Roberto Calasso: differenze tra le versioni

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*La scuola dello [[Śukla Yajurveda|Yajur Veda Bianco]] si differenzia da quella dello [[Kṛṣṇa Yajurveda|Yajur Veda Nero]] innanzitutto perché separa nettamente i ''mantra'' – o «formule » in versi, spesso ricavate dal ''Ṛgveda'' – dalla parte di commento al rituale, che è in prosa. Non sappiamo né possiamo ricostruire quali motivi fossero all'origine di quella divaricazione. (p. 192)
*La scuola dello [[Śukla Yajurveda|Yajur Veda Bianco]] si differenzia da quella dello [[Kṛṣṇa Yajurveda|Yajur Veda Nero]] innanzitutto perché separa nettamente i ''mantra'' – o «formule » in versi, spesso ricavate dal ''Ṛgveda'' – dalla parte di commento al rituale, che è in prosa. Non sappiamo né possiamo ricostruire quali motivi fossero all'origine di quella divaricazione. (p. 192)
*È indubbio comunque che nelle Upaniṣad si assiste a un tendenziale deprezzamento della [[conoscenza]] attraverso le opere e a una parallela esaltazione di una conoscenza scissa da ogni atto. È la prima gnosi, modello di ogni altra. Ma sarebbe ingenuo e incongruo pensare che agli autori dei Brahmana tale distinzione non fosse già chiara, quasi fossero superstiziosi artigiani liturgici, ignari di metafisica. (p. 196)
*È indubbio comunque che nelle Upaniṣad si assiste a un tendenziale deprezzamento della [[conoscenza]] attraverso le opere e a una parallela esaltazione di una conoscenza scissa da ogni atto. È la prima gnosi, modello di ogni altra. Ma sarebbe ingenuo e incongruo pensare che agli autori dei Brahmana tale distinzione non fosse già chiara, quasi fossero superstiziosi artigiani liturgici, ignari di metafisica. (p. 196)
*Dire che una certa erba «è la forza» suona davvero più incomprensibile delle parole di [[Gesù]] all'ultima cena, quando dice che un pezzo di pane è il suo corpo e il vino è il suo sangue? Dire «Prajapati è il pensiero» è più incongruo che parlare di un verbo che si è fatto carne? È plausibile che «il nostro modo di pensare» sia così arido e squallido da non includere in sé, almeno in una qualche misura, il ''pensare per immagini''? (p. 202)


==''Le nozze di Cadmo e Armonia''==
==''Le nozze di Cadmo e Armonia''==

Versione delle 11:43, 25 mag 2011

Roberto Calasso, 1991

Roberto Calasso (1941 – vivente), scrittore italiano.

L'ardore

Incipit

Erano esseri remoti, non solo dai moderni ma dai loro contemporanei antichi. Distanti non già come un'altra cultura, ma come un altro corpo celeste. Così distanti che il punto da cui vengono osservati diventa pressoché indifferente. Che ciò avvenga oggi o cento anni or sono, nulla di essenziale cambia. Per chi è nato in India alcune parole, alcuni gesti, alcuni oggetti potranno suonare più familiari, come un invincibile atavismo. Ma sono lembi dispersi di un sogno di cui si è annebbiata la vicenda.

