Carlo Alianello: differenze tra le versioni

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*"Io," disse Isabella "ho conosciuto Mazzini. Un giorno venne in visita al nostro colleggio, proprio lui, Giuseppe Mazzini. Ero piccola... gli dissero il mio nome e mi fece una carezza sul capo. Era serio serio, nero nero e non rise mai. Ma io ne fui superba, pensate! M'ha accarezzata Mazzini!"<br /> "E poi?"<br /> "Poi niente..." <br />"V'ha fatta diventare più buona, più paziente, più portata ad amare gli uomini quella carezza?" <br />"Al contrario!" disse con subita fierezza Isabellina. "M'ha fatta superbissima e odiatrice dei tiranni..." <br />"Ecco il punto" disse reciso Andrea. <br />"Quale?" <br />"Questo." (Edizione Osanna Venosa, p. 276)
*"Io," disse Isabella "ho conosciuto Mazzini. Un giorno venne in visita al nostro colleggio, proprio lui, Giuseppe Mazzini. Ero piccola... gli dissero il mio nome e mi fece una carezza sul capo. Era serio serio, nero nero e non rise mai. Ma io ne fui superba, pensate! M'ha accarezzata Mazzini!"<br /> "E poi?"<br /> "Poi niente..." <br />"V'ha fatta diventare più buona, più paziente, più portata ad amare gli uomini quella carezza?" <br />"Al contrario!" disse con subita fierezza Isabellina. "M'ha fatta superbissima e odiatrice dei tiranni..." <br />"Ecco il punto" disse reciso Andrea. <br />"Quale?" <br />"Questo." (Edizione Osanna Venosa, p. 276)


*[[Carmine Crocco|Carmine Donatello Crocco]] fu un bellissimo uomo, alto, slanciato, con ventre magro e torso grande, amplissime le spalle, ladro, assassino, disertore dell'esercito borbonico, lancia spezzata dei liberali nell'insurrezione lucana, garibaldino e poi ancora disertore, assassino ancora, ladro sempre. Fu soprattutto il cafone armato che infuria, il motore e il banditore della rivoluzione contadina, piuttosto che della reazione borbonica. La sua è la rivolta del popolo magro contro la durezza dei piemontesi che han portato con loro tristi novità, tasse, sequestri, sfratti e fucilazioni. (Feltrinelli, p. 568)
*[[Carmine Crocco|Carmine Donatello Crocco]] fu un bellissimo uomo, alto, slanciato, con ventre magro e torso grande, amplissime le spalle, ladro, assassino, disertore dell'esercito borbonico, lancia spezzata dei liberali nell'insurrezione lucana, garibaldino e poi ancora disertore, assassino ancora, ladro sempre. Fu soprattutto il cafone armato che infuria, il motore e il banditore della rivoluzione contadina, piuttosto che della reazione borbonica. La sua è la rivolta del popolo magro, del "popele bass", contro la durezza dei piemontesi che han portato con loro tristi novità, tasse, sequestri, sfratti e fucilazioni, ma soprattutto contro i loro alleati, i signori, dove si acclama a re Francesco II di Borbone, in quanto anche lui è stato vittima dei galantuomini liberali. (Feltrinelli, p. 568)


==''La conquista del sud''==
==''La conquista del sud''==

Versione delle 12:31, 20 gen 2012

Carlo Alianello (1901 – 1981), scrittore italiano.

Citazioni di Carlo Alianello

  • Nella cerimonia d'ammissione io mi son votato a Lei [alla Madonna], come, secondo la vecchia formulazione feudale, cavaliere a Dama e Signora. Ho giurato e, se non ho sempre mantenuto il mio giuramento, non fu mai per infedeltà, ma per debolezza, così come quando il cavaliere si alleggeriva talvolta di corazza, giaco e morione; l'armatura di ferro è dura a portarsi, dura milizia è la vita degli uomini.
    Per quella fede donata, quel prestato giuramento non l'ho scordato né lo dimenticherò mai per l'onore della mia Dama, neppure quando non vi saranno più né luoghi né tempi per correr quintane e nessun infedele porterà più colori avversi contro il suo azzurro manto. Resterà un nome solo, un tempo incommensurabile, un unico confine senza limiti né misure: l'eternità, dico, nel nome di Dio . (da Lo scrittore o della solitudine, 1970; citato in Carlo Alianello. Scrittore umano e popolare di Gianandrea de Antonellis)

L'Alfiere

Incipit

Le fucilate cominciarono subito. I Cacciatori, che s'erano sparpagliati a catena fra i sassi e le stoppie, avevano aperto il fuoco contro quel formicolar d'uomini, lassù, dall'altro lato del vallone, e tiravan calmi, a comando, dopo la prima scarica troppo precipitosa.

