Publio Cornelio Tacito: differenze tra le versioni

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==''Germania''==
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*Propendo a credere i [[w:http://it.wikipedia.org/wiki/Germani|Germani]] una razza indigena, con scarsissime mescolanze dovute a immigrazioni o contatti amichevoli, perché un tempo quanti volevano mutare paese giungevano non via terra ma per mare, mentre l'Oceano, che si stende oltre sconfinato e, per così dire, a noi contrapposto, raramente è solcato da navi provenienti dalle nostre regioni. E poi, a parte i pericoli d'un mare tempestoso e sconosciuto, chi lascerebbe l'Asia, l'Africa o l'[[Italia]] per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra [[w:http://it.wiktionary.org/wiki/tristezza|triste]] da vedere e da starci se non per chi vi sia nato? (II, 1-5)
*Propendo a credere i [[Germani]] una razza indigena, con scarsissime mescolanze dovute a immigrazioni o contatti amichevoli, perché un tempo quanti volevano mutare paese giungevano non via terra ma per mare, mentre l'Oceano, che si stende oltre sconfinato e, per così dire, a noi contrapposto, raramente è solcato da navi provenienti dalle nostre regioni. E poi, a parte i pericoli d'un mare tempestoso e sconosciuto, chi lascerebbe l'Asia, l'Africa o l'Italia per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato?
:''Ipsos Germanos indigenas crediderim minimeque aliarum gentium adventibus et hospitiis mixtos, quia nec terra olim, sed classibus advehebantur qui mutare sedes quaerebant, et inmensus ultra utque sic dixerim adversus Oceanus raris ab orbe nostro navibus aditur. Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia aut Africa aut Italia relicta Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si patria sit?'' (II)


*È notorio che le [[w:http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Popoli_germanici|popolazioni germaniche]] non hanno vere e proprie [[città]] e che non amano neppure case fra loro contigue. Vivono in dimore isolate e sparse, a seconda che li attragga una fonte, un campo, un bosco. Non costruiscono, come noi, villaggi con edifici vicini e addossati gli uni agli altri: ciascuno lascia uno spazio intorno alla propria casa o per precauzione contro possibili incendi o per imperizia nella costruzione. Non impiegano pietre tagliate o mattoni: per ogni cosa si servono di legname grezzo, incuranti di assicurare un aspetto accogliente. (XVI, 1-6)
*È notorio che le [[Germani|popolazioni germaniche]] non hanno vere e proprie città e che non amano neppure case fra loro contigue. Vivono in dimore isolate e sparse, a seconda che li attragga una fonte, un campo, un bosco. Non costruiscono, come noi, villaggi con edifici vicini e addossati gli uni agli altri: ciascuno lascia uno spazio intorno alla propria casa o per precauzione contro possibili incendi o per imperizia nella costruzione. Non impiegano pietre tagliate o mattoni: per ogni cosa si servono di legname grezzo, incuranti di assicurare un aspetto accogliente.
:''Nullas Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes. Colunt discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus placuit. Vicos locant non in nostrum morem conexis et cohaerentibus aedificiis: suam quisque domum spatio circumdat, sive adversus casus ignis remedium sive inscitia aedificandi. Ne caementorum quidem apud illos aut tegularum usus: materia ad omnia utuntur informi et citra speciem aut delectationem.'' (XVI)


