Gigi Garanzini: differenze tra le versioni

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*Non so quanto la tv australiana avesse investito sul mondiale 2006, né come abbia reagito a un'eliminazione all'ultimo secondo dell'ottavo di finale, per un calcio regalato da un arbitro spagnolo a un terzino italiano colto da svenimento. Ma scommetterei in maniera più elegante, e più sportiva, di quella che la Rai scelse di cavalcare nell'infausto 2002 coreano. [...] Durò un paio di giorni, per la verità, anche lo scarico di responsabilità da parte della squadra, sotto forma di tiro al bersaglio dell'arbitro Moreno. Ma poi, salvo qualche eccezione, il comune senso del pudore, prima ancora del fair play, riprese il sopravvento e si cominciò a riconoscere che se gli arbitraggi rassicuranti, oltre che davvero imparziali, sono oggettivamente diversi, ancor più diverse sono le congiure. Quando una squadra deve perdere, secondo quanto cercarono di farci credere {{NDR|I giornalisti RAI}}, non arriva a giocarsi due match-ball come quelli di [[Christian Vieri|Vieri]] e [[Gennaro Gattuso|Gattuso]] a pochi minuti dalla fine. La fermano prima, alla maniera di Aston in Cile. La Rai invece, impavida, andò avanti per settimane. E più passavano i giorni, più grosse le sparava. Sino a quella, davvero memorabile, dell'azione per danni alla Fifa. Il presupposto era, ovviamente, che [[Byron Moreno]] fosse il braccio armato di Blatter, investito della missione di far andare avanti, a qualunque costo, la squadra di casa. In buona sostanza, tuonò con supremo sprezo del ridicolo un avvocato dell'ufficio legale della Rai, chiederemo a Zurigo il rimborso totale di quanto è stato pagato per i diritti, cioè settanta milioni di euro, il rimborso delle spese di produzione per la trasferta in Corea e [[Giappone]], e i danni derivati dalla caduta negativa della pubblicità. Mancavano giusto un paio di divisioni da ammassare al confine di Chiasso. I programmi sportivi dedicati al mondiale, che ovviamente continuava, amplificarono i toni, e più di un quotidiano cadde in tentazione. Si arrivò a leggere che la causa avrebbe fatto giurisprudenza a livello mondiale, al pari della sentenza Bosman: quando l'unico rimando possibile era, con tutta evidenza, a capitan Fracassa. [...] La sera del 9 gennaio 2003, Raidue portò nei propri studi in esclusiva mondiale nientemeno che il famigerato Byron Moreno. E a chi affidare la faccia? A [[Enzo Biagi]] no, perché era già in vigore l'[[Editto bulgaro|editto di Sofia]], a Minoli nemmeno, [[Giorgio Tosatti|Tosatti]] forse aveva un impegno. Sicché prese in prestito da Sky, senza alcun diritto di riscatto, l'intramontabile José Altafini. Civile la conversazione. Ma inserita nell'ambito di uno show dal titolo ''Stupido Hotel'', mai come in quel caso un nome una garanzia. Così l'arbitro ecuadoregno entrò in scena dalla porta girevole con una valigetta piena di soldi, rispose punto per punto alle domande non proprio asfissianti dell'intervistatore, concluse argomentando sottilmente che quella sera a Daejon era stata l'Italia, non lui, a sbagliare la partita, e fu congedato da un simpatico gavettone sulle note del coro del Nabucco: che per una rete in quota [[Lega Nord|Lega]] rappresentava, con tutta evidenza, l'inno nazionale. Una serie di interpellanze parlamentari non riuscirono a chiarire né la ragione di quella straordinaria partecipazione, né l'entità del compenso ricevuto da Moreno, dall'ordine comunque di alcune decine di migliaia di dollari. Fatto sta che, grazie alla sportività della Rai, l'ex nemico pubblico numero uno ebbe l'opportunità di dimostrare che i buffoni, semmai, erano altrove. E il cerchio finalmente si chiuse. (cap. ''La cultura della sconfitta'')
*Non so quanto la tv australiana avesse investito sul mondiale 2006, né come abbia reagito a un'eliminazione all'ultimo secondo dell'ottavo di finale, per un calcio regalato da un arbitro spagnolo a un terzino italiano colto da svenimento. Ma scommetterei in maniera più elegante, e più sportiva, di quella che la Rai scelse di cavalcare nell'infausto 2002 coreano. [...] Durò un paio di giorni, per la verità, anche lo scarico di responsabilità da parte della squadra, sotto forma di tiro al bersaglio dell'arbitro Moreno. Ma poi, salvo qualche eccezione, il comune senso del pudore, prima ancora del fair play, riprese il sopravvento e si cominciò a riconoscere che se gli arbitraggi rassicuranti, oltre che davvero imparziali, sono oggettivamente diversi, ancor più diverse sono le congiure. Quando una squadra deve perdere, secondo quanto cercarono di farci credere {{NDR|I giornalisti RAI}}, non arriva a giocarsi due match-ball come quelli di [[Christian Vieri|Vieri]] e [[Gennaro Gattuso|Gattuso]] a pochi minuti dalla fine. La fermano prima, alla maniera di Aston in Cile. La Rai invece, impavida, andò avanti per settimane. E più passavano i giorni, più grosse le sparava. Sino a quella, davvero memorabile, dell'azione per danni alla Fifa. Il presupposto era, ovviamente, che [[Byron Moreno]] fosse il braccio armato di Blatter, investito della missione di far andare avanti, a qualunque costo, la squadra di casa. In buona sostanza, tuonò con supremo sprezo del ridicolo un avvocato dell'ufficio legale della Rai, chiederemo a Zurigo il rimborso totale di quanto è stato pagato per i diritti, cioè settanta milioni di euro, il rimborso delle spese di produzione per la trasferta in Corea e [[Giappone]], e i danni derivati dalla caduta negativa della pubblicità. Mancavano giusto un paio di divisioni da ammassare al confine di Chiasso. I programmi sportivi dedicati al mondiale, che ovviamente continuava, amplificarono i toni, e più di un quotidiano cadde in tentazione. Si arrivò a leggere che la causa avrebbe fatto giurisprudenza a livello mondiale, al pari della sentenza Bosman: quando l'unico rimando possibile era, con tutta evidenza, a capitan Fracassa. [...] La sera del 9 gennaio 2003, Raidue portò nei propri studi in esclusiva mondiale nientemeno che il famigerato Byron Moreno. E a chi affidare la faccia? A [[Enzo Biagi]] no, perché era già in vigore l'[[Editto bulgaro|editto di Sofia]], a Minoli nemmeno, [[Giorgio Tosatti|Tosatti]] forse aveva un impegno. Sicché prese in prestito da Sky, senza alcun diritto di riscatto, l'intramontabile José Altafini. Civile la conversazione. Ma inserita nell'ambito di uno show dal titolo ''Stupido Hotel'', mai come in quel caso un nome una garanzia. Così l'arbitro ecuadoregno entrò in scena dalla porta girevole con una valigetta piena di soldi, rispose punto per punto alle domande non proprio asfissianti dell'intervistatore, concluse argomentando sottilmente che quella sera a Daejon era stata l'Italia, non lui, a sbagliare la partita, e fu congedato da un simpatico gavettone sulle note del coro del Nabucco: che per una rete in quota [[Lega Nord|Lega]] rappresentava, con tutta evidenza, l'inno nazionale. Una serie di interpellanze parlamentari non riuscirono a chiarire né la ragione di quella straordinaria partecipazione, né l'entità del compenso ricevuto da Moreno, dall'ordine comunque di alcune decine di migliaia di dollari. Fatto sta che, grazie alla sportività della Rai, l'ex nemico pubblico numero uno ebbe l'opportunità di dimostrare che i buffoni, semmai, erano altrove. E il cerchio finalmente si chiuse. (cap. ''La cultura della sconfitta'')


