Carlo Emilio Gadda: differenze tra le versioni

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''Lettere a una gentile signora''
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*Romanzo contemporaneo come enciclopedia [...] {{NDR|Gadda}} cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. ([[Italo Calvino]])
*Romanzo contemporaneo come enciclopedia [...] {{NDR|Gadda}} cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. ([[Italo Calvino]])
*La derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico-fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività… Proprio come per Rabelais e per Joyce che gli sarebbero poi stati accostati, «a braccio» e «a orecchio», i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; rappresentano innanzitutto se stesse, e i propri fantasmi, in un foisonnement inaudito e implacabile di spettacolari idioletti… [...] La complessa ricchezza linguistica e tematica dell'opera gaddiana, così visceralmente composta e tramata, e sardanapalesca, e pantagruelica, continua a sollecitare una pluralità di letture, a diversi livelli, lungo differenti parametri, secondo i più svariati presupposti e pregiudizi: a costo di razionalizzare fin troppo lucidamente attraverso nitidi procedimenti di schede e di referti quel suo atrabiliare viluppo di fantasticate irrisioni e di furie «compossibili»… [...] Non per nulla, gl'interessi enciclopedici dell'Ingegnere coincidono (fino al delirio di riversare tutta la Funzione nell'Espressione) coi manifesti tracciati due secoli fa dagli impeccabili fratelli Verri e da Cesare Beccaria, risoluti a insultare programmaticamente la Crusca in nome di Galileo e di Newton, cioè a sviluppare una cultura extraletteraria cosmopolita e un pensiero intellettuale «assolutamente moderno» a dispetto della grammatica arcaica dei Pedanti, trasgredendo al purismo imbecille che caldeggia l'impiego di qualsiasi grulleria del Piovano Arlotto per definire prodotti e nozioni del nostro tempo. ([[Alberto Arbasino]])
*La derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico-fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività… Proprio come per Rabelais e per Joyce che gli sarebbero poi stati accostati, «a braccio» e «a orecchio», i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; rappresentano innanzitutto se stesse, e i propri fantasmi, in un foisonnement inaudito e implacabile di spettacolari idioletti… [...] La complessa ricchezza linguistica e tematica dell'opera gaddiana, così visceralmente composta e tramata, e sardanapalesca, e pantagruelica, continua a sollecitare una pluralità di letture, a diversi livelli, lungo differenti parametri, secondo i più svariati presupposti e pregiudizi: a costo di razionalizzare fin troppo lucidamente attraverso nitidi procedimenti di schede e di referti quel suo atrabiliare viluppo di fantasticate irrisioni e di furie «compossibili»… [...] Non per nulla, gl'interessi enciclopedici dell'Ingegnere coincidono (fino al delirio di riversare tutta la Funzione nell'Espressione) coi manifesti tracciati due secoli fa dagli impeccabili fratelli Verri e da Cesare Beccaria, risoluti a insultare programmaticamente la Crusca in nome di Galileo e di Newton, cioè a sviluppare una cultura extraletteraria cosmopolita e un pensiero intellettuale «assolutamente moderno» a dispetto della grammatica arcaica dei Pedanti, trasgredendo al purismo imbecille che caldeggia l'impiego di qualsiasi grulleria del Piovano Arlotto per definire prodotti e nozioni del nostro tempo. ([[Alberto Arbasino]])
*{{NDR|Ad una domanda sul rapproto fra matematica e letteratura}}Vedo con favore i rapporti di tutto con tutto, e della Matematica con la Letteratura in particolare. [...]
Detto questo, diffido un po' delle pure suggestioni: i matematici leggono Borges, ascoltano Bach, i letterati leggono Hofstadter...[...] Posso visitare una regione esotica, inebriarmi di architetture e usanze che mai conoscerò e tornarmene a casa con il mio rullino di diapositive. Questo è ciò che chiamo suggestione.<br />
Un rapporto più profondo, invece, implica un vero e proprio "bilinguismo": Gadda era perfettamente "bilingue" (perfetto scrittore, perfetto ingegnere) e ha saputo raccontare complesse equazioni nel suo linguaggio irresistibile. ([[Stefano Bartezzaghi]])


==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 23:07, 25 ago 2008

Gadda in un'immagine giovanile degli anni '20

Carlo Emilio Gadda (1893 – 1973), scrittore italiano.

