Hannah Arendt: differenze tra le versioni

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*Formulando la sua tesi sull'apatia politica delle masse [[Fascismo|fasciste]] Arendt a sua volta sembrerebbe aver dimenticato di dar conto delle masse prone al totalitarismo di tipo [[stalin]]iano.<br>Ma anche a voler respingere questa parte del discorso di Arendt, non mi pare che l'ossatura della sua teoria ne venga inficiata. Piuttosto, va sottolneato come ella teorizzi la rottura o l'assenza di legami sociali come pre-condizione per l'esistenza della massa. ([[Massimo Corsale]])
*Formulando la sua tesi sull'apatia politica delle masse [[Fascismo|fasciste]] Arendt a sua volta sembrerebbe aver dimenticato di dar conto delle masse prone al totalitarismo di tipo [[stalin]]iano.<br>Ma anche a voler respingere questa parte del discorso di Arendt, non mi pare che l'ossatura della sua teoria ne venga inficiata. Piuttosto, va sottolneato come ella teorizzi la rottura o l'assenza di legami sociali come pre-condizione per l'esistenza della massa. ([[Massimo Corsale]])


*"Che all'origine della esclusione del fascismo dalla categoria del totalitarismo, vi sia sostanzialmente una carenza di conoscenza della realtà storica, lo dimostra il caso di Hannah Arendt. Nel suo libro sulle origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, essa affermava perentoriamente che fino al 1938, il fascismo non fu totalitario ma fu soltanto una ordinaria dittatura nazionalista sorta dalla crisi di una democrazia di partiti. (...) In realtà, il giudizio di Arendt si basava su una scarsa conoscenza di quello che il fascismo era stato, come dimostra la mancanza di dati storici concreti nella sua riflessione sul fascismo e la totale assenza di riferimenti bibliografici alle opere storiche sul fascismo e sul totalitarismo fascista, allora disponibili, anche in lingua inglese, come per esempio gli scritti di Luigi Sturzo" (Emilio Gentile, "Fascismo, storia e interpretazione", Laterza, 2002, p. 64)
*"Che all'origine della esclusione del fascismo dalla categoria del totalitarismo, vi sia sostanzialmente una carenza di conoscenza della realtà storica, lo dimostra il caso di Hannah Arendt. Nel suo libro sulle origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, essa affermava perentoriamente che fino al 1938, il fascismo non fu totalitario ma fu soltanto una ordinaria dittatura nazionalista sorta dalla crisi di una democrazia di partiti. [...] In realtà, il giudizio di Arendt si basava su una scarsa conoscenza di quello che il fascismo era stato, come dimostra la mancanza di dati storici concreti nella sua riflessione sul fascismo e la totale assenza di riferimenti bibliografici alle opere storiche sul fascismo e sul totalitarismo fascista, allora disponibili, anche in lingua inglese, come per esempio gli scritti di Luigi Sturzo" (Emilio Gentile, "Fascismo, storia e interpretazione", Laterza, 2002, p. 64)


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Francobollo dedicato ad Hannah Arendt

Hannah Arendt (1906 – 1975), filosofa e storica tedesca naturalizzata statunitense.

  • Io non credo che possa esistere qualche processo di pensiero senza esperienze personali. (da La lingua materna – Mimesis, Milano, 1996, a cura di Alessandro Dal Lago)
  • L'alto concetto del progresso umano è stato privato del suo senso storico e degradato a mero fatto naturale, sicché il figlio è sempre migliore e più saggio del padre e il nipote più libero di pregiudizi del nonno. Alla luce di simili sviluppi, dimenticare è diventato un dovere sacro, la mancanza di esperienza un privilegio e l'ignoranza una garanzia di successo. (da La morale della storia, in Ebraismo e modernità, p. 119)
  • Nessuno ha mai dubitato del fatto che verità e politica siano in rapporti piuttosto cattivi l'una con l'altra e nessuno, che io sappia, ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista. (da Verità e politica – Bollati Boringhieri, Torino, 2004, traduzione di Vincenzo Sorrentino)
  • Tutti i termini filosofici sono metafore, analogie, per così dire congelate, il cui significato autentico si dischiude quando la parola sia riportata al contesto d'origine, certo presente in modo vivido e intenso alla mente del primo filosofo che la impiegò. (da La vita della mente, a cura di Alessandro Dal Lago, traduzione di Giorgio Zanetti, Ed. Il Mulino, 1987)
  • Vivere insieme nel mondo significa essenzialmente che esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno. (citato in Laura Centemeri, Ritorno a Seveso: il danno ambientale, il suo riconoscimento e la sua riparazione, Bruno Mondadori, 2006, p. 1)

