Franz Werfel: differenze tra le versioni

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Versione delle 22:26, 20 ott 2010

Franz Werfel (1890 – 1945), scrittore austriaco.

I quaranta giorni del Mussa Dagh

  • Scienza, cultura, progresso, bellissime cose! Ma per diffondere cultura e progresso bisogna che uno possa prima coltivarsi e progredire. (p. 12)
  • In ogni moltitudine c'è un'odio originario facilmente infiammabile contro i rappresentanti dell'ordine pubblico. (p. 19)
  • L'amore infelice presenta sempre una via, sia pure in sogno. (p. 30)
  • Nelle imprese militari non ci sono garanzie. (p. 65)
  • Un popolo non può fare a meno dell'ammirazione, ma neppure dell'odio. (p. 111)

[Franz Werfel, I quaranta giorni del Mussa Dagh (Die Vierzig Tage Des Mussa Dagh), volume II, traduzione di Cristina Baseggio, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1963]


Incipit di alcune opere

Nel crepuscolo di un mondo

Questo libro comprende alcune novelle più o meno ampie, o brevi romanzi, che, in senso profondo, costituiscono un'unità. Non certo l'unità di una modesta "Comédie humaine", che nel corso delle sue storie presenta figure cicliche e vicende incatenate; e neppure l'unità della coscienza postuma, che strappa dal passato gli avanzi della vita sconnessa e li collega nuovamente. L'unità di questo libro è il mondo, non tanto di cui tratta, quanto in cui si svolge. Un mondo singolare e memorabile, il nome del quale corse sulla bocca di tutti e che pure solo pochissimi conobbero, forse soltanto quelli che ne sperimentarono su se stessi il bene e il male, i suoi figli consapevoli dunque.

[Franz Werfel – Nel crepuscolo di un mondo – Mondadori, traduzione di Cristina Baseggio]

Una scrittura femminile azzurro pallido

La posta giaceva sul tavolo della prima colazione. Una notevole pila di lettere, perché avendo Leonida da poco festeggiato il suo cinquantesimo compleanno, arrivavano ancora ogni giorno gli auguri dei ritardatari. Leonida si chiamava proprio Leonida. Per quel nome opprimente non meno che eroico poteva dir grazie a suo padre, che a parte questa eredità, da povero insegnante di ginnasio qual era, non gli aveva lasciato altro che un'intera collezione di classici greci e latini, nonché dieci annate del "Tübinger altphilologische Studien". Per fortuna il troppo solenne Leonida si lasciava facilmente trasformare nel più agile e semplice Leo. Così lo chiamavano i suoi amici, e Amelie lo aveva sempre e soltanto chiamato Leon. Lo fece anche adesso, mentre con la sua voce scura accentuava la seconda sillaba di León in un acuto strascicato e melodioso.

[Franz Werfel – Una scrittura femminile azzurro pallido – Adelphi, traduzione di Renata Colorni]

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