Lev Tolstoj: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Lev Nikolaevič Tolstoj==
==Citazioni di Lev Nikolaevič Tolstoj==
*Com'è bella, com'è meravigliosa la [[vecchiaia]]! Non ci sono più desideri, né passioni, né la minima agitazione, né vanità! (citato in Victor Lebrun, ''Devoto a Tolstoj'', Lerici editori, Milano 1963, p. 99)
*Com'è bella, com'è meravigliosa la [[vecchiaia]]! Non ci sono più desideri, né passioni, né la minima agitazione, né vanità! (citato in Victor Lebrun, ''Devoto a Tolstoj'', Lerici editori, Milano 1963, p. 99)
*[[Dio]] è quell'infinito Tutto, di cui l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi di Dio nell'uomo (la [[vita]]) si unisce alle manifestazioni (alle vite) di altri esseri, tanto più egli esiste. L'unione di questa sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l'amore. Dio non è amore, ma quanto più grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente. (citato in Igor Sibaldi, ''Cronologia'', in Lev Tolstoj, ''Tutti i racconti'', volume primo, Mondadori, Milano 1991, pp. CXIX-CXX)
*Eroe del racconto, eroe che io amo con tutta l'[[anima]] e che ho sempre cercato di riprodurre in tutta la sua [[bellezza]], e che sempre è stato, è e sarà meraviglioso, eroe del mio racconto è la [[verità]]. (da ''I racconti di Sebastiopoli'')
*Eroe del racconto, eroe che io amo con tutta l'[[anima]] e che ho sempre cercato di riprodurre in tutta la sua [[bellezza]], e che sempre è stato, è e sarà meraviglioso, eroe del mio racconto è la [[verità]]. (da ''I racconti di Sebastiopoli'')
*I [[Cavallo|cavalli]] compiangono solamente sé stessi o, di tanto in tanto, solamente coloro nella cui pelle riescono a immaginarsi senza fatica. (da ''Colstomer, Storia di un cavallo'')
*I [[Cavallo|cavalli]] compiangono solamente sé stessi o, di tanto in tanto, solamente coloro nella cui pelle riescono a immaginarsi senza fatica. (da ''Colstomer, Storia di un cavallo'')

Versione delle 15:07, 8 feb 2010

Lev Nikolaevic Tolstoj

Lev Nikolaevič Tolstoj (1828 – 1910), scrittore, drammaturgo e filosofo russo.

Citazioni di Lev Nikolaevič Tolstoj

  • Com'è bella, com'è meravigliosa la vecchiaia! Non ci sono più desideri, né passioni, né la minima agitazione, né vanità! (citato in Victor Lebrun, Devoto a Tolstoj, Lerici editori, Milano 1963, p. 99)
  • Dio è quell'infinito Tutto, di cui l'uomo diviene consapevole d'essere una parte finita. Esiste veramente soltanto Dio. L'uomo è una Sua manifestazione nella materia, nel tempo e nello spazio. Quanto più il manifestarsi di Dio nell'uomo (la vita) si unisce alle manifestazioni (alle vite) di altri esseri, tanto più egli esiste. L'unione di questa sua vita con le vite di altri esseri si attua mediante l'amore. Dio non è amore, ma quanto più grande è l'amore, tanto più l'uomo manifesta Dio, e tanto più esiste veramente. (citato in Igor Sibaldi, Cronologia, in Lev Tolstoj, Tutti i racconti, volume primo, Mondadori, Milano 1991, pp. CXIX-CXX)
  • Eroe del racconto, eroe che io amo con tutta l'anima e che ho sempre cercato di riprodurre in tutta la sua bellezza, e che sempre è stato, è e sarà meraviglioso, eroe del mio racconto è la verità. (da I racconti di Sebastiopoli)
  • I cavalli compiangono solamente sé stessi o, di tanto in tanto, solamente coloro nella cui pelle riescono a immaginarsi senza fatica. (da Colstomer, Storia di un cavallo)
  • L'ambizione non s'accorda affatto con la bontà; s'accorda con l'orgoglio, con l'astuzia, con la crudeltà. (da Il regno di Dio è in voi)
  • L'arte è la suprema manifestazione della potenza dell'uomo; è concessa a rari eletti, e innalza l'eletto a un'altezza dove l'uomo è preso da vertigine ed è difficile conservare la sanità della mente. Nell'arte, come in ogni lotta, ci sono eroi che si dedicano interamente alla loro missione, e che periscono senza raggiungere la meta. (da Albert)
  • L'arte è un'attività umana il cui fine è la trasmissione ad altri dei più eletti e migliori sentimenti a cui gli uomini abbiano saputo assurgere. (da Che cos'è l'arte?)
  • L'idea dell'eternità è una malattia dello spirito. (citato in Maksim Gorkij, Racconto di un amore non corrisposto, traduzione di Erme Cadei, Fratelli Treves Editori, 1928)
  • La schiavitù della donna consiste soltanto in ciò, che gli uomini desiderano e credono onesto usare di lei come istrumento di piacere. (da Krejcerova Sonata)
  • La schiavitù non è altro che lo sfruttamento esercitato da alcuni sul forzato lavoro delle folle. (da Krejcerova Sonata)
  • Ma si sa, qualunque sia il toro che ha montato, il vitello è nostro comunque. (da Idillio)
  • Per rendere, rende bene, ma è peccato, non conviene. (da Idillio)
  • Tutto è più doloroso se ci si pensa. (da I racconti di Sebastiopoli)
  • Voi dite che io non sono libero. Ma io ho alzato e abbassato un braccio. E chiunque capisce che questa risposta illogica è un'incontrovertibile dimostrazione della mia libertà. (da Guerra e Pace)

Senza fonte

  • Il carattere delle persone non si rivela mai così chiaramente come nel gioco.
  • Il poeta prende le cose migliori della sua vita e le mette nel suo lavoro. Così il suo lavoro è bellissimo, e la sua vita brutta.
  • Il segreto della felicità non è di far sempre ciò che si vuole, ma di voler sempre ciò che si fa.
  • Gli uomini di genio sono incapaci di studiare in gioventù perché sentono inconsciamente che bisogna imparare tutto in modo diverso da come lo impara la massa.
  • L'uomo ha ricevuto direttamente da Dio l'unico strumento per conoscere se stesso e la propria relazione con l'universo: questo strumento è la ragione, e nient'altro.
  • La principale attrattiva del servizio militare è consistita e consisterà in questa obbligata e irreprensibile pigrizia.
  • La rivoluzione è una grande distruttrice di uomini e di caratteri. Consuma i valorosi e annienta i meno forti.
  • La scienza non è che una conoscenza immaginaria della verità assoluta.
  • La vecchiaia è la più inattesa tra tutte le cose che possono capitare ad un uomo.
  • Nessuno è più superstizioso degli scettici.
  • Noi moriamo soltanto quando non riusciamo a mettere radice in altri.
  • Per vivere con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare, ricominciare da capo e buttar via tutto, e di nuovo ricominciare a lottare e perdere eternamente. La calma è una vigliaccheria dell'anima.
  • Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani.
  • Tutte le idee che hanno enormi conseguenze sono sempre idee semplici.
  • Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso.
  • Tutto, ogni cosa che comprendo, la comprendo soltanto perché amo.
  • Un alleato deve essere sorvegliato proprio come un nemico.
  • Un sacrificio compiuto per esigenza di onestà è la più alta gioia dello spirito.

Resurrezione

Incipit

Per quanto gli uomini, riuniti a centinaia di migliaia in un piccolo spazio, cercassero di deturpare la terra su cui si accalcavano, per quanto la soffocassero di pietre, perché nulla vi crescesse, per quanto estirpassero qualsiasi filo d'erba che riusciva a spuntare, per quanto esalassero fiumi di carbon fossile e petrolio, per quanto abbattessero gli alberi e scacciassero tutti gli animali e gli uccelli, – la primavera era primavera anche in città. Il sole scaldava, l'erba, riprendendo vita, cresceva e rinverdiva ovunque non fosse strappata, non solo nelle aiuole dei viali, ma anche fra le lastre di pietra, e betulle, pioppi, ciliegi selvatici schiudevano le loro foglie vischiose e profumate, i tigli gonfiavano i germogli fino a farli scoppiare; le cornacchie, i passeri e i colombi con la festosità della primavera già preparavano nidi, e le mosche ronzavano vicino ai muri, scaldate dal sole.
Allegre erano le piante, e gli uccelli, e gli insetti, e i bambini. Ma gli uomini – i grandi, gli adulti – non smettevano di ingannare e tormentare se stessi e gli altri. Gli uomini ritenevano che sacro e importante non fosse quel mattino di primavera, non quella bellezza del mondo di Dio, data per il bene di tutte le creature, la bellezza che dispone alla pace, alla concordia e all'amore, ma sacro e importante fosse quello che loro stessi avevano inventato per dominarsi l'un l'altro.