Le origini del totalitarismo

  • È nella natura della politica ideologica – e non un semplice tradimento commesso per interesse personale o smania di potere – che il vero contenuto dell'ideologia (la classe operaia o i popoli germanici), originariamente alla base dell'«idea» (la lotta di classe come legge della storia o la lotta delle razze come legge della natura), venga distrutto dalla logica con cui tale «idea» è attuata.
  • Il dominio totalitario, al pari della tirannide, racchiude in sé i germi della propria distruzione.
  • Il suddito ideale del regime totalitario non è il nazista convinto o il comunista convinto, ma l'individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più.
  • La rivoluzione d'ottobre ottenne la vittoria con stupefacente facilità in un paese dove una burocrazia dispotica e accentrata governava una massa amorfa, che né i residui del feudalesimo rurale né il debole, nascente capitalismo urbano avevano saputo organizzare. Quando Lenin affermava che in nessun altro paese del mondo sarebbe stato così facile conquistare il potere e così difficile conservarlo, si rendeva conto non solo della debolezza della classe operaia russa, ma altresì delle anarchiche condizioni sociali che favorivano i cambiamenti improvvisi. Privo com'era degli istinti del capo della massa, Lenin puntò subito su tutte le possibili differenziazioni, sociali, nazionali, professionali, capaci di introdurre delle strutture nella popolazione, nella palese convinzione che tale processo stratificatore avrebbe costituito la salvezza del potere rivoluzionario.
  • Le ideologie ritengono che una sola idea basti a spiegare ogni cosa nello svolgimento dalla premessa, e che nessuna esperienza possa insegnare alcunché dato che tutto è compreso in questo processo coerente di deduzione logica.
  • Nella loro pretesa di spiegazione totale, le ideologie hanno la tendenza a spiegare non quel che è, ma quel che diviene, quel che nasce e muore.
  • Per la conferma della mia identità io dipendo interamente dagli altri; ed è la grande grazia della compagnia che rifà del solitario un «tutto intero», salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l'identità che gli consente di parlare con l'unica voce di una persona non scambiabile.
  • Quel che prepara così bene gli uomini moderni al dominio totalitario è l'estraniazione che da esperienza limite, usualmente subìta in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, è diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti del nostro secolo.
  • Se la legalità è l'essenza del governo non tirannico e l'illegalità quella della tirannide, il terrore è l'essenza del potere totalitario.
  • Himmler definì le SS come il nuovo tipo umano che in nessuna circostanza avrebbe fatto "una cosa per se stessa".[1]
  • I movimenti totalitari trovano un terreno fertile per il loro sviluppo dovunque ci sono delle masse che per una ragione o per l'altra si sentono spinte all'organizzazione politica, pur non essendo tenute unite da un interesse comune e mancando di una specifica coscienza classista, incline a proporsi obiettivi ben definiti, limitati e conseguibili.[1]
  • L'atomizzazione della società sovietica venne ottenuta con l'abile uso di ripetute epurazioni, che invariabilmente precedevano l'effettiva liquidazione di un gruppo. Per distruggere tutti i legami sociali e familiari, le epurazioni venivano condotte in modo da minacciare della stessa sorte l'accusato e tutta la sua cerchia, dai semplici conoscenti agli amici e ai parenti più stretti. La conseguenza dell'ingegnoso criterio della "colpa per associazione" era che, appena un uomo veniva accusato, i suoi vecchi amici si trasformavano di colpo nei suoi nemici più accaniti... In ultima analisi, fu con l'impiego radicale di questi metodi polizieschi che il regime staliniano riuscì a instaurare una società atomizzata quale non si era mai vista prima, e a creare intorno a ciascun individuo un'imponente solitudine quale neppure una catastrofe da sola avrebbe potuto causare.[1]
  • Il livellamento delle condizioni dei sudditi è sempre stato una delle principali preoccupazioni dei despoti e dei tiranni fin dai tempi più antichi; ma un simile livellamento non è sufficiente per il regime totalitario, perché lascia più o meno intatti certi legami non politici, come i vincoli familiari e gli interessi culturali comuni. Se tale regime vuole sul serio raggiungere il suo scopo deve far sì che "finisca una volta per tutte la neutralità del gioco degli scacchi", vale a dire l'esistenza autonoma di qualsiasi attività.[1]

Tra passato e futuro

  • A differenza della natura, la storia è piena di eventi: il miracolo del caso e dell'infinitamente improbabile vi ricorre con tale frequenza da far sì che parlare di miracoli sembri assurdo.
  • L'insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.
  • I processi storici sono creati e interrotti di continuo dall'iniziativa dell'uomo, da quell' "initium" che l'uomo è in quanto agisce. Di conseguenza, non è per nulla superstizioso, anzi è realistico cercare quel che non si può né prevedere né predire, esser pronti ad accogliere, aspettarsi dei "miracoli" in campo politico.