Citazioni di Carlo Emilio Gadda

  • Gli italiani generosissimi in tutto non sono generosi quando si tratta di pensare.
    Una difficilissima elaborazione e costruzione morale fatta di incredibili sforzi e autoinibizioni individuali e puri e leganti entusiasmi, darà una più perfetta socialità di quella in cui siamo oggi immersi... Una lentissima costruzione morale, una grande cultura, una chiara visione di infiniti problemi tecnici, sociali, igienici, economici, morali, fisiologici, ecc., una calda passione per l'ordine e per il benessere generale e soprattutto una volontà tenace ed eroica potrà avviarci ad una migliore socialità. Le parole non bastano e sdraiarsi nel comodo letto della vanità ciarliera è come farsi smidollare da una cupa e sonnolenta meretrice. Le "parole" sono ancelle d'una Circe bagasciona, e tramutano in bestia chi si lascia affascinare dal loro tintinnìo. (da Meditazione milanese)
  • Lasciare il Monte Nero!, questa mitica rupe, costata tanto, e presso di lei il Vrata, il Vrsic, lasciare, ritirarsi; dopo due anni di sangue. Attraversai un momento di stupore demenziale, di accoramento che m'annientò. Ma Sassella incalzava: «Signor tenente, bisogna far presto, ha detto il tenente Cola di far presto» e incitò poi per conto suo gli altri soldati. Mi riscossi: credo di non esser stato dissimile dai cadaveri che la notte sola copriva. [...] Finiva così la nostra vita di soldati e di bravi soldati, finivano i sogni più belli, le speranze più generose della nostra adolescenza: con la visione della patria straziata, con la nostra vergogna di vinti iniziammo il calvario della dura prigionia, della fame, dei maltrattamenti, della miseria, del sudiciume. (da Giornale di guerra e di prigionia, 1917)
  • Lavoro in una società elettrica milanese d'un lavoro totalmente diverso e lontano dalla mia naturale curiosità. Il mio gran male è stato sempre e sarà sempre uno: quello di desiderare e sognare, invece di volere e fare. [...] Se non avessi addosso la sifilide della laurea, potrei cavarmela forse meglio. (da Lettera a Ugo Betti)

Il primo libro delle favole

  • Il pontecorvo ha capellatura corvina: e naso matematico.
  • Le parole sacre, vedute le labbra dell'autore, ne rifuggono. Le cose sacre, veduto il cuore dell'autore, vi si fermano.
  • L'italiani sono di simulato sospiro.
  • Morire per la patria è cosa dolce e onorevole: infatti alcuni sono morti per la patria immortale: ed altri, a guardarla dalle tignole, è bisognato vivessero. Questa favoletta ne dice: il morto giace, il vivo si dà pace.

