Suso Cecchi D'Amico: differenze tra le versioni

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*Mentre con gli attori, alcuni dei quali di scarso talento, [[Luchino Visconti|Visconti]] si prodigava ad aiutarli perché facessero carriera, con [[Franco Zeffirelli]] e anche con altri aspiranti alla regia non fu generoso. Lo consigliò, incoraggiò, apprezzò finché lavorò come scenografo per lui, ma il modo in cui criticò i primi passi di Zeffirelli in teatro e nel cinema non fu simpatico. (p. 88)
*Mentre con gli attori, alcuni dei quali di scarso talento, [[Luchino Visconti|Visconti]] si prodigava ad aiutarli perché facessero carriera, con [[Franco Zeffirelli]] e anche con altri aspiranti alla regia non fu generoso. Lo consigliò, incoraggiò, apprezzò finché lavorò come scenografo per lui, ma il modo in cui criticò i primi passi di Zeffirelli in teatro e nel cinema non fu simpatico. (p. 88)
*{{NDR|[[Francesco Rosi]]}} Come Franchino {{NDR|[[Franco Zeffirelli]]}}, deve tutto alla scuola di [[Luchino Visconti|Visconti]] il quale, maestro inflessibile, gli ha fatto proprio sputare sangue. (p. 88)
*{{NDR|[[Francesco Rosi]]}} Come Franchino {{NDR|[[Franco Zeffirelli]]}}, deve tutto alla scuola di [[Luchino Visconti|Visconti]] il quale, maestro inflessibile, gli ha fatto proprio sputare sangue. (p. 88)






==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 06:06, 27 apr 2010

Suso Cecchi D'Amico (1914 – vivente), sceneggiatrice italiana.

