Giuseppe Antonio Borgese: differenze tra le versioni

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* Questa delle pronunzie e accenti può essere una faccenda fatale come fu ai francesi del Vespro che non sapevano dir ''cece'' e per inadempienza fonetica caddero trafitti, o com'era già stata agli Eframiti che per dire ''sibboleth'' invece di ''scibboleth'' furono strangolati ai guadi del Giordano. (''Accenti'', p. 269)
* Questa delle pronunzie e accenti può essere una faccenda fatale come fu ai francesi del Vespro che non sapevano dir ''cece'' e per inadempienza fonetica caddero trafitti, o com'era già stata agli Eframiti che per dire ''sibboleth'' invece di ''scibboleth'' furono strangolati ai guadi del Giordano. (''Accenti'', p. 269)


* Lei dice “chiunque intenda quella stessa lingua”, “le parole sono segni di cose”, e invece non vivono due persone che parlino la stessa lingua, né ci sono due momenti in cui una parola individui la stessa cosa, παντα ρει. […] la lingua della poesia e della vita non è né una lingua morta, né una lingua concettuale – sostituibile vale a dire, con un complesso di segni grafici senza suono […]. Il significato emozionale della parola varia da uomo a uomo, ed ogni sillaba è colorata dal tono del suo spirito (Lettera a [[Giovanni Alfredo Cesareo]], p. 318)
* Lei dice “chiunque intenda quella stessa lingua”, “le parole sono segni di cose”, e invece non vivono due persone che parlino la stessa lingua, né ci sono due momenti in cui una parola individui la stessa cosa, [[:it:Panta rei|παντα ρει]]. […] la lingua della poesia e della vita non è né una lingua morta, né una lingua concettuale – sostituibile vale a dire, con un complesso di segni grafici senza suono […]. Il significato emozionale della parola varia da uomo a uomo, ed ogni sillaba è colorata dal tono del suo spirito (Lettera a [[Giovanni Alfredo Cesareo]], p. 318)


* Come ancor oggi Palermo è per i viaggiatori italiani città più lontana di [[Parigi]] e [[Londra]], così la sua vita di un secolo fa è meno ''simpatica'' al nostro spirito – dico ''simpatica'' nel senso profondo della parola – di quella che oggi si vive in America o in [[Giappone]]. E fors'anco è più affinità fra noi e i siciliani dell'epoca sveva, anzi che fra gli italiani d'oggi e i palermitani del regno di Ferdinando I. […] Eppure, sullo scorcio del secolo XVIII, la Sicilia era più remota da ogni sentimento d'italianità che non fosse, starei per dire, ai tempi di [[Federico II del Sacro Romano Impero|Federico II]]. Patria, razza, mondo era l'isola delle tre punte, l'isola che fu creata dalla testa di [[Giove]], mentre l'Italia non era che una gamba della divinità secondo l'apologo del [[Giovanni Meli|Meli]]. ''Matrigna'' chiama il Meli la [[lingua italiana]], in antitesi alla siciliana madre. […] Certo in altre province d'Italia non si dormiva così grosso; e la prova ne è che la [[Rivoluzione francese|Rivoluzione]] le toccò tutte, fuorché la Sicilia, e che la Sicilia rimase fino a Waterloo l'unico sicuro asilo dell'''ancien régime'' in Italia. (recensione a ''Palermo avanti la rivoluzione'' del 12 febbraio 1905, p. 371)
* Come ancor oggi Palermo è per i viaggiatori italiani città più lontana di [[Parigi]] e [[Londra]], così la sua vita di un secolo fa è meno ''simpatica'' al nostro spirito – dico ''simpatica'' nel senso profondo della parola – di quella che oggi si vive in America o in [[Giappone]]. E fors'anco è più affinità fra noi e i siciliani dell'epoca sveva, anzi che fra gli italiani d'oggi e i palermitani del regno di Ferdinando I. […] Eppure, sullo scorcio del secolo XVIII, la Sicilia era più remota da ogni sentimento d'italianità che non fosse, starei per dire, ai tempi di [[Federico II del Sacro Romano Impero|Federico II]]. Patria, razza, mondo era l'isola delle tre punte, l'isola che fu creata dalla testa di [[Giove]], mentre l'Italia non era che una gamba della divinità secondo l'apologo del [[Giovanni Meli|Meli]]. ''Matrigna'' chiama il Meli la [[lingua italiana]], in antitesi alla siciliana madre. […] Certo in altre province d'Italia non si dormiva così grosso; e la prova ne è che la [[Rivoluzione francese|Rivoluzione]] le toccò tutte, fuorché la Sicilia, e che la Sicilia rimase fino a Waterloo l'unico sicuro asilo dell'''ancien régime'' in Italia. (recensione a ''Palermo avanti la rivoluzione'' del 12 febbraio 1905, p. 371)

Versione delle 20:50, 26 mag 2011

Giuseppe Antonio Borgese (1882 – 1952), scrittore, giornalista e critico letterario italiano.