La cognizione del dolore

Citazioni

  • Camminava tra i vivi. Andava i cammini degli uomini. Il primo suo figlio [...] in una lunga e immedicabile oscurazione di tutto l'essere, nella fatica della mente, e dei visceri dischiusi poi al disdoro lento dei parti, nello scherno dei negoziatori sagaci e dei mercanti, sotto la strizione dei doveri ch'essi impongono, così nobilmente solleciti delle comuni fortune, alla pena e alla miseria degli onesti. Ed era ora il figlio: il solo. Andava le strade arse lungo il fuggire degli olmi, dopo la polvere verso le sere ed i treni. Il suo figlio primo. [...] Il suo figlio: Gonzalo. A Gonzalo, no, no!, non erano stati tributati i funebri onori delle ombre; la madre inorridiva al ricordo: via, via!, dall'inane funerale le nenie, i pianti turpi, le querimonie: ceri, per lui, non eran scemati d'altezza tra i piloni della nave fredda e le arche dei secoli-tenebra. Quando il canto d'abisso, tra i ceri, chiama i sacrificati, perché scendano, scendano, dentro il fasto verminoso dell'eternità.
  • Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il fulgurato scoscendere d'una vita, più greve ogni giorno, immedicato.
  • Il fumare lo aiutava molto davanti alle donne, a cui il fumo piace, anche perché lo ritengono, e magari con ragione, un gradevole presagio dell'arrosto.
  • [...] le moribonde parole dello Incas. Secondo cui la morte arriva per nulla, circonfusa di silenzio, come una tacita, ultima combinazione del pensiero.
  • [L'umanità] Questo mare senza requie, fuori, sciabordava contro l'approdo di demenza, si abbatteva alle dementi riviere offrendo la sua perenne schiuma, ribevendosi la sua turpe risacca.
  • Se un'idea è più moderna di un'altra è segno che non sono immortali né l'una né l'altra.
  • Un'infanzia tormentata e un'adolescenza anche più dolorosa.
  • [...] l'io, io!… il più lurido di tutti i pronomi!… I pronomi! Sono i pidocchi del pensiero. Quando il pensiero ha i pidocchi, si gratta come tutti quelli che hanno i pidocchi… e nelle unghie, allora… ci ritrova i pronomi: i pronomi di persona.

Explicit

E alle stecche delle persiane già l'alba. Il gallo, improvvisamente, la suscitò dai monti lontani, perentorio ed ignaro, come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita.

Lettere a una gentile signora

  • Gentilissima Signora,
    al solito si è venuto accumulando in me, dopo le sue amichevoli, fraterne lettere, il nembo dei rimorsi, sospinto dalla bufera ciclonica della vergogna. [...]
    Ho verso di Lei rimorsi infiniti; il senso d'una inciviltà che non mi è abituale, e che si spiega solo con quel corso di oscure angosce e di traumi che neppure avvertiamo, quasi, ma che ci privano d'una persuasione necessaria a compiere gli atti più sostanziali. Vivacchiamo così tra noie ed espedienti, respingendo la verità e la necessità. Perché? Non sono passati forse degli anni senza una pagina? E perché, se la pagina è la cosa più urgente, più mia? Perché andavo ad ogni inezia, a pagar la tassa, a ordinare il vestito, a far risuolare le scarpe, trascurando il «compito» l'unico e il più gradito? Se anche angoscioso. (Milano, 27 giugno 1938)
  • Se fosse un libro non letterario e se lei potesse farmi la traduzione quasi definitiva e io avessi davvero poco lavoro, potrei lasciare a lei il maggior utile: e contentarmi di un quasi parassitario prelievo, dovuto alla mia qualità di grand'uomo: (semi-fesso). Del resto, scrive meglio Lei di me. – (Milano, 31 agosto 1938)
  • Subito preso dal lavoro della «puntata» per «Letteratura», passo giorni angosciosi. Ma risorgerò alla vita. E, anche prima di risorgere, esternerò grati sensi, in meno cartolinesco modo e stile. (Milano, 14 aprile 1939)
  • «Dio salvi almeno se stesso», dice l'impagabile Elio. (Firenze, 22 dicembre 1941)
  • La mia persistente piccola-povertà, i miei revenus di lavoro, e di lavoro da travet, i lunghi periodi di mancato guadagno per dedicarmi allo scribacchiamento, tutto ciò ha fatto di me un falso-borghese, che deve sostenere un certo decoro esterno, senza il retroterra dei fondi. (Roma, 12 dicembre 1957)

