Gaio Lucilio: differenze tra le versioni

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:''Servus neque infidus neque inutilis quaquam<br />&#09;Lucili columella hic situs Metrophanes.'' (vv. 581s. Krenkel)
:''Servus neque infīdus neque inutilis quaquam<br />&#09;Lucili columella hic situs Metrophanes.'' (vv. 581s. Krenkel)


===Libro XXVI===
===Libro XXVI===

Versione delle 18:05, 13 mag 2008

Gaio Lucilio (180 a.C. – 103 a.C.) poeta latino, autore di satire.

Satire

Libro I

  • [1] Gli dèi discutevano sui grandi problemi degli uomini... come Giove potesse salvare ancora il popolo e la città di Roma... e, se non più a lungo, prolungarne l'esistenza almeno di un cinquennio... e in qual modo potesse attuare il proposito e salvare le mura. (1968)
Consilium summis hominum de rebus habebant...
quo populum atque urbem pacto servare potisset
amplius romanam...
si non amplius, at lustrum protolleret unum...
munus tamen fungi et muros servare potisset.
  • [2] Quirino: O abitanti del cielo, dalla vostra assemblea vorrei sapere ciò di cui discutete da tempo. Vorrei, dico, che ci fossimo riuniti a consiglio prima!
Quirinus: Vellem consilio vestrum quod dicitis olim,
Caelicolae. Vellem, inquam, adfuissemus priore
consilio.
(1830)
Haec ubi dicta dedit, fecit pausam ore loquendi. (18 Marx)
  • [3] Apollo: Non c'è nessuno di noi che non sia o l'ottimo padre degli déi o il padre Nettuno o il padre Libero o il padre Saturno o il padre Marte, Giano, Quirino, e non venga chiamato con questo nome. (1968)
Apollo: Nemo sit nostrum quin aut pater optimus Divum,
aut Neptunus pater, Liber, Saturnus pater, Mars,
Ianus, Quirinus pater siet ac dicatur ad unum.
  • [4] Dio 1: Che aspetto ha l'uomo, com'é l'espressione del volto?
    Dio 2: Il volto è così come l'aspetto: il resto è morte, malattia, veleno.
    Dio 3: Li farò venire a cena, e agli intervenuti per prima cosa
    darò a ciascuno ventresche di tonno e filetti di branzino.
    Dio 4: Ti uccidono, Lupo, sardelle e salsa di pesce siluro. (2003)
Deus I: Quae facies, qui vultus viro? (43 Marx)
Deus II: Vultus item ut facies, mors cetera, morbus venenum. (44 Marx)
Deus III: Ad cenam adducam, et primum hisce abdomina tunni
advenientibus priva dabo cephalaeaque acarnae.
(49-50 Marx)
Deus IV: Occidunt, Lupe, saperdae te et iura[5] siluri. (54 Marx)

Libro VII

  • [6] Mi rado, mi depilo, mi striglio, mi liscio, mi agghindo, mi fo bello, mi trucco... (2005)
Rador, subvellor, desquamor, pumicor, ornor,
expolior, pingor...
(1830)

Libro IX

  • Tu non conosci l'esatto significato di «poesia», né che differenza passi fra «poesia» e «poema». Incominciamo da quello che noi chiamiamo «poema»:... «poema» è anche una qualsivoglia lettera non lunga; «poesia» invece è un'opera considerata nel suo complesso (una composizione unica nel suo complesso come l'Iliade, come gli annali di Ennio) ed è un'opera unica, ed è molto più ampia, come ho già detto, di un poema. Perciò dico: chi vuol criticare Omero non è che lo critichi tutto, e neppure critica ciò che ho chiamato prima la sua «poesia»; ne critica un verso solo, una parola, un concetto, un passo isolato. (1968)
Non haec quid valeat, quidve hoc intersiet illud
cognoscis. Primum hoc, quod dicimus esse poema...
...Epistula item quaevis non magna poema est.
Illa poesis opus totum, (tota Ilias una
est, una ut thesis
[7] annales Enni) atque opus unum
est, maius multo est quam quod dixi ante poema.
Qua propter dico: nemo qui culpat Homerum,
perpetuo culpat, neque quod dixi ante poesin;
versum unum culpat, verbum, entymema
[7], locum unum.