Parte prima

  • Allora era un giovane onesto, altruista, pronto a dedicarsi a ogni buona causa, adesso era un corrotto, raffinato egoista, amante solo del suo piacere. [...] E tutto questo terribile mutamento si era compiuto in lui solo perché aveva cessato di credere a se stesso e aveva cominciato a credere agli altri.
  • In Nechljudov, come in tutti, c'erano due uomini. L'uomo spirituale, che cerca per sé solo quel bene che possa essere un bene anche per il prossimo, e l'altro, l'uomo animale, che cerca il bene solo per sé e per questo bene è pronto a sacrificare il bene del mondo intero.
  • In fondo, proprio in fondo all'anima sapeva di aver agito così male, in maniera così ignobile e crudele, che con la coscienza di quell'azione non poteva non solo giudicare chicchessia, ma neppure guardare negli occhi la gente, e tanto meno considerarsi il giovanotto meraviglioso, nobile e magnanimo che credeva di essere. Mentre doveva considerarsi tale per continuare a vivere arditamente e allegramente. Dunque c'era un solo mezzo: non pensarci. E così fece.
  • Ora, entrato in questa stanza [...] ricordò tutti i suoi ultimi rapporti con la madre, e questi rapporti gli apparvero innaturali e disgustosi. Anche qui vergogna e schifo. Si ricordò che negli ultimi tempi della sua malattia aveva addirittura desiderato la sua morte. Si era detto che la desiderava perché lei fosse liberata dalle sofferenze, ma in realtà era lui che desiderava liberarsi dalla vista delle sue sofferenze.
  • Allora egli era un uomo coraggioso, libero, dinanzi al quale si aprivano infinite possibilità, – ora si sentiva preso da ogni lato nei lacci di una vita stupida, vuota, meschina e senza scopo, da cui non vedeva alcuna via d'uscita, anzi il più delle volte neppure voleva uscirne. Ricordò come andasse orgoglioso, un tempo, della sua franchezza, come si fosse dato per regola di dir sempre la verità, e fosse davvero sincero, mentre adesso era tutto immerso nella menzogna, nella più terribile menzogna, una menzogna che tutti coloro che lo circondavano prendevano per verità.
  • Loro (la gente) mi giudichino pure come vogliono, posso ingannare loro, ma non ingannerò me stesso.
  • E all'improvviso capì che il disgusto che negli ultimi tempi aveva provato per la gente [...] era disgusto per se stesso.
  • «Già hai provato a perfezionarti ed essere migliore, e non ne hai ricavato nulla, – diceva nella sua anima la voce del tentatore, – vuoi dunque provare un'altra volta? Non sei tu solo, sono tutti così: così è la vita», – diceva quella voce. Ma l'essere libero e spirituale che è l'unico autentico, l'unico possente, l'unico eterno, si era già destato in Nechljudov. Ed egli non poteva non prestargli fede. Per quanto enorme fosse la distanza fra ciò che era e ciò che voleva essere, tutto appariva possibile all'essere spirituale che si era ridestato.
  • Si fermò, incrociò le braccia sul petto come faceva quando era piccolo, levò in alto gli occhi e disse, rivolto a qualcuno:
    – Signore, aiutami, insegnami, vieni a dimorare in me e purificami da ogni sozzura!
    Pregava, chiedeva a Dio di aiutarlo, di dimorare in lui e di purificarlo, ma intanto ciò che chiedeva si era già realizzato. Dio, che viveva in lui, si era destato nella sua coscienza. Lo sentì in sé, e perciò sentì non solo libertà, coraggio e gioia di vivere, ma sentì tutta la potenza del bene. Adesso si sentiva capace di fare tutto il meglio che poteva fare un uomo.
  • Strano: da quando Nechljudov aveva capito d'essere cattivo e odioso a se stesso, da allora aveva smesso di trovare odiosi gli altri.
  • Scritto il lasciapassare, il procuratore consegnò il foglio a Nechljudov, guardandolo con curiosità.
    – Devo inoltre comunicarle, – disse Nechljudov, – che non posso continuare a partecipare alla sessione.
    – Come lei sa, bisogna fornire dei motivi validi alla corte.
    – Il motivo è che ritengo qualsiasi tribunale non solo inutile, ma immorale.
  • Giunto a casa, prese subito i suoi diari, da tempo abbandonati, ne rilesse alcuni brani e scrisse quanto segue: «Per due anni non ho tenuto un diario, pensando che non sarei più tornato a queste bambinate. Ma non era una bambinata, bensì un dialogo con me stesso, con l' io più autentico, divino, che vive in ogni uomo. Per tutto questo tempo quell' io ha dormito, e io non avevo con chi dialogare. L'ha ridestato lo straordinario avvenimento del 28 aprile, durante il processo in cui ero giurato. Sul banco degli imputati ho visto lei, quella Katjuša che avevo ingannato, in divisa da carcerata. Per uno strano equivoco e per un mio errore l'hanno condannata ai lavori forzati. Oggi sono stato dal procuratore e in prigione. Non mi hanno lasciato entrare, ma ho deciso di fare di tutto per vederla, confessarle la mia colpa e ripararla, fosse anche col matrimonio. Signore, aiutami! La mia anima è serena e piena di gioia».
  • Ogni uomo, per agire, ha bisogno di credere importante e buona la propria attività. E per questo, qualunque sia la sua condizione, egli non mancherà di crearsi una visione della vita umana in genere, alla luce della quale la sua attività possa apparirgli importante e buona.
    Di solito si pensa che il ladro, l'assassino, la spia, la prostituta, riconoscendo cattiva la propria professione, debbano vergognarsene. Invece accade esattamente il contrario. Gli uomini che il destino e i loro peccati o errori hanno posto in una determinata condizione, per quanto sbagliata sia, si creano una visione della vita in genere alla luce della quale questa condizione possa apparir loro buona e rispettabile. Per sostenere poi tale visione gli uomini si appoggiano istintivamente a una cerchia di persone in cui venga riconosciuto il concetto che si sono creati della vita e del loro posto in essa. La cosa ci sorprende quando i ladri si vantano della loro destrezza, le prostitute della loro depravazione, gli assassini della loro crudeltà. Ma ci sorprende solo perché la cerchia, l'ambiente di queste persone è circoscritto, e soprattutto perché noi ne siamo al di fuori. Ma non capita forse lo stesso fenomeno fra i ricchi che si vantano delle loro ricchezze, cioè di ladrocinio, fra i capi militari che si vantano delle loro vittorie, cioè di omicidio, fra i sovrani che si vantano della loro potenza, cioè di sopraffazione? Noi non vediamo in queste persone un concetto distorto della vita, del bene o del male, volto a giustificare la loro condizione, solo perché la cerchia di persone con tali concetti distorti è più vasta, e noi stessi vi apparteniamo.
  • Una delle superstizioni più frequenti e diffuse è che ogni uomo abbia solo certe qualità definite, che ci sia l'uomo buono, cattivo, intelligente, stupido, energico, apatico, eccetera. Ma gli uomini non sono così. Possiamo dire di un uomo che è più spesso buono che cattivo, più spesso intelligente che stupido, più spesso energico che apatico, e viceversa: ma non sarebbe la verità se dicessimo di un uomo che è buono o intelligente, e di un altro che è cattivo, o stupido. E invece è sempre così che distinguiamo le persone. Ed è sbagliato. Gli uomini sono come i fiumi: l'acqua è in tutti uguale e ovunque la stessa, ma ogni fiume è ora stretto, ora rapido, ora ampio, ora tranquillo, ora limpido, ora freddo, ora torbido, ora tiepido. Così anche gli uomini. Ogni uomo reca in sé, in germe, tutte le qualità umane, e talvolta ne manifesta alcune, talvolta altre, e spesso non è affatto simile a sé, pur restando sempre unico e sempre se stesso.

Parte seconda

  • Per Nechljudov quella notte era più che allegra. Era per lui una notte gioiosa, felice. La fantasia rinnovava per lui le impressioni di quell'estate felice che aveva trascorso lì, giovane innocente, e adesso si sentiva come era stato non solo allora, ma in tutti i momenti migliori della sua vita. Non solo si ricordò, ma si sentì come quando, ragazzo di quattordici anni, pregava Dio che gli rivelasse la verità, come quando bambino piangeva sulle ginocchia della madre, prima di separarsi da lei, promettendole di essere sempre buono e di non darle dispiaceri, – si sentì come quando lui e Nikolen'ka Irtenev avevano deciso che si sarebbero sempre aiutati a vivere una vita buona e avrebbero cercato di rendere felici tutti gli uomini.
  • Nechljudov ricordò che a Kuzminskoe aveva cominciato a meditare sulla sua vita, a chiedersi cosa avrebbe fatto e in che modo, e ricordò come si fosse smarrito in quelle domande senza trovare una risposta: tante erano le considerazioni che accompagnavano ognuna di esse. Ora si pose le stesse domande e si stupì di quanto tutto fosse semplice. Era semplice perché adesso non pensava a cosa sarebbe stato di lui, e neppure gli interessava, ma pensava solo a ciò che doveva fare. E, stranamente, non riusciva proprio a decidere che cosa fosse necessario per sé, mentre che cosa doveva fare per gli altri lo sapeva con certezza. Sapeva adesso con certezza che doveva dare la terra ai contadini, perché tenerla era male. Sapeva con certezza che non doveva abbandonare Katjuša, ma aiutarla, essere pronto a tutto per riscattare la sua colpa verso di lei. Sapeva con certezza che doveva studiare, approfondire, chiarire a se stesso, capire tutte quelle questioni di tribunali e pene, in cui sentiva di vedere qualcosa che non vedevano gli altri. Non sapeva quale ne sarebbe stato il risultato, ma sapeva con certezza che tutte e tre le cose gli erano indispensabili, e doveva farle. E questa assoluta sicurezza gli dava gioia.
  • «Sì, sì, – pensava. – L'opera che si compie per mezzo della nostra vita, tutta l'opera e il suo senso non è e non può essermi comprensibile [...] Capire tutto questo, capire tutta l'opera del Creatore non è in mio potere. Ma fare la Sua volontà, scritta nella mia coscienza: questo è in mio potere, e io lo so con certezza. E quando lo faccio, sono certamente tranquillo».
  • «Sì, sentirsi non padrone, ma servo», – pensava e si rallegrava di questa idea.
  • La prima sensazione che Nechljudov provò svegliandosi l'indomani mattina fu di aver commesso qualche infamia il giorno prima.
    Cercò di ricordare: non c'era stata alcuna infamia, alcuna cattiva azione, ma c'erano stati i pensieri, i cattivi pensieri [...]
    Non c'era stata alcuna cattiva azione, ma c'era stato qualcosa di ben peggiore: c'erano stati i pensieri da cui derivano tutte le cattive azioni. Una cattiva azione si può non ripetere, di essa ci si può pentire, mentre i cattivi pensieri generano sempre cattive azioni.
    Una cattiva azione spiana soltanto la via ad altre cattive azioni, i cattivi pensieri invece trascinano irresistibilmente per quella via.
    Quella mattina, riandando con la fantasia ai pensieri della vigilia, Nechljudov si stupì di avervi potuto credere anche solo per un istante. Per quanto nuovo e difficile fosse quello che intendeva fare, sapeva che era ormai l'unica via possibile per lui, e che per quanto abituale e facile fosse tornare al passato, sapeva che quella era la morte.
  • Questa è una donna di strada: acqua sporca, fetida, che si offre a coloro per i quali la sete è più forte della ripugnanza.
  • Nechljudov ricordò la sua relazione con la moglie del maresciallo della nobiltà e lo assalirono tanti ricordi vergognosi. «C'è una ripugnante bestialità nell'uomo, – pensava, – ma quando è allo stato puro la vedi dall'alto della tua vita spirituale e la disprezzi, e sia che tu cada o resista, rimani quello di prima; ma quando questa stessa animalità si dissimula sotto una copertura pseudo-estetica, poetica, e prende considerazione, allora, divinizzando l'animalità, ti perdi in essa, e non distingui più il bene dal male. Allora è terribile».
  • Ricordava le parole dello scrittore americano Thoreau, che ai tempi della schiavitù in America aveva detto che la prigione è l'unico posto che si convenga a un cittadino onesto in uno stato in cui è legalizzata e tutelata la schiavitù. Lo stesso pensava Nechljudov, soprattutto dopo il viaggio a Pietroburgo e tutto quello che vi aveva appreso.
    «Sì, attualmente l'unico posto che si convenga a un uomo onesto in Russia è la prigione!» – pensava.
  • Gli restavano tante cose da sbrigare, che per quanto tempo libero avesse sentiva che non le avrebbe mai portate a termine. Era esattamente il contrario di quanto accadeva prima. Prima bisognava inventarsi delle occupazioni, il cui scopo era sempre lo stesso: Dmitrij Ivanovič Nechljudov; eppure, benché tutto l'interesse della vita si concentrasse allora su Dmitrij Ivanovič, tutte quelle occupazioni erano noiose. Ora invece che tutte le cose da fare riguardavano altri, e non Dmitrij Ivanovič, erano tutte interessanti e appassionanti, e ce n'era a non finire.
  • Mentre preparava le valigie e le carte, Nechljudov si soffermò sul suo diario, ne rilesse alcuni passi e le ultime cose scritte. Prima di partire per Pietroburgo aveva annotato: «Katiuša non vuole il mio sacrificio, ma il suo. Lei ha vinto, e io ho vinto. Mi riempie di gioia per il mutamento interiore che mi pare (non oso ancora crederci) stia avvenendo in lei. Non oso ancora crederci, ma mi pare che torni a vivere». Sulla stessa pagina, di seguito, era scritto: «Ho passato un momento molto difficile e molto gioioso. Ho saputo che si era comportata male in infermeria. E a un tratto ho provato un dolore terribile. Non mi aspettavo un dolore simile. Le ho parlato con ripugnanza e odio e poi mi sono ricordato di me, di quante volte anche ora, sia pure nei pensieri, sono stato colpevole di ciò per cui la odiavo, e a un tratto nello stesso momento ho trovato disgustoso me stesso e pietosa lei, e mi sono sentito molto bene. Se solo sapessimo vedere in tempo la trave nel nostro occhio, quanto saremmo più buoni». Alla data di quel giorno scrisse: «Sono stato da Nataša e proprio perché ero contento di me sono stato cattivo, aggressivo, e me ne è rimasta una sensazione penosa. Ebbene, che devo fare? Da domani comincia una nuova vita. Addio vecchia vita, per sempre. Molte impressioni si sono accumulate, ma non riesco ancora a ricondurle a unità».
  • Inspirando la frescura umida e l'odore di pane della terra che da tempo aspettava la pioggia, guardò i giardini e i boschi che correvano via, i campi gialli di segale, le strisce ancora verdi dell'avena e i solchi neri con le macchie verde scuro delle patate in fiore. Tutto pareva ricoperto da una vernice: il verde diventava più verde, il giallo più giallo, il nero più nero.
    – Ancora, ancora! – diceva Nechljudov, lieto dei campi, dei giardini e degli orti che riprendevano vita sotto la pioggia benefica.