*Sono nato granata. E sono venuto grande a pane e [[Torino Football Club|Toro]]. Aveveo cinque anni la prima volta che mio padre mi portò con sé al Filadelfia, ricordo le battaglie di capitan [[Enzo Bearzot|Bearzot]] e di Lancioni, le volate di Bertoloni e Crippa, padre, mica figlio, le parate di Panetti e Rigamonti, qualche gol di Jeppson e Virgili. [...] Inevitabile, in queste ultime stagioni, coltivare un debole per il [[Associazione Calcio ChievoVerona|Chievo]], farsi catturare da certe geometrie straordinarie della [[Associazione Sportiva Roma|Roma]], chiedere asilo politico al calcio inglese in cerca di emozioni quantitative, e a quello spagnolo per il ramo qualitativo. [...] In stagioni normali l'indice di sgradimento vede al primo posto la [[Juventus Football Club|Juventus]], per ragioni cromosomiche dunque indipendenti dalla mia volontà, seguite dalle altre due appaiate: facciamo quaranta, trenta, trenta. Ma per un certo tempo al quaranta è salito il [[Associazione Calcio Milan|Milan]], per ragioni politiche altrettanto indipendenti dalla mia volontà. Mentre oggi la maggioranza relativa spetta all'[[Internazionale Football Club|Inter]] perché se ''chiagne e fotte'' un napoletano mi diverte; un milanese, meno. E così l'outing è completo. [...] Oggi ce n'è un altro. Non un altro funerale, per fortuna. Un altro Torino, come un altro Napoli, un'altra Fiorentina, e chissà quante altre ancora ne verranno. Benvenute a tutte, anzi, bentornate. Questa disinvolta riesumazione ha un nome, si chiama ''Lodo Petrucci''. Sulle ceneri della vecchia società può nascerne una nuova, dalla sera alla mattina, a patto di accettare la perdita di categoria e di adempire a poche altre formalità. Sarà che ho smarrito la fede. Ma ho come la sensazione che un paese che se ne frega di chi perde il lavoro ma legifera in tutta fretta per chi perde il tifo, sia a sua volta un paese a perdere. (cap. ''Complimenti per la trasmissione'')
*Sono nato granata. E sono venuto grande a pane e [[Torino Football Club|Toro]]. Aveveo cinque anni la prima volta che mio padre mi portò con sé al Filadelfia, ricordo le battaglie di capitan [[Enzo Bearzot|Bearzot]] e di Lancioni, le volate di Bertoloni e Crippa, padre, mica figlio, le parate di Panetti e Rigamonti, qualche gol di Jeppson e Virgili. [...] Inevitabile, in queste ultime stagioni, coltivare un debole per il [[Associazione Calcio ChievoVerona|Chievo]], farsi catturare da certe geometrie straordinarie della [[Associazione Sportiva Roma|Roma]], chiedere asilo politico al calcio inglese in cerca di emozioni quantitative, e a quello spagnolo per il ramo qualitativo. [...] In stagioni normali l'indice di sgradimento vede al primo posto la [[Juventus Football Club|Juventus]], per ragioni cromosomiche dunque indipendenti dalla mia volontà, seguite dalle altre due appaiate: facciamo quaranta, trenta, trenta. Ma per un certo tempo al quaranta è salito il [[Associazione Calcio Milan|Milan]], per ragioni politiche altrettanto indipendenti dalla mia volontà. Mentre oggi la maggioranza relativa spetta all'[[Internazionale Football Club|Inter]] perché se ''[[chiagne e fotte]]'' un napoletano mi diverte; un milanese, meno. E così l'outing è completo. [...] Oggi ce n'è un altro. Non un altro funerale, per fortuna. Un altro Torino, come un altro Napoli, un'altra Fiorentina, e chissà quante altre ancora ne verranno. Benvenute a tutte, anzi, bentornate. Questa disinvolta riesumazione ha un nome, si chiama ''Lodo Petrucci''. Sulle ceneri della vecchia società può nascerne una nuova, dalla sera alla mattina, a patto di accettare la perdita di categoria e di adempire a poche altre formalità. Sarà che ho smarrito la fede. Ma ho come la sensazione che un paese che se ne frega di chi perde il lavoro ma legifera in tutta fretta per chi perde il tifo, sia a sua volta un paese a perdere. (cap. ''Complimenti per la trasmissione'')


==Dal programma radiofonico ''A tempo di sport''==
==Dal programma radiofonico ''A tempo di sport''==

Versione delle 16:19, 27 apr 2013


Gigi Garanzini (1948 – vivente), giornalista e conduttore radiofonico italiano.