Citazioni di Giuseppe Antonio Borgese

  • Il tema più essenziale della letteratura italiana, finché essa si è mantenuta sui vertici, è quello del Giudice divino e della Vergine. [..] La letteratura e l'arte italiana sorsero da un ceppo religioso e di esso continuarono a nutrirsi. Protagonista fu il Pantocrator, il Cristo vincente della Divina Commedia e del Giudizio universale. Eroina fu la Paneghia, la tutta santa, la tutta pura, la Vergine amata. (da Il senso della letteratura italiana, F.lli Treves, 1931)

Una Sicilia senza aranci

  • Sia fatta confessione plenaria, o quasi. Io non sono mai stato a Girgenti, io non ho mai salito l'Etna, io non sono mai stato a Selinunte, io non ho mai visto Erice, Monte San Giuliano, di cui mi raccontava abbaglianti meraviglie il mio professore d'Italiano al liceo, Ugo Antonio Amico, e di cui, anche recentemente, un giovane scrittore italiano, non siciliano, mi diceva che Capri non è nulla al confronto. Ultimo, e peggio di tutti per misurare l'abisso della mia ignoranza, io non sono mai stato a Segesta che è, si direbbe, alle porte di Palermo.
    Eppure a che servono questi elenchi? E che cosa sono quando le cose che esistono dentro la mente, dentro al cuore vi si sono stampate con un'orma la cui profondità, la cui stabilità non è paragonabile a nessun altra? (Discorso sulla Sicilia (ai siciliani?), p. 93)
  • Essi, i miei connazionali, e soprattutto i miei corregionali, mi hanno aiutato un poco a farmi capire che cosa sono venuto a fare in America. Il primo impulso, la prima tentazione di uno di noi è di fuggire, imbarcandosi di nuovo sullo stesso piroscafo per tornare a casa. Il secondo stato d'animo consiste nel farsi una nicchia dentro questo mondo, nello starci a modo nostro ignorandolo: veri emigrati, anzi veri esuli, dalle facce lunghe, con una patina di tristezza che non si può dire, e che si riconosce anche su gente ch'è qui da trent'anni, e che magari ha fatto bene i suoi affari. Non credo che alcuna altra razza abbia conservato come la nostra questo carattere inibitivo, questa obiezione silenziosa.
    Io cerco, come alcuni hanno cercato, di giungere a un terzo stadio: non dico di divenire americano, ma di comprendere, cioè di prendere in me, questo mondo. Una conquista dell'America?, naturalmente, ritorno a ricordarmi di quelle indimenticabili parole di Goethe, che ho sempre nell'animo a questo e a molti altri propositi. "Qui, o in nessun luogo, è l'America". Qui, cioè dentro di noi. (I siciliani in America, pp. 125-126)
  • Un'isola non abbastanza isola: in questa contraddizione è contenuto il tema storico della Sicilia, la sua sostanza vitale.
    Lo stretto di Messina che la separa dal continente nel suo punto più angusto non raggiunge i quattro chilometri [...] Le montagne del suo nord-est sono esattamente analoghe a quelle che formano la catena parallela di Aspromonte in Calabria [...] Anche la separazione dall'Affrica, ben più vasta, ma non enorme (ottanta miglia), non ebbe carattere di stabilità [...]
    Questa vicenda e caratteristica geologica è l'abbozzo del destino umano della Sicilia, il suo nec tecum nec sine te vivere possum. (Sicilia, p. 129)
  • Goethe che visitò la Sicilia quando era più lontana che non sia l'India oggi, ed era ignota de visu anche ad archeologi d'avanguardia, anche allo stesso Winckelmann, Goethe ammirò incantato il monte Pellegrino su Palermo, «il più bel promontorio del mondo», e cercò arte e natura su strade ancora inospiti, su clivi inaccessi, disse una delle sue parole profetiche scrivendo che l'Italia senza la Sicilia non è un tutto. (Sicilia, pp. 140-141)
  • Meno che nazione, la Sicilia è più che regione; non un frammento d'Italia, ma sua integrazione e aumento. (Sicilia, p. 141)
  • Giacché tale è la caratteristica dell'arte di Luigi Pirandello: un realismo cinico. Non ch'egli sia incapace di pagine sottilmente e dolorosamente poetiche, ove vibri un umorismo di superiore qualità spirituale. (recensione di La vita nuda di Luigi Pirandello, p. 206)