Libro XXII

Servus neque infīdus neque inutilis quaquam
Lucili columella hic situs Metrophanes.
(vv. 581s. Krenkel)

Libro XXVI

  • [9] Che io debba diventare un pubblicano dell'Asia, un esattore di imposte, invece che essere Lucilio, questo io non lo voglio, e al posto di questa cosa sola non vorrei in cambio tutto l'oro del mondo. (2005)
Publicanus vero ut Asiae fiam, ut scripturarius
pro Lucilio, id ego nolo, et uno hoc non muto omnia.
(671-672 Marx)
  • [10] Qui è tormentata dalla fame,
    dal freddo, dalla sporcizia, dalla mancanza di bagni, lavacri e cure. (1996)
Hic cruciatur fame,
frigore, inluvie, inbalnitie, inperfunditie, incuria.
(vv. 620s. Krenkel)

Libro incerto

  • O preoccupazioni degli uomini! Quanta inutilità c'é nelle loro cose! (2005)
[11] O curas hominum! O quantum est in rebus inane! (9 Marx)
  • Ora dalla mattina presto a tarda notte, nei giorni di festa e di lavoro, tutto il popolo e i senatori, senza distinzione, si agitano per il fòro, e non se ne vanno mai; tutti si sono dedicati a un'unica attività, a un'unica arte: riuscire a imbrogliarsi senza darlo a vedere, combattersi con la frode, gareggiare in complimenti, fingersi galantuomini, tendersi trabocchetti, come se fossero tutti nemici l'uno dell'altro. (2005)
Nunc vero a mani ad noctem, festo atque profesto,
totus item pariterque die populusque patresque
iactare indu foro se omnes, decedere nusquam,
uni se atque eidem studio omnes dedere et arti,
verba dare ut caute possint, pugnare dolose,
blanditia certare, bonum simulare virum se,
insidias facere, ut si hostes sint omnibus omnes.
[12] (1228-1234 Marx)
  • [13] Quinto Muzio Scevola Augure: O Albucio, tu hai preferito essere detto greco, invece che romano o sabino, concittadino di Ponzio[14], di Tritano[15], concittadino di centurioni, di uomini insigni, di primipili e di alfieri. Perciò ad Atene, al tempo che ero pretore, visto che tu lo preferivi, quando ti sei presentato a me, ti ho salutato in greco: «Chaere, o Tito.». E i littori e tutta la coorte e la folla: «Chaere, o Tito.». Fu da quel momento che Albucio mi divenne nemico, da allora mi fu avversario. (1968)
Quintus Mucius Scaevola Augur: Graecum te, Albuci, quam Romanum atque Sabinum,
municipem Ponti, Tritani, centurionum,
praeclarorum hominum ac primorum signiferumque,
maluisti dici. Graece ergo praetor Athenis,
id quod maluisti, te, cum ad me accedis, saluto:
«Chaere
[7], – inquam – Tite!». Lictores, turma omnis chorusque:
«Chaere, Tite!», hinc hostis mi Albucius, hinc inimicus.
(citato in Cicerone, De finibus bonorum et malorum, 1, 9)
  • [16] Quello che hai è quello che tu sei,
    quello che sei stimato. (2003)
Tantum habeas, tantum ipse sies tantique habearis. (1120 Marx)
  • Virtù, o Albino, è l'essere capaci di dare il giusto prezzo
    alle cose in mezzo a cui ci troviamo;
    virtù è sapere ciò che per un uomo comporti ogni cosa;
    virtù è sapere che cosa per un uomo sia retto, utile, bello,
    che cosa sia bene; e poi che cosa sia male, che cosa non utile, vergognoso, brutto;
    virtù è sapere qual è il limite e la misura nel cercare il guadagno;
    virtù è l'essere capaci di attribuire alle ricchezze il loro prezzo;
    virtù è dare agli onori ciò che effettivamente ad essi si deve,
    essere nemico e avversario delle persone e dei comportamenti cattivi,
    e, al contrario, essere difensore delle persone e dei comportamenti buoni;
    di questi far gran conto, a questi voler bene, con questi vivere in amicizia;
    è inoltre mettere al primo posto gli interessi della patria,
    quindi quelli dei genitori, al terzo poi e ultimo posto i nostri. (1996)
Virtus, Albine, est pretium persolvere verum
quis in versamur, quis vivimus rebus, potesse,
virtus est homini scire id quod quaeque habeat res,
virtus scire homini rectum, utile quid sit, honestum,
quae bona, quae mala item quid inutile, turpe, inhonestum,
virtus quaerendae finem re scire modumque,
virtus divitiis pretium persolvere posse,
virtus id dare quod re ipsa debetur honori,
hostem esse atque inimicum hominum morumque malorum
contra defensorem hominum morumque bonorum,
hos magni facere, his bene velle, his vivere amicum,
commoda praeterea patriai prima putare,
deinde parentum, tertia iam postremaque nostra.
(vv. 1342-1354 Krenkel)