Citazioni

  • Ben poco di tangibile rimane dell'epoca vedica. Non sussistono edifici, né monconi di edifici, né simulacri. Al più, qualche frusto reperto nelle teche di alcuni musei. Edificarono un Partenone di parole: la lingua sanscrita, poiché saṃskṛta significa «perfetto». (p. 21)
  • Né l'Egitto, né la Mesopotamia, né la Cina, né tanto meno la Grecia (con la sua provocatoria mancanza di testi liturgici) possono offrire qualcosa di neppur lontanamente paragonabile al corpus vedico, per il rigore dell'impianto formale, l'esclusione di ogni quadro temporale – storico, annalistico –, l'invadenza della liturgia, infine per la raffinatezza, foltezza e capziosità dei collegamenti interni, fra le varie parti del Corpus. (p. 29)
  • Degli inni del Ṛgveda si dice che furono visti dai ṛṣi. Perciò i ṛṣi possono essere definiti «veggenti». Videro gli inni come si vede un albero o un fiume. (p. 131)
  • Se da Brahma discende l'ordine e l'autorità sacerdotale, Śiva è la perpetua certezza che a un certo punto quell'ordine verrà abbattuto, che non reggerà all'urto di una qualche forza che sussiste al di là del rito. (p. 136)
  • Dal Ṛgveda alla Bhagavad Gītā si elabora un pensiero che non riconosce mai un soggetto singolo, ma presuppone al contrario un soggetto duale. Così è perché duale è la costituzione della mente: fatta di uno sguardo che percepisce (mangia) il mondo e di uno sguardo che contempla lo sguardo rivolto al mondo. La prima enunciazione di questo pensiero si ha con i due uccelli dell'inno 1, 164 del Ṛgveda: «Due uccelli, una coppia di amici, sono aggrappati allo stesso albero. Uno di loro mangia la dolce bacca del pippala; l'altro, senza mangiare, guarda». Non c'è rivelazione che vada oltre questa, nella sua elementarità. E il Ṛgveda la presenta con la limpidezza del suo linguaggio enigmatico. La costituzione duale della mente implica che in ciascuno di noi abitino e vivano perennemente i due uccelli: il Sé, ātman, e l'Io, aham. (p. 157)
  • L'India comincia e finisce con qualcosa che solo all'inizio del Novecento – e per la via imprevista della logica – è diventato centrale anche in Occidente, quando vennero scoperti i paradossi della teoria degli insiemi. (p. 161)
  • L'Io si sovrappone al Sé così perfettamente che può nasconderlo. Di fatto, è ciò che avvenne durante il corso della filosofia occidentale. Che non si preoccupò mai di dare un nome al Sé, ma scelse sempre come osservatorio l'Io, anche se così lo chiamò solo in epoca tarda, con Kant. Prima, era l'indubitabile soggetto, la prima persona del Cogito di Descartes. Per Sanatkumāra, invece, l'Io è l'ostacolo più temibile, quello che può precludere per sempre l'accesso al Sé. (p. 167)
  • Il Ṛgveda, dopo tutto, può anche essere letto come l'esempio più grandioso — e anche convincente – di poesia simbolista; mentre le Upaniṣad, lo riconobbe subito Schopenhauer, possono essere lette come un primo testo metafisico. Ma i Brāhmaṇa non erano né poesia né filosofia. (p. 189)
  • La scuola dello Yajur Veda Bianco si differenzia da quella dello Yajur Veda Nero innanzitutto perché separa nettamente i mantra – o «formule » in versi, spesso ricavate dal Ṛgveda – dalla parte di commento al rituale, che è in prosa. Non sappiamo né possiamo ricostruire quali motivi fossero all'origine di quella divaricazione. (p. 192)
  • È indubbio comunque che nelle Upaniṣad si assiste a un tendenziale deprezzamento della conoscenza attraverso le opere e a una parallela esaltazione di una conoscenza scissa da ogni atto. È la prima gnosi, modello di ogni altra. Ma sarebbe ingenuo e incongruo pensare che agli autori dei Brahmana tale distinzione non fosse già chiara, quasi fossero superstiziosi artigiani liturgici, ignari di metafisica. (p. 196)
  • Dire che una certa erba «è la forza» suona davvero più incomprensibile delle parole di Gesù all'ultima cena, quando dice che un pezzo di pane è il suo corpo e il vino è il suo sangue? Dire «Prajapati è il pensiero» è più incongruo che parlare di un verbo che si è fatto carne? È plausibile che «il nostro modo di pensare» sia così arido e squallido da non includere in sé, almeno in una qualche misura, il pensare per immagini? (p. 202)

Le nozze di Cadmo e Armonia

Incipit

Sulla spiaggia di Sidone un toro tentava di imitare un gorgheggio amoroso. Era Zeus. Fu scosso da un brivido, come quando i tafani lo pungevano. Ma questa volta un brivido dolce. Eros gli stava mettendo sulla groppa la fanciulla Europa. Poi la bestia bianca si gettò in acqua, e il suo corpo imponente ne emergeva abbastanza perché la fanciulla non si bagnasse. Lo videro in molti. Tritone, con la sua conchiglia sonora, rispose al mugghio nuziale. Europa, tremante, si teneva aggrappata a uno dei lunghi corni del toro. Li vide anche Borea, mentre fendevano le acque. Malizioso e geloso, fischiò alla vista di quei seni acerbi che il suo soffio scopriva. Atena arrossì spiando dall'alto il padre cavalcato da una donna. Anche un marinaio acheo li vide, e allibì. Era forse Teti, curiosa di vedere il cielo? O una Nereide soltanto, e per una volta vestita? O Poseidone ingannatore aveva rapito un'altra ragazza?

Citazioni

  • Il gesto mitico è un'onda che, nell'infrangersi, disegna un profilo, come i dadi gettati formano un numero. Ma ritirandosi accresce nella risacca la complicazione indominata, e alla fine la commistione, il disordine, da cui nasce un ulteriore gesto mitico. Perciò il mito non ammette sistema.
  • Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a differenza dei personaggi del romanzo, vincolati ogni volta a un solo gesto.
  • Le storie non vivono mai solitarie: sono rami di una famiglia, che occorre risalire all'indietro e in avanti.

Bibliografia

  • Roberto Calasso, L'ardore, Adelphi, 2010.
  • Roberto Calasso, Le nozze di Cadmo e Armonia, Adelphi, 1988.

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