  • Questo principalmente distingue lo scrittore dalla maggioranza dei suoi amici; ch'egli preferisce abitualmente l'ultimo libro, e la maggioranza degli amici trova sempre migliore il libro precedente. (Piccole confidenze di G.A. Borgese, p. 252)
  • Aspiro, per quando sia morto, a una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto o malvagio. (Piccole confidenze di G.A. Borgese, p. 253)
  • Polizzano o petralese, il ragazzetto di montagna era comunque «regnicolo», uno del regno, che è poi la provincia, tutta l'isola, come la misura dai suoi fastigi il fanciullo nativo di quella che fu, e sempre è nel suo cuore, la metropoli coronata, caput mundi. Egli la chiama, con l'enfasi che le spetta, Palieimmu, il regnicolo non sa sollevarsi dal suo piatto Palermu. Più radicato delle varianti di pronunzia e lessico, dei diversi giri grammaticali e fraseologici, è il contrasto dei toni. Petralese o polizzano, l'accento regnicolo, udito nella città regnante, suona rallentato, arcaico; non sale a quella veemenza del parlar palermitano, unica, che anche se i più fidi amici si fermano sul marciapiede a dialogare, ti pare siano lì lì per venire alle mani. (Accenti, p. 266)
  • L'accento: quest'aura del discorso, odore, si direbbe, della frase, ritmo che il metronomo non scandisce, diagramma sul cui andirivieni fluttua l'inafferrabile. Altrimenti detto intonazione; musica d'intervalli così brevi che nessuna notazione li trascrive; eppure è quella che è e non altra, e può essere erronea anche quando ogni altra cosa, pronunzia, vocabolario, sintassi, è a posto. Copiarla quando non s'è più fanciulli è da commedianti, al più da attori. (Accenti, p. 267)
  • Questa delle pronunzie e accenti può essere una faccenda fatale come fu ai francesi del Vespro che non sapevano dir cece e per inadempienza fonetica caddero trafitti, o com'era già stata agli Eframiti che per dire sibboleth invece di scibboleth furono strangolati ai guadi del Giordano. (Accenti, p. 269)
  • Lei dice “chiunque intenda quella stessa lingua”, “le parole sono segni di cose”, e invece non vivono due persone che parlino la stessa lingua, né ci sono due momenti in cui una parola individui la stessa cosa, παντα ρει. […] la lingua della poesia e della vita non è né una lingua morta, né una lingua concettuale – sostituibile vale a dire, con un complesso di segni grafici senza suono […]. Il significato emozionale della parola varia da uomo a uomo, ed ogni sillaba è colorata dal tono del suo spirito (Lettera a Giovanni Alfredo Cesareo, p. 318)
  • Come ancor oggi Palermo è per i viaggiatori italiani città più lontana di Parigi e Londra, così la sua vita di un secolo fa è meno simpatica al nostro spirito – dico simpatica nel senso profondo della parola – di quella che oggi si vive in America o in Giappone. E fors'anco è più affinità fra noi e i siciliani dell'epoca sveva, anzi che fra gli italiani d'oggi e i palermitani del regno di Ferdinando I. […] Eppure, sullo scorcio del secolo XVIII, la Sicilia era più remota da ogni sentimento d'italianità che non fosse, starei per dire, ai tempi di Federico II. Patria, razza, mondo era l'isola delle tre punte, l'isola che fu creata dalla testa di Giove, mentre l'Italia non era che una gamba della divinità secondo l'apologo del Meli. Matrigna chiama il Meli la lingua italiana, in antitesi alla siciliana madre. […] Certo in altre province d'Italia non si dormiva così grosso; e la prova ne è che la Rivoluzione le toccò tutte, fuorché la Sicilia, e che la Sicilia rimase fino a Waterloo l'unico sicuro asilo dell'ancien régime in Italia. (recensione a Palermo avanti la rivoluzione del 12 febbraio 1905, p. 371)

Citazioni su Giuseppe Antonio Borgese

  • Se Borgese mi nega ogni valore | ho un amor di vicina che mi apprezza || È orfana di madre, è un po' sfacciata, | va in visibilio per un mio sonetto. (Ugo Ricci)

Bibliografia

  • Giuseppe Antonio Borgese, Una Sicilia senza aranci, a cura di Ivan Pupo, Avagliano Editore, Roma, 2005, ISBN 88-8309-179-5

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