Giulio Cesare (Shakespeare): differenze tra le versioni

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===Goffredo Raponi===
===Goffredo Raponi===
''Una via di Roma<br>Entrano FLAVIO e MARULLO, incontrando alcuni popolani''<br>
''Una via di Roma<br>Entrano FLAVIO e MARULLO, incontrando alcuni popolani''<br>
'''Flavio''' - Via di qua, sfaccendati, a casa, a casa! Si fa vacanza? È forse dì di festa? Non sapete che in giorno di lavoro è vietato alla gente di mestiere d’andare in giro senza il distintivo della sua professione? Qual è il tuo?<br>
'''Flavio''' Via di qua, sfaccendati, a casa, a casa! Si fa vacanza? È forse dì di festa? Non sapete che in giorno di lavoro è vietato alla gente di mestiere d’andare in giro senza il distintivo della sua professione? Qual è il tuo?<br>
'''1° cittadino''' - Io faccio il falegname.<br>
'''1° cittadino''' Io faccio il falegname.<br>
'''Flavio''' - E dove l’hai il tuo grembiul di pelle? Ed il tuo regolo?... E che vai facendo così agghindato per le vie di Roma come andassi a una festa? (''Al 2° Cittadino'') E tu, compare, che mestiere fai?<br>
'''Flavio''' E dove l’hai il tuo grembiul di pelle? Ed il tuo regolo?... E che vai facendo così agghindato per le vie di Roma come andassi a una festa? (''Al 2° Cittadino'') E tu, compare, che mestiere fai?<br>
'''2° cittadino''' - Beh, io, a dirla franca, a confronto ad un artigiano fino, sarei quel che si dice un capponaio.<br>
'''2° cittadino''' Beh, io, a dirla franca, a confronto ad un artigiano fino, sarei quel che si dice un capponaio.<br>
'''Marullo''' - Rispondi a tono: che mestiere fai?<br>
'''Marullo''' Rispondi a tono: che mestiere fai?<br>
'''2° cittadino''' - Un mestiere, signore, che spero di poter esercitare con tranquilla coscienza, questo è certo; rammendator di suole sfasciate<ref>"''Mender of bad soles''", dice il cittadino; ma "''soles''" si pronuncia come "''souls''", "anime", e Marullo così capisce; donde la sua irritata reazione. Il bisticcio è intraducibile.</ref>.<br>
'''2° cittadino''' Un mestiere, signore, che spero di poter esercitare con tranquilla coscienza, questo è certo; rammendator di suole sfasciate<ref>"''Mender of bad soles''", dice il cittadino; ma "''soles''" si pronuncia come "''souls''", "anime", e Marullo così capisce; donde la sua irritata reazione. Il bisticcio è intraducibile.</ref>.<br>
{{NDR|William Shakespeare, ''[http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/index.htm Giulio Cesare]'', traduzione originale di Goffredo Raponi}}
{{NDR|William Shakespeare, ''[http://www.liberliber.it/biblioteca/s/shakespeare/index.htm Giulio Cesare]'', traduzione originale di Goffredo Raponi}}



Versione delle 19:12, 29 lug 2010

Voce principale: William Shakespeare.

Giulio Cesare (The Life and Death of Julius Caesar), tragedia shakespeariana.

Incipit

Antonio Di Meo

Roma. Una via. Entrano Flavio, Marullo e alcuni plebei.
Flavio: Via! A casa, fannulloni, andatevene a casa. È festa oggi? Come! Non sapete che, essendo artigiani, non dovreste andare in giro in giro di lavoro senza i segni del vostro mestiere? Che mestiere fai tu? Parla.
Primo plebeo: Falegnama, signore.
Marullo: Dov'è il tuo grembiule di cuoio e il regolo? Che cosa fai in giro, vestito a festa? Tu, che mestiere fai?
Secondo plebeo: In verità, signore, al confronto d'un operaio fine sono soltanto quello che tu diresti un ciabattino.
Marullo: Ma che mestiere fai? Rispondi senza equivocare.
Secondo cittadino: Un mestiere, signore, che spero di poter fare con tranquilla coscienza, e che sarebbe, a dire il vero signore, rabberciatore di cattive anime... anime di scarpe voglio dire.

Alfredo Obertello

Roma. Una strada.
Flavio: Via di qua, a casa, signori miei sfaccendati; a casa, dico. È mica questo un giorno di festa? Come, non sapete che non è lecito a voi artigiani girare nei giorni di lavoro senza i distintivi del vostro mestiere? _ Sentiamo, che mestiere fai tu?
Primo cittadino: Ecco, signore, il falegname.
Marullo: E dove ce l'hai il grembiule di cuoio e la squadra? Che mi fai così vestito di nozze? – E voi, amico, che mestiere avete?
Secondo cittadino: Parola, signore, se prendiamo a pargone un artigiano che lavoro di fino, io non sono, come si usa dire, altro che rappezzaciabatte.
Marullo: Ma che mestiere hai? Rispondi a filo.
Secondo cittadino: Un mestiere, signor mio, a cui spero di potere badare tenendomi pulita la coscienza: cioè, rappezzo pellacce.

