Francesco II delle Due Sicilie: differenze tra le versioni

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*Le iniquità della Storia non resteranno impunite.
*Le iniquità della Storia non resteranno impunite.
*Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero.
*Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero.
*Popoli delle Due Sicilie!
*Popoli delle Due Sicilie… si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie… quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati… calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napoletano batte indignato nel mio petto… contro il trionfo della violenza e dell'astuzia. Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria… i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni le mie ambizioni. …ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esporla agli orrori di un bombardamento… Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico… non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra… Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l'Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste… Le prigioni sono piene di sospetti… in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle province… la legge marziale… la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi che non s'inchinino alla bandiera di Sardegna… E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero… mi ritirerò con la coscienza sana… farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per le felicità di questi Popoli che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia. (8 dicembre 1860)
Da questa Piazza, dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della patria comune, si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felici.
Traditi egualmente, egualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; che mai ha durato lungamente l'opera della inequità, ne sono eterne le usurpazioni.
Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie; ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me, ma per l'onore del nome che portiamo.
Ma quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portanti il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napolitano batte indignato nel mio petto, consolato soltanto dalla lealtà di questa prode Armata, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo della violenza e dell'astuzia.
Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduti altri paesi, non conosco altro suolo, che il suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni mie ambizioni.
Erede di un'antica dinastia, che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni, ricostituendone la indipendenza e l'autonomia, non vengo, dopo avere spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa, ad impadronirmi con forza straniera della più deliziosa parte d'Italia.
Sono un Principe vostro, che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra' suoi sudditi. Il mondo intero l'ha veduto: per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona.
I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto ai fedeli nel mio Consiglio; ma nella sincerità del mio cuore io non potea credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva aprire dopo tante nostre sventure un'era di persecuzione; e così la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutato la invasione Piemontese, pria per mezzo degli avventurieri rivoluzionari e poi della sua Armata regolare, paralizzando la fedeltà de' miei Popoli, il valore dei miei soldati.
In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue; ed hanno accusata la mia condotta di debolezza. Se l'amore più tenero pei miei sudditi, se la fiducia naturale della gioventù nell'onestà degli altri, se l'orrore istintivo al sangue meritano questo nome, io sono stato certamente debole. Nel momento in che era sicura la rovina dei miei nemici, ho fermato il braccio dei miei Generali per non consumare la distruzione di Palermo; ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esperia agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona.
Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di Garibaldi, che negoziava col mio Governo un'alleanza intima pei veri interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazione di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure ai trionfi dei miei avversari.
Io avea dato un'amnistia, avea aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto ai miei popoli una Costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a guarentire alla Sicilia istituzioni libere, che consecrassero con un Parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica, rimuovendo a un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento.
Avea chiamato ai miei consigli quegli uomini, che mi sembravano più accettabili alla opinione pubblica in quelle circostanze; ed in quanto me lo ha permesso l'incessante aggressione della quale sono stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, ai progressi, ai vantaggi del paese.
Non sono i miei sudditi, che han combattuto contro me; non mi strappano il Regno le discordie intestine; ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero.
Le due Sicilie, salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si trovano nelle mani dei Piemontesi. Che ha dato questa rivoluzione ai miei popoli di Napoli e di Sicilia?
Vedete lo stato che presenta il paese. Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l'Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni son piene di sospetti: in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle province, ed un Generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi, che non s'inchinino alla bandiera di Sardegna.
L'assassinio è ricompensato; il regicidio merita un'apoteosi; il rispetto al culto santo dei nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori al proprio paese ricevono pensioni, che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per tutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto per saziare l'avidità o le passioni dei loro compagni. Uomini che non han mai veduto questa parte d'Italia o che ne hanno in lunga assenza dimenticati i bisogni, formano il vostro Governo. Invece delle libere istituzioni che io vi avea date, e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la Costituzione.
Sparisce sotto i colpi dei vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III; e le due Sicilie sono state dichiarate province d'un Regno lontano. Napoli e Palermo son governati da prefetti venuti da Torino.
Vi è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al trono dei vostri Padri. Che l'oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele ai miei Popoli e alle istituzioni che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed economica per le due Sicilie con Parlamenti separati, amnistia completa per tutti i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di queste basi non vi sarà pel paese che dispotismo o anarchia.
Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare così santo e caro deposito. Se l'autorità ritorna nelle mie mani, sarà per tutelare tutti i diritti, rispettare tutte le proprietà, guarentire le persone e le sostanze dei miei sudditi contro ogni sorta di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero l'ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile tede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l'ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi Popoli, che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.(Proclama Reale dell'8 dicembre 1860)<ref>http://www.ilportaledelsud.org/francesco%20II.htm</ref>
*Quando tornerete alle vostre famiglie, gli uomini d'onore s'inchineranno al vostro passaggio… a tutti stringo le mani con effusione d'affetto e di riconoscenza… eternamente vi serberà gratitudine e amore il vostro Re!
*Quando tornerete alle vostre famiglie, gli uomini d'onore s'inchineranno al vostro passaggio… a tutti stringo le mani con effusione d'affetto e di riconoscenza… eternamente vi serberà gratitudine e amore il vostro Re!
*Voi sognate l'Italia e Vittorio Emanuele, ma purtroppo sarete infelici. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di avere fatto sempre il mio dovere, ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere.
*Voi sognate l'Italia e Vittorio Emanuele, ma purtroppo sarete infelici. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di avere fatto sempre il mio dovere, ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere.