E continuano a chiamarlo calcio

  • Platini alla guida dell'Uefa è la prima, storica ricaduta nella realtà di un'utopia antica: il calcio ai calciatori. Non è detto sia la panacea. Ma è certamente un segnale, dopo anni di calcio ai mestatori, agli affaristi, agli avventurieri. Le fughe in avanti del più o meno recente passato non contano: un uomo che viene dal campo è il primo a sapere che non è più pronosticabile un deciso passo indietro. Il problema semmai, ma è un nostro problema, è che Platini è a Nyon. E nemmeno ci sarebbe se fosse dipeso dal voto italiano, come sempre innovatore e lungimirante. Mentre qui i Rivera, gli Zoff, anche gli Albertini sono a casa loro. E alle porte del palazzo tornano a bussare, con modalità a volte subdole e altre volte prepotenti, quelli che il calcio lo hanno ridotto nello stato che sappiamo. (Introduzione)
  • Il capo d'imputazione non è aver venduto il calcio alla tv. Quello era un passaggio obbligato, inevitabile, che ha riguardato l'intera Europa calcistica. È non aver saputo creare i presupposti di una civile convivenza tra il calcio da salotto e quello da tribuna, come negli altri paesi è accaduto. In nome e per conto di un intreccio di conflitti d'interessi non compatibile con un paese civile. [...] Ma questo accade, anche, perché a fronte di una comodità proposta a prezzi ragionevoli c'è un'offerta stadio scomoda, cara quando non carissima, e soprattutto pericolosa. Mentre, a parità di overdose tv, in Germania, Inghilterra, Spagna gli stadi continuano ad essere pieni, con modeste oscillazioni da un campionato all'altro, all'insù e un po' all'ingiù. In Germania non siamo lontani dai quarantamila, in Inghilterra dai trentacinquemila, la Spagna viaggia intorno ai trentamila. Persino la Francia, dove il football segue a ruota il rugby, ci guarda dall'alto in basso. (cap. In fuga dagli stadi)
  • Non so quanto la tv australiana avesse investito sul mondiale 2006, né come abbia reagito a un'eliminazione all'ultimo secondo dell'ottavo di finale, per un calcio regalato da un arbitro spagnolo a un terzino italiano colto da svenimento. Ma scommetterei in maniera più elegante, e più sportiva, di quella che la Rai scelse di cavalcare nell'infausto 2002 coreano. [...] Durò un paio di giorni, per la verità, anche lo scarico di responsabilità da parte della squadra, sotto forma di tiro al bersaglio dell'arbitro Moreno. Ma poi, salvo qualche eccezione, il comune senso del pudore, prima ancora del fair play, riprese il sopravvento e si cominciò a riconoscere che se gli arbitraggi rassicuranti, oltre che davvero imparziali, sono oggettivamente diversi, ancor più diverse sono le congiure. Quando una squadra deve perdere, secondo quanto cercarono di farci credere [I giornalisti RAI], non arriva a giocarsi due match-ball come quelli di Vieri e Gattuso a pochi minuti dalla fine. La fermano prima, alla maniera di Aston in Cile. La Rai invece, impavida, andò avanti per settimane. E più passavano i giorni, più grosse le sparava. Sino a quella, davvero memorabile, dell'azione per danni alla Fifa. Il presupposto era, ovviamente, che Byron Moreno fosse il braccio armato di Blatter, investito della missione di far andare avanti, a qualunque costo, la squadra di casa. In buona sostanza, tuonò con supremo sprezo del ridicolo un avvocato dell'ufficio legale della Rai, chiederemo a Zurigo il rimborso totale di quanto è stato pagato per i diritti, cioè settanta milioni di euro, il rimborso delle spese di produzione per la trasferta in Corea e Giappone, e i danni derivati dalla caduta negativa della pubblicità. Mancavano giusto un paio di divisioni da ammassare al confine di Chiasso. I programmi sportivi dedicati al mondiale, che ovviamente continuava, amplificarono i toni, e più di un quotidiano cadde in tentazione. Si arrivò a leggere che la causa avrebbe fatto giurisprudenza a livello mondiale, al pari della sentenza Bosman: quando l'unico rimando possibile era, con tutta evidenza, a capitan Fracassa. [...] La sera del 9 gennaio 2003, Raidue portò nei propri studi in esclusiva mondiale nientemeno che il famigerato Byron Moreno. E a chi affidare la faccia? A Enzo Biagi no, perché era già in vigore l'editto di Sofia, a Minoli nemmeno, Tosatti forse aveva un impegno. Sicché prese in prestito da Sky, senza alcun diritto di riscatto, l'intramontabile José Altafini. Civile la conversazione. Ma inserita nell'ambito di uno show dal titolo Stupido Hotel, mai come in quel caso un nome una garanzia. Così l'arbitro ecuadoregno entrò in scena dalla porta girevole con una valigetta piena di soldi, rispose punto per punto alle domande non proprio asfissianti dell'intervistatore, concluse argomentando sottilmente che quella sera a Daejon era stata l'Italia, non lui, a sbagliare la partita, e fu congedato da un simpatico gavettone sulle note del coro del Nabucco: che per una rete in quota Lega rappresentava, con tutta evidenza, l'inno nazionale. Una serie di interpellanze parlamentari non riuscirono a chiarire né la ragione di quella straordinaria partecipazione, né l'entità del compenso ricevuto da Moreno, dall'ordine comunque di alcune decine di migliaia di dollari. Fatto sta che, grazie alla sportività della Rai, l'ex nemico pubblico numero uno ebbe l'opportunità di dimostrare che i buffoni, semmai, erano altrove. E il cerchio finalmente si chiuse. (cap. La cultura della sconfitta)
  • Sono nato granata. E sono venuto grande a pane e Toro. Aveveo cinque anni la prima volta che mio padre mi portò con sé al Filadelfia, ricordo le battaglie di capitan Bearzot e di Lancioni, le volate di Bertoloni e Crippa, padre, mica figlio, le parate di Panetti e Rigamonti, qualche gol di Jeppson e Virgili. [...] Inevitabile, in queste ultime stagioni, coltivare un debole per il Chievo, farsi catturare da certe geometrie straordinarie della Roma, chiedere asilo politico al calcio inglese in cerca di emozioni quantitative, e a quello spagnolo per il ramo qualitativo. [...] In stagioni normali l'indice di sgradimento vede al primo posto la Juventus, per ragioni cromosomiche dunque indipendenti dalla mia volontà, seguite dalle altre due appaiate: facciamo quaranta, trenta, trenta. Ma per un certo tempo al quaranta è salito il Milan, per ragioni politiche altrettanto indipendenti dalla mia volontà. Mentre oggi la maggioranza relativa spetta all'Inter perché se chiagne e fotte un napoletano mi diverte; un milanese, meno. E così l'outing è completo. [...] Oggi ce n'è un altro. Non un altro funerale, per fortuna. Un altro Torino, come un altro Napoli, un'altra Fiorentina, e chissà quante altre ancora ne verranno. Benvenute a tutte, anzi, bentornate. Questa disinvolta riesumazione ha un nome, si chiama Lodo Petrucci. Sulle ceneri della vecchia società può nascerne una nuova, dalla sera alla mattina, a patto di accettare la perdita di categoria e di adempire a poche altre formalità. Sarà che ho smarrito la fede. Ma ho come la sensazione che un paese che se ne frega di chi perde il lavoro ma legifera in tutta fretta per chi perde il tifo, sia a sua volta un paese a perdere. (cap. Complimenti per la trasmissione)