*Il vestito, per tutti, è un corto mantello allacciato da una fibbia o, in mancanza, da una spina; il resto del corpo è nudo e passano intere giornate accanto al focolare acceso. I più ricchi si distinguono per una sottoveste, non ampia, come hanno [[w:http://it.wikipedia.org/wiki/Sarmati|Sarmati]] e [[w:http://it.wikipedia.org/wiki/Parti|Parti]], ma attillata, e che mette in rilievo le forme. Indossano anche pelli di fiere: senza voler apparire eleganti quelli vicini ai fiumi, come segno di raffinatezza invece quelli dell'interno, dove il commercio non porta alcun lusso. Questi ultimi scelgono gli animali adatti, li scuoiano e poi ne screziano e pellicce con pezzi di pelle di altri animali, che l'Oceano più lontano o il mare sconosciuto danno alla luce. Analogo a quello degli uomini è l'abbigliamento delle donne, salvo che queste si coprono spesso con mantelli di lino ricamati di porpora e non allungano la parte superiore della tunica a formare delle maniche; hanno braccia e avambracci scoperti e rimane scoperta anche la parte superiore del petto. (XVII)
*Il vestito, per tutti {{NDR|i [[Germani]]}}, è un corto mantello allacciato da una fibbia o, in mancanza, da una spina; il resto del corpo è nudo e passano intere giornate accanto al focolare acceso. I più ricchi si distinguono per una sottoveste, non ampia, come hanno Sarmati e Parti, ma attillata, e che mette in rilievo le forme. Indossano anche pelli di fiere: senza voler apparire eleganti quelli vicini ai fiumi, come segno di raffinatezza invece quelli dell'interno, dove il commercio non porta alcun lusso. Questi ultimi scelgono gli animali adatti, li scuoiano e poi ne screziano e pellicce con pezzi di pelle di altri animali, che l'Oceano più lontano o il mare sconosciuto danno alla luce. Analogo a quello degli uomini è l'abbigliamento delle donne, salvo che queste si coprono spesso con mantelli di lino ricamati di porpora e non allungano la parte superiore della tunica a formare delle maniche; hanno braccia e avambracci scoperti e rimane scoperta anche la parte superiore del petto.
:''Tegumen omnibus sagum fibula aut, si desit, spina consertum: cetera intecti totos dies iuxta focum atque ignem agunt. Locupletissimi veste distinguuntur, non fluitante, sicut Sarmatae ac Parthi, sed stricta et singulos artus exprimente. Gerunt et ferarum pelles, proximi ripae neglegenter, ulteriores exquisitius, ut quibus nullus per commercia cultus. Eligunt feras et detracta velamina spargunt maculis pellibusque beluarum, quas exterior Oceanus atque ignotum mare gignit. Nec alius feminis quam viris habitus, nisi quod feminae saepius lineis amictibus velantur eosque purpura variant, partemque vestitus superioris in manicas non extendunt, nudae brachia ac lacertos; sed et proxima pars pectoris patet.'' (XVII)


*Uomini e donne ignorano egualmente i [[w:http://it.wiktionary.org/wiki/segreto|segreti]] delle [[w:http://it.wikipedia.org/wiki/Letteratura|lettere]]. {{NDR|riferito ai popoli germanici}} (XIX, 2)
*Uomini e donne {{NDR|i [[Germani]]ci}} ignorano egualmente i segreti delle lettere.
:''Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant.'' (XIX)


==''Storie''==
==''Storie''==

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Publio Cornelio Tacito

Publio Cornelio Tacito (55 – 120), autore, storico e uomo politico latino.

Citazioni di Publio Cornelio Tacito

  • Conviene alle donne di piangere, ma agli uomini di ricordare.
Feminis lugere honestum est, viris meminisse. (da De moribus Germaniae, XXVII)
  • Irritarsi per una critica vuol dire riconoscere di averla meritata. (citato in Selezione dal Reader's Digest, febbraio 1976)

Agricola

  • Abbiamo dato prova di grande sopportazione. (2)
Dedimus profecto grande patientae documentum.
  • L'imperfezione che caratterizza l'uomo fa sì che le cure agiscano molto più lentamente di quanto non facciano i mali; e come i nostri corpi s'accrescono con lentezza, ma si dissolvono in un istante, così l'intelletto e le sue opere sono molto più facili da soffocare che da riportare in vita. (3)
Natura tamen infirmitatis humanae tardiora sunt remedia quam mala; et ut corpora nostra lente augescunt, cito extinguuntur, sic ingenia studiaque oppresseris facilius quam revocaveris.
  • Questa cosa ingiustissima segue in ogni guerra, che tutti si arrogano il merito dei prosperi successi, e gli avversi ad un solo sono rimproverati. (27, 1)
Iniquissima haec bellorum conditio est, prospera omnes sibi vindicant, adversa uni imputantur.
  • Predatori del mondo intero, adesso che mancano terre alla vostra sete di totale devastazione andate a frugare anche il mare. Avidi se il nemico è ricco e arroganti se è povero. Gente che né l'oriente né l'occidente possono saziare. Solo voi bramate possedere con pari smania ricchezza e miseria. Rubano, massacrano, rapinano, e con falso nome lo chiamano impero. Rubano, massacrano, rapinano, e con falso nome lo chiamano nuovo ordine.
    Laddove fanno il deserto, lo chiamano pace. (30)
Auferre trucidare rapere falsis nominibus imperium, atque ubi solitudinem faciunt, pacem appellant.[1]
  • Pensate ai vostri avi, pensate ai posteri. (32)
Et maiores et posteros vestros cogitate.
  • Un'onesta morte è migliore d'una vita vergognosa. (33)
Honesta mors turpi vita potior.
  • È proprio della natura umana odiare colui al quale si è recato danno. (42)
Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris.