Citazioni

  • – Brutta cosa – disse – figlio mio, nascere napoletani!
    – E perché papà?
    – Perché siamo vecchi, figlio. Le grandi cose, le grandi virtù, gli ideali si son logorati fra le mani in tanti secoli e han perduto quel lustro, quel brillìo, quella certezza che attrae e fa muovere la gente giovane. Non c'è più una virtù vergine, qui da noi; e agli uomini noi non crediamo più. A nessuno. Ma li perdoniamo di essere uomini, purché ci lascino ridere di loro. Non c'è rimasta che la fede in Dio, perché Dio è troppo alto lassù, non corruttibile. E anche questa i liberali ci vogliono togliere... maledetti fessi! Come potrà vivere questo popolo se non gli rimane una sola certezza? (p. 121)
  • Gli porse la mano e s'avviava a uscire. Ma s'arrestò di nuovo: -Ah! mi dimenticavo! Senti, Pino: c'è una cosa che tu devi considerare ora che resti solo... Non vorrei che tu ti credessi, per quel che ti dissi l'altro giorno, quando ancora stavi a letto, che il progresso non c'è e l'uomo sta immobile. Tu adesso rimani qua con questa impressione: papà è un retrogado. Nossignore: il progresso c'è, e io ci credo. E che cristiano sarei se non ci credessi? Solo che d'una cosa sono sicuro: che il progresso non ci viene da fuori. Da dentro ha da venire. Tu non ti fare montare la testa da quelle fesserie sanguinose di Rousseau e degli Enciclopedisti, che l'uomo è buono naturalmente e che bastano le leggi a far felice un popolo. È una cosa troppo semplice e magari fosse! L'uomo è una bestia perfettibile con istinti ferini; ma con una coscienza che se lo lavora e tende a portarlo in alto. La tua coscienza però tu non la trovi sul "Giornale Ufficiale delle Due Sicilie" e nemmeno sulla "Gazzetta Piemontese" ... in corpo ce l'hai e con lei ti devi mettere d'accordo se vuoi andare avanti o no. Non esistono buone leggi per un popolo corrotto e sono gli uomini che fanno le leggi, non le leggi gli uomini. Tu il progresso vuoi? Sissignore: anche io. Sii onesto, se l'onesta' ti mancava, e questo è certamente un bel progredire. E se gia' eri un galantuomo, cerca di diventare migliore. Ma a quel progresso che ti porge la politica, tu non ci credere, ch'è roba sporca. (p. 147)
  • E il popolo riprese quel grido, il suo vero grido, che non muta per re o per repubbliche, e lo scagliò su al cielo, sino a che svanisse col cielo: -Viva Maria! (p. 209)
  • – Voi? Ma dove? Ma quando? – chiese ironico Pino – se fino a un momento fa qui si ballava e i contadini...
    – Bravo – intervenne Mimì – hai detto giusto: i contadini. Ed è perciò che ti teniamo chiuso. Dei contadini non ci possiamo fidare... e la rivoluzione la facciamo noi, i galantuomini, ma i villani no, che sono tutti per il re. Domani forse avremo da combattere contro una nuova santa fede e... non vogliamo fra i piedi, in un momento così pericoloso, dei pazzi come te, che sei più poeta di don Celestino... un ufficiale borbonico, un difensore dell'altare e del trono... (p. 219)
  • E nella mente di Pino, subito, improvviso, ma pieno sì da occuparla tutta, venne il ricordo: l'alba lunare tra i monti di Tito, quella sera, la sera della serenata, quando Titina era a letto e la sua voce forse l'aveva svegliata. Titina... E Pino spalancò gli occhi e tremò, ché il buio gli era parso un tratto vivente. E la chitarra, e il violino e la canzone... Allora sottovoce cominciò Pino a cantare, per lei che lo sentiva:
    Fenesta ca' lucive e mo' non luce, /
    segn'è ca' nenna mia starrà ammalata...
    I soldati sospesero di remare, ascoltando sorpresi. (p. 338)
  • – E la libertà – chiese Pino – che n'hai fatto?
    – Ce l'ho qui – rispose Franco e si batté sul petto – dacché fra la mia e quella dei liberali ho scelto liberamente, da uomo. Non mi piace la loro libertà, ché quando te la vengono a imporre con le baionette, non è più essa. Io sto da questa parte, perché così mi piace a me, che sono don Enrico Franco, e mi piace perché oggi è la parte più bella. Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un'idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi muoriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c'è vanità, non c'è successo, non c'è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora. Uomini che la violenza e l'illusione non li piega e che servono la fedeltà, l'onore, la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio. Ieri forse poteva sembrar più nobile, più alta la parte di là, ma oggi con noi c'è la sventura, e questa è la parte più bella. Perché sopra, noi ci possiamo scrivere: senza speranza... (p. 429)

