivo; il suo consiglio, indispensabile, a volte, per la pubblicazione dei testi più rischiosi. Così, invece di aspettare al suo studio l'autista trafelato, che all'ultimo momento (non c'era ancora il fax) gli portava le bozze ancora umide da rileggere, mio padre aveva preso l'abitudine di passare al giornale, verso l'una, prima di tornare a casa per colazione. Ricordo ancora bene l'atmosfera di concitazione e confusione, tipica dell'ora di chiusura dei giornali, che vissi con sorpresa, senza sapere che mi avrebbe accompagnato per il resto della vita: il ticchettio crescente delle macchine da scrivere (non c'erano ancora i computer), le corse dei fattorini, gli urli da una stanza all'altra, le montagne di carta sparsa sul pavimento, i titoli abbozzati con matite rosse e blu su tipici fogli da «brutta».
  • Nel 1958 Nisticò aprì un'inchiesta sulla mafia e alla seconda puntata questi fecero saltare la rotativa con una bomba. L'inchiesta era condotta da un pool di sette diversi giornalisti che firmavano insieme sotto pseudonimo perché rischiavano veramente la vita. Erano tutti esponenti della prima generazione di giornalisti che rifondarono il giornale assieme a Nisticò, e oltre a questi c'era mio padre, avvocato della testata che firmava con il nome di Castrense Dadò.
  • Nisticò era il formidabile animatore di una squadra che abbracciava tre generazioni di giornalisti: la prima, quella dei suoi coetanei, nati negli anni '20, la successiva, ovvero quella dei ventenni negli anni '60, e la mia, la più fortunata, che avevamo circa vent'anni a metà degli anni '70. A poco a poco abbiamo avuto la possibilità di trasferirci e molti di noi, in seguito, hanno diretto o lavorato per importanti testate editoriali, alcuni di noi anche all'estero. Siamo andati tutti a lavorare in testate più grandi con un'attrezzatura professionale che ci ha consentito di far carriera senza passare per la gavetta. Nisticò ci aveva abituati alla dura militanza di un giornale di frontiera e ci aveva trasmesso il suo gusto per l'inchiesta. Con lui si cominciava a lavorare alle sette del mattino e alle otto non c'era più nessuno in redazione, ci buttava tutti fuori. Uno in questura, l'altro dai carabinieri, l'altro ancora in regione, dappertutto. La radio intercettava le frequenze della polizia e, spesso, sul luogo di un delitto arrivavamo insieme alle forze dell'ordine. È stato un grande maestro.

Note

  1. a b Citato in Ciro Dovizio, Felice Chilanti, «L’Ora» e le origini del giornalismo di mafia, unimi.it, tratto da inTrasformazione, Rivista di Storia delle Idee, 2019.

Voci correlate

Altri progetti