Storie di cinema (e d'altro) raccontate a Margherita D'Amico

  • [Enrico Cuccia] Un amico al quale ho voluto un gran bene perché era di umore sempre calmo, non gli ho mai sentito alzare la voce. (p. 18)
  • Questa è una mia caratteristica un po' curiosa. I vincoli dell'amicizia e dell'affetto cancellano il tempo. Come accade ai cani, anche per me ieri e cinquant'anni fa sono la stessa cosa. (p. 19)
  • Moravia era molto simpatico. Dicono di lui che fosse cattivo, ma non riesco a spiegarmene la ragione: era una persona veramente buona, semmai infantile. Aveva le impazienze di un bambino nervoso: non stava fermo un secondo, sfasciava tutto. [...] La sceneggiatura è un lavoro di pazienza, e lui non l'aveva proprio. (p. 22)
  • Con il passare degli anni, seguendo una metamorfosi che ho osservato in parecchi produttori, la passione di Ponti per il cinema si trasformò nella passione per i soldi. (p. 24)
  • [Piero Tellini] Sceneggiatore e soggettista di talento, ritratto del cinema di quei tempi. Bugiardo fino all'inverosimile, molto simpatico. Era di quelli che lavoravano solo la notte con la simpamina, una specie di anfetamina per rimanere svegli. (p. 25)
  • All'epoca nessuno scriveva una sceneggiatura [...] senza fare almeno una nottata. [...] La verità è che non c'era alcuna necessità di queste nottate, ma sarebbe sembrato brutto non farne almeno una. Tutti facevano largo uso di simpamina. Io la provai una volta, ma non mi fece nessun effetto. (pp. 25-26)
  • [Totò] Vidi subito che non gli ispiravo nessuna fiducia. Nessunissima. [...] Forse in quanto donna, che lui vedeva unicamente nei ruoli di sposa o amante. (p. 27)
  • Era attore nel vero senso della parola: non si portava appresso quello che era in effetti nella vita, ed era completamente diverso da come lo si vedeva sullo schermo. [...] Totò nel lavoro non ha mai fatto se stesso, ma ha interpretato altri personaggi, anche nei gesti, nel modo di muoversi. (pp. 27-28)
  • A un certo punto Moravia cominciò a portare a casa di mio padre Elsa Morante. Non era bella, ma curiosa, intrigante. Aveva una singolare voce acuta, i denti davanti molto aperti; ricordava non saprei quale animale. Ci feci amicizia dopo che si sposarono, e vennero da noi parecchie volte. Ci vedemmo meno quando io ebbi i bambini, e poi fu la guerra a dividerci. Mi piacevano i suoi romanzi, molto più di quelli di Moravia, ma come persona apprezzavo di più lui. (p. 29)
  • Avevo poco più di vent'anni quando una mattina di primavera, scendendo a piedi per via Capo le Case, vidi la mia immagine riflessa in una vetrina e rallentai il passo per rimirarla: «Carina, elegante, felice», decretai tra me e me compiaciuta. Ed ecco che di colpo, con una violenza da mozzare il fiato e fermare il cuore, mi balenò alla mente come in un vortice di tempesta il pensiero: «E poi dovrò morire». (p. 31)
  • Non so spiegare come sia potuto accadere che io continui a sentire presenti le persone che ho più amato e delle quali dovrei soffrire la mancanza. Il rapporto che ho avuto con loro nel passato continua inalterato, tranquillo, né faccio nulla per trovare una risposta a questo mistero che mi è proposto, e dal quale traggo la confortante persuasione che tutto ciò che è esistito esiste. (pp. 35-36)
  • [Luchino Visconti] C'era in Luchino, fortissimo, l'aspetto dell'educatore, unito al senso della famiglia. Si rifletteva nel desiderio di spingere in avanti le persone che aveva creato, o di ostacolarle. Non c'erano vie di mezzo. Non posso dire che fosse un carattere molto facile. (p. 59)
  • [Luchino Visconti] Una delle caratteristiche di Luchino, che aveva una severità morale anche spietata, era quella di avere poi contraddizioni bizzarre. (p. 59)
  • [Sulla regia] Non tutti possono fare quel lavoro, anche se ne hanno la preparazione. È il motivo per cui io non ho mai accettato di passare alla regia. Non ho il carattere giusto, non ho l'autorità di comando. (p. 73)
  • [Cesare Zavattini] Era una persona fuori dal comune, certo. La personificazione dell'autodidatta. [...] Fu un grande peccato dividerci, per me come per lui, perché ci completavamo bene. O meglio, io potevo essere un buon aiuto per lui: una coppia eccellente di sceneggiatori è sempre formata da due personalità antitetiche. (pp. 76-77)
  • Come me, Monicelli è nato a Roma per caso, e ciò esaspera la nostra rivendicazione alla toscanità. I nostri padri si conoscevano bene, facevano lo stesso mestiere, hanno vissuto la stessa epoca. I suoi fratelli, come i miei, hanno razzolato nell'ambiente letterario e affini. Saranno forse queste cose che abbiamo in comune a facilitare l'intesa fra noi. Sta di fatto che sono poche le persone al mondo con cui mi trovo così a mio agio, e con lui mi accompagnerei in qualsiasi circostanza, fino alla convivenza. [...] Non vorrei però che [...] ti facessi l'idea di un Monicelli dal carattere rassicurante, perché tra i miei amici presenti e passati Monicelli è senza dubbio il più segreto e il più pericoloso, capace di gesti clamorosi rigorosamente in contrasto con i suoi interessi, se non addirittura con i suoi sentimenti. È il re dell' understatement, che io chiamo pudore, e nessun regista-autore al mondo ne ha mai avuto tanto nel proprio lavoro. Monicelli si farebbe impiccare piuttosto che parlare di «ispirazione», di «anima», di «creatività». Non direbbe «noi artisti» neppure sotto tortura, né farebbe mai un capriccio per ottenere il dovuto da un produzione, ma lo farà per ottenere l'inutile, e tutto a suo danno. (p. 78)
  • Nelle sedute di sceneggiatura con Flaiano, tra chiacchiere, critiche e divagazioni sul soggetto, c'era da ricavare materia per condire dieci film; e sarebbe andato tutto perduto se fosse toccato a lui di cavarne il succo. Ho fatto centinaia di riunioni di sceneggiatura con Flaiano [...] ma di pagine scritte da lui ne ho viste ben poche. Lo scrittore vero non può compiacersi nel lavoro di sceneggiatura, che deve trovare il modo di tradurre in immagini e battute dei concetti, oltre che dei fatti. [...] Flaiano scrisse parecchi soggettini, ma di sceneggiature sue ne conosco due sole: quella del Melampo di cui voleva fare la regia, e che non è bella, e quella tratta dalla Recherche di Proust per René Clement, un compito del quale era molto scontento. (p. 79)
  • Ho fatto anche delle sceneggiature da sola, e direi con onore. Ma il ricordo di quei lavori non mi è caro come quello delle lunghe sedute con i colleghi, con le confidenze, le complicità, lo scambio di letture, il perdersi e il ritrovarsi, il momento del «dividemose i pezzi», che è quello in cui - esaurite le discussioni sul soggetto e messa faticosamente a punto la scaletta - si passa alla stesura di un trattamento, cui è affidato il compito di affascinare produttore e attori, ma che va scritto in modo da fornire tutti gli elementi necessari al direttore di produzione per fare, al centesimo, il preventivo dei costi. (p. 80)
  • Nasce, durante le riunioni di sceneggiatura, anche un curioso rapporto con i familiari dei colleghi, che impariamo a conoscere intimamente nei discorsi fra noi, per cui ci troviamo a partecipare alle vicende tristi e liete delle loro vite con una passione che non trova poi riscontro nel rapporto diretto. (pp. 80-81)
  • Zavattini aveva il fisico massiccio di un contadino, con mani bellissime, lunghe, agili, che muoveva in continuazione a commento del discorso. Aveva un buffo modo di parlare, e occhi azzurri e sporgenti, con i quali io sostenevo che ipnotizzasse i produttori. (p. 82)
  • Mentre con gli attori, alcuni dei quali di scarso talento, Visconti si prodigava ad aiutarli perché facessero carriera, con Franco Zeffirelli e anche con altri aspiranti alla regia non fu generoso. Lo consigliò, incoraggiò, apprezzò finché lavorò come scenografo per lui, ma il modo in cui criticò i primi passi di Zeffirelli in teatro e nel cinema non fu simpatico. (p. 88)
  • [Francesco Rosi] Come Franchino [Franco Zeffirelli], deve tutto alla scuola di Visconti il quale, maestro inflessibile, gli ha fatto proprio sputare sangue. (p. 88)

Bibliografia

  • Suso Cecchi D'Amico, Storie di cinema (e d'altro) raccontate a Margherita D'Amico, Garzanti, 1996. ISBN 88-11-73855-5

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