Parte terza

  • Simonson, in giacca di guttaperca e calosce di gomma, fissate sopra le calze di lana con pezzi di spago (era vegetariano e non usava pelli di animali uccisi), era anche lui in cortile, in attesa della partenza del convoglio. Ritto davanti alla scaletta, stava annotando sul suo taccuino un pensiero che gli era venuto in mente. Il pensiero era il seguente:
    «Se un batterio, – scriveva – osservasse e studiasse l'unghia di un uomo, potrebbe crederla sostanza inorganica. Allo stesso modo noi, osservandone la crosta, consideriamo sostanza inorganica il globo terrestre. Ed è sbagliato».
  • Le capacità intellettuali di quest'uomo – il suo numeratore – erano grandi; ma la sua opinione di sé – il suo denominatore – era così sproporzionatamente alta che aveva da tempo superato le sue capacità intellettuali. La vita spirituale di quest'uomo era diametralmente opposta a quella di Simonson.

Explicit

  • Leggendo il sermone della montagna, che l'aveva sempre toccato, vi trovò per la prima volta non delle idee sublimi e astratte, che avanzavano pretese per lo più esagerate e impraticabili, ma dei comandamenti semplici, chiari, e attuabili praticamente, i quali, se tradotti in realtà (cosa perfettamente possibile), avrebbero instaurato un'organizzazione del tutto nuova della società umana, in cui non solo si eliminava da sé tutta la violenza che tanto indignava Nechljudov, ma si raggiungeva il bene supremo accessibile all'umanità: il regno di Dio in terra. [...]
    «Cercate il regno di Dio e la sua verità, e il resto vi sarà dato in aggiunta. Noi invece cerchiamo il resto ed è evidente che non lo troviamo. Eccolo dunque, il compito della mia vita. Appena portata a termine un'opera, ne è cominciata un'altra».
    Da quella notte iniziò per Nechljudov un'esistenza completamente nuova, non solo perché mutarono le sue condizioni di vita, ma perché tutto ciò che gli accadde da quel momento assunse per lui un significato completamente diverso da prima. Come finirà questo nuovo periodo della sua vita, lo mostrerà il futuro.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, Resurrezione, traduzione di Emanuela Guercetti, Garzanti 2002.]

La sonata a Kreutzer

Incipit

Duchessa d'Andria

S'era nell'inizio della primavera: Noi viaggiavamo da due giorni. Nella vettura ferroviaria entravano e uscivano passeggeri, ma tre di essi soltanto viaggiavano con me dal luogo della partenza del treno: una signora né bella né giovane, che fumava molto, con un viso smunto, un mantello e un berretto di pelliccia di foggia quasi maschile; il suo compagno, un uomo sulla quarantina, discorsivo, che aveva valigie nuove e di buona apparenza; e poi un altro signore che si teneva in disparte, piuttosto basso di statura, dai movimenti bruschi, non vecchio ancora, coi capelli ricciuti fatti grigi da un evidente precoce incanutimento e con gli occhi straordinariamente luccicanti, che passavano con rapidità da un oggetto all'altro. Egli indossava un vecchio pastrano con pelliccia che doveva essere stato fatto da un sarto dai prezzi cari, e aveva un altro berretto anche di pelliccia. Di sotto al pastrano, quando lo apriva, si vedeva una sottoveste e una camicia russa ricamata. La particolarità di questo signore consisteva in ciò, che ogni tanto egli emetteva strani suoni che somigliavano a colpetti di tosse o a scoppi repressi di risa.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, La sonata a Kreutzer (Krejcerova Sonata), a cura della duchessa d'Andria, Arnoldo Mondadori Editore, 1968.]

Leone Ginzburg

La primavera era all'inizio. Era il secondo giorno che viaggiavamo. Entravano nel vagone e ne uscivano persone che andavano a distanze diverse, ma tre venivano, come me, dala stazione di partenza del treno: una signora non bella né giovane, che fumava, con un viso tormentato, un paltò semimaschile addosso e un berrettino; un suo conoscente, uomo sui quarant'anni, amante della conversazione, con le sue cose tutte ordinate e nuove, e ancora un signore di statura non molto alta con i movimenti a scatti, che stava per conto suo, non vecchio ancora, ma con i capelli ricci evidentemente incanutiti prima del tempo e con degli occhi straordinariamente scintillanti, che correvano rapidi da un soggetto all'altro.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, La sonata a Kreutzer (Krejcerova Sonata), traduzione di Leone Ginzburg, Arnoldo Mondadori Editore, 2006.]

Citazioni

  • Una delle più penose condizioni per i gelosi (e gelosi sono tutti nella nostra vita di società) è trovarsi costretti a quelle relazioni mondane che mettono in una grande e pericolosa intimità gli uomini e le donne. Bisogna diventar ridicoli oppure permettere l'intimità nei balli, l'intimità tra i medici e le loro clienti, l'intimità con gli artisti, i pittori e specialmente i musicisti. Le persone si occupano insieme della più nobile tra le arti, la musica: perciò è necessaria quella tale intimità, e quell'intimità non ha nulla di biasimevole: soltanto un marito scioccamente geloso può vedervi qualcosa di male. E intanto tutti sanno che proprio a mezzo di occupazioni, e specialmente della musica, avviene la maggior parte degli adultèri nel nostro mondo. Evidentemente li avevo messi nella medesima situazione penosa nella quale mi trovavo io: per un pezzo non mi riuscì di dir nulla. Ero come una bottiglia capovolta dalla quale l'acqua non esce perché è troppo piena. Volevo ingiuriarlo, scacciarlo, ma invece sentivo che dovevo invece mostrarmi amabile e affettuoso con lui. E così feci. Finsi di approvare tutto, per quello stesso strano sentimento che mi obbligava a rivolgermi a lui con tanta maggiore gentilezza quanto più la sua presenza mi era penosa. Gli dissi che mi affidavo al suo gusto e consigliai lo stesso a mia moglie. Egli rimase ancora un poco, quanto bastava per cancellare la sgradevole impressione che aveva prodotto la mia subitanea entrata nella stanza, con quel viso stravolto e quel mio silenzio, e poi se ne andò, figurando di aver finalmente deciso quel che si dovesse suonare. Io ero interamente persuaso che a paragone di ciò che li preoccupava la questione dei pezzi da suonare era per loro senza alcuna importanza. (1968)
  • La donna sa che quello che noi diciamo dei sentimenti elevati son tutte bugie, che non abbiamo bisogno che del corpo, e perciò perdoniamo qualsiasi porcheria, ma un abito mancato, senza gusto, inelegante non lo perdoneremmo.
    La civetta lo sa coscientemente, ogni fanciulla innocente lo sa incoscientemente, come lo sanno gli animali. (2006, pp. 28-29)
  • La dottrina dell'ideale cristiano è l'unico ideale che può servire di guida all'umanità. (dalla Postilla dell'autore)

Anna Karenina

Incipit

Ossip Felyne

Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo.
In casa Oblonski tutto era sossopra. La moglie aveva scoperto una relazione amorosa del marito con una francese che era stata istitutrice in casa loro, qualche tempo prima, e gli aveva dichiarato che non poteva più vivere con lui sotto lo stesso tetto. Questa situazione durava da due giorni e si faceva sentire in modo penoso, tanto dai due coniugi quanto dagli altri membri della famiglia e sinanche dal personale di servizio. Tutti provavano l'impressione che la loro vita in comune non avesse più senso e che l'unione della famiglia e dei familiari di casa Oblonski fosse più effimera di quella delle persone che si trovavano casualmente riunite in qualsiasi albergo. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito era sempre fuori; i bambini correvano per la casa abbandonati a se stessi; l'istitutrice inglese aveva litigato con la governante e aveva scritto a un'amica pregandole di trovarle un altro posto; la sguattera e il cocchiere si erano licenziati.

Leone Ginzburg

Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
Tutto era sossopra in casa degli Oblònskije. La moglie era venuta a sapere che il marito aveva avuto un legame con una governante francese ch'era stata in casa loro, e aveva dichiarato al marito che non poteva vivere con lui nella stessa casa. Questa situazione durava già da tre giorni ed era sentita tormentosamente e dagli stessi coniugi, e da tutti i membri della famiglia, e dai familiari. Tutti i membri della famiglia e i familiari sentivano che la loro coabitazione non aveva senso e che le persone incontratesi per caso in una locanda erano più unite fra loro che non essi, membri della famiglia e familiari degli Oblònskije. La moglie non usciva dalle sue stanze; il marito non era in casa da tre giorni; i bimbi correvano per tutta la casa come sperduti; la signorina inglese s'era bisticciata con la dispensiera e aveva scritto un biglietto a una amica, chiedendole di cercarle un nuovo posto; il cuoco se n'era andato via già il giorno prima durante il pranzo; la cuoca della servitù e il cocchiere s'erano licenziati.
[Lev Tolstoj, Anna Karenina, trad. di Leone Ginzburg, Einaudi, 1993]