Dal programma radiofonico A tempo di sport

  • Come persona può piacere o non piacere, ma se facciamo un confronto con i dirigenti di casa nostra, che sono dei nani, Blatter è un gigante. (26 gennaio 2007)
  • Dopo aver saputo che la classe dirigente italiana, Carraro e Matarrese per fare dei nomi, ha votato Johansson, sono ancora più contento che Platini sia stato eletto presidente dell'UEFA (26 gennaio 2007)
  • Il successo della Spagna all'europeo è avvenuto anche per la cura del settore giovanile, la cantera, da parte di dirigenti, allenatori e osservatori; i tifosi spagnoli, tra un fuoriclasse straniero e un fuoriclasse cresciuto nella cantera, si affezzionano di più a quest'ultimo, perché è un prodotto della loro squadra e lo considerano un loro beniamino. Le squadre italiane hanno fatto così per molti anni ma adesso tendono a fare il contrario ingaggiando giocatori al tramonto utili solo per ragioni di marketing. Recentemente l'Inter ha seguito il modello spagnolo con Balotelli, speriamo che sia un nuovo inizio. (29 giugno 2008)
  • [Commentando l'azione del terzo gol romanista in Inter-Roma del 1° marzo 2009] Credo che soltanto un cialtrone possa dire che quest'azione è fallosa, e questo cialtrone si chiama Mourinho. (2 marzo 2009)
  • Il problema è la spaventosa incultura sportiva che esiste in Italia anche da parte di persone come lei [riferito ad un radioascoltatore] e questa è la cosa avvilente, no, di tutto quello che alla fine si può ricavare. Perché, avendo negli occhi oltretutto anni e anni di arbitraggi in cui, davvero, per le squadre piccole contro le grandi non ce n'era, né in casa né fuori, in cui partite come quelle venivano raddrizzate a favore della big in modo completamente diverso con quello di oggi, non cogliere che invece se oggi accade per una somma di concause in cui c'entra la fatalità, c'entra il talento superiore degli uomini della grande squadra, c'entra l'errore che l'uomo della piccola squadra, nella fattispecie il portiere, fa e c'entra, per una parte minima, l'incidenza decisionale della parte arbitrale, è veramente avvilente, ma fotografa esattamente un paese che vive e campa esclusivamente di moviola. [...] se un giorno vuole che facciamo un'inchiestina su come viene vissuto il calcio nel resto d'Europa, lei potrebbe toccare con mano che questo episodio minimo, insignificante e inesistente, sui cui è stato costruito un castello, nel resto d'Europa nemmeno sarebbe stato citato, nemmeno ci avrebbero pensato perché, superato Chiasso, o superato Ventimiglia e o superato il Brennero, non c'è quello strumento [la moviola], che potrebbe essere uno strumento anche culturale ma che in Italia è usato soltanto in maniera deteriore e su cui soltanto si specula. Quello strumento non c'è e dalle altre parti vivono il calcio leggermente meglio che da noi. (11 gennaio 2010)
  • Dopo aver visto la partita [Olanda-Spagna 0-1 d.t.s.], dopo aver visto quella sorta di caccia all'uomo su cui l'Olanda, nel primo tempo, ha costruito il suo match, alla fine quando è entrato il pallone di Iniesta ho detto "Dio c'è": è il Dio del calcio naturalmente, perché non voglio bestemmiare, non voglio mancare di rispetto di fronte ai credenti, ma il Dio del calcio stasera si è manifestato. Ci ha messo un sacco di tempo ma alla fine così è andata. (11 luglio 2010)
  • Notavo ieri sera, tra l'altro, una singolare contraddizione della RAI: la RAI, da quest'anno, meritoriamente ha abolito la moviola, tant'è vero che – io non mi ricordo chi era l'ultimo, era forse Tombolini – Tombolini è stato prepensionato, così come Carlo Longhi, credo, da 90° minuto. Non seguo ma immagino che per analogia sia così. Quindi la RAI ha fatto questa scelta, ritardata certamente, ma che io personalmente ho molto condivido. E va bene, e questo riguarda il Campionato. Ieri sera invece la RAI, dopo la partita, ma già durante la partita, già nell'intervallo, non ha fatto altro che moviolare questi tre presunti rigori: il primo è fallo di Mauri che passa da dietro su Mertesaker, comunque un difensore tedesco, e lo tocca. Certamente non è fallo del tedesco. Il secondo è Cassano che cade su una carica di spalla e invece, effettivamente, sul terzo episodio questo tedesco che si carica e si corica tocca la palla con la mano. Però, anche lì, tutto è stato ridotto a questo: e allora visto che la RAI ha fatto questa scelta coraggiosa fin dallo scorso settembre di abolire la moviola e ne seguì, come lei immagina, ampio dibattito, il fatto che a distanza di mesi, se appena c'è in campo la Nazionale – e quindi il massimo della demagogia possibile da questo punto di vista – debba tornare a galla la moviola è ridicolo. (10 febbraio 2011)
  • [Leggendo un SMS in cui c'era scritto che l'Italia comprò il pareggio col Camerun nel 1982] Queste sono le falsità scritte da Oliviero Beha tanti tanti anni fa, naturalmente mai provate. Ma le calunnie, anche quelle più vergognose come queste, negli anni poi scavano la pietra. E quindi qualcuno come lei [l'autore del messaggio] che certamente non è informato e documentato, alla fine riesce a credere anche a queste sciocchezze. (18 giugno 2012)
  • Questa, che oggi si chiude, è stata indubbiamente un'avventura straordinaria, testimoniata proprio anche dalla quantità sbalorditiva di lettere, messaggi e arte varia [Facebook e Twitter] [...] e quindi tutto questo significa che in questi 12, quasi 13 anni, siamo stati davvero bene insieme. Non so se riuscirò a rispondere a tutti, perché il pacco che c'è su quella scrivania è davvero impressionante: io però, con calma, vi garantisco che ci proverò. Non c'è più tempo per un altro radioascoltatore, c'è tempo soltanto per dirvi che la stagione del calcio riparte il 25 e 26 agosto: voi, a partire da quella data mi troverete, tanto per cominciare, sul sito del "Sole 24 Ore", chè è stato il primo a offrirmi asilo, non politico ma calcistico. Io ringrazio ancora tutti per il vostro affetto, ringrazio Roberto Scaltritti in regia, Franco Piantanida in redazione, buon pomeriggio a tutti. (2 luglio 2012)