Versione delle 21:47, 28 nov 2010

Francesco II delle Due Sicilie

Francesco d'Assisi Maria Borbone (1836 – 1894), ultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, detto spregiativamente Franceschiello.

Senza fonte

  • I miei affetti sono qui. Io sono napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole d'addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò sempre per essi forti ed ammirevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia Corona non diventi fonte di turbolenze. Sia che per le sorti della presente guerra io ritorni in breve fra voi, o in ogni altro tempo in cui piacerà alla giustizia di Dio restituirmi al trono dei miei maggiori, fatto più splendido dalle libere istituzioni di cui l'ho irrevocabilmente circondato, quello che imploro da ora è di rivedere i miei popoli concordi, forti e felici. (6 settembre 1860, Proclama di Francesco II, Napoli, 6 settembre 1860 (Collezione delle leggi e de' decreti del Regno delle Due Sicilie, Napoli, Stamperia Reale, 1860)
  • Io sono un principe italiano illegalmente spogliato del suo potere, è qui l'unica casa che mi è rimasta, qui è un lembo della mia patria, qui sono vicino al mio Regno ed ai sudditi miei… vengono chiamati assassini e briganti quegli infelici che difendono in una lotta diseguale l'indipendenza della loro patria e i diritti della loro legittima dinastia. In questo senso anche io tengo per un grand'onor di essere un brigante! (durante la permanenza in esilio nello Stato Pontificio)
  • Le iniquità della Storia non resteranno impunite.
  • Non sono i miei sudditi che mi hanno combattuto contro; non mi strappano il Regno le discordie intestine, ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero.
  • Popoli delle Due Sicilie!