Citazioni

  • Egli si trovava ovunque potesse incontrare la Karenina e, quando le circostanze glielo permettevano, le parlava del proprio amore. Ella non l'incoraggiava; ma nel suo spirito, ogni volta che lo vedeva, divampava quello stesso senso di animazione che l'aveva invasa fin dal primo giorno in cui l'aveva incontrato in treno; ed essa stessa si rendeva conto di come, appena lo scorgeva, la gioia le si accendesse negli occhi e affiorasse nel suo sorriso, senza tuttavia essere in grado di smorzare l'espressione di quella gioia.
    Nei primi tempi dopo il ritorno, era sincera nel credere d'essere scontenta dell'insistenza di Vronski; ma una volta, non avendolo incontrato a un ricevimento dove contava vederlo, capì chiaramente, dalla tristezza che le invase l'anima, di aver ingannato se stessa; l'insistenza di quell'uomo non solo non le era fastidiosa, ma costituiva per lei tutto l'interesse della vita.
  • Tutte le famiglie felici si rassomigliano, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo.
  • Un desiderio di desideri: la malinconia.
  • Le donne sono la principale pietra d'inciampo nell'attività dell'uomo. È difficile amare una donna ed allo stesso tempo concludere qualcosa. Per questo c'è un mezzo d'amare comodamente senza ostacoli: il matrimonio. Ed io ho sentito questo dopo essermi sposato: ad un tratto mi si sono liberate le mani. Ma a trascinarsi questo fardello senza il matrimonio, le mani sono così ingombre che non si può fare nulla
  • Come a ricompensa di tutto questo, lui ora si ritrovava solo, svergognato, deriso, a nessuno necessario e disprezzato da tutti. Sentiva che non poteva allontanare da sé il disprezzo della gente perché quel disprezzo non derivava dal fatto che egli fosse cattivo, in questo caso avrebbe potuto sforzarsi di essere migliore, ma dal fatto che lui ere infelice in modo vergognoso e ripugnante. Sapeva che per questo, per il fatto stesso che il suo cuore era dilaniato, loro sarebbero stati spietati nei suoi confronti. Sentiva che la gente lo avrebbe annientato come i cani dilaniano un cane ferito che guaisce dal dolore. Sapeva che l'unica salvezza dalla gente stava nel nascondere le sue ferite
  • [...] tutt'e due gli amori servono da pietra di paragone per gli uomini. Alcuni uomini ne comprendono soltanto uno, altri l'altro. E quelli che comprendono solo l'amore non-platonico è inutile che parlino di dramma. Vi ringrazio umilmente per il piacere, i miei rispetti; ed ecco tutto il dramma. E per l'amore platonico non ci può esser dramma, perché in un tale amore tutto è chiaro e pure, perché...
  • Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.
  • Io penso, disse Anna sfilandosi un guanto, che se ci sono tanti ingegni quante teste, ci sono tanti generi d'amore quanti cuori.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Ossip Felyne, Biblioteca Moderna Mondadori, 1960.]

Guerra e pace

Incipit

- Ormai Genova e Lucca non sono più che appannaggio, che dominio della famiglia Buonaparte. Vi avverto che, se non mi dite che abbiamo la guerra, se vi permettete ancora di giustificare tutte le infamie, tutte le atrocità di questo Anticristo, (in fede mia, ci credo), non vi conosco più, non siete più il mio amico, non siete più il mio fedele schiavo, come dite! Ebbene! Buon giorno, buon giorno! Vedo che vi ho fatto paura; sedete e discorriamo.
Così diceva, nel luglio 1805, Anna Pavlona Schérer, damigella d'onore e persona molto vicina all'Imperatrice Maria Feodorovna, andando incontro a un personaggio molto grave, oppresso di titoli, il principe Vassili, giunto per primo al suo ricevimento.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, Guerra e pace, traduzione di A. Osimo Muggia, A. Barion Editore, Sesto S. Giovanni, 1930.]

Citazioni

  • Per il cameriere non esiste un grand'uomo perché il cameriere ha un'idea sua della grandezza.
  • In una battaglia vince colui che ha fermamente deciso di vincere. Non è importante il posto che occupiamo, ma la direzione in cui stiamo andando.
  • E gli storici hanno poi addotto prove astutamente combinate, adattandole ai fatti compiuti, per dimostrare la genialità e la capacità di previsione dei condottieri, che di tutti gli strumenti involontari degli eventi mondiali erano i fattori più servili ed involontari.
    Gli antichi ci hanno lasciato dei modelli di poemi eroici, nei quali gli eroi rappresentano tutto l'interesse della storia, e noi non possiamo ancora abituarci all'idea che per questa nostra epoca una storia così fatta non ha senso.
  • Io non desidero altra vita e non potrei desiderarla, poiché non conosco che la mia. (I, I, XXV)
  • [Dio] Non è con l'intelligenza che Lo si capisce, ma è la vita che Lo fa comprendere. (II, II, II)
  • Non ci sono cose futili e non ci sono cose importanti, tutto è eguale: pur di salvarsi dalla vita come meglio si sa! – Pensava Pierre – Pur di non vederla, questa terribile lei. (Einaudi)
  • Nei rapporti migliori, anche i più amichevoli, i più semplici, l'adulazione e la lode sono altrettanto necessari del grasso alle ruote perché girino. (I, I, VI; 1956)
  • Al momento della partenza o di un cambiamento di vita, gli uomini che sono capaci di riflettere sui loro atti fanno ordinariamente un serio bilancio delle loro idee. In questa circostanza, ordinariamente si riesamina il passato, si fanno piani per l'avvenire. (I, I, XXV; 1956)
  • Tuttavia, l'animazione, una volta destata, non si indebolisce, ma muta carattere. (I, II, XX; 1956)
  • [...] quell'adulazione fine e sicura, che consiste nel riconoscere tacitamente che il vostro interlocutore è, con voi, il solo uomo capace di comprendere la bestialità di tutti gli altri e la saggezza e la profondità delle vostre idee. (II, III, VI; 1956)
  • Ella nominava "i nostri tempi", come in generale piace fare alla gente ottusa, che suppone di aver trovato e di conoscere a fondo le particolarità della nostra epoca, e le qualità della gente che mutano col mutare dei tempi. (II, III, XXI; 1956)
  • La bibbia ci insegna che il non avere nulla da fare, l'ozio, era la condizione di beatitudine del primo uomo avanti la sua caduta. L'amore dell'ozio resta lo stesso nell'uomo caduto, ma la maledizione pesa sempre sull'uomo, non in quanto dobbiamo guadagnare la vita col sudore della fronte, ma in quanto, per le nostre qualità morali, non possiamo essere felici oziando. Una voce misteriosa dice che siamo colpevoli perché siamo oziosi. Se l'uomo potesse trovare il modo, restando ozioso, di sentirsi utile e fare il suo dovere, ritroverebbe una parte della sua beatitudine. Una classe intera, la classe militare, gode di questo stato di oziosità obbligatoria e incensurabile, e in questo risiede l'attrattiva speciale del servizio militare. (II, IV, I; 1956)
  • Il fatalismo è indispensabile nella scienza storica per spiegare gli avvenimenti privi di senso (vale a dire dei quali non comprendiamo il perché). (III, I, I; 1956)
  • Quando la mela è matura cade; perché? Perché è attirata dalla terra, o perché il picciolo è disseccato, perché è disseccata dal sole, perché il vento la scuote, perché si è appesantita, o perché il monello che è in basso vuol mangiarla? Niente è causa, tutto non è che la concordanza di quelle condizioni nelle quali si produce ogni avvenimento vitale, organico, elementare; e il botanico che trova che la mela cade perché il tessuto si è decomposto, ecc., avrà altrettanta ragione del bambino che sarà in basso e si dirà che la mela è caduta perché voleva mangiarla e aveva pregato per questo. (III, I, I; 1956)
  • Pfull era uno di quei teorici che amano tanto le loro teorie da dimenticarne lo scopo, l'applicazione pratica. Per amore della teoria, essi odiano tutte le cose pratiche e non vogliono abbassarsi ad esse. Egli si rallegrava anche dell'insuccesso, perché l'insuccesso, dovuto a deviazioni, in pratica, dalla sua teoria, non faceva che fortificarla. (III, I, X; 1956)
  • Un buon giocatore che abbia perduto agli scacchi, è francamente convinto che la sua perdita sia causata dal proprio errore, e lo cerca nel principio del gioco, ma dimentica che in ogni mossa, durante tutto il gioco, vi sono stati simili errori, che non una sola mossa era perfetta. L'errore sul quale concentra l'attenzione, lo nota solamente perché l'avversario ne ha approfittato. Quanto è più complicato il gioco della guerra, che avviene in certe condizioni di tempo, in cui non è una sola volontà che guida macchine inanimate, e ove tutto deriva dagli innumerevoli cozzi di cause diverse! (III, II, VII; 1956)
  • All'avvicinarsi del pericolo, due voci parlano sempre ugualmente alto nell'anima dell'uomo; l'una dice molto ragionevolmente di riflettere alla qualità stessa del pericolo e al mezzo di evitarlo. L'altra dice, ancora più ragionevolmente, che è troppo penoso, troppo tormentoso pensare ai pericoli, quando prevederli tutti e scansarli non è in potere dell'uomo, di modo che val meglio, distogliersi dalle cose penose sino a che non giungano, e pensare alle cose piacevoli. (III, II, XVII; 1956)
  • Le disposizioni e gli ordini più forti, più sagaci, sembrano molto cattivi e ogni sapiente militare li critica con importanza, quand'essi non guadagnano la battaglia; mentre le disposizioni e gli ordini più mediocri sembrano molto buoni, e gli uomini seri consacrano volumi e volumi per trovare l'eccellenza di ordini cattivi, quando, grazie ad essi, la battaglia è stata vinta. (III, II, XXVIII; 1956)
  • L'intelligenza umana non può comprendere la continuità assoluta del movimento. Le leggi di qualunque movimento non diventano comprensibili per l'uomo che al patto di esaminarne separatamente le unità di cui è composto. Ma al tempo stesso, dal fatto che si isolano arbitrariamente e si esaminano a parte le unità inseparabili del movimento continuo, derivano la maggior parte degli errori umani. Una branca moderna della matematica, avendo raggiunto l'arte di trattare con l'infinitamente piccolo, può ora fornire soluzioni in altri problemi di moto più complessi, che sembravano essere insolubili. Questa branca moderna della matematica, ignota agli antichi, trattando i problemi di moto ammette il concetto dell'infinitamente piccolo, e si conforma così alla condizione principale del moto (continuità assoluta) e in questo modo corregge l'inevitabile errore che la mente umana non può evitare quando tratta con elementi separati del moto invece che esaminare il moto continuo. Nell'esame delle leggi del movimento storico avviene assolutamente la stessa cosa. Il movimento dell'umanità, prodotto da una quantità innumerevole di volontà umane, si compie senza interruzione. La comprensione di queste leggi è lo scopo della storia. Ma per capire le leggi del movimento continuo, la ragione umana ammette unità arbitrarie separate. Il primo procedimento storico consiste nel prendere arbitrariamente una serie degli avvenimento ininterrotti ed esaminarla separatamente dagli altri, quando non c'è e non può esserci inizio di alcun avvenimento. Il secondo procedimento consiste nell'esaminare gli atti di un uomo, imperatore o condottiero, come la risultante delle volizioni degli uomini, mentre questa risultante non si esprime mai nell'attività di un personaggio storico preso isolatamente. La scienza storica, evolvendosi, accetta sempre unità via via più piccole per le sue ricerche e, con questo, cerca di avvicinarsi alla verità. Ma per quanto piccole siano le unità di cui la storia si serve, il fatto di separare l'unità, di ammettere il cominciamento di un fenomeno qualunque, di vedere espresse dell'attività di un solo personaggio le volizioni di tutti gli uomini, questo fatto stesso, dico, lo contamina d'errore. Sotto il minimo sforzo della critica, ogni conclusione della storia cade in polvere e non lascia niente dietro di Sé, e ciò per il solo fatto che la critica sceglie per misura di osservazione un'unità più grande o più piccola – ciò che è suo diritto, poiché l'unità storica è sempre arbitraria. Soltanto prendendo per nostra osservazione l'unità infinitamente piccola – le differenziali della storia, vale a dire le aspirazioni uniformi degli uomini – e acquistando l'arte di integrare (unire le somme di questi infinitamente piccoli) possiamo sperare di comprendere le leggi della storia. (III, III, I; 1956)
  • Difatti ogni volta che vi furono conquistatori vi furono guerre, risponde la ragione umana, ma questo non prova che i conquistatori siano la causa delle guerre, e che si possano trovare le leggi della guerra nell'attività speciale di un individuo. Ogni volta che guardo il mio orologio, quando la lancetta si approssima alla cifra X, odo dalla chiesa vicina cominciare a suonare le campane, ma dal fatto che lo scampanio comincia ogni volta che la lancetta segna X non ho il diritto di concludere che la posizione della lancetta è causa del movimento delle campane. (III, III, I; 1956)
  • [...] aveva improvvisamente sentito che ricchezze, potere, vita, tutto ciò che la gente dispone e custodisce con tanta cura, non vale che per il piacere col quale si può abbandonarlo. (III, III, XXVII; 1956)
  • Negli avvenimenti storici si disegna con la più grande chiarezza la proibizione di gustare i frutti del buon albero. Solo l'attività incosciente è fruttuosa, e l'uomo che sostiene una parte negli avvenimenti storici non ne capisce mai l'importanza. (IV, I, IV; 1956)
  • [...] lo stesso imbarazzo che segue, ordinariamente, una conversazione seria e intima; è impossibile riprendere la conversazione di prima, è vergognoso dire futilità ed è noioso tacere, perché si vuole parlare e perché sembra di fingere. (IV, IV, XXVIII; 1956)
  • I domestici sono i migliori giudici dei padroni, perché non giudicano dalle conversazioni dall'espressione dei sentimenti, ma dagli atti e dal tenore di vita. (Epilogo, I, XII; 1956)