Explicit

Cos'era finito? Un governo, un regno, un'idea... Ma non il male del mondo, né la sua anima.
Balzò in piedi e s'appoggiò alla feritoia respirando forte. Dentro la casamatte era già tenebra fitta, ma fuori il giorno non era ancora tutto spento. E Cristo c'è. La sua anima gli restava e Dio e la sua lotta.
Con un guizzo il sole sprofondò nel mare e quell'aureola dorata, stretta in un fascio di luce, salì sull'orizzonte e si diffuse sperdendosi nel cielo già pallido.
Nella sua branda Franco si scosse, si rigirò, annaspò un poco respirando forte e ripeté ancora: -Io non ho capitolato.

L'eredità della Priora

Incipit

Guardò l'uomo che gli sorrideva ammiccando. Alto, grosso, con due spalle troppo larghe e un torso troppo lungo; il viso una macchia rossa tagliata da una dentatura bianca, come la fessura di un salvadanaio, all'insù.
"Toh!" disse, "Max!" e involontariamente si dette una guardata attorno.

Citazioni

  • Ma adesso è in chiesa e lì, nel tabernacolo, c'è Dio. Come una persona che aspetta e guarda chi parla... E Lui ha il mondo in mano, tutto. Anche il freddo, i fucili che sparano, Garibaldi e Vittorio Emmanuele. Pare tanto distante Dio che i nostri respiri non ci giungono e invece è qui, e non ci sono che due passi tra me e Lui, tre al massimo. E l'infinito in mezzo. Una pallottola che mi coglie, e anche l'infinito è scancellato e quei tre passi o due. Soli restiamo faccia a faccio, Dio e l'uomo che si chiamava Andrea Guarna. (Edizione Osanna Venosa, p. 64)
  • I monti non è vero che chiudono l'orizzonte, anzi lo spalancano a ogni svolta, a ogni cima, e tutti i giorni tu ricominci il tuo viaggio dalla montagna nuova che ti sta di fronte che ti porterà altri pendii, altre frane, altri boschi e poi montagne ancora... E in fondo ci ho trovato Dio nel tabernacolo, così vicino e tanto lontano... (Edizione Osanna Venosa, p. 65)
  • Ma subito ogni voce si fuse in un grido solo che sormontò anche il canto delle suore, l'appello dei padri, il richiamo contro ogni ingiustizia e l'avvio a tutte le speranze, il grido della Santa Fede: "Viva Maria!" (Edizione Osanna Venosa, p. 84)
  • Allora Gerardo prese quella piccola mano, bianca tuttavia e morbida, la tenne tra le sue e poi si chinò a baciarla. Un bacio corretto, cortese come quando, ufficiale di cavalleria, baciava la mano alle gentildonne napoletane. Lei capì. Tirò indietro la mano imbarazzata, incredula quasi: "Come?" disse lenta. "Tu, che si' nu signore, baci la mano a me, che sò na pevera serva?"
    "Bacio la mano alla principessa che è scesa da una carrozza tutta d'oro..." disse Gerardo. E lei piangendo e ridendo insieme l'abbracciò con disperato furore. (Edizione Osanna Venosa, p. 141)
  • "Io," disse Isabella "ho conosciuto Mazzini. Un giorno venne in visita al nostro colleggio, proprio lui, Giuseppe Mazzini. Ero piccola... gli dissero il mio nome e mi fece una carezza sul capo. Era serio serio, nero nero e non rise mai. Ma io ne fui superba, pensate! M'ha accarezzata Mazzini!"
    "E poi?"
    "Poi niente..."
    "V'ha fatta diventare più buona, più paziente, più portata ad amare gli uomini quella carezza?"
    "Al contrario!" disse con subita fierezza Isabellina. "M'ha fatta superbissima e odiatrice dei tiranni..."
    "Ecco il punto" disse reciso Andrea.
    "Quale?"
    "Questo." (Edizione Osanna Venosa, p. 276)
  • Carmine Donatello Crocco fu un bellissimo uomo, alto, slanciato, con ventre magro e torso grande, amplissime le spalle, ladro, assassino, disertore dell'esercito borbonico, lancia spezzata dei liberali nell'insurrezione lucana, garibaldino e poi ancora disertore, assassino ancora, ladro sempre. Fu soprattutto il cafone armato che infuria, il motore e il banditore della rivoluzione contadina, piuttosto che della reazione borbonica. La sua è la rivolta del popolo magro, del "popele bass", contro la durezza dei piemontesi che han portato con loro tristi novità, tasse, sequestri, sfratti e fucilazioni, ma soprattutto contro i loro alleati, i signori, dove si acclama a re Francesco II di Borbone, in quanto anche lui è stato vittima dei galantuomini liberali. (Feltrinelli, p. 568)