Citazioni su Gaio Lucilio

  • [17] Garbato, naso fino, duro però nel mettere assieme i suoi versi. Il suo difetto? Eccolo: in un'ora, come fosse gran cosa, dettava sovente duecento versi, e reggendosi su un piede soltanto. Siccome scorreva fangoso, c'erano cose che avresti voluto levare; era ciarliero e insofferente della fatica di scrivere, di scrivere bene. (Orazio)
  • [18] Sia pure, io dico, che Lucilio fosse garbato ed urbano, sia pure ch'egli fosse più limato di quanto non sia in genere l'iniziatore di una poesia nuova e intentata dai Greci e più anche di tutto il gruppo dei poeti più antichi; ma anche lui, se il destino l'avesse fatto scivolar giù fino ai nostri giorni, eliminerebbe molte cose dai suoi versi e tutto il superfluo, che si trascina al di là dell'espressione compiuta, lo taglierebbe via e, nel comporre il verso, si gratterebbe spesso la testa e si roderebbe le unghie fino alla carne viva. (Orazio)
  • [19] Io mi diletto di chiudere le parole nel verso, alla maniera di Lucilio, migliore di me e di te. Come a fedeli compagni, ai libri egli soleva affidare i suoi segreti, né altrove ricorreva se le cose gli andavano male, né se gli andavano bene: perciò avviene che tutta la vita di questo vecchio ci sta davanti agli occhi, come fosse dipinta su un quadretto votivo. (Orazio)

Bibliografia

  • Francesco della Corte, Antologia degli scrittori latini. Per le Scuole superiori, Loescher, Torino 1968. ISBN 9788820110833
  • Corrado Carini e Maria Pezzati, Selecta: storia e antologia della letteratura latina, Casa editrice G. D'Anna, Firenze 2005. ISBN 888104756X
  • A. Perreau, A. Persius Flaccus cum interpretatione latina lectionum varietate adnotationibusque novis: item Lucilii Fragmenta, Satira Sulpiciae, Parisiis: N.E. Lemaire, 1830.
  • Friedrich Marx, C. Lucilii carminum reliquiae : recensuit enarrauit Fridericus Marx, Hakkert, 1963.
  • Giovanna Garbarino, Letteratura latina. Storia e antologia con pagine critiche­Excursus sui generi letterari. Per le Scuole superiori – 1, Paravia, Torino 19962. ISBN 8839531017
  • Werner Krenkel, Lucilius, Satiren, Lateinisch und deutsch, Brill, Berlino 1970.
  • Gian Biagio Conte ed Emilio Pianezzola, Corso integrato di letteratura latina. Per le Scuole superiori vol. 1-2: Alta e media Repubblica­L'età di Cesare, Edumond Le Monnier, Firenze 2003. ISBN 8800423175