Vita Activa

  • Il miracolo che salva il mondo, il dominio delle faccende umane, dalla sua normale, 'naturale' rovina è in definitiva il fatto della natalità, in cui è ontologicamente radicata la facoltà dell'azione. È, in altre parole, la nascita di nuovi uomini e il nuovo inizio, l'azione di cui essi sono capaci in virtù dell'esser nati. Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell'esperienza umana che l'antichità greca ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e stringata espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la 'lieta novella' dell'avvento: 'Un bambino è nato per noi'". (p. 263)
  • La nostra è la prima generazione divenuta pienamente consapevole delle conseguenze atroci che discendono da una linea di pensiero che costringe ad ammettere che tutti i mezzi, purché siano efficaci, sono leciti e giustificati per conseguire qualcosa di definitivo come fine. (Bompiani, Milano, 2008, 168)
  • Il fatto che l'uomo sia capace d'azione significa che da lui ci si può attendere l'inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità". (Bompiani, Milano, 1999, traduzione di di Sergio Finzi)
  • Proprio come da Platone e Aristotele fino all'età moderna la filosofia, nei suoi maggiori e più autentici rappresentanti, è stata l'articolazione dello stupore di fronte a ciò che è, così la filosofia moderna, da Descartes in poi, è consistita nelle articolazioni e ramificazioni del dubbio.
  • Con la parola e con l'agire ci inseriamo nel mondo umano, e questo inserimento è come una seconda nascita, in cui confermiamo e ci sobbarchiamo la nuda realtà della nostra apparenza fisica originale.
  • La pluralità umana, condizione fondamentale sia del discorso sia dell'azione, ha il duplice carattere dell'eguaglianza e della distinzione. Se gli uomini non fossero uguali, non potrebbero né comprendersi fra loro, né comprendere i propri predecessori, né fare progetti per il futuro e prevedere le necessità dei loro successori. Se gli uomini non fossero diversi, e ogni essere umano distinto da ogni altro che è, fu o mai sarà, non avrebbero bisogno né del discorso né dell'azione per comprendersi a vicenda. Sarebbero soltanto sufficienti segni e suoni per comunicare desideri e necessità immediati e identici.

Citazioni su Hannah Arendt

  • Formulando la sua tesi sull'apatia politica delle masse fasciste Arendt a sua volta sembrerebbe aver dimenticato di dar conto delle masse prone al totalitarismo di tipo staliniano.
    Ma anche a voler respingere questa parte del discorso di Arendt, non mi pare che l'ossatura della sua teoria ne venga inficiata. Piuttosto, va sottolneato come ella teorizzi la rottura o l'assenza di legami sociali come pre-condizione per l'esistenza della massa. (Massimo Corsale)
  • "Che all'origine della esclusione del fascismo dalla categoria del totalitarismo, vi sia sostanzialmente una carenza di conoscenza della realtà storica, lo dimostra il caso di Hannah Arendt. Nel suo libro sulle origini del totalitarismo, pubblicato nel 1951, essa affermava perentoriamente che fino al 1938, il fascismo non fu totalitario ma fu soltanto una ordinaria dittatura nazionalista sorta dalla crisi di una democrazia di partiti. [...] In realtà, il giudizio di Arendt si basava su una scarsa conoscenza di quello che il fascismo era stato, come dimostra la mancanza di dati storici concreti nella sua riflessione sul fascismo e la totale assenza di riferimenti bibliografici alle opere storiche sul fascismo e sul totalitarismo fascista, allora disponibili, anche in lingua inglese, come per esempio gli scritti di Luigi Sturzo" (Emilio Gentile, "Fascismo, storia e interpretazione", Laterza, 2002, p. 64)

Note

  1. a b c d Da Le origini del totalitarismo, Edizioni di Comunità, Milano, 1967; citato in Massimo Corsale, L'autunno del Leviatano, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1998.

Bibliografia

  • Hannah Arendt, Ebraismo e modernità, Feltrinelli, Milano 1993.
  • Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, traduzione di Amerigo Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano, 1967.
  • Hannah Arendt, Tra passato e futuro, traduzione di Tania Gargiulo, Garzanti, Milano, 1991.

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