Goffredo Raponi

Una via di Roma
Entrano FLAVIO e MARULLO, incontrando alcuni popolani

Flavio – Via di qua, sfaccendati, a casa, a casa! Si fa vacanza? È forse dì di festa? Non sapete che in giorno di lavoro è vietato alla gente di mestiere d’andare in giro senza il distintivo della sua professione? Qual è il tuo?
1° cittadino – Io faccio il falegname.
Flavio – E dove l’hai il tuo grembiul di pelle? Ed il tuo regolo?... E che vai facendo così agghindato per le vie di Roma come andassi a una festa? (Al 2° Cittadino) E tu, compare, che mestiere fai?
2° cittadino – Beh, io, a dirla franca, a confronto ad un artigiano fino, sarei quel che si dice un capponaio.
Marullo – Rispondi a tono: che mestiere fai?
2° cittadino – Un mestiere, signore, che spero di poter esercitare con tranquilla coscienza, questo è certo; rammendator di suole sfasciate[1].
[William Shakespeare, Giulio Cesare, traduzione originale di Goffredo Raponi]

Carlo Rusconi

Roma. Una strada.
Entrano Flavio, Marullo e alcuni cittadini.

Flavio: Via; alle vostre case, ignava gente, alle vostre case; è forse oggi giorno di festa? Che? Non sapete che essendo artigiani non potrete scorrazzare nelle giornate di lavoro senza il segno della vostra professione? Parla, tu, che mestiere fai?
I cittadino: Io, signore, faccio il carpentiere.
Marullo: Dov'è allora il tuo grembiule di cuoio e il tuo regolo? Perché indossi i tuoi migliori panni? Voi, messere; che mestiere fate voi?
II cittadino: In vero, signore, in confronto a un buon operaio, io sono quello che potreste chiamare un ciabattino.
Marullo: Ma che mestiere fai? Rispondi direttamente.
II cittadino: Un mestiere, signore, che spero di esercitare con sicura coscienza; io non sono, signore, che un rappezzatore di cattive suole.
[William Shakespeare, Giulio Cesare, trad. di Carlo Rusconi, Newton, 1990]

Citazioni

  • A volte gli uomini sono padroni del loro destino; la colpa, caro Bruto, non è delle nostre stelle, ma nostra, che noi siamo dei subalterni. (Cassio: atto I, scena II)
  • È utile che le menti nobili sempre si tengano coi loro pari. (Cassio: atto I, scena II, p. 220)
  • Vorrei che attorno a me ci fossero degli uomini piuttosto grassi, e con la testa ben pettinata, e tali, insomma, che dormano la notte. Quel Cassio laggiù ha un aspetto troppo magro e affamato: pensa troppo, e uomini del genere sono pericolosi. (Cesare ad Antonio: atto I, scena II)
  • L'umiltà, prova esperienza comune, è la scala di una giovane ambizione. Ma, come abbia raggiunto l'ultimo gradino, volge essa le spalle alla scala e rimira le nubi, spregiando i gradini più bassi ond'essa è ascesa. (Bruto: atto II, scena I)
  • L'abuso di grandezza si avvera quando essa disgiunge la tenerezza d'animo dal potere... (Bruto: atto II, scena I, p. 229)
  • La mansuetudine è la scala dell'ambizione in erba a cui volge la faccia chi sale in su; ma una volta che costui abbia raggiunto l'ultimo piolo, allora volge le spalle alla scala, sta a guardare le nuvole disprezzando quegli infimi gradini con cui poté salire. (Bruto: atto II, scena I, p. 229)
  • Gli unicorni possono essere indotti in inganno per mezzo degli alberi; gli orsi per mezzo degli specchi; gli elefanti per mezzo delle buche; i leoni per mezzo delle reti, e gli uomini, infine, per mezzo dell'adulazione. (Decio: atto II, scena I)
  • I paurosi muoiono mille volte prima della loro morte, ma l'uomo di coraggio non assapora la morte che una volta. La morte è conclusione necessaria: verrà quando vorrà. (Cesare: atto II, scena II)
  • Cesare: Le idi di marzo sono arrivate.
    Indovino: Sì, Cesare, ma non sono passate. (atto III, scena I)
  • Ma io sono costante ed immutabile come la Stella dell'Orsa Minore alla cui fissità nessuna stella è pari, nell'intero firmamento. (Cesare: atto III, scena I; traduzione di Goffredo Raponi, LiberLiber)
Ma io sono costante come la stella polare, che per il suo esser fedele, fissa e inamovibile non ha pari nel firmamento.
  • Bruto: Che dobbiamo morire lo sappiamo. Ma è il numero dei giorni, e l'ora, e il momento che soprattutto preoccupano l'uomo.
    Cassio: Così colui che toglie vent'anni alla vita dell'uomo, toglie un egual numero di anni alla paura della morte. (atto III, scena I)
  • Come mi accorgo, la commozione è contagiosa, poiché i miei occhi, al vedere le perle di dolore che brillano nei tuoi, prendono ad inumidirsi. (Antonio: atto III, scena I)
  • Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa. (Antonio: atto III, scena II)
  • Romani, amici, cittadini, datemi ascolto. Sono qui per seppellire Cesare, non per tesserne le lodi. Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro, e spesso il bene viene sotterrato con le loro ossa. Così sia per Cesare. (Antonio: atto III, scena II)
  • Se avete lacrime, preparatevi a versarle adesso. (Antonio: atto III, scena II, 1963)
  • C'è una marea nelle cose degli uomini che, colta al flusso, mena alla fortuna; negletta, tutto il viaggio della vita s'incaglia su fondali di miserie. (Bruto: atto IV, scena III)
  • Un amico dovrebbe tollerare le debolezze del suo amico, ma Bruto fa le mie più gravi di quanto non siano. (Cassio: atto IV, scena III, p. 63, 1974)
  • Le belle parole sono migliori dei brutti colpi. (Cassio: atto V, scena I, p. 74, 1974)
  • Oh, se uno potesse già conoscere l'esito degli avvenimenti d'oggi! Ma basterà che si concluda il giorno, e tutto si saprà. (Bruto: atto V, scena I)
  • Oh sole al tramonto, così come nei tuoi raggi rossi tu sprofondi alla notte, allo stesso modo la giornata di Crasso tramonta nel suo rosso sangue. (Titinio: atto V, scena III)
  • Quando l'amore prende ad ammalarsi e affievolirsi, fa uso di cortesie e spese di contraggenio. In una fedeltà semplice e schietta non si trovano artifici di sorta.
  • Sangue, gocce scarlatte che visitano il cuore.
  • ...sono ammalato di molti anni.