Dal blog Slow Foot

  • È finita splendidamente per il Chievo, e questa, per quel che mi riguarda, è la vera gioia di stagione. Salutandolo lo scorso anno nel momento della retrocessione, avevo forti dubbi di rivederlo un giorno in Serie A: perché per le belle favole difficilmente è previsto un remake. Invece non solo ci è tornato, ma ci è anche tornato subito, mettendo in fila le rivali dalle ben diverse risorse. E chissà che non ricominci a rompere le balle a tutti come nei suoi anni migliori, il vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro, la squadra del quartiere che affronta a viso aperto le multinazionali. Forse l'ultima eresia possibile in un mondo sempre più appiattito sulle logiche finanziarie, commerciali e di marketing estremo. (27 maggio 2008)
  • Da anni non metto piede in uno stadio. Da una serata a San Siro in cui l'accoglienza della curva interista alla coppia Totti-Cassano fu tale che a un certo punto semplicemente me ne andai. [...] Quello che conta è la prevenzione: E il mio slogan, dopo mezzo secolo di calcio gustato dal vivo, è diventato: se li conosci (gli stadi, e i loro frequentatori) li eviti. (20 aprile 2009)
  • Se il Chelsea fosse l'Inter e viceversa, ne avremmo per giorni e giorni su rigore e espulsione ignorati all'andata e gli abbracci di Motta e Samuel non visti al ritorno. Gli inglesi invece non conoscono la moviola. E se la conoscono, la evitano. (17 marzo 2010)
  • Non so se è un problema mio. Ma sabato sera, finito il Barca, ho fatto una gran fatica a vedere il secondo tempo di Milan-Roma: e se non fosse stato per ragioni strettamente professionali, dopo cinque minuti avrei lasciato perdere. A Barcellona avevano giocato la prima e la quarta della classifica: a Milano erano in campo la prima e la quinta. In tutta sincerità, un'altra cosa. Non dico un altro sport, perchè mi sforzo sempre di non esagerare: ma siamo lì. Poi l'indomani mattina ho visto la copertina della Gazzetta. Il sommario recitava così: i nerazzurri annientano il Mazembe ed entrano nella leggenda. Passi per la leggenda, anche se la storia poteva bastare. Ma quell'annientano il Mazembe era da fare invidia ai tempi migliori di Cuore. Scatta l'ora legale, panico tra i socialisti. Qualcuno lo ricorderà. (19 dicembre 2010)
  • Mi hanno colpito due suggestioni legate allo scudetto del Milan. Una è nota, ed è l'elenco dei tecnici che hanno centrato lo scudetto al primo tentativo: prima di Allegri non solo, andando a ritroso, Zaccheroni, Capello, Sacchi e il leggendario Paròn, ma anche Gipo Viani, uno dei personaggi calcistici più interessanti della storia del nostro calcio. [...] Mi ha invece sbalordito scoprire, con quarantott'ore di ritardo perché i festeggiamenti non sono il mio genere, che Rino Gattuso ha solennizzato il suo fresco scudetto dinanzi ai tifosi dell'Olimpico intonando il coro 'Leonardo uomo di merda'. C'è stato un tempo in cui, pur non apprezzandone gli eccessi verso avversari e soprattutto arbitri, mi piaceva il Gattuso in versione grillo parlante che sia in rossonero che in azzurro cantava fuori dal coro. Oggi, dopo l'orrenda scenata con Jordan e quest'altra prodezza mi domando cosa c'entri Gattuso con lo stile-Milan che nemmeno negli anni bui dei primi'80 era mai venuto meno. (9 maggio 2011)
  • E speriamo soprattutto che il milite ignoto del Gubbio faccia proseliti. Perchè quando ti si para davanti il faccendiere a offrirti quattrini in cambio della torta, non basta rifiutare, anche se è già qualcosa. Occorre denunciare, come ha fatto per l'appunto il milite ignoto sapendo in partenza che avrebbe corso dei rischi, come sempre accade se ti metti di traverso ad avanzi di galera. Ma chissà se immaginava che l'aver fatto semplicemente quanto meritoriamente il proprio dovere l'avrebbe anche esposto a un ridicolo processo di beatificazione. Io credo che qualsiasi persona per bene avrebbe piacere di stringere virilmente la mano al milite ignoto complimentandosi con lui. Leggo invece che il popolo di Facebook di cui mi onoro di non fare parte, né oggi né domani né mai, lo vuole direttamente in nazionale. E mi vien da preparare una volta di più i documenti per l'espatrio, come temo stia pensando di fare lo stesso, sventurato, milite ignoto. (23 dicembre 2011)
  • Ho avuto la fortuna, sabato, di non essere a portata di televisore. E il merito, domenica, di tenermi alla larga da qualsivoglia programma sportivo (si fa sempre per dire, è ovvio) visto che non si giocava. Telegiornali non ne vedo da anni, dunque penso di essere uno dei pochi imbattuti rispetto alle immagini di quella straziante agonia. Ma che abbia dovuto intervenire la famiglia, quel poco che resta della sventurata famiglia Morosini, per chiedere a 48 ore di distanza di non diffondere più quelle sequenze dice meglio di mille trattati in che epoca infame ci siamo ridotti a vivere. L'epoca in cui le jene da salotto campano sui plastici: così poi i tossici che li seguono vanno a farsi i loro bravi weekend del dolore da Cogne ad Avetrana, dall'Aquila a Garlasco. [...] Una sola categoria si è scannata senza pudore e senza traccia di rispetto per il povero Morosini: quella formata da chi il calcio di club lo dovrebbe organizzare. Non so che fine farà la Lega che indegnamente per anni ci ha governato. Ma quest'altra Lega non merita davvero miglior sorte. (16 aprile 2012)