La conquista del sud

  • Il Gladstone doveva avere inteso, o tramite biglietti furtivi o a voce, fra sussurri e fiati mozzi e incerti, di segrete sotterranee, di torture, di celle sepolte sotto il livello del mare, di aguzzini bastonatori e di galantuomini bastonati. Immaginando forse d'esser tornato per magia ai tempi di Tiberio e di Diocleziano, così concludeva la sua missiva: «II governo borbonico rappresenta l'incessante, deliberata violazione di ogni diritto; l'assoluta persecuzione delle virtù congiunta all'intelligenza, fatta in guisa da colpire intere classi di cittadini, la perfetta prostituzione della magistratura, come udii spessissimo volte ripetere; la negazione di Dio, la sovversione d'ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo».
    Oggi si sa che il Gladstone non visitò mai né una prigione né una segreta, e non ebbe modo di parlare con nessuno dei prigionieri. Si sa soltanto, anzi si dice, che passasse in barca al largo di un'isola, forse Ponza, forse Nisida, in compagnia di carissimi amici, tutti più o meno registrati nei libri della polizia. [...]
    Gladstone, tornato a Napoli nell'anno 1888-1889, fu ossequiato e festeggiato dai maggiorenti del così detto Partito Liberale, i quali non mancarono di glorificarlo per le sue famose lettere con la negazione di Dio, che tanto aiutarono la nostra rivoluzione; ma a questo punto il Gladstone versò una vera secchia d'acqua gelata sui suoi glorificatori. Confessò che aveva scritto per incarico di lord Palmerston, con la buona occasione che egli tornava da Napoli, che egli non era stato in nessun carcere, in nessun ergastolo, che aveva dato per veduto da lui quello che gli avevano detto i nostri rivoluzionari.
  • Nell’Italia meridionale non c’era da scialare, ma nessuno moriva di fame, almeno a quei tempi. Diremo più innanzi delle provvidenze borboniche per i bisognosi, per i contadini, per gli zappaterra, mentre non solo in Irlanda ma in tutta l’Inghilterra l’uomo del terzo stato, il plebeo, conduceva un’esistenza infinitamente più squallida e miserabile, quale mai lazzarone napoletano o pastoriello di Calabria o Basilicata conobbe. (p. 12)
  • In Irlanda invece... ma lasciamo parlare Trevelyan :«Gli anni della carestia non erano davvero tempo adatto a preparare ribellioni in mezzo a un popolo che aveva appena la forza di stendere la mano per il cibo. Per due stagioni successive mancò il raccolto di patate; nel 1846 e nel 1847 il primo compito era quello di salvare otto milioni di vite irlandesi. I contadini, abbandonato l’inutile lavoro dei campi, si accasciavano per le strade, provandosi a spaccare pietre per ottenere qualche sussidio, ma spesso venendo a morire lentamente di fame... Il continuo tributo di emigrazione in America, che era divenuto un costume di quel popolo, ridusse la popolazione dell’Irlanda da otto milioni nel 1841 a sei milioni e mezzo nel 1851 e a meno di quattro e mezzo nel 1901... L’esodo economico, se era in gran parte necessario, avvenne in tali condizioni politiche e sociali che i discendenti degli immigrati in America divennero necessariamente nemici ereditari della Gran Bretagna... ». E con questo mare di guai in casa loro, o appena fuor dell’uscio, i signori Palmerston e Gladstone si lasciavano intenerire dalle situazioni un pò difficili dell’avvocato Poerio o del professor Settembrini! (p. 12-13)
  • E in patria? E nei quartieri poveri delle città, nel lurido intrico dei vicoli presso il Tamigi a Londra, nelle campagne sparse di miseri casolari di strame dai quali i lords cacciavano i contadini per crearsi comode e ricche riserve di caccia? Ma tutto ciò non interessava Gladstone; lui si occupava soltanto del regno borbonico e degli amici liberali o mazziniani. (p. 14)