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana

Incipit

Tutti oramai lo chiamavano don Ciccio. Era il dottor Francesco Ingravallo comandato alla mobile: uno dei più giovani e, non si sa perché, invidiati funzionari della sezione investigativa: ubiquo ai casi, onnipresente su gli affari tenebrosi. Di statura media, piuttosto rotondo della persona, o forse un po' tozzo, di capelli neri e folti e cresputi che gli venivan fuori dalla fronte quasi a riparargli i due bernoccoli metafisici dal bel sole d'Italia, aveva un'aria un po' assonnata, un'andatura greve e dinoccolata, un fare un po' tonto come di persona che combatte con una laboriosa digestione: vestito come il magro onorario statale gli permetteva di vestirsi, e con una o due macchioline d'olio sul bavero, quasi impercettibili però, quasi un ricordo della collina molisana.

Citazioni

  • L'attimo della dolce angoscia fuggiva, oh, che altro può fare un attimo?

Un fulmine sul 220

  • La volizione del volitivo giovane involveva già del suo velle la fuggitiva labilità degli eventi. (Un'orchestra di 120 professori [parte prima]: p. 108)
  • Come si capì dopo, il chiodo senatoriale era stato ribadito dalle martellate categorizzanti della signora Vigoni. Sicché il gambero, come sempre i suoi confratelli, fu costituito in totem, quindi in dogma e si propagò ed estese mirabilmente nel soma della tribù: e più gambero era, e più dogma divenne: dacché la tribù funziona come corpo uno e unanime rispetto alla mònade centrale e gamberològica. (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 130)
  • Il risultato era, nell'animo nostro, un turbamento ingiustificabile, un male doloroso e remoto, come il ricordo di un'irripetibile gioia che giorni crudeli ne avessero allontanata per sempre: poiché tutto di lei diceva, tra gli automobilisti e i giovani e sotto gli alberi verdi festosi del parco: «sono io, sono viva: ancora per un poco, oggi, sono con voi!» E pareva che dovunque, tra labili fiori, insorgessero i veti disumani del tempo. (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 138)
  • Senonché l'Adalgisa era di quelle meravigliose donne lombarde che estrinsecano la propria forma mentis nel postulare dovunque e davanti a chiunque la certezza della propria infallibilità. Per quanto sbagliata sia la strada dove si son messe, ne usciranno «a tutti i costi» in trionfo. La lingua ce l'hanno, il carattere anche: e con la lingua e con il carattere si trionfa, ciò è noto, dei peggiori nemici, oltre che del destino, dei professori de' propri figli e delle donne di servizio se implorano qualche lira al mese di più.– (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 139)
  • «Sei stupido!» «E tu sei scemo!» «Finitela!», si inviperì l'Adalgisa fuori di sé. «Finiscila Peppo o ti dò uno schiaffo!» E lo schiaffo arrivò difatti più rapido ancora dell'ipotesi, come il lampo in precedenza del tuono.– (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 143)
  • Il Carlo, per quanto innamoratissimo glie la tirava lunga di settimana in settimana, di mese in mese: il talamo si perdeva nei regni infiniti del domani, proiettato verso un punto infinitamente al di là del dopodomani, infinitamente pallidamente remoto, come il bacio dell'asintoto alla sua curva.– (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 167)
  • Il flusso continuo dei taxi, sul viale maggiore, pareva la vana furia degli uomini, che ad ogni costo volesse arrivare a una fine. (Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 190)
  • Insomma gli schidioni della cintura di castità erano ancora nel magazzino delle idee compossibili. O servivano ai rosticceri di via Larga, da infilarci dei polli. (fine di Un'orchestra di 120 professori [parte ultima]: p. 196)
  • Così la mia gente si fa ignara dell'inutile: dei segni che dici di bellezza non caverai càvolo per il bottaggio, di verità non caverai cotechino. Quelle ragioni, ella dice, le son bubbole, ella dice «balle» in sua parlata ciabatta. Così accede al benessere (cresci-cotenne) quando non decede alla servitù de' bajuli. Così, senza dimandarla manco, mi offre i «miei» personaggi. Essi sono figli della Certezza e del Paraocchî. Quando il credere diventa presumere. (Nuove Battute sul Politecnico vecchio: p. 204)
  • Nei loro cuori è la fede: una certezza, una sicurezza salda: nessun lezzo di critica maldigesta contaminerà l'affermazione perenne: «Io sono il tuo Politecnico e tu non avrai altro Politecnico avanti di me». (Nuove Battute sul Politecnico vecchio: p. 207)