Che fare?

  • Trent'anni fa ho visto a Parigi decapitare un uomo con la ghigliottina, in presenza di migliaia di spettatori. Sapevo che si trattava di un pericoloso malfattore; conoscevo tutti i ragionamenti che gli uomini hanno messo per iscritto nel corso di tanti secoli per giustificare azioni di questo genere; sapevo che tutto veniva compiuto consapevolmente, razionalmente; ma nel momento in cui la testa e il corpo si separarono e caddero diedi un grido e compresi, non con la mente, non con il cuore, ma con tutto il mio essere, che quelle razionalizzazioni che avevo sentito a proposito della pena di morte erano solo funesti spropositi e che, per quanto grande possa essere il numero delle persone riunite per commettere un assassinio e qualsiasi nome esse si diano, l'assassinio è il peccato più grave del mondo, e che davanti ai miei occhi veniva compiuto proprio questo peccato. (pp. 18-19)
  • Compresi, in realtà, solo ciò che sapevo da moltissimo tempo, quella verità che è stata trasmessa agli uomini sin dai tempi più antichi, da Buddha, da Isaia, da Lao-Tse, da Socrate. e, in modo particolarmente chiaro e inequivocabile, da Gesù Cristo e dal suo predecessore Giovanni Battista. Giovanni Battista, alla domanda degli uomini: «Che dobbiamo fare?», ha risposto in modo semplice, breve e chiaro: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto.» [...] Capii che un uomo, oltre a vivere per il proprio bene personale, deve inevitabilmente contribuire al bene degli altri: se dobbiamo prendere un paragone dal mondo degli animali [...] allora occorre prenderlo dal mondo degli animali sociali, come le api; ed è per questo che l'uomo, senza parlare dell'amore per il prossimo che è innato in lui, è chiamato sia dalla ragione sia dalla sua stessa natura a servire gli altri uomini e l'umanità in generale. Capii che questa legge naturale dell'uomo è la sola che gli permette di compiere quanto gli è stato assegnato e di essere quindi felice. (pp. 155-156)

[Lev Tolstoj, Che fare?, traduzione di Luisa Capo, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1979]

Della vita

  • La vita è l'anelito al bene. L'anelito al bene è la vita. (cap. XV, p. 115)
  • I secoli passano: gli uomini riusciranno a sapere la distanza che li separa dalle stelle, calcoleranno il peso delle stelle, scopriranno la composizione chimica del sole e delle stelle, ma il problema di come conciliare l'esigenza del bene personale con la vita d'un mondo che esclude la possibilità di tale bene, rimarrà per la maggioranza degli uomini altrettanto irrisolto quanto lo era 5000 anni fa. [...]
    Eppure questo enigma è già stato risolto molto tempo fa. E tutti coloro che vengono a sapere la soluzione, si meravigliano di non essere riusciti a risolverlo essi stessi – e sembra loro di averla saputa già da molto tempo, questa soluzione, ma di essersela poi dimenticata chissà quando: tanta è la semplicità e la spontaneità con la quale essa s'impone alle loro menti, dopo essere sembrata loro tanto ardua [...]
    Ma è sufficiente ammettere nel proprio pensiero che l'uomo possa sostituire l'anelito al bene della propria persona con l'anelito al bene degli altri esseri, e subito si elimina l'impossibilità del bene [...] è sufficiente che l'uomo intenda la propria vita come un anelito al bene degli altri, ed egli vedrà […] accanto ad occasionali fenomeni di lotta fra gli esseri, il costante adoperarsi di questi stessi esseri al bene gli uni degli altri [...]
    È sufficiente che l'uomo intenda la propria vita come un anelito al bene degli altri, e viene subito eliminata l'ingannevole sete di piaceri […] e la tormentosità della sofferenza personale, che distrugge ogni attività della vita, viene sostituita da un sentimento di compassione verso gli altri, che è invece indubbiamente d'impulso ad una attività feconda, la più gioiosa che possa esservi.
    È sufficiente che l'uomo riconosca la propria vita non già nel bene della sua persona animale ma nel bene degli altri esseri, e lo spauracchio della morte scompare per sempre ai suoi occhi.
    Giacché il terrore della morte deriva soltanto dal terrore di perdere, morendo nel corpo, il bene della vita. Se invece l'uomo potesse scorgere il proprio bene nel bene degli altri esseri, se cioè egli amasse loro più di sé stesso, allora la morte non gli apparirebbe come una cessazione del bene e della vita, così come essa appare bensì all'uomo che vive solamente per sé stesso. (cap. XVIII, pp. 126-129)
  • Amare, in generale, significa voler fare del bene. Così noi intendiamo l'amore, e non possiamo intenderlo altrimenti. (cap. XXIII, p. 153)
  • La morte e la sofferenza sono soltanto le deviazioni dell'uomo dalla propria legge di vita. Per un uomo che viva secondo la propria legge non c'è morte e non ci sono sofferenze.
    «Venite a Me, tutti voi che siete affaticati e oppressi, e Io vi darò pace.»
    «Prendete su di voi il Mio giogo, e imparate da Me: perché Io sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le anime vostre.»
    «Perché il Mio giogo è piacevole e il Mio carico è leggero.» (Da Mt.: cap. 11.)
    La vita dell'uomo è l'anelito al bene; ciò a cui egli anela, gli viene dato: una vita che non può essere morte, e un bene che non può essere un male. (Conclusione, p. 233)

[Lev Tolstoj, Della vita, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori 1991]

La morte di Ivan Il'ic

  • Non è come dovrebbe essere. Tutto quello di cui hai vissuto e vivi è menzogna, inganno, che ti nasconde la vita e la morte. (cap. XI, pp. 71)
  • «Sì, tutto è stato come non avrebbe dovuto essere», si disse, «ma non importa. Si può, si può fare come dovrebbe essere. Ma come dovrebbe essere?» sì domandò, e improvvisamente tacque. (cap. XII, pp. 73)

Explicit

E il dolore? – si domandò. – Dov'è andato? dove sei dunque, dolore?-. Prestò ascolto. Sì, eccolo. Venga pure il dolore!-. –Ma la morte dov'è essa?-. Egli cercava il suo vecchio abituale terrore della morte, e non lo trovava. Dov'è? Quale morte? non aveva più alcuna paura, perché nemmeno la morte c'era più. Invece della morte c'era la luce. [...] – È finita! –disse qualcuno su lui. Egli sentì queste parole e le ripeté nella sua anima: – Finita la morte! – si disse – Non c'è più –. Aspirò l'aria, si fermò a metà del respiro, si stese e morì.

[La morte di Ivan Il'ic e altri racconti, traduzione di Serena Prina - Oscar Mondadori, 1999]

Il Diavolo

  • Si pensa comunemente che di solito i conservatori siano i vecchi, e che gli innovatori siano i giovani. Ciò non è del tutto vero. Il più delle volte, conservatori sono i giovani. I giovani, che han voglia di vivere ma che non pensano e non hanno il tempo di pensare a come si debba vivere, e che perciò si scelgono come modello quel genere di vita che v'era prima di loro. (cap. I, pp. 175)

[La morte di Ivan Il'ic e altri racconti, traduzione di Serena Prina - Oscar Mondadori, 1999]

