Marchese de Sade: differenze tra le versioni

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Versione delle 15:32, 4 dic 2008

Il Marchese de Sade ritratto da Charles Amédée Philippe van Loo

Donatien-Alphonse-François de Sade, meglio conosciuto come Marchese de Sade o Divin marchese (1740 – 1814), aristocratico francese, autore di diversi libri erotici e di alcuni saggi filosofici.

Citazioni di Donatien Alphonse François de Sade

  • Sì, sono un libertino, lo riconosco: ho concepito tutto ciò che si può concepire in questo ambito, ma non ho certamente fatto tutto ciò che ho concepito e non lo farò certamente mai. Sono un libertino, ma non sono un criminale né un assassino. (da una lettera alla moglie, 20 febbraio 1791)
  • Tutti i principi morali universali sono oziose fantasie. (da Le 120 giornate di Sodoma)
  • La distruzione, quindi, come la creazione, è uno dei mandati della Natura. (da La filosofia nel boudoir)
  • Le passioni dell'uomo sono soltanto i mezzi di cui la natura si serve per conseguire i suoi scopi. (da La filosofia nel boudoir)

Senza fonte

  • Le religioni sono il supporto del dispotismo.
  • Nel silenzio delle leggi nascono le grandi azioni.
  • Non c'è Dio, la Natura è sufficiente a se stessa; in nessuna guisa ha essa bisogno d'un autore.
  • Per l'uomo non c'è altro inferno che la stupidità o la malvagità dei suoi simili.
  • Più difetti un uomo ha, più vecchio e meno amabile è, tanto più risonante sarà il suo successo.
  • Possedere in esclusiva una donna è tanto ingiusto quanto possedere degli schiavi.
  • Il vostro corpo è la chiesa dove la Natura chiede di essere riverita.

Justine o Le sventure della virtù

  • La virtù non conduce ad altro che all'inazione più stupida e più monotona, il vizio a tutto ciò che l'uomo può sperare di più delizioso sulla terra.
  • Quando il più forte vuole opprimere il più debole lo convince che Dio santifica le sue catene, ed il debole, abbrutito, gli crede.
  • Anche l'uomo deforme trova specchi che lo rendono bello.
  • Anche se il servizio fosse stato reso da eguale a eguale, mai l'orgoglio di un'anima nobile si abbasserebbe sino a provare riconoscenza; non è forse umiliato chi riceve? E l'umiliazione che prova non compensa sufficientemente il benefattore che solo per questo si trova posto al di sopra dell'altro? Non è un godimento l'innalzarsi sopra il proprio simile? Che altro è dovuto, a chi presto servigio? Se la pietà, che umilia chi ne è affetto, si trasforma in un fardello, con quale diritto si vieta a chi lo porta di sbarazzarsene? Perché devo accettare di sentirmi umiliato ogni volta che incontro lo sguardo di chi mi ha reso un favore? L'ingratitudine non è un vizio, è anzi la virtù delle anime fiere. La generosità è invece la virtù delle anime deboli; mi si renda servigio finché si vuole se ci si prova piacere, ma non si pretenda niente da me.

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