Annali

Incipit

Originale

Urbem Romam a principio reges habuere. Libertatem et consulatum L. Brutus instituit. Dictaturae ad tempus sumebantur; neque decemviralis potestas ultra biennium, neque tribunorum militum consulare ius diu valuit. non Cinnae, non Sullae longa dominatio.

I traduzione

I re tennero per primi il governo di Roma. Lucio Bruto fondò il regime di libertà e il consolato. La dittatura era temporanea: il potere dei decemviri non durava oltre un biennio, né fu a lungo in vigore il potere consolare dei tribuni militari. Né la tirannia di Cinna né quella di Silla durarono a lungo; la potenza di Pompeo e quella di Crasso in breve si raccolsero nelle mani di Cesare, e gli eserciti di Lepido e di Antonio passarono ad Augusto, il quale ridusse sotto il suo dominio col nome di principe lo Stato stanco e disfatto dalle lotte civili.

Luigi Annibaletto

La città di Roma nei primi tempi l'ebbero in mano i re; poi L. Bruto istituì, con la libertà, il consolato. Il potere dittatoriale veniva assunto per un periodo limitato e l'autorità dei decemviri non andò oltre i due anni, né poté durare a lungo il potere consolare affidato ai tribuni dei soldati. Breve fu il dominio di Cinna, come pure quello di Silla. La potenza di Pompeo e di Crasso passò ben presto a Cesare e le forze armate di Lepido e di Antonio si concentrarono nelle mani di Augusto, il quale accolse sotto il suo dominio, col nome di "principe", il mondo intero spossato dalle guerre civili. [Publio Cornelio Tacito, Gli annali, traduzione di Luigi Annibaletto, Garzanti, 1974]

Camillo Giussani

Primi i re tennero in Roma il potere. Libertà e consolato istituì Lucio Bruto. La dittatura assumevasi temporanea; non oltre due anni si mantenne la potestà dei decemviri, né fu per molto tempo in vigore quella dei tribuni militari con autorità consolare. Neppure lungamente durò il dominio di Cinna e non quello di Silla.
[Publio Cornelio Tacito, Gli annali, traduzione di Camillo Giussani, Mondadori, 1942]

