Karlheinz Deschner: differenze tra le versioni

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*Se il [[prete]] non è un attore per natura, lo diviene ''ex professo''. Ama la ''mise en scène'', il ruolo e il travestimento, il ''camouflage'': il suo carisma. «L'ho sentito vantare più volte, un commediante potrebbe insegnare a un prete». Non solo durante la «funzione religiosa» egli, a seconda dell'anno liturgico, si infila in paramenti sempre nuovi, si adorna e cangia colore durante feste e digiuni. Non solo ''in politicis'' la sua natura proteica ottiene con l'inganno trionfi su trionfi, attraversando le epoche come un camaleonte; anche teologicamente vuole, come Paolo, l'Astuto, essere tutto per tutti, e così facendo la tattica (non magari la vergogna!) lo costringe a nascondigli sempre più meschini, a una sempre più sottile capacità di simulazione, a scaltrezze sempre più virtuosistiche, a un'ottica la cui deformazione non è così lesta a tradirsi, a prassi terminologiche che si prendono spesso gioco di ogni chiarezza e solidità, il suo armamentario resta intenzionalmente impreciso, ambiguo, e fluttua come qua e là nella nebbia, in modo che anche lui, fluttuando, cianciando, tacendo, sopravviva, l'autentica divina commedia. (da ''Perché sono un agnostico'', pp. 70-71)
*Se il [[prete]] non è un attore per natura, lo diviene ''ex professo''. Ama la ''mise en scène'', il ruolo e il travestimento, il ''camouflage'': il suo carisma. «L'ho sentito vantare più volte, un commediante potrebbe insegnare a un prete». Non solo durante la «funzione religiosa» egli, a seconda dell'anno liturgico, si infila in paramenti sempre nuovi, si adorna e cangia colore durante feste e digiuni. Non solo ''in politicis'' la sua natura proteica ottiene con l'inganno trionfi su trionfi, attraversando le epoche come un camaleonte; anche teologicamente vuole, come Paolo, l'Astuto, essere tutto per tutti, e così facendo la tattica (non magari la vergogna!) lo costringe a nascondigli sempre più meschini, a una sempre più sottile capacità di simulazione, a scaltrezze sempre più virtuosistiche, a un'ottica la cui deformazione non è così lesta a tradirsi, a prassi terminologiche che si prendono spesso gioco di ogni chiarezza e solidità, il suo armamentario resta intenzionalmente impreciso, ambiguo, e fluttua come qua e là nella nebbia, in modo che anche lui, fluttuando, cianciando, tacendo, sopravviva, l'autentica divina commedia. (da ''Perché sono un agnostico'', pp. 70-71)
*Il [[fanatismo]] è l'energia degli stupidi, di coloro che sono capaci di tutto, ma a parte questo di niente. (da ''Io non ho bisogno di immagini di Dio'', p. 84)
*Il [[fanatismo]] è l'energia degli stupidi, di coloro che sono capaci di tutto, ma a parte questo di niente. (da ''Io non ho bisogno di immagini di Dio'', p. 84)
*Lo so, trovate tutto questo disgustoso. Cercherete di farmi tacere in un modo o nell'altro. Considerate però: se voi aveste taciuto per primi, quanto volentieri lo avrei fatto anche io. E se almeno in futuro teneste chiusi i vostri becchi pieni di Dio, anch'io terrei chiuso il mio becco ateo. [[Johann Wolfgang Goethe|Goethe]] insegnò a venerare in silenzio l'imperscrutabile. E [[Charles Darwin| Darwin]] sentiva profondamente che il Tutto era troppo misterioso per la ragione umana. «Allo stesso modo un cane potrebbe speculare sulla ragione di Newton...»<br />Niente nella mia vita mi manca meno di Dio. (da ''Io non ho bisogno di immagini di Dio'', p. 89)


==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 21:13, 12 apr 2011

Karlheinz Deschner

Karlheinz Deschner (1924), storico e scrittore tedesco.