Note

  1. Questa prima satira vuole essere soprattutto la parodia dell'istituzione senatoria. Lucilio inoltre attacca gli déi, colti in fallo e difetto proprio quando Roma ha più che mai bisogno del loro aiuto, mentre infuriano le guerre sociali, sia prima che dopo i tentativi di riforma agraria attuati dai fratelli Tiberio e Gaio Sempronio Gracco. Lucilio ricorre al τόπος (topos) greco del concilio degli déi, o del senato celeste, presente anche in:
  2. Quirino, ossia Romolo divinizzato, presunto "presidente" della seduta, esprime i suoi amari rimorsi per il ritardo nel riunire l'assemblea, essendo consapevole del fatto che in quel mentre la situazione di Roma sta precipitando. L'estrema umanità degli déi, propria della religione greco-romana, si manifesta anche nei vincoli imposti dal tempo (vedi priore/prima) indistintamente ai mortali e agli immortali; cosa, questa, non propria del paradiso cristiano, per esempio.
  3. Per bocca di Apollo – dio della medicina, della musica, della profezia e della poesia – Lucilio deride l'epiteto di "pater" che si suole attribuire indistintamente a tutti gli dèi.
  4. Lucio Cornelio Lentulo Lupo è il principale colpevole della situazione di degrado politico e giuridico, e pertanto va punito. Bisogna anzitutto individuarlo: ne segue un ritratto tanto impietoso quanto rapido. La punizione scelta è ingloriosa: il corrotto e goloso politico morirà d'indigestione a un banchetto! E quello che è considerato il verso conclusivo è uno sberleffo, che ruota attorno al doppio significato di Lupus, che è sia nome di persona maschile, sia il nome di un pesce pregiato, la spigola o il branzino (nel qual caso lupus sarebbe da considerarsi sinonimo di acarnae, parola traslitterata dal greco acharnē).
  5. Con significato di «salse», non di «leggi». (1968)
  6. Lucilio attacca i vizi dei Romani, ironizzando anche sull'eccessiva cura per il corpo da parte loro. A parlare nel breve estratto è un uomo: può trattarsi di Lucilio stesso, che ironizza in prima persona, oppure di un suo concittadino noto per l'uso eccessivo di cosmetici, olii e profumi.
  7. a b c d Lucilio, abusando di termini greci, attira contro di sé gli strali di Orazio.
  8. "In questo caso il poeta si appropria dei moduli tipici dell'epigramma per svolgere un motivo funerario con commossa sensibilità e con tecnica consumata: si notino la litote del primo verso (seque infidus neque inutilis) e la studiata disposizione delle parole nel pentametro". (1996)
  9. L'aristocrazia senatoria offrì a Lucilio un importante incarico politico nella provincia d'Asia, ma quegli si rifiutò, preferendo l'otium di Roma ai saccheggi di terre lontane. Puoi inoltre ritrovare in questo brano il soggettivismo luciliano: al proposito leggi la voce di Gaio Lucilio in Wikipedia.
  10. Lucilio parodia l'Antiope del tragediografo Pacuvio, nella quale l'omonima protagonista è resa irriconoscibile dallo sporco del corpo, dai capelli lunghi, spettinati, annodati e scarmigliati (1996). Risalta particolarmente il climax fatto di elementi dapprima seri (la fame e il freddo) e via via più ridicoli.
  11. Attribuito a Lucilio, presente in Persio, Satire, libro I, verso 1.
  12. Cfr.: Thomas Hobbes, De cive, 1, 12.
  13. Corre l'anno 121 a.C., e Quinto Muzio Scevola, detto Augure, è pretore ad Atene. Incontra per caso Tito Albucio, e lo saluta in greco (chaere (Χαῖρε), che equivale al vale latino, che significa stammi bene!, Salute a te!), come se Tito non fosse un cittadino romano, e quindi non capisse il latino. Il che sarà preso come un'offesa da Tito, il quale, l'anno successivo, accuserà il pretore Scevola di estorsione: quegli dovrà tornare in Italia, a Roma, per pronunciare la propria difesa davanti a un tribunale, ed essere assolto in tempo per candidarsi al consolato e ottenerlo nel 117 a.C.; si andrà formando tra i due, col tempo, un divario sempre maggiore, e una lunga serie di incidenti deteriorerà i rapporti tra i due.
  14. Cittadino di probabili origini sannitiche.
  15. Uomo di forza erculea, di probabili origini sannitiche.
  16. Cfr. Orazio, Satire, libro I, satira I, verso 62: «nil satis est – inquit – quia tanti quantum habeas sis» (Non basta mai niente – disse – perché sei ciò che possiedi);
    cfr. Petronio, 77, 6: Assem habeas, assem valeas: habeas, habeberis. (Hai un soldo? Vali un soldo: possiedi, e avrai stima.).
  17. La prolissità del linguaggio è il primo capo di accusa nei confronti di Lucilio, il quale non si impegna a cercare le forme migliori, e si accontenta di espressioni colloquiali, che non si addicono alla lingua scritta.
  18. Orazio e tutti i poeti satirici latini riconoscono a Lucilio la paternità della satira.
  19. Orazio rileva nella satira luciliana una natura diaristica.
  20. Ricompaiono i bersagli della biforcuta lingua di Lucilio: Lucio Cornelio Lentulo Lupo e Quinto Muzio Scevola Augure.

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