Il regno di Dio è in voi

  • La storia dell'umanità è piena di prove che la violenza fisica non contribuisce al rialzamento morale e che le cattive inclinazioni dell'uomo non possono essere corrette che dall'amore; che il male non può sparire che per mezzo del bene; che non si deve fare assegnamento sulla forza del proprio braccio per difendersi dal male; che la vera forza dell'uomo è nella bontà, la pazienza e la carità; che solo i pacifici erediteranno la terra e che coloro i quali di spada avran ferito di spada periranno.
    Perciò, tanto per garantire più sicuramente la vita, la proprietà, la libertà e la felicità degli uomini, quanto per eseguire la volontà di Colui che è il Re dei re ed il Signore dei signori, noi accettiamo di tutto cuore il principio fondamentale della non-resistenza al male per mezzo del male, perché crediamo fermamente che questo principio, il quale risponde a tutte le circostanze possibili della nostra esistenza e nello stesso tempo esprime la volontà di Dio, deve finalmente trionfare. (cap. I, pp. 7-8)
  • Il fiume più copioso non può aggiungere una goccia di acqua ad un vaso già pieno.
    Si possono spiegare all'uomo meno intelligente le cose più astratte, s'egli non ne ha ancora alcuna nozione; ma non si può spiegare la cosa più semplice all'uomo più intelligente, s'egli è fermamente convinto di sapere benissimo ciò che si vuole insegnargli. (cap. III, p. 56)
  • La dottrina cristiana insegna all'uomo che l'essenza dell'anima sua è l'amore, che la sua felicità non è di amare la tale o la tal altra entità, bensì il principio di tutto, Dio, ch'egli ha coscienza di contenere in sé. Ecco perché egli amerà tutti e tutto. (cap. IV, p. 118)
  • I vantaggi del potere e di tutto ciò ch'esso procura, i vantaggi della ricchezza, degli onori, del lusso, sono il fine dell'attività umana finché non si raggiungono; ma, appena vi è pervenuto, l'uomo si accorge della loro vanità. Questi vantaggi perdono a poco a poco la loro seduzione, come le nuvole che non hanno forma e splendore se non viste da lontano. (cap. X, p. 265)
  • Un medico alienista raccontava che un giorno, d'estate, uscendo dall'ospizio, i pazzi l'accompagnarono fino alla porta di strada.
    ― Venite in città con me! egli disse loro.
    I malati acconsentirono, ed una piccola brigata lo seguì. Ma più essi andavano innanzi nella strada in mezzo al libero movimento degli uomini sani, maggiormente s'intimidivano e si stringevano intorno al medico. Finalmente, essi domandarono tutti di tornare all'ospizio, al loro modo di vivere insensato, ma abituale, al loro custode, alle battiture, alla camicia di forza, alle celle.
    Allo stesso modo si stringono e vogliono tornare al loro antico modo di vivere [...] gli uomini che il cristianesimo chiama alla libertà, alla vita dell'avvenire, libera e razionale. (cap. X, p. 279)
  • Ciò che solo è ragionevole, certo e possibile: servire il regno di Dio, cioè concorrere allo stabilimento della più grande unione fra tutti gli esseri viventi [...] L'unico senso della vita è di servire l'umanità, concorrendo allo stabilimento del regno di Dio, cosa che non può farsi se ciascuno degli uomini non riconosce e non professa la verità. «Il regno di Dio non verrà in maniera che si possa osservare. E non si dirà: "eccolo qui" o "eccolo là"; perché ecco, il regno di Dio è in voi. [Lc 17,21]» (cap XII, p. 386)

[Il regno di Dio è in voi – ovvero il cristianesimo dato non come una dottrina mistica, ma come una morale nuova, traduzione di Sofia Behr, Publiprint - Manca Editrice, 1988]

Che cosa è l'arte?

  • Per il mio lavoro sull'arte ho letto questo inverno assiduamente e con grande fatica romanzi e racconti, celebri in tutta l'Europa, di Zola, di Bourget, di Huysman, di Kipling. Durante lo stesso periodo mi è capitato di leggere in una rivista infantile il racconto di uno scrittore assolutamente sconosciuto, che parla dei preparativi per la Pasqua nella famiglia di una povera vedova. [...] Ebbene, la lettura dei romanzi e dei racconti di Zola, di Bourget, di Huysman, di Kipling e di altri, nonostante i soggetti più eccitanti, non mi hanno commosso per un attimo, al contrario, quegli autori mi hanno infastidito tutto il tempo, come ci infastidisce un uomo che ci prende per gente così ingenua da non darsi nemmeno la pena di nascondere il piano dell'inganno con il quale vuole conquistarci. Già dalle prime pagine si vede l'intenzione con la quale egli scrive, tutti i particolari diventano inutili, e ci annoia. Soprattutto il lettore sa che l'autore non ha altro sentimento oltre quello di scrivere un racconto o un romanzo. E per questo non ricava alcuna impressione artistica. D'altra parte invece non posso liberarmi dal racconto dello scrittore sconosciuto sui bambini e sui pulcini, perché sono stato immediatamente contagiato dal sentimento che evidentemente l'autore aveva vissuto e trasmesso. (pp. 113-114)
  • La caratteristica che distingue la vera arte da quella contraffatta è una sola e indubitabile: il contagio dell'arte. [...] non sarà un'opera d'arte se non suscita nell'uomo quel sentimento, completamente differente dagli altri, di gioia nell'unione spirituale con un altro (l'autore) e con altri ancora (gli ascoltatori o spettatori) che contemplano la stessa opera d'arte. (p. 117)
  • Se mi venisse chiesto di indicare nell'arte moderna dei [...] modelli dell'arte superiore, religiosa, proveniente dall'amore di Dio e del prossimo, indicherei nella sfera della letteratura I masnadieri di Schiller, fra i più recenti Les pauvres gens di V.Hugo e i suoi Misérables, le novelle, i racconti, i romanzi di Dickens: Tale of two cities, Chimes e altri, La capanna dello zio Tom. Dostoevskij, soprattutto la sua Casa dei morti, e Adam Bede di Eliot. (p. 132)
  • Il compito dell'arte è immenso: l'arte, la vera arte, con l'aiuto della scienza e sotto la guida della religione, deve fare in modo che quella convivenza pacifica degli uomini che ora viene mantenuta con mezzi esterni – tribunali, polizia, istituzioni benefiche, ispezioni del lavoro, eccetera – sia ottenuta mediante la libera e gioiosa attività della gente. L'arte deve sopprimere la violenza. (pp. 173-174)
  • L'arte deve fare in modo che i sentimenti di fraternità e amore per il prossimo, oggi accessibili solamente agli uomini migliori della società, diventino sentimenti abituali, istintivi in tutti. (pp. 175-176)
  • La destinazione dell'arte del nostro tempo è di tradurre dalla sfera della ragione alla sfera del sentimento la verità che il bene della gente è nell'unione e di instaurare in luogo della violenza attuale quel regno di Dio, cioè quell'amore che si presenta a noi tutti come fine supremo della vita dell'umanità. (p. 176)

[Lev N. Tolstoj, Che cosa è l'arte? (1897), a cura di Tito Perlini, Claudio Gallone Editore, Milano 1997.]

Il bastoncino verde: scritti sul cristianesimo

Sul suicidio (1890)

  • Ci si può domandare se è ragionevole e morale – questi due termini sono inseparabili – uccidersi.
    No! Uccidersi è irragionevole, così come tagliare i polloni di una pianta che si vorrebbe estirpare. Essa non morrà, crescerà irregolarmente, ecco tutto. La vita è indistruttibile, al di là del tempo e dello spazio. La morte non può che cambiarne la forma, mettendo fine alla sua manifestazione in questo mondo. Ma rinunciando alla vita in questo mondo, io non so se la forma che essa prenderà altrove, mi sarà più gradita e in secondo luogo io mi privo della possibilità di imparare e di acquisire a profitto del mio io, tutto ciò che avrei potuto apprendere in questo mondo. D'altra parte e soprattutto, il suicidio è irrazionale perché, rinunciando alla vita a causa del disgusto che essa mi provoca, io mostro di avere un concetto errato dello scopo della mia vita, supponendo che serva al mio piacere, mentre essa ha per scopo, da un lato, il mio perfezionamento personale e dall'altro la cooperazione all'opera generale che si compie nel mondo.
    Ed è per questo che il suicidio è immorale. All'uomo che si uccide, la vita era stata data con la possibilità di vivere fino alla sua morte naturale, a condizione di essere utile all'opera generale della vita e lui, dopo aver goduto della vita, finché gli è parsa gradevole, ha rinunciato a metterla al servizio dell'utilità generale, appena gli è divenuta spiacevole; mentre verosimilmente egli cominciava a divenire utile nel preciso istante in cui la sua vita si incupiva, perché ogni lavoro comincia con travaglio.
    Nella solitudine di Optynia [famoso monastero russo, visitato da Tolstoj] durante più di trent'anni, giacque un monaco paralitico, che aveva conservato solo l'uso della mano sinistra. I medici dicevano che doveva soffrire terribilmente. Lui non solo non si lamentava mai del suo stato, ma gli occhi fissi sulle icone, con segni di croce ed un perpetuo sorriso non cessava di esprimere a Dio la sua riconoscenza e la sua gioia per quel barlume di vita che conservava in sé. Migliaia di pellegrini venivano a visitarlo ed è incredibile quale benefico irraggiamento proiettava sul mondo quest'uomo incapace di ogni attività fisica. Quel paralitico faceva sicuramente più del bene che migliaia e migliaia di persone in perfetta salute che credono di compiere in diversi campi un lavoro impegnativo ed utile all'umanità.
    Finché l'essere umano conserva un soffio di vita, può perfezionarsi ed essere utile agli altri uomini. Ma egli può esser utile agli altri uomini, solo perfezionandosi e può perfezionarsi, solo rendendosi loro utile. (pp. 31-32)

Lettera a M.A.Enghelgardt (1882-1883)

  • Per me amare Dio vuol dire amare la verità; amare il prossimo come se stessi è riconoscere l'unità della propria anima e della propria vita con ogni altra vita umana e con la Verità eterna – Dio. (p. 17)
  • Come comportarsi davanti a una madre che batte a morte il suo bambino? [...] Che cosa mi ripugna, nel fatto che la madre batte il bambino? Che cosa vi trovo di iniquo? Forse che il bambino soffre o piuttosto il fatto che la madre prova le torture della malvagità, invece delle gioie dell'amore? Io penso entrambe le cose. Una persona da sola, non può far niente di male. Il male nasce dalla disunione fra le persone. Se voglio agire, devo cercare di eliminare la disunione e ristabilire la comunicazione fra madre e figlio. Usare la forza contro la madre non servirebbe a questo scopo. Che fare allora? [...] Prendere il posto del fanciullo non sarebbe irragionevole! Quello che scrive Dostoevskij e che ripetono i monaci metropoliti mi ripugna. Essi pretendono che fare la guerra [...] sia un dovere di legittima difesa. Ho sempre risposto: difendere gli altri con il proprio petto, sì; ma sparare col fucile sui nostri simili, non è difesa, ma assassinio. (pp. 12-13)

Il bastoncino verde (1905)

  • Ogni uomo viene al mondo con la consapevolezza di dipendere da un Principio misterioso, onnipotente, che gli ha dato la vita, e con anche la consapevolezza d'essere uguale a tutti gli uomini e del fatto che tutti gli uomini sono eguali tra loro, e con un desiderio di ricevere amore e di dare amore agli altri, e con l'esigenza di perfezionare se stesso.
  • Dio si rivela sempre a tutti, a tutti coloro che lo cercano. Egli si rivela ad ogni uomo, nel suo proprio cuore. Ogni uomo sente in sé Dio, quel principio di vita che non è corpo, ma che vive nel corpo umano, che non ha né peso, né misura, né colore, né gusto, né odore, che mai ebbe inizio e mai avrà fine. (p. 41)
  • In che consiste la vera condizione dell'uomo sulla terra e in che consiste quell'inganno che rende l'uomo infelice?
    L'inganno consiste nel fatto che gli uomini si dimenticano della morte, dimenticano che essi in questo mondo non vivono, ma passano. [...]
    L'uomo che si ricorda della morte, non può più vivere per il bene del suo io separato.
    L'unico senso che può attribuire alla sua vita, chi non dimentica la sua caducità, è quello che egli non è un essere a sé stante, ma solo uno strumento della volontà di Dio. [...]
    Tutta la legge di Dio che scaturisce dalla coscienza della propria condizione, consiste nella sottomissione alla volontà di Dio, nell'amore verso il prossimo e nel servizio del prossimo. In questo consiste il fondamento di ogni fede.
    Ciò non significa che non ci possano essere molte altre utili regole religiose, le quali definiscono l'applicazione di questa legge nelle diverse circostanze della vita [...] tali sono i comandamenti del Buddismo sulla compassione verso gli animali; tali sono i cinque grandi comandamenti di Cristo, che abbracciano tutta la vita delle persone: 1) non adirarti; 2) non farti trascinare dalla lascivia; 3) non giurare; 4) non commettere violenza; 5) ama i nemici. (pp. 45-48)
  • La morte è orribile solo per colui che non crede in Dio, oppure crede in un Dio malvagio, il che è la stessa cosa. Per colui che crede in Dio, nella sua bontà e vive in questa vita secondo la sua legge ed ha sperimentato questa sua bontà, per costui la morte è solo un passaggio. (p. 50)