Citazioni sull'opera

  • La tragedia secondo il Chambers, venne probabilmente rappresentata per la prima volta nel 1599 o 1600, e divenne immediatamente popolare. La fonte principale è Plutarco nella traduzione di Sir Thomas North, pubblicata nel 1576. La vita di Cesare del biografo greco, già in sé opera di notevole pregio, è seguita nei dettagli, anche se Shakespeare allarga o restringe i tempi dell'azione secondo le esigenze della sua concezione drammatica, e inserisce in essa del materiale delle Vite di Bruto e di Antonio. (Antonio Di Meo)
  • Tutto il dramma, come anche il Coriolano, è improntato ad una severa austerità stilistica, senza alcun elemento comico. L'opera è artisticamente completa in sé poiché termina là dove era cominciata cioè con il trionfo di Cesare, dopo aver dato una fuggevole visione dell'avventura repubblicana, e inoltre conserva l'unità d'azione, facendo convergere le scene ad un punto: l'uccisione del dittatore. (Antonio Di Meo)
  • Per la prima volta, nel Giulio Cesare Shakespeare, facendo di Bruto l'apostolo della libertà e di Cesare il tiranno, rovescerebbe la visione gerarchica e sacrale dello stato tipica del Medioevo, per cui, così com'è nella Commedia di Dante, Bruto è il traditore e Cesare il capo sacrale. (Antonio Di Meo)
  • La tragedia del Giulio Cesare sta anche nell'urto di due istanze ugualmente imperiose e corrispondenti al conflitto che proprio allora avveniva sia in Shakespeare sia nel suo mondo tra Medioevo e mondo moderno: Cesare è il capo sacrale che è delitto uccidere in ogni caso, e Bruto il portatore del principio della libertà, che tuttavia lo spinge a turbare l'armonia cosmica, e quindi a scontare questa colpa. (Antonio Di Meo)

Note

  1. "Mender of bad soles", dice il cittadino; ma "soles" si pronuncia come "souls", "anime", e Marullo così capisce; donde la sua irritata reazione. Il bisticcio è intraducibile.

Bibliografia

  • William Shakespeare, La tragedia di Giulio Cesare, traduzione di Alfredo Obertello, Arnoldo Mondadori Editore, 1970.
  • William Shakespeare, Giulio Cesare, traduzione originale di Goffredo Raponi.
  • William Shakespeare, Giulio Cesare, traduzione di Antonio Di Meo, Aldo Garzanti Editore, 1974.
  • William Shakespeare, Giulio Cesare, trad. di Carlo Rusconi, Newton, 1990.

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