Citazioni

  • Le vicende, liete e dolorose, dell'antico popolo romano furono tramandate da illustri scrittori e a narrare dei tempi di Augusto non mancarono splendidi ingegni.[2] (p. 3; 1974)
Sed veteris populi Romani prospera vel adversa claris scriptoribus memorata sunt; temporibusque Augusti dicendis non defuere decora ingenia. (I, 1)
  • Quanti ne restavano ormai che avessero visto la repubblica? (p. 6; 1974)
[Q]uotus quisque reliquus qui rem publicam vidisset? (I, 3)
  • Si fece, da allora, un gran parlare di Augusto, e i più sottolineavano banali coincidenze: lo stesso giorno era stato, tempo addietro, il primo della ascesa al potere e adesso l'ultimo della vita; era spirato a Nola, nella stessa casa e nello stesso letto di suo padre Ottavio.
Multus hinc ipso de Augusto sermo, plerisque vana mirantibus, quod idem dies accepti quondam imperii princeps et vitae supremus, quod Nolae in domo et cubiculo in quo pater eius Octavius vitam finivisset. (I, 9)
[U]num esse rei publicae corpus atque unius animo regendum. (I, 12)
  • Tuffate le mani nel mio sangue, piuttosto! Sarà minore la vergogna se ucciderete il luogotenente, anziché ribellarvi all'imperatore! O rimanendo in vita manterrò fedeli le legioni o, facendomi sgozzare, ne affretterò il pentimento. (Giunio Bleso; p. 20; 1974)
Mea potius caede imbuite manus: leviore flagitio legatum interficietis quam ab imperatore desciscitis. Aut incolumis fidem legionum retinebo aut iugulatus paenitentiam adcelerabo. (I, 18)
  • La notte era gravida di minacce e stava per sfociare nel delitto. (p. 25; 1974)
Noctem minacem et in scelus erupturam fors lenivit. (I, 28)
  • Le richieste presentate in comune ci vuol tempo perché siano soddisfatte; ma un favore personale i può meritare subito e subito riceverlo. (p. 25 sg.; 1974)
Tarda sunt quae in commune expostulantur: privatam gratiam statim mereare, statim recipias. (I, 28)
  • La soldataglia […] non conosce alcuna misura; fa tremare se non trema essa stessa; ma quando ha paura, la si può calpestare senza pericolo. (p. 26; 1974)
[N]ihil in vulgo modicum; terrere ni paveant, ubi pertimuerint inpune contemni. (I, 29)
  • [Q]uel bimbo, nato proprio nel campo [militare], allevato in piena familirità con le legioni […] essi, con nomignolo militare, chiamavano Caligola, perchè quasi sempre, per attirarsi la simpatia dei soldati, indossava quel tipo di calzatura.[3] (p. 35; 1974)
[I]nfans in castris genitus, in contubernio legionum eductus, […] militari vocabulo Caligulam appellabant, quia plerumque ad concilianda vulgi studia eo tegmine pedum induebatur. (I, 41)
  • Non certo io amo mia moglie e mio figlio più che non mio padre e lo Stato. (Germanico p. 35; 1974)
Non mihi uxor aut filius patre et re publica cariores sunt. (I, 42)
Major e longinquo reverentia. (I, 47)
  • La maestà imperiale […] incute tanto maggior riverenza quanto più è lontana. (p. 39; 1974)
[M]aiestate […] maior e longinquo reverentia. (I, 47)
  • [Per i barbari] quanto più uno è deciso e audace, tanto più lo ritengono degno di fiducia e in caso di rivolta gli attribuiscono ogni virtù. (p. 46; 1974)
[Q]uanto quis audacia promptus, tanto magis fidus rebusque motis potior habetur. (I, 57)
  • [Di fronte alla forza della natura] nessuna differenza tra valorosi e vili, tra avveduti e imprudenti, tra azioni riflesse e gesti a caso. (p. 56; 1974)
[N]ihil strenuus ab ignavo, sapiens ab inprudenti, consilia a casu differre. (I, 70)
  • Ma rimaneva ancora almeno l'ombra d'una libertà che stava per morire.[4] (p. 59; 1974)
Manebant etiam tum vestigia morientis libertatis. (I, 74)
  • Tiberio […] offriva al senato […] parvenze di libertà. (p. 60; 1974)
Tiberio […] simulacra libertatis senatui praebebat (I, 77)
  • [L]a natura aveva provveduto nel migliore dei modi alle necessità degli uomini, dando ai fiumi un loro proprio aspetto, un loro corso e, come le sorgenti, così le loro foci. (Reatini: p. 61 sg.; 1974)
[O]ptume rebus mortalium consuluisse naturam, quae sua ora fluminibus, suos cursus utque originem, ita finis dederit. (I, 79)
  • [Riferendosi alle azioni di Tiberio] Tutte cose speciose a parole, ma in realtà inutili e subdole; destinate a sfociare in una tirannia tanto più implacabile, quanto più si mascheravano sotto parvenza di libertà. (p. 63; 1974)
[S]peciosa verbis, re inania aut subdola, quantoque maiore libertatis imagine tegebantur, tanto eruptura ad infensius servitium. (I, 81)
  • [s]pes in virtute, salus ex victoria (II, 20)
Speranza nel valore, salvezza dalla vittoria.
La speranza era nel valore, la salvezza dipendeva dalla vittoria. (p. 75; 1974)
  • [L]a verità si rafforza con la luce e con il tempo, la menzogna invece con la fretta e il mistero […]. (p. 88; 1974)
[V]eritas visu et mora, falsa festinatione et incertis valescunt […]. (II, 39)
  • Si dice che alla domanda di Tiberio in quale maniera fosse diventato famoso Agrippa, [Clemente] rispose: «Come tu sei diventato Cesare».[5] (p. 88; 1974)
Percontanti Tiberio quo modo Agrippa factus esset respondisse fertur «Quo modo tu Caesar.» (II, 40)
  • [B]revi e funesti erano gli amori del popolo romano. (p. 89; 1974)
[B]revis et infaustos populi Romani amores. (II, 41)
  • In una repubblica molto corrotta, moltissime sono le leggi.
Corruptissima republica, plurimae leges. (III, 27)
  • I benefici sono graditi finché possono essere ricambiati, quando sono troppo grandi, invece di gratitudine generano odio.
Beneficia eo usque laeta sunt dum videntur exolvi posse: ubi multum antevenere, pro gratia odium redditur. (IV, 18)
  • [Tito Livio] autore fra i più illustri per eloquenza e per attendibilità, esaltò con tanto entusiasmo Pompeo che Augusto lo chiamava Pompeiano. (p. 188; 1974)
Titus Livius, eloquentiae ac fidei praeclarus in primis, Cn. Pompeium tantis laudibus tulit ut Pompeianum eum Augustus appellaret. (IV, 34)
  • Tutte le cose che ora si credono antichissime furono nuove un tempo.
Omnia […] quae nunc vetustissima creduntur, nova fuere. (XI, 24)
  • [I pompeiani e i nucerini convenuti ai] ludi gladiatori banditi da quel Livineio Regolo, che ho già ricordato espulso dal senato, dapprima si scambiarono ingiurie con l'insolenza propria dei provinciali, poi passarono alle sassate, alla fine ricorsero alle armi, prevalendo i cittadini di Pompei, presso i quali si dava lo spettacolo. Furono perciò riportati a casa molti di quelli Nocera con il corpo mutilato per ferite, e in quella città parecchi fra i cittadini piansero la morte di figli e di genitori.
Nucerinos Pompeianosque gladiatorio spectaculo, quod Livineius Regulus, quem motum senatu rettuli, edebat. quippe oppidana lascivia in vicem incessentes probra, dein saxa, postremo ferrum sumpsere, validiore Pompeianorum plebe, apud quos spectaculum edebatur. ergo deportati sunt in urbem multi e Nucerinis trunco per vulnera corpore, ac plerique liberorum aut parentum mortes deflebant. (XIV, 17)