La Stampa

  • DIECIMILA franchi svizzeri. Più altri mille e cinquecento di «spese procedurali», come per una contravvenzione un po' salata. Fanno grosso modo 7000 euro, così impara il signor Rivaldo a prendere in giro il mondo. Lui per la verità, di euro, ne incassa un po' più di sette milioni l'anno, royalties escluse, sicché la multa corrisponde grosso modo a un quarto di quel che gli entra in tasca in ciascun giorno dell'anno, vacanze comprese. Ma quel che contava era il principio, e la Fifa una volta di più si è mostrata implacabile applicatrice del suo motto: debole con i forti, forte con i deboli. Non che il turco, Hakan Unsal, non meritasse per quel gesto volgare il secondo cartellino: non si prende a pallonate un avversario, nemmeno dopo che l'arbitro gli ha regalato un rigore inverecondo. Ma il punto è che questo doveva essere, solennemente annunciato proprio dalla Fifa, il mondiale della lotta alla simulazione e alla violenza. (6 giugno 2002)
  • Tre cartellini gialli, 43 falli: 22 fischiati contro l'Argentina, 21 contro l'Inghilterra. Detta così sembra facile. Il fatto è che bisogna saperla rendere facile una partita come Argentina-Inghilterra, con tutto quel che si portava dietro, dalla mano de dios dell'86 alla sceneggiata di Simeone del '98 e sullo sfondo tutto il resto che sappiamo. Il fatto è anche che quell'unico fischio di differenza è proprio quello che la differenza l'ha fatta, quando mancava poco più di un minuto alla fine del primo tempo. Pure, non ci ha pensato un istante il nostro Collina. Piazzato, tanto per cambiare, in posizione ideale per decidere, Collina ha visto la gamba di Pochettino alzarsi d'istinto per intercettare quella di Owen. [...] Non ha azzeccato soltanto quel fischio, Collina. Ha indovinato anche gli altri quarantadue, così come i tre cartellini: uno a Batistuta per aver lasciato il piede su Cole che rinviava, subito in avvio, per far capire che aria tirava, uno allo stesso Cole per sgambetto su Ortega, uno a Heskey per aver allontanato il pallone fingendo di non aver udito il fischio. Dopo tanti dilettanti allo sbaraglio con l'hobby dell'arbitraggio, finalmente un fuoriclasse del fischietto, non a caso reputato il migliore del mondo. Mica per altro. Per la disinvoltura con cui riesce a rendere facili le partite difficili, quale certamente era questa di Sapporo. Come era successo ad Agnolin al Mondiale messicano dell'86, quando aveva domato da par suo un'Argentina-Uruguay ben più avvelenata della sfida di ieri. E come non era invece accaduto a Gonella, unico arbitro italiano a dirigere una finale nella storia dei Mondiali, in Argentina-Olanda del '78, al cospetto dei generali padroni di casa. E se in Italia, Collina non gode della stessa reputazione che lo accompagna nel resto del mondo, non è soltanto perché da noi restano più gettonati gli arbitri che sanno essere deboli con i forti e forti con i deboli. È anche perché, per evadere dalla routine di indiscutibile primo della classe, Collina coltiva il ben noto vezzo, tra tante partite difficili che riesce a rendere facili, di renderne di tanto in tanto difficile una che sarebbe facile. (8 giugno 2002)
  • Questo non consolerà certo la Juventus, ma almeno la lotteria dell'Old Trafford è servita a sfatare la leggenda secondo cui, con l'eccezione degli ultimi Europei, sono gli italiani i più tremebondi dal dischetto nelle occasioni che contano. Gli errori di Donadoni e Serena nella semifinale di Napoli '90, quelli di Baresi, Massaro e Baggio a Pasadena '94, di Albertini e Di Biagio a Parigi '98: lapidi scolpite nel muro del pianto del calcio italiano. Stavolta no. [...] E poi che significa autogestione, come fa Lippi a non decidere lui la lista? La decide, la decide. Ma solo scremando chi se la sente, chi non ha il muscolo che tira o l'occhio sbarrato dalla fatica e dalla tensione. E Carletto allora che ha tolto due rigoristi come Pirlo e Rui Costa quando ormai era chiaro che nessuno avrebbe fatto gol prima dell'alba? È il fascino – perverso – delle lotterie, a Roma nel '96 non aveva avuto paura Jugovic, a Manchester non l'ha avuta Shevchenko. E chissà se l'ha avuta Inzaghi, e davvero se l'è svignata come Falcao diciannove anni fa con il Liverpool, o se è stato Ancelotti a tenerlo lontano da un dischetto dove fa danni più della grandine. Il piatto destro di Platini a Tokyo issò la Juventus sul tetto del mondo. Due anni dopo contro il Real nemmeno riuscì a batterlo il suo rigore. Lo ha ricordato giusto l'altra sera, aggiungendo perfido: «Vidi solo la buca sul dischetto che avevano fatto Brio e Favero». (30 maggio 2003)