Amatevi gli uni gli altri (1907-1909)

  • La vita è stata data agli uomini per la loro felicità, loro devono solo viverla al modo giusto.
    Se la gente si amasse, invece di odiarsi a vicenda, la vita sarebbe una continua felicità per tutti. [...]
    C'è un solo modo per far sì che la vita divenga più felice ed è che le singole persone divengano più buone. [...]
    La vostra salvezza [si rivolge ai giovani], la salvezza di tutti non risiede in una qualsiasi organizzazione malvagia e violenta della società, ma nel perfezionamento della propria anima. Solo attraverso questo perfezionamento ciascun uomo otterrà la massima felicità per sé e per chi lo circonda e il miglior regime sociale possibile. (pp. 53-55)
  • L'amore produce il bene, perché l'uomo, amando, si unisce a Dio e quindi non desidera più nulla per sé, ma desidera dare agli altri ciò che ha, persino la sua vita e in questo dono di se stesso trova la felicità. [...] Amare vuol dire offrire se stessi a Dio, fare la Sua volontà; ma Dio è amore, Egli vuole il bene di tutti [...] (pp. 59-60)

[Lev Nikolaevič Tolstoj, Il bastoncino verde: scritti sul Cristianesimo, traduzione di V. Lebedev e G. Gazzeri, Sotto il Monte Servitium, 1998]

"Perché la gente si droga?" e altri saggi su società, politica e religione

Non uccidere (1900)

  • [...] come è possibile che quell'organizzazione di persone – di anarchici, come si dice oggi – che ha mandato Bresci, e che continua a minacciare altri imperatori, non sappia escogitare nulla di meglio, per migliorare la condizione della gente, se non l'assassinio di coloro, la cui eliminazione può risultare altrettanto utile, quanto il tagliar la testa a quel mostro delle fiabe, a cui al posto della testa tagliata ne ricresce subito un'altra?
  • Perché non vi siano né l'oppressione del popolo né le inutili guerre, e perché nessuno s'indigni più contro coloro che sembrano essere i colpevoli di tutto ciò, occorrerebbe in realtà ben poco, e precisamente e unicamente che gli uomini capiscano come stanno veramente le cose, e le chiamino con il loro nome; e sappiano che un esercito è uno strumento d'omicidio e che il costruire e comandare un esercito – ovverosia ciò di cui si occupano con tanta disinvoltura i re, gli imperatori, i presidenti – è soltanto una preparazione all'omicidio.
    Basterebbe che ogni re, imperatore, o presidente comprendesse che i suoi doveri di comandante in capo delle forze armate non sono affatto un incarico onorevole e importante, come gli fan credere i suoi adulatori, bensì un malvagio e vergognoso prepararsi all'omicidio; e che ogni privato cittadino comprendesse che il pagamento delle tasse, con le quali si arruolano e si armano i soldati, e a maggior ragione il prestar servizio militare, non sono affatto azioni senza importanza, bensì azioni malvagie e vergognose, e costituiscono non soltanto una connivenza ma una vera e propria complicità ad un omicidio – e subito si vanificherebbe da sé tutto quel potere degli imperatori, dei presidenti e dei re che tanto ci indigna, e per il quale adesso si continua ad assassinarli.
    Per cui non occorre assassinare gli Alessandri, i Carnot, gli Umberti e gli altri, ma occorre spiegar loro che sono essi stessi degli assassini, e occorre soprattutto non permettere loro di assassinare altra gente, rifiutare di assassinare su loro comando.

Risposta alla deliberazione del sinodo (1901)

  • Nella deliberazione viene detto: «Scrittore di fama mondiale, russo di nascita, ortodosso per battesimo ed educazione, il conte Tolstoj, irretito dalla sua mente orgogliosa, è insorto con insolenza contro il Signore e contro il Cristo Suo e contro il Suo santo retaggio, apertamente ed innanzi a tutti egli ha rinnegato quella madre che l'aveva allevato ed educato, la Chiesa Ortodossa».
    Che io abbia rinnegato quella chiesa che si dà il nome di ortodossa è assolutamente giusto. Ma se l'ho rinnegata, non è perché io sia insorto contro il Signore; al contrario, è stato unicamente perché desideravo servirLo con tutte le forze della mia anima. Prima di ripudiare la chiesa e quella comunione con il mio popolo che mi era indicibilmente cara, io ho dedicato parecchi anni ad una analisi teorica e pratica della dottrina della chiesa [...]
  • Io non mi sono mai dato pensiero della diffusione della mia dottrina. Certo, per me medesimo ho espresso in alcune mie opere il modo di intendere la dottrina di Cristo, e non ho tenuto nascoste tali opere a coloro che avevan desiderio di venirne a conoscenza, ma dal canto mio non mi son mai dato cura di stamparle; e ho parlato alla gente del mio modo di intendere la dottrina di Cristo solamente quando qualcuno m'ha fatto domande in proposito. A costoro ho detto ciò che penso, e ho dato i miei libri, quando ne avevo.
  • [...] Ma il Dio Spirito, il Dio amore, l'unico Dio principio di tutto, non soltanto non lo rinnego, ma non ritengo che esista realmente nulla all'infuori di Dio, e tutto il senso della vita lo vedo unicamente nell'adempimento della volontà di Dio così come essa è espressa nella dottrina cristiana.
  • Io non dico che la mia fede sia l'unica indubbia e autentica in ogni tempo, ma non ne vedo un'altra che sia più semplice, più chiara e che più di questa risponda alle esigenze della mia mente e del mio cuore; se la dovessi scoprire, la accoglierei immediatamente, poiché a Dio non occorre null'altro che la verità. Ma tornare a ciò da cui con tante sofferenze sono appena riuscito ad uscire, questo io non posso farlo in nessun modo, così come un uccello che già vola non può entrare nel guscio di quell'uovo da cui è uscito.

Il primo gradino (1902)

  • Essere buono e vivere una vita buona significa dare agli altri più di ciò che prendiamo loro. Invece un uomo molle, e abituato a una vita lussuosa, non può far questo, in primo luogo perché avrà bisogno di molte cose (e ne avrà bisogno non per il suo egoismo, ma perché c'è abituato, ed è per lui una sofferenza privarsi d'una cosa alla quale è abituato), e in secondo luogo perché, adoperando e consumando tutto ciò che prende agli altri, con questo suo consumare troppe cose si indebolisce, si priva della possibilità di lavorare e perciò anche di servire gli altri.
  • Già diverso tempo addietro, leggendo il bellissimo libro Ethics of Diet, m'era venuta voglia di visitare un macello, per vedere con i miei occhi la sostanza della questione di cui si tratta appunto quando si parla di vegetarianesimo. Ma continuavo ad aver degli scrupoli, così come sempre se ne hanno ad andare a vedere delle sofferenze che si è ben certi di trovare, e che non potrai far nulla per scongiurare, e così rimandavo sempre il giorno.
    Ma poco tempo fa mi imbattei, per strada, in un macellaio, che era venuto a casa dei suoi e che stava tornando a Tula. È un macellaio ancora inesperto, e il suo compito è perciò quello di dare il colpo di pugnale. Gli domandai se non provava compassione, a uccidere quelle bestie. E mi rispose così come rispondono sempre: «C'è poco da aver compassione. Quel lavoro lì bisogna farlo». Ma quando gli dissi che non era indispensabile mangiar carne, ne convenne e allora convenne pure del fatto che sì, le bestie facevano compassione.
  • Una volta stavamo tornando da Mosca, e lungo la via ci dettero un passaggio dei carrettieri, che venivano da Serpuchòv ed erano diretti a un bosco, da un mercante, per caricare del legname. Era il giovedì santo. Io m'ero seduto sulla telega davanti, accanto al carrettiere, un mužìk forte, rosso, grossolano, che ad ogni evidenza era anche un gran bevitore. Passando per un villaggio, vedemmo che dall'ultima casa stavano trascinando fuori un maiale, ben ingrassato, nudo, roseo, per ucciderlo. Urlava con una voce disperata, simile a un grido umano. E proprio mentre stavamo passando noi, si misero a sgozzarlo. Uno degli uomini gli fece un lungo taglio sulla gola, con un coltello. Il maiale mandò un urlo ancora più forte e penetrante, si divincolò e corse via, inondandosi di sangue. Io sono miope e non vidi tutto nei dettagli, vidi soltanto il corpo del maiale, un corpo roseo come un corpo umano, e udii quello strillo disperato; ma il carrettiere vide tutti i dettagli, e continuava a guardare senza mai distogliere gli occhi. Acchiapparono il maiale, lo rovesciarono a terra e si misero a finirlo. Quando il suo strillo tacque, il carrettiere fece un sospiro profondo: «Possibile che un giorno non dovranno rispondere di questo?» borbottò.
    A tal punto è forte negli uomini la ripugnanza per ogni uccisione, ma con l'esempio, con lo stimolo dell'umana avidità, con il ripetere che Dio ha permesso queste cose, e soprattutto con l'abitudine, si spinge la gente fino al punto di perdere del tutto questo loro naturale sentimento.
  • E guardi, ed ecco che una qualche gentile, raffinata bàryšnja [signorina ricca, in russo] divorerà i cadaveri di questi animali, con la piena certezza d'esser nel suo diritto, ribadendo due tesi che si escludono in realtà a vicenda: la prima è che costei, come le ha assicurato il suo medico, è talmente delicata da non poter tollerare il cibo unicamente vegetale, e che il suo debole organismo ha assoluto bisogno di nutrirsi di carne; e la seconda è che costei è talmente sensibile, da non poter non soltanto cagionare sofferenze agli animali, ma neppure tollerare la vista di tali sofferenze.
    Ma in realtà se vi è qualcosa di debole in lei, in questa povera bàryšnja, lo si deve proprio e unicamente al fatto che l'abbiano avvezzata a un cibo che non si conviene all'uomo: e dunque se può cagionare sofferenze agli animali, è appunto perché divora le loro carni.
  • Non siamo struzzi, e non possiamo credere che se non guarderemo, ciò che non vogliamo vedere non esisterà più. E tanto meno lo possiamo, quando ciò che non vogliamo vedere è quel che vogliamo mangiare. E soprattutto, se almeno fosse necessario tutto ciò! O magari non necessario, ma se non altro almeno utile a qualcosa. E invece? Niente, non è di nessuna utilità. [Coloro che ne dubitano leggano quei numerosi libri che sono stati scritti a questo proposito da scienziati e da medici, e nei quali viene appunto dimostrato che la carne non è affatto necessaria all'alimentazione umana. E non ascoltino invece quei medici veterotestamentari che difendono a spada tratta la necessità di far uso di carne solamente perché la carne è stata ritenuta necessaria per lungo tempo dai loro predecessori e poi anche da loro stessi; costoro la difendono caparbiamente, con malevolenza, così come si difende sempre quel che è vecchio e va ormai cadendo in disuso.] Serve soltanto a educare la gente ai sentimenti bestiali, a sviluppare la bramosia, la lussuria, l'ubriachezza. Il che trova perennemente conferma nel fatto che uomini giovani, buoni, non guastati ancora, e in particolar modo le donne e le fanciulle, sentono, pur senza saperlo, che così come da una cosa ne deriva un'altra, allo stesso modo la virtù non è compatibile con la bistecca, e non appena desiderano esser buoni, abbandonano appunto i cibi a base di carne.
  • Per qual motivo l'astinenza dal cibo animale sarà appunto il primo atto del digiuno e della vita morale, è stato detto ottimamente: e non da un uomo soltanto, ma da tutta quanta l'umanità, nella persona dei suoi migliori rappresentanti, e ininterrottamente, fin da quando l'uomo ha cominciato ad affacciarsi alla consapevolezza. Ma allora perché, se l'illegittimità, ovverosia l'immoralità del cibo animale è nota all'umanità da così gran tempo, gli uomini non sono ancora pervenuti alla consapevolezza di questa legge? domanderanno gli uomini che per loro natura si lasciano guidare non tanto dalla loro ragione, quanto piuttosto dall'opinione comune. La risposta a questo interrogativo è che tutto il cammino percorso dagli uomini nella scoperta della morale, il quale cammino costituisce il fondamento d'ogni cammino umano, lo si è potuto percorrere e lo si percorre soltanto lentamente; ma che indizio certo d'un progredire autentico, e non accidentale, lungo questo cammino, è la sua continuità e la sua costante accelerazione.
    Tale è appunto il progredire del vegetarianesimo. Esso ha trovato espressione in tutti i pensieri che gli scrittori vi hanno dedicato e nella vita stessa dell'umanità, che inconsapevolmente sta passando sempre più dal carnivorismo ai cibi vegetali, mentre consapevole espressione di ciò sono le dimensioni sempre maggiori e la particolare forza che va assumendo il movimento vegetariano.