Sopra di noi... niente

  • L'anima è «invisibile». Nessuno l'ha mai vista, nessuno ha dimostrato che essa possa essere priva di corpo, per tutta l'eternità e con la coscienza della propria identità – sempre ammesso che essa esista. (da Perché sono un agnostico, p. 23)
  • Il motivo fondamentale della fede nell'immortalità è il nostro impulso di conservazione. Le obiezioni a questo proposito sono alquanto inutili. L'uomo non vuole soccombere per sempre. (da Perché sono un agnostico, p. 26)
  • Giordano Bruno, bruciato pubblicamente dal clero il 17 febbraio 1600, dopo sette tetri anni di carcere, vedeva la natura stessa come origine della creazione, non considerava niente come privo di vita, tutto come animato, non credeva ad alcun reale annientamento, bensì alla trasformazione. (da Perché sono un agnostico, p. 28)
  • Specialmente i cattolici hanno inventato tutto un bric-à-brac di «prove dell'esistenza di Dio», tutte del medesimo convincente calibro: gli stessi stratagemmi, le stesse ecclesiastiche capriole, atti di stupro filosofico, talvolta sospetti perfino ai signori della chiesa. (da Perché sono un agnostico, p. 33)
  • L'agnostico è scettico, solitario, un outsider. Ha un orientamento meno dogmatico che concreto, la sua visione del mondo è meno una confessione di fede che – come già per Thomas Huxley – un metodo critico, un punto di vista sperimentale. L'agnostico tende a porre delle riserve, tende al provvisorio. Non ama i fiancheggiatori e i seguaci, le «grandi convinzioni», i forti nella fede e le teste vuote di ogni genere. Non fonda partiti e sette, non organizza missioni e non paga funzionari. Il mondo per lui non è così univoco come per gli ortodossi di ogni provenienza e provincia. È più incline a mettere in dubbio che a dire di sì, più all'obiezione e spesso anche alla ripulsione che a un qualsivoglia consenso, più alla demolizione degli idoli che all'antropolatria, e la realtà, tutto intorno al globo, gli fornisce conferme. (da Perché sono un agnostico, p. 35)
  • Tuttavia: se egli creò il mondo, non era sufficiente a se stesso? Se cercava compagnia, perché non una migliore? Non era onnipotente? E perché cacciò via dal paradiso? Perché il peccato originale, il libero arbitrio, che conduce tanta gente all'inferno? Non è benigno? E perché nessun libero arbitrio per la stragrande maggioranza degli esseri viventi? Perché l'eliminazione tramite il diluvio universale? Perché si pentì, riparò, agì proprio come un uomo irritato, iroso, confuso? Perché la redenzione attraverso il figlio? Perché non prima? O se sì, perché un'altra redenzione speciale dopo? E per quale motivo tutto questo credere, questo credere in lui? La sua potenza diviene più grande, più piccola, come quella di un uomo politico, se aumenta o diminuisce il numero dei suoi seguaci? Un tale «spirito sommo» ha bisogno della nostra venerazione? Non è felice altrimenti? Diviene più felice così? (da Perché sono un agnostico, p. 43)
  • Chi crede non vuole pensare, ma spostare montagne, diventare beato, avere molto: Dio, immortalità, felicità eterna. Forse è per questo che non vuole pensare? Forse non ne è affatto capace? In ogni caso non deve. Spesso non ne ha bisogno, perché altri se ne incaricano per lui. (da Perché sono un agnostico, p. 48)
  • Nessuno è spudorato quanto un teologo. (da Perché sono un agnostico, p. 57)
  • [...] nella prima pagina della Bibbia, Dio stesso ordina ai suoi due ritratti di «regnare sopra i pesci nel mare e gli uccelli sotto il cielo e sopra il bestiame e tutti gli animali dei campi». Per esigere subito di nuovo: «e rendeteli vostri sudditi e regnate...». [...] Esemplarmente opposto il buddismo, che nel suo divieto di uccidere comprende il mondo non umano! Già Buddha esige felicità e pace per ogni creatura, quindi esclusione di ogni «ferita» e «uccisione», di ogni «atto di violenza verso tutti gli esseri», che, pianta, animale o uomo, «dinanzi alla violenza tremano». [...] Nel cristianesimo, invece, l'animale è una cosa; un semplice oggetto da sfruttare, allevare, cacciare e mangiare, l'uomo è il nemico mortale dell'animale, il suo diavolo. (da Perché sono un agnostico, pp. 59-60)
  • Anche se intere generazioni di teologi hanno demonizzato certe teorie di Copernico, Galileo, Darwin, quando una conoscenza vale per tutti, la avalla anche il clero; allora ognuno ha il permesso di credere ciò che un tempo era eresia, e diventare comunque beato.
    Quello che conta non è infatti ciò che viene annunciato, ma chi lo annuncia. Ogni «nuova» teologia è un nuovo tentativo teologico di sopravvivenza. (da Perché sono un agnostico, p. 68)
  • Se il prete non è un attore per natura, lo diviene ex professo. Ama la mise en scène, il ruolo e il travestimento, il camouflage: il suo carisma. «L'ho sentito vantare più volte, un commediante potrebbe insegnare a un prete». Non solo durante la «funzione religiosa» egli, a seconda dell'anno liturgico, si infila in paramenti sempre nuovi, si adorna e cangia colore durante feste e digiuni. Non solo in politicis la sua natura proteica ottiene con l'inganno trionfi su trionfi, attraversando le epoche come un camaleonte; anche teologicamente vuole, come Paolo, l'Astuto, essere tutto per tutti, e così facendo la tattica (non magari la vergogna!) lo costringe a nascondigli sempre più meschini, a una sempre più sottile capacità di simulazione, a scaltrezze sempre più virtuosistiche, a un'ottica la cui deformazione non è così lesta a tradirsi, a prassi terminologiche che si prendono spesso gioco di ogni chiarezza e solidità, il suo armamentario resta intenzionalmente impreciso, ambiguo, e fluttua come qua e là nella nebbia, in modo che anche lui, fluttuando, cianciando, tacendo, sopravviva, l'autentica divina commedia. (da Perché sono un agnostico, pp. 70-71)
  • Il fanatismo è l'energia degli stupidi, di coloro che sono capaci di tutto, ma a parte questo di niente. (da Io non ho bisogno di immagini di Dio, p. 84)
  • Lo so, trovate tutto questo disgustoso. Cercherete di farmi tacere in un modo o nell'altro. Considerate però: se voi aveste taciuto per primi, quanto volentieri lo avrei fatto anche io. E se almeno in futuro teneste chiusi i vostri becchi pieni di Dio, anch'io terrei chiuso il mio becco ateo. Goethe insegnò a venerare in silenzio l'imperscrutabile. E Darwin sentiva profondamente che il Tutto era troppo misterioso per la ragione umana. «Allo stesso modo un cane potrebbe speculare sulla ragione di Newton...»
    Niente nella mia vita mi manca meno di Dio. (da Io non ho bisogno di immagini di Dio, p. 89)

Bibliografia

  • Karlheinz Deschner, Sopra di noi... niente. Per un cielo senza dèi e un mondo senza preti, traduzione di Gianni Bertocchini, Ariele, 2008.

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