  • Alla premiata ditta Bergamo-Pairetto «viene da sorridere». Beati loro, e la loro divertita serenità. Erano altrettanto sereni quando Paolo Casarin raccontò che la cosiddetta via italiana al fuorigioco era in realtà un vicolo cieco: poi, quando l'Uefa confermò parola per parola la tesi di Casarin, il buonumore non tardò a dissolversi. [...] Ma resta la violenza dei toni usati dal neo-presidente Facchetti, il pesante rincaro dell'ex-presidente Moratti, la totale, imbarazzante, divergenza di vedute sulla prestazione dell'arbitro Pellegrino: «Eccellente» per il designatore Bergamo, «Inaccettabile» per il presidente Facchetti. Dal secondo anello di San Siro, in tutta serenità, la sensazione era che, nonostante il gol iniziale di Adriano, la Juventus avesse cercato sin dall'avvio la finale con maggior convinzione e ben diverse risorse di gioco. E che più di Pellegrino ne avesse combinate, a monte, Zaccheroni. Dal primo anello la visibilità dev'essere migliore. (14 aprile 2004)
  • Erano indiani, per davvero. O figli della rivoluzione del '68, o profeti di una dottrina che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare calcio. E il loro capo-tribù si chiamava Rinus Michels. Il suo calcio totale che trasformava gli spazi in praterie era fatto di un possesso-palla esasperato, di accelerazioni improvvise, di pressione multipla sul'avversario col pallone, di fuorigioco alto quando non altissimo. Ma soprattutto era interpretato non più da specialisti dei vari ruoli, bensì da giocatori eclettici capaci di attaccare e difendere, di giocare senza palla prima ancora che con la palla, di muoversi con disinvoltura in ogni zona del campo stando sempre corti, compatti, ossessivi. Una nuvola biancorossa, quella dell'Ajax, una nuvola arancione, quella dell'Olanda. Con portieri che, una volta aboliti i ruoli specifici, si erano riciclati da liberi, interpretando la parte in maniera più spregiudicata. L'emicrania non venne soltanto a Maldini. Venne agli inglesi la prima volta che affrontarono l'Olanda di Michels, le punte scattavano sul risaputo lancio dalle retrovie e la nuvola arancione li aveva messi in offside non di tre, ma di dieci-quindici metri. Venne al sommo Brera, cui quei satanassi mandarono all'aria tutti i parametri atletici e tattici sino a li' elaborati: e Brera se ne vendicò ribattezzandoli «cicale» dopo la finale mondiale persa nel '74 dai tedeschi padroni di casa. È vero, nell'albo d'oro ci sono le formiche, che ad ogni buon conto si chiamavano Beckenbauer, Muller, Overath, Breitner, Mayer. Ma nell'archivio delle emozioni indimenticabili restano loro, restano quei 16 tocchi consecutivi olandesi dal fischio d'avvio al fallo di Vogts su Cruyff in area germanica. Il primo tedesco a toccare il pallone in quella finale fu Muller, riavviando il gioco dal disco di centrocampo dopo il rigore di Neeskens. Il generale Michels si prese la rivincita quattordici anni più tardi quando, sullo stesso campo, l'Olympiastadion di Monaco, decorò la bacheca olandese dell'unico trofeo conquistato sin qui, l'Europeo '88, firmato da una storica prodezza di Van Basten. Ma fu un indennizzo tardivo e mai fino in fondo assaporato. Perché pur nel rispetto di una matrice di massima, quella non era più la sua Olanda-totale. Tant'è vero che il suo fuoriclasse, Van Basten, era pienamente classificabile, in quanto prototipo del centravanti moderno: a differenza del fenomeno d'un tempo, Cruyff, che segnava sì a mitraglia ma che nessuno ha mai saputo battezzare se non come uomo-ovunque. (4 marzo 2005)
  • Due cose importammo dalla Svizzera in quei primi anni del secondo dopoguerra: il catenaccio e il totocalcio. Il destino volle che entrambi gli importatori fossero non solo triestini ma anche coetanei: Nereo Rocco, 20 maggio 1912, e Massimo Della Pergola, 11 luglio. Con questa prima differenza. Che si discusse a lungo, all'epoca, se a tradurre per prima in catenaccio il verrou elvetico fosse davvero stata la Triestina del paròn o non piuttosto la Salernitana di Gipo Viani. Mentre nessuno pote' mai mettere in dubbio la primogenitura del giornalista. E con quest'altra. Che se il catenaccio rappresentò, per qualche decennio, il marchio di fabbrica del calcio italiano ma anche il suo limite, il Totocalcio finì per diventare il volano dell'intero movimento sportivo nazionale. (14 marzo 2006)
  • Adesso che è andata, lo si può anche dire: peccato aver sprecato la preziosa chance di un arbitraggio messicano in una partita rivelatasi tutto sommato abbastanza semplice. Quello di ieri è stato infatti il quarto nelle fasi finali dei Mondiali. E anche in questo caso l'Italia ha vinto. In precedenza era toccato a Yamasaki, nello storico Italia-Germania 4-3 del '70, poi a Codesal, Italia-Stati Uniti a Roma nel '90, poi ancora a Brizio nel '94, Italia-Nigeria 2-1 con la rimonta firmata da Baggio. Con il signor Archundia, dunque, è continuata la tradizione favorevole. (23 giugno 2006)