Citazioni su Carlo Emilio Gadda

  • Romanzo contemporaneo come enciclopedia [...] [Gadda] cercò per tutta la vita di rappresentare il mondo come un garbuglio, o groviglio, o gomitolo, di rappresentarlo senza attenuarne affatto l'inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinare ogni evento. (Italo Calvino)
  • La derisoria violenza della sua scrittura esplodeva esasperata, contestando insieme il linguaggio e la parodia, tra il ron-ron rondesco-neoclassico-fascistello e il pio-pio crepuscolare-ermetico-pretino, in schegge di incandescente (espressionistica) espressività… Proprio come per Rabelais e per Joyce che gli sarebbero poi stati accostati, «a braccio» e «a orecchio», i suoi messaggi fanno a pezzi ogni codice, spiritate e irritate, le sue invenzioni verbali dileggiano significati e significanti; devastano ogni funzione o finalità comunicativa; rappresentano innanzitutto se stesse, e i propri fantasmi, in un foisonnement inaudito e implacabile di spettacolari idioletti… [...] La complessa ricchezza linguistica e tematica dell'opera gaddiana, così visceralmente composta e tramata, e sardanapalesca, e pantagruelica, continua a sollecitare una pluralità di letture, a diversi livelli, lungo differenti parametri, secondo i più svariati presupposti e pregiudizi: a costo di razionalizzare fin troppo lucidamente attraverso nitidi procedimenti di schede e di referti quel suo atrabiliare viluppo di fantasticate irrisioni e di furie «compossibili»… [...] Non per nulla, gl'interessi enciclopedici dell'Ingegnere coincidono (fino al delirio di riversare tutta la Funzione nell'Espressione) coi manifesti tracciati due secoli fa dagli impeccabili fratelli Verri e da Cesare Beccaria, risoluti a insultare programmaticamente la Crusca in nome di Galileo e di Newton, cioè a sviluppare una cultura extraletteraria cosmopolita e un pensiero intellettuale «assolutamente moderno» a dispetto della grammatica arcaica dei Pedanti, trasgredendo al purismo imbecille che caldeggia l'impiego di qualsiasi grulleria del Piovano Arlotto per definire prodotti e nozioni del nostro tempo. (Alberto Arbasino)
  • [Ad una domanda sul rapproto fra matematica e letteratura]Vedo con favore i rapporti di tutto con tutto, e della Matematica con la Letteratura in particolare. [...]

Detto questo, diffido un po' delle pure suggestioni: i matematici leggono Borges, ascoltano Bach, i letterati leggono Hofstadter...[...] Posso visitare una regione esotica, inebriarmi di architetture e usanze che mai conoscerò e tornarmene a casa con il mio rullino di diapositive. Questo è ciò che chiamo suggestione.
Un rapporto più profondo, invece, implica un vero e proprio "bilinguismo": Gadda era perfettamente "bilingue" (perfetto scrittore, perfetto ingegnere) e ha saputo raccontare complesse equazioni nel suo linguaggio irresistibile. (Stefano Bartezzaghi)

Bibliografia

  • Carlo Emilio Gadda, Lettere a una gentile signora [lettere a Lucia Rodocanachi], a cura di Giuseppe Marcenaro, con un saggio di Giuseppe Pontiggia, Adelphi, 1983.
  • Carlo Emilio Gadda, La cognizione del dolore, Garzanti, 2000. ISBN 8811666449
  • Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti, 2000. ISBN 8811666422
  • Carlo Emilio Gadda, Un fulmine sul 220, a cura di Dante Isella, Garzanti, 2000. ISBN 881167848X

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