  • Lo sbarco di Garibaldi, la sua fortunata galoppata dalla Sicilia a Napoli, le battaglie di Capua, del Volturno, di Mola e di Gaeta non furono vera guerra, voglio dire non furono guerra combattuta tra nemici cordiali e accaniti. La diserzione della borghesia napoletana, di quasi tutta l'ufficialità dell'esercito, di tutta la flotta che a Calatafimi, avendo alzata la bandiera tricolore in luogo dell'odiata frittata borbonica, prese di fianco i difensori e costrinse l'eroico IX cacciatori col suo comandante Bosco a ritirarsi nella fortezza per non essere massacrato dalle bombe un tempo amiche, il tradimento dei ministri in carica, dell'intera burocrazia, della magistratura, avevano deciso la sorte della monarchia napoletana sin dallo sbarco a Marsala, e forse prima. (p. 130)
  • Secondo la stampa estera, dal gennaio all'ottobre del 1861, si contavano nell'ex Regno delle Due Sicilie 9860 fucilati, 10.604 feriti, 918 case arse, 6 paesi bruciati, 12 chiese predate, 40 donne e 60 ragazzi uccisi, 13.629 imprigionati, 1428 comuni sorti in armi. E questo martirio, questa insana persecuzione assai anni durò, finché i morti furon troppi, nauseati soldati e ribelli dal lungo e sfibrante lezzo dei cadaveri. (p. 133-134)
  • Nessuno dei tanti ministri o grandi uomini del Meridione, a cominciare dal Crispi per terminar col Croce, ha mosso un dito per riscattar l'offesa ancor dolente e continuar l'opera di Ferdinando II; anzi nessuno s'è mai opposto a leggi inique che, per favorire le industrie del Nord, cancellavano ogni traccia di quelle del Sud e ne ferivano a morte l'agricoltura un tempo fiorente. Dal Risorgimento in poi, comunque, uomini e ideali d'ogni partito, radicali, fanatici sino in fondo, hanno odiato le loro origini e tuttora in cuor loro ammirano con una punta d'invidia la faticosa corsa al denaro, detta anche attività o abile industria, di quelli del Nord. Non conosco alcuna eccezione dei cosiddetti meridionalisti, compreso il troppo lodato Giustino Fortunato, nipote di manutengoli del brigantaggio, che abbia difeso il suo paese a viso aperto, usando solo l'arma della verità. (p.136)
  • I Borboni, così s'è detto, puntellavano il loro regno con tre effe: Festa, Farina, Forca. I piemontesi invece, più economici, largivano solo la forca; di farina non ce n'era più e le feste eran solo un ricordo. (p. 151)
  • Le atrocità commesse in Sicilia e nei territori delle Due Sicilie durarono almeno fino al 1872. Nella tornata del 7 dicembre del 1863, il deputato Nocedal, alle Cortes di Spagna, il parlamento di Madrid, arringa contro il Piemonte, contro le barbarie che giornalmente vengono commesse contro la popolazione delle Due Sicilie: "L’Italia è diventata campo vastissimo di esecrabili delitti; l’Italia paese classico di imperiture memorie, dove oggi giacciono prostrati al suolo e conculcati tutti i diritti; L'Italia, dove per sostenere quanto gli usurpatori hanno denominato liberalismo, si stanno sbarbicando dalle radici tutti i diritti manomettendo quanto vi ha di più santo e di sacro sulla terra… Italia, Italia! Dove sono devastati i campi, incenerite le città, fucilati a centinaia i difensori della loro indipendenza." (p. 207)
  • Da noi il popolo minuto aveva sempre considerato i piemontesi non come italiani ma come stranieri, non gente della nostra terra ma invasori, saraceni, turchi, austriaci o francesi che fossero. Solo i signori erano italiani, ma per gli interessi loro. Un esercito d'occupazione, insomma, con le sue crudeltà, i suoi saccheggi, le case distrutte, le donne violentate a forza. (p. 229)
  • Finiamola di definirci « i buoni » d'Europa; e nessuno dei nostri fratelli del Nord venga a lamentarsi delle stragi naziste. Le SS del 1860 e degli anni successivi si chiamarono, almeno per gli abitanti dell'ex reame, piemontesi. Perciò smettiamola di sbarrare gli occhi, di spalancare all'urlo le bocche, a deprecare violenze altrui in questo e in altri continenti. Ci bastino le nostre, per sentire un solo brivido di pudore. Noi abbiamo saputo fare di piu' e peggio. (p. 261)

Bibliografia

  • Carlo Alianello, L'Alfiere, Osanna Edizioni, 2000.
  • Carlo Alianello, L'eredità della Priora, Feltrinelli, 1963.
  • Carlo Alianello, L'eredità della Priora, Edizione Osanna Venosa.
  • Carlo Alianello, La conquista del sud, Rusconi Editore.

Film

Altri progetti

Opere