Il Sole 24 ore

  • La volta che a San Siro scoppiò un grande applauso perché finalmente, dopo anni, aveva sbagliato un passaggio. O quell'altra che da fuori area colpì la traversa così forte, ma così forte, che il pallone rimbalzò oltre la metà campo e il Milan rischiò di prender gol in contropiede. Quante razioni di buonumore, caro vecchio Nils, e quante lezioni di calcio, in campo e fuori. Con quella maschera alla Buster Keaton e quell'italiano sussurrato che nemmeno dopo cinquant'anni e passa di residenza contemplava i verbi ausiliari e certe consonanti: loro abastansa bene; noi jocato melio. Un signore prima che un campione. Un educatore prima che un allenatore. Non c'era il gusto, o forse il vizio, delle statistiche ai tempi in cui giocava: ma non risulta che sia mai stato ammonito. Così come non c'è traccia di atteggiamenti men che composti nella sua lunga carriera di allenatore, altro che area tecnica tratteggiata col gesso come usa oggi dinanzi alla panchina: il massimo del compiacimento, piuttosto che del disappunto, erano le gambe che si scavallavano per riaccavallarsi dall'altra parte. Questo ovviamente non significava distacco, come ai tempi nostri della recita elevata a sistema si potrebbe pensare: semplice, quanto ferreo, autocontrollo nervoso. Quel matto di Altafini pensò di ripetere al barone lo scherzo riuscito l'anno prima con Rocco: rannicchiarsi tutto nudo nell'armadio dell'allenatore e saltar fuori urlando quando quello lo apriva. La differenza è che il Paròn era saltato per aria dallo spavento: Liedholm alzò un sopracciglio e ricordò al centravanti che il suo ripostiglio era un altro. Due scudetti da allenatore, Milan e Roma. Il primo nel '79, con un gioco offensivo imperniato su di un unico attaccante, Chiodi, la cui caratteristica principale era quella di non segnare mai. Il secondo nell'83, con il povero Di Bartolomei finto libero supportato dalla velocità di Vierchowod. Fu allora che Boniperti provò a chiamarlo alla Juventus: per sentirsi rispondere, grazie presidente, ma sarebbe tropo fascile. Quattro titoli da giocatore dopo l'oro olimpico a Londra '48 con la Svezia. Un maratoneta illuminato, lo stantuffo inesauribile al servizio del talento di Gren e della potenza di Nordhal. Chi ha visto giocare il trio svedese del Gre-No-Li, con tutto il rispetto per quello olandese a cavallo degli anni '90, ne conserva un ricordo insuperato. Chi ha ascoltato lo storico trio radiofonico di Tutto il calcio minuto per minuto, non avrà dimenticato che a dosare la verve dei due più celebri solisti, Enrico Ameri e Sandro Ciotti, c'era dallo studio centrale la voce di Roberto Bortoluzzi. Se n'è andato anche lui, nel pomeriggio di ieri, ultimo testimone di una grande stagione radiofonica che ha dispensato a generazioni di tifosi emozioni, gioie, sofferenze: con il timbro di una classe senza eguali. (6 novembre 2007)
  • La fatalità e la premeditazione. La tragedia dell'errore di un istante che diventa alibi per ore e ore di follia. Ma qualcuno può davvero immaginare, non dico pensare seriamente, che uno sventurato agente della stradale volesse uccidere un ragazzo di 26 anni tranquillamente seduto in macchina? [...] Eppure così è andata. Con tutte le conseguenze del caso, perché se una vita è già stata spezzata un'altra, quella di chi ha sparato, è segnata per sempre. In altri tempi l'avrebbe avuta vinta il dolore, la pietà: anche la rabbia, certo, perché a nessuno si può concedere, qualsiasi divisa indossi, di andare tanto oltre nell'adempimento del proprio dovere. Si sarebbe reclamata giustizia, con il groppo in gola e tanta voglia di capire come fosse potuta accadere una disgrazia così assurda. Invece è partito il tam tam. Come nelle tribù primitive, che non conoscevano altra legge se non quella dell'occhio per occhio. [...] Oggi al Viminale si riparte con i giri di vite. Qualcuno riparlerà di tolleranza zero: saranno gli stessi che non più tardi di due settimane fa avevano chiesto di allentare le briglie perché si susseguivano i segnali di un ritorno alla normalità. (12 novembre 2007)
  • Da noi, per una serie di ragioni che fanno capo a uno staterello piazzato proprio nel centro della capitale, è invece prassi ormai consolidata santificare anche calcisticamente la ricorrenza pasquale, anticipando il campionato al sabato. Che da un lato è una bazzecola rispetto, come dire, ad altri oneri condominiali: dall'altro una buona idea dal punto di vista familiare. È qui, a questo punto della storia che si inserisce la straordinaria abilità manageriale del governo del pallone. Come? Ma è semplice. Piazzando esattamente a metà della settimana di Pasqua una bella serata infrasettimanale, tre giorni dopo il turno precedente e a meno di altri tre (mercoledì si gioca alle 20,30, sabato alle 15 con l'eccezione serale di Inter-Juventus) da quello successivo. È vero che le società di serie A vivono, o sopravvivono, di diritti televisivi e gli incassi al botteghino rappresentano salvo rare eccezioni poco più dell'argent de poche. Ma è anche vero che una serata di campionato come quella di domani sembra studiata apposta per tornare a far scendere la già non esaltante media di spettatori. Che è sì risalita a circa 22 mila unità a partita, dalla fossa delle Marianne della scorsa stagione. Ma resta sideralmente lontana dal resto dell'Europa calcistica che conta dove pure, come si è visto, la presenza della pay tv non è meno ingombrante e condizionante. [...] Al di là del versante demenzial-logistico, ci sarebbe anche un aspetto tecnico da considerare. Più gli impegni sono ravvicinati e meno bene si gioca, più le squadre sono in debito di recupero psicofisico e più sale l'agonismo, più si picchiano e meno spettacolo si vede. Piaccia o meno a chi vende il prodotto, la quantità è nemica della qualità anche nel calcio. Ma il motto di chi ce lo somministra è: purché respiri. Il calciatore, il tifoso, il telespettatore. (18 marzo 2008)
  • Finale tra le più strane che ricordi. Dieci minuti scarsi di Manchester, anzi di Cristiano Ronaldo, poi quel gol in coproduzione tra Eto'o e Van der Sar e da lì in poi ottanta di Barcellona, via via più convinto mano a mano che gli inglesi sparivano dal campo. Difficile dire se siano stati più i meriti del Barca o i demeriti degli altri. Fatto sta che il verdetto è ineccepibile. E che a gioco lungo la qualità degli spagnoli ha finito per stagliarsi in tutta la sua nitidezza, pur senza raggiungere i bagliori della magica serata al Bernabeu di un mese fa. Due grandi tessitori, Xavi e Iniesta, un fuoriclasse, Messi, non al suo meglio ma capace comunque di una prodezza fuori repertorio, quel colpo di testa in avvitamento che ha chiuso la partita. E uno strepitoso Puyol, che si è calato nei panni di Dani Alves prima chiudendo e poi sfiorando due volte nel finale il colpo della goleada. Ma anche una coppia centrale attenta, e un paio di gregari sempre puntuali al servizio dei costruttori di gioco. Pep Guardiola può andar fiero di questa sua creatura che, al debutto assoluto, ha spazzolato Liga, coppa di Spagna e coppa dei Campioni giocando il miglior calcio continentale di stagione. Si sa che la fortuna aiuta gli audaci. Quel colpo di Iniesta all'ultimo istante del ritorno col Chelsea, ha consentito che alla fine a trionfare fossero i più forti. (28 maggio 2009)
  • Ho avuto la (s)ventura di assistere dal vivo a uno dei falli più brutali della storia del calcio moderno. Lo commise il portiere tedesco Schumacher, in uscita sul francese Battiston nella semifinale mondiale di Siviglia a Spagna '82. Battiston finì all'ospedale con una lesione alla vertebra cervicale, dopo averci rimesso alcuni denti. E quel bastardo di portiere non solo non fu nemmeno ammonito, ma rimise subito il pallone in gioco mentre Platini e gli altri soccorrevano il loro compagno svenuto. (3 settembre 2009)
  • Ma la parola d'ordine di quest'avvio di 2010 calcistico, con rispetto parlando, è schifo. Secondo Pirlo fanno schifo praticamente tutti i campi di casa nostra, e dopo aver visto quello di Verona su cui si è giocata ieri Chievo-Inter la definizione è approssimata per difetto. Secondo Balotelli fa sempre più schifo anche il pubblico della stessa Verona, ma in questo caso l'approssimazione è per eccesso. Almeno a dar retta non solo alle indignate reazioni di parte veronese, calcistiche e istituzionali, ma anche alla presa di distanza da parte del suo allenatore, Mourinho. Il campionato insomma è ricominciato più o meno come si era interrotto per la pausa natalizia. Con il corollario di una bomba carta a Cagliari che ha sfiorato il romanista Pizarro, dell'assedio degli ultras bergamaschi alla squadra e all'allenatore dopo la sconfitta col Napoli, degli scontri preventivi tra tifosi parmigiani e juventini. Da notare che l'anticipo veronese all'ora di pranzo era stato programmato sia come test per la prossima stagione, in cui diventerà un appuntamento fisso, sia come promozione per il mercato televisivo asiatico, dove l'appeal del nostro calcio è ancora misteriosamente alto e, soprattutto, quello è l'orario di massimo ascolto. (7 gennaio 2010)

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