Da questa Piazza, dove difendo più che la mia corona l'indipendenza della patria comune, si alza la voce del vostro Sovrano per consolarvi nelle vostre miserie, per promettervi tempi più felici. Traditi egualmente, egualmente spogliati, risorgeremo allo stesso tempo dalle nostre sventure; che mai ha durato lungamente l'opera della inequità, ne sono eterne le usurpazioni. Ho lasciato perdersi nel disprezzo le calunnie; ho guardato con isdegno i tradimenti, mentre che tradimenti e calunnie attaccavano soltanto la mia persona; ho combattuto non per me, ma per l'onore del nome che portiamo. Ma quando veggo i sudditi miei, che tanto amo, in preda a tutti i mali della dominazione straniera, quando li vedo come popoli conquistati portanti il loro sangue e le loro sostanze ad altri paesi, calpestati dal piede di straniero padrone, il mio cuore Napolitano batte indignato nel mio petto, consolato soltanto dalla lealtà di questa prode Armata, dallo spettacolo delle nobili proteste che da tutti gli angoli del Regno si alzano contro il trionfo della violenza e dell'astuzia. Io sono Napolitano; nato tra voi, non ho respirato altra aria, non ho veduti altri paesi, non conosco altro suolo, che il suolo natio. Tutte le mie affezioni sono dentro il Regno: i vostri costumi sono i miei costumi, la vostra lingua la mia lingua, le vostre ambizioni mie ambizioni. Erede di un'antica dinastia, che ha regnato in queste belle contrade per lunghi anni, ricostituendone la indipendenza e l'autonomia, non vengo, dopo avere spogliato del loro patrimonio gli orfani, dei suoi beni la Chiesa, ad impadronirmi con forza straniera della più deliziosa parte d'Italia. Sono un Principe vostro, che ha sacrificato tutto al suo desiderio di conservare la pace, la concordia, la prosperità tra' suoi sudditi. Il mondo intero l'ha veduto: per non versare il sangue ho preferito rischiare la mia corona. I traditori pagati dal nemico straniero sedevano accanto ai fedeli nel mio Consiglio; ma nella sincerità del mio cuore io non potea credere al tradimento. Mi costava troppo punire; mi doleva aprire dopo tante nostre sventure un'era di persecuzione; e così la slealtà di pochi e la clemenza mia hanno aiutato la invasione Piemontese, pria per mezzo degli avventurieri rivoluzionari e poi della sua Armata regolare, paralizzando la fedeltà de' miei Popoli, il valore dei miei soldati. In mano a cospirazioni continue non ho fatto versare una goccia di sangue; ed hanno accusata la mia condotta di debolezza. Se l'amore più tenero pei miei sudditi, se la fiducia naturale della gioventù nell'onestà degli altri, se l'orrore istintivo al sangue meritano questo nome, io sono stato certamente debole. Nel momento in che era sicura la rovina dei miei nemici, ho fermato il braccio dei miei Generali per non consumare la distruzione di Palermo; ho preferito lasciare Napoli, la mia propria casa, la mia diletta capitale per non esperia agli orrori di un bombardamento, come quelli che hanno avuto luogo più tardi in Capua ed in Ancona. Ho creduto di buona fede che il Re di Piemonte, che si diceva mio fratello, mio amico, che mi protestava disapprovare la invasione di Garibaldi, che negoziava col mio Governo un'alleanza intima pei veri interessi d'Italia, non avrebbe rotto tutti i patti e violate tutte le leggi per invadere i miei Stati in piena pace, senza motivi né dichiarazione di guerra. Se questi erano i miei torti, preferisco le mie sventure ai trionfi dei miei avversari. Io avea dato un'amnistia, avea aperto le porte della patria a tutti gli esuli, conceduto ai miei popoli una Costituzione. Non ho mancato certo alle mie promesse. Mi preparava a guarentire alla Sicilia istituzioni libere, che consecrassero con un Parlamento separato la sua indipendenza amministrativa ed economica, rimuovendo a un tratto ogni motivo di sfiducia e di scontento. Avea chiamato ai miei consigli quegli uomini, che mi sembravano più accettabili alla opinione pubblica in quelle circostanze; ed in quanto me lo ha permesso l'incessante aggressione della quale sono stato vittima, ho lavorato con ardore alle riforme, ai progressi, ai vantaggi del paese. Non sono i miei sudditi, che han combattuto contro me; non mi strappano il Regno le discordie intestine; ma mi vince l'ingiustificabile invasione d'un nemico straniero. Le due Sicilie, salvo Gaeta e Messina, questi ultimi asili della loro indipendenza, si trovano nelle mani dei Piemontesi. Che ha dato questa rivoluzione ai miei popoli di Napoli e di Sicilia? Vedete lo stato che presenta il paese. Le finanze un tempo così floride sono completamente rovinate: l'Amministrazione è un caos: la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni son piene di sospetti: in vece di libertà lo stato di assedio regna nelle province, ed un Generale straniero pubblica la legge marziale, decreta la fucilazione istantanea per tutti quelli fra i miei sudditi, che non s'inchinino alla bandiera di Sardegna. L'assassinio è ricompensato; il regicidio merita un'apoteosi; il rispetto al culto santo dei nostri Padri è chiamato fanatismo; i promotori della guerra civile, i traditori al proprio paese ricevono pensioni, che paga il pacifico contribuente. L'anarchia è da per tutto. Avventurieri stranieri han rimestato tutto per saziare l'avidità o le passioni dei loro compagni. Uomini che non han mai veduto questa parte d'Italia o che ne hanno in lunga assenza dimenticati i bisogni, formano il vostro Governo. Invece delle libere istituzioni che io vi avea date, e che era mio desiderio sviluppare, avete avuta la più sfrenata dittatura, e la legge marziale sostituisce adesso la Costituzione. Sparisce sotto i colpi dei vostri dominatori l'antica monarchia di Ruggiero e di Carlo III; e le due Sicilie sono state dichiarate province d'un Regno lontano. Napoli e Palermo son governati da prefetti venuti da Torino. Vi è un rimedio per questi mali, per le calamità più grandi che prevedo. La concordia, la risoluzione, la fede nell'avvenire. Unitevi intorno al trono dei vostri Padri. Che l'oblio copra per sempre gli errori di tutti; che il passato non sia mai pretesto di vendetta, ma pel futuro lezione salutare. Io ho fiducia nella giustizia della Provvidenza, e qualunque sia la mia sorte, resterò fedele ai miei Popoli e alle istituzioni che ho loro accordate. Indipendenza amministrativa ed economica per le due Sicilie con Parlamenti separati, amnistia completa per tutti i fatti politici; questo è il mio programma. Fuori di queste basi non vi sarà pel paese che dispotismo o anarchia. Difensore della sua indipendenza, io resto e combatto qui per non abbandonare così santo e caro deposito. Se l'autorità ritorna nelle mie mani, sarà per tutelare tutti i diritti, rispettare tutte le proprietà, guarentire le persone e le sostanze dei miei sudditi contro ogni sorta di oppressione e di saccheggio. E se la Provvidenza nei suoi alti disegni permetta che cada sotto i colpi del nemico straniero l'ultimo baluardo della monarchia, mi ritirerò con la coscienza sana, con incrollabile tede, con immutabile risoluzione; ed aspettando l'ora inevitabile della giustizia, farò i più fervidi voti per la prosperità della mia patria, per la felicità di questi Popoli, che formano la più grande e più diletta parte della mia famiglia.(Proclama Reale dell'8 dicembre 1860)[1]