Incipit di alcune opere

I Cosacchi

Tutto, ormai, è silenzio in Mosca. Di rado, tratto tratto, risuona quello stridio di ruote proprio delle strade invernali. alle finestre non ci sono più luci, e i lampioni sono spenti. Dalle chiese si spandono i rintocchi delle campane e, dondolando sulla città dormiente, preannunciano il mattino. Le strade sono deserte. Di rado, qua e là, va solcando con pattini sottili la strada intrisa di neve un fiaccheraio notturno e, trascinatosi fino a un nuovo posteggio, s'addormenta, in attesa di un avventore. Passa una vecchierella diretta alla chiesa, dove già, tremolando sull'oro delle icone, ardono rossicce e rade, in asimmetrica disposizione, le candele di cera vergine. il popolo lavoratore sta levandosi ormai, dopo la lunga notte d'inverno, e si reca al lavoro. Ma per i signori è ancora sera.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, I Cosacchi (1852 – 1862), traduzione di Eraldo Affinati, Newton, Milano.]

Memorie di un cristiano

So che per questo titolo mi condanneranno. Alcuni – i più – diranno: sarebbe ora che la smettesse con queste sciocchezze. Al giorno d'oggi lo capiscono tutti che la fede cristiana è una delle tante religioni. E tutte le religioni sono superstizioni, sono cioè quel materiale che più di ogni altra cosa intralcia l'evoluzione dell'umanità. Altri diranno: come, di un cristiano? Chi può dire di sé: io sono un cristiano? Il vero cristiano è innanzitutto umile e non osa definir sé stesso cristiano né tantomeno dichiararsi tale sulla carta stampata. Mi condannino pure, ma io metterò questo titolo. Non mi fa paura che mi si accusi di essere retrogrado perché non soltanto non ritengo che la religione sia una superstizione, ma, al contrario, ritengo che la verità religiosa sia l'unica verità accessibile all'uomo, e la dottrina cristiana io la ritengo una verità che – lo vogliano riconoscere gli uomini o no – si trova a fondamento di tutto il sapere umano, e non mi fa paura nemmeno mi si condanni perché ho l'orgoglio di chiamarmi cristiano, dato che le parole: io sono un cristiano, le intendo diversamente da come le si intende di solito.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, Le memorie di un cristiano (1884), traduzione di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano.]

I quattro libri di lettura

  • Il lupo nella polvere (favola)
    Un lupo che voleva rapire un montone, si pose sotto vento.
    Il cane del pastore lo vide e gli disse: Lupo, hai torto a marciare nella polvere perché ti verrà male agli occhi.
    Il lupo rispose: Disgraziatamente, mio piccolo cane, da lungo tempo ho gli occhi ammalati e so che la polvere di montoni è un rimedio eccellente.
  • Il vecchio e la morte (favola)
    Un vecchio dopo aver raccolto la legna nel bosco, se la caricò sulle spalle. Doveva andare lontano con quel carico. Poco dopo, affranto, depose la legna al suolo e disse: Ah! Meglio la morte che questa vita!
    La morte accorse.
    Eccomi, disse, che vuoi da me?
    Preso dalla paura, il vecchio le rispose:Voglio che tu mi aiuti a rimettermi sulle spalle la mia legna.

[Lev Nikolaevič Tolstoj, I quattro libri di lettura, traduzione di Nicola Odarov, Longanesi, 1976.]

Citazioni su Lev Nikolaevič Tolstoj

  • Di solito, all'inizio dell'autunno, la mamma partiva per Mosca con i bambini che andavano ancora a scuola. Mio padre, mia sorella e io restavamo a Jasnaja Poljana ancora qualche mese. Facevamo una vita da Robinson sull'esempio di nostro padre. Tenevamo la casa sole, senza l'aiuto di domestici, e preparavamo pasti strettamente vegetariani.
    Un giorno ci annunciarono l'arrivo di una nostra zia, amica di tutti, alla quale volevamo molto bene. Sapendo che la zia apprezzava la buona tavola e particolarmente la carne, ci chiedevamo che cosa fare.
    Preparare il «cadavere», chiamavamo così la carne, ci faceva orrore. Mentre discutevo la faccenda con mia sorella venne papà. Messo al corrente dei nostri dubbi, ci rassicurò, promettendoci di occuparsi del menu della zia.
    «Quanto a voi,» disse, «preparate il pranzo come al solito.»
    La zia, bella, allegra, piena di vita come sempre, arrivò quel giorno stesso. Venuta l'ora passammo nella sala da pranzo. E cosa vi trovammo? Al posto della zia c'era un enorme coltello da cucina e, attaccato alla seggiola con una cordicella, un pollo vivo. La povera bestia si dibatteva trascinandosi il sedile.
    «Sappiamo che ti piace mangiare gli esseri viventi,» disse papà, «così ti abbiamo procurato questo pollo. Ma nessuno di noi vuole commettere un assassinio: quel coltello omicida è a tua disposizione per compierlo.»
    «Un'altra delle tue burle!» esclamò zia Tatiana scoppiando a ridere. «Tania! Maša! Sciogliete subito quella povera bestia e ridatele la libertà.»
    Ci affrettammo a obbedire alla zia. Liberato il pollo, venne servito quanto avevamo preparato per il pasto: maccheroni, legumi e frutta. (da Tatiana Tolstoj, Anni con mio padre, trad. di Roberto Rebora, Garzanti 1976, p. 187)
  • Quarant'anni fa, mentre attraversavo una grave crisi di scetticismo e dubbio, incappai nel libro di Tolstoj Il Regno di Dio è dentro di voi, e ne fui profondamente colpito. A quel tempo credevo nella violenza. La lettura del libro mi guarì dallo scetticismo e fece di me un fermo credente nell'ahimsa. Quello che più mi ha attratto nella vita di Tolstoj è il fatto che egli ha praticato quello che predicava e non ha considerato nessun prezzo troppo alto per la ricerca della verità.
    Fu l'uomo più veritiero della sua epoca. La sua vita fu una lotta costante, una serie ininterrotta di sforzi per cercare la verità e metterla in pratica quando l'aveva trovata. Non cercò mai di nascondere o attenuare la verità, ma la presentò al mondo nella sua integrità, senza equivoci o compromessi, senza lasciarsi mai scoraggiare dal timore di qualche potenza terrena.
    Fu il più grande apostolo della non-violenza che l'epoca attuale abbia dato. Nessuno in Occidente, prima o dopo di lui, ha parlato e scritto della non-violenza così ampiamente e insistentemente, e con tanta penetrazione e intuito. Andrei ancora oltre e direi che l'eccezionale sviluppo che egli diede a questa dottrina sconfessa l'attuale interpretazione ristretta e mutilata datane dai seguaci dell' ahimsa in questo nostro Paese. [...]
    La vera ahimsa dovrebbe significare libertà assoluta dalla cattiva volontà, dall'ira, dall'odio, e un sovrabbondante amore per tutto. La vita di Tolstoj, con il suo amore grande come l'oceano, dovrebbe servire da faro e da inesauribile fonte di ispirazione, per inculcare in noi questo vero e più alto tipo di ahimsa. (Mahatma Gandhi)

Bibliografia

  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Guerra e pace, traduzione di Enrichetta Carafa d'Andria, Einaudi.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Guerra e pace, traduzione di A. Osimo Muggia, A. Barion Editore, Sesto S. Giovanni, 1930.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Guerra e pace, traduzione di A. S. Gladkov e A. M. Osimo, U. Mursia & C., Milano 1956.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Resurrezione, traduzione di Emanuela Guercetti, Garzanti 2002.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, La sonata a Kreutzer (Krejcerova Sonata), a cura della duchessa d'Andria, Arnoldo Mondadori Editore, 1968.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Anna Karenina, traduzione di Ossip Felyne, Biblioteca Moderna Mondadori, 1960.
  • Lev Tolstoj, Anna Karenina, trad. di Leone Ginzburg, Einaudi, 1993. ISBN 8806132733
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, I quattro libri di lettura, traduzione di Nicola Odarov, Longanesi, 1976.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, I racconti di Sebastopoli, traduzione di Vittorio Tomelleri, i grandi libri Garzanti, 1995.
  • Lev Tolstoj, Che fare?, traduzione di Luisa Capo, Gabriele Mazzotta editore, Milano 1979.
  • Lev Tolstoj, Della vita, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori 1991.
  • Leone Tolstoi, "Il regno di Dio è in voi" ovvero il cristianesimo dato non come una dottrina mistica, ma come una morale nuova, traduzione di Sofia Behr, Publiprint – Manca Editrice, 1988.
  • Lev N. Tolstoj, Che cosa è l'arte?, a cura di Tito Perlini, Claudio Gallone Editore, Milano 1997.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, Il bastoncino verde: scritti sul cristianesimo, traduzione di V. Lebedev e G. Gazzeri, Sotto il Monte Servitium, 1998.
  • Lev Nikolaevič Tolstoj, "Perché la gente si droga?" e altri saggi su società, politica e religione, a cura di Igor Sibaldi, Mondadori, Milano 1988.

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