Germania

  • Propendo a credere i Germani una razza indigena, con scarsissime mescolanze dovute a immigrazioni o contatti amichevoli, perché un tempo quanti volevano mutare paese giungevano non via terra ma per mare, mentre l'Oceano, che si stende oltre sconfinato e, per così dire, a noi contrapposto, raramente è solcato da navi provenienti dalle nostre regioni. E poi, a parte i pericoli d'un mare tempestoso e sconosciuto, chi lascerebbe l'Asia, l'Africa o l'Italia per portarsi in Germania tra paesaggi desolati, in un clima rigido, in una terra triste da vedere e da starci se non per chi vi sia nato?
Ipsos Germanos indigenas crediderim minimeque aliarum gentium adventibus et hospitiis mixtos, quia nec terra olim, sed classibus advehebantur qui mutare sedes quaerebant, et inmensus ultra utque sic dixerim adversus Oceanus raris ab orbe nostro navibus aditur. Quis porro, praeter periculum horridi et ignoti maris, Asia aut Africa aut Italia relicta Germaniam peteret, informem terris, asperam caelo, tristem cultu adspectuque, nisi si patria sit? (II)
  • È notorio che le popolazioni germaniche non hanno vere e proprie città e che non amano neppure case fra loro contigue. Vivono in dimore isolate e sparse, a seconda che li attragga una fonte, un campo, un bosco. Non costruiscono, come noi, villaggi con edifici vicini e addossati gli uni agli altri: ciascuno lascia uno spazio intorno alla propria casa o per precauzione contro possibili incendi o per imperizia nella costruzione. Non impiegano pietre tagliate o mattoni: per ogni cosa si servono di legname grezzo, incuranti di assicurare un aspetto accogliente.
Nullas Germanorum populis urbes habitari satis notum est, ne pati quidem inter se iunctas sedes. Colunt discreti ac diversi, ut fons, ut campus, ut nemus placuit. Vicos locant non in nostrum morem conexis et cohaerentibus aedificiis: suam quisque domum spatio circumdat, sive adversus casus ignis remedium sive inscitia aedificandi. Ne caementorum quidem apud illos aut tegularum usus: materia ad omnia utuntur informi et citra speciem aut delectationem. (XVI)
  • Il vestito, per tutti [i Germani], è un corto mantello allacciato da una fibbia o, in mancanza, da una spina; il resto del corpo è nudo e passano intere giornate accanto al focolare acceso. I più ricchi si distinguono per una sottoveste, non ampia, come hanno Sarmati e Parti, ma attillata, e che mette in rilievo le forme. Indossano anche pelli di fiere: senza voler apparire eleganti quelli vicini ai fiumi, come segno di raffinatezza invece quelli dell'interno, dove il commercio non porta alcun lusso. Questi ultimi scelgono gli animali adatti, li scuoiano e poi ne screziano e pellicce con pezzi di pelle di altri animali, che l'Oceano più lontano o il mare sconosciuto danno alla luce. Analogo a quello degli uomini è l'abbigliamento delle donne, salvo che queste si coprono spesso con mantelli di lino ricamati di porpora e non allungano la parte superiore della tunica a formare delle maniche; hanno braccia e avambracci scoperti e rimane scoperta anche la parte superiore del petto.
Tegumen omnibus sagum fibula aut, si desit, spina consertum: cetera intecti totos dies iuxta focum atque ignem agunt. Locupletissimi veste distinguuntur, non fluitante, sicut Sarmatae ac Parthi, sed stricta et singulos artus exprimente. Gerunt et ferarum pelles, proximi ripae neglegenter, ulteriores exquisitius, ut quibus nullus per commercia cultus. Eligunt feras et detracta velamina spargunt maculis pellibusque beluarum, quas exterior Oceanus atque ignotum mare gignit. Nec alius feminis quam viris habitus, nisi quod feminae saepius lineis amictibus velantur eosque purpura variant, partemque vestitus superioris in manicas non extendunt, nudae brachia ac lacertos; sed et proxima pars pectoris patet. (XVII)
  • Uomini e donne [i Germanici] ignorano egualmente i segreti delle lettere.
Litterarum secreta viri pariter ac feminae ignorant. (XIX)