  • Quando tornerete alle vostre famiglie, gli uomini d'onore s'inchineranno al vostro passaggio… a tutti stringo le mani con effusione d'affetto e di riconoscenza… eternamente vi serberà gratitudine e amore il vostro Re!
  • Voi sognate l'Italia e Vittorio Emanuele, ma purtroppo sarete infelici. I napoletani non hanno voluto giudicarmi a ragion veduta; io però ho la coscienza di avere fatto sempre il mio dovere, ad essi rimarranno solo gli occhi per piangere.

Citazioni su Francesco II delle Due Sicilie

  • Come mai suo padre, servitore della prode monarchia, parlava ancora rispettosamente dei vili tiranni? Dell'ordinamento costituzionale, il giovanetto aveva udito spiegare la perfezione: Re e Popolo partecipi del governo, quello coi ministri, questo coi deputati; il Senato di nomina regia moderatore della Camera elettiva; il potere giudiziario libero e indipendente fra il legislativo e l'esecutivo: che cosa poteva opporre suo padre a questa perfezione? Un più grave e doloroso stupore egli doveva provare, udendo in famiglia affermare che, senza il tradimento, né mille né diecimila garibaldini avrebbero potuto abbattere un regno come quello di Francesco II! (Federico De Roberto)
  • Se l'Italia, nonostante la cronica instabilità, non è più quella di Franceschiello, lo si deve soprattutto alle classi medie, pilastri di una società economicamente e civilmente evoluta. (Roberto Gervaso)

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