Storie

Incipit

Affronto una storia densa di vicende, terribile per battaglie, torbida di sedizioni, tragica anche nella pace. Quattro principi spenti col ferro, tre guerre civili, molte esterne.

Opus adgredior opimum casibus, atrox proeliis, discors seditionibus, ipsa etiam pace saevum. Quattuor principes ferro interempti; trina bella civilia, plura externa.

Citazioni

  • E la folla lo oltraggiava da morto con la stessa bassezza con cui lo aveva adulato da vivo. (III, 85)
Et vulgus eadem pravitate insectabatur interfectum qua foverat viventem.
  • È tanto più facile ricambiarel'offesa che il beneficio; perché la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto. (IV, 3)
  • Anche i saggi la brama di gloria è l'ultima passione di cui si spogliano. (IV, 6)
Etiam sapientibus cupido gloriae novissima exuitur.
  • Gli dei sono dalla parte dei più forti. (IV, 17)
Deos fortioribus adesse.

Citazioni su Tacito

  • El medesimo Cornelio Tacito, a chi bene lo considera, insegna per eccellenzia, come s'ha a governare chi vive sotto e' tiranni. (Francesco Guicciardini)
  • Fino a quei tempi il Vico ammirava due soli sopra tutti gli altri dotti, che furono Platone e Tacito; perché con una mente metafisica incomparabile Tacito contempla l'uomo qual è. (Giambattista Vico)

Note

  1. Parafrasata anche con «desertum fecerunt et pacem appellaverunt», cioè «fecero un deserto e la chiamarono pace». Vedi Wikipedia sulla prima e sulla seconda locuzione.
  2. Vale per tutti Tito Livio. (1974)
  3. La caliga era la calzatura dei soldati romani e dei loro ufficiali fino ai centurioni: un rozzo sandalo. Il nomignolo, familiare, significava quindi "scarpetta".
  4. Rassegnazione di Tacito nel constatare come la libertà stesse per terminare.
  5. Tiberio alla notizia che ci fu un certo Agrippa salvato dagli dei, per invidia, volle oscurare la fama di questa circostanza e interrogò, trucidando un cliens Clemente, per conoscere chi fosse Clemente e come fosse diventato famoso. Egli gli fa, invece, notare ironicamente l'illegittimità dell'ascesa al trono di Tiberio stesso mettendola a confronto con la crescente fama di Agrippa.

Bibliografia

  • Publio Cornelio Tacito, Le Storie, traduzione di Camillo Giussani, Mondadori, Milano, 1945. (ISBN non disponibile)
  • Publio Cornelio Tacito, Annales, Èulogos, 2007. (Edizione IntraText) [Per le citazioni in latino]
  • Publio Cornelio Tacito, Gli annali, traduzione di Camillo Giussani, Mondadori, Milano, 1942. (ISBN non disponibile)
  • Publio Cornelio Tacito, Gli annali, traduzione di Luigi Annibaletto, Garzanti, Milano, 1974. (ISBN non disponibile)

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