Giancarlo De Cataldo: differenze tra le versioni

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*Il Dandi osservava e imparava: [[il Libanese|il Libano]] era un capo nato. Sapeva come tenere a bada i sanguinari e ringalluzzire gli infiacchiti. (p. 98)
*Il Dandi osservava e imparava: [[il Libanese|il Libano]] era un capo nato. Sapeva come tenere a bada i sanguinari e ringalluzzire gli infiacchiti. (p. 98)
*Maggio si era abbattuto su Roma con tutta la violenza della sua inandescente primavera. Ma era uno strano maggio. Triste. In una città sospesa in un'angoscia insonorizzata, come sotto una nevicata di polistirolo. In una città finita sotto una di quelle teche di vetro dove i vecchi tengono l'immagine della Madonna. O di un Cristo con il cuore sanguinante e la faccia di [[Aldo Moro]]. Scialoja sognava Aldo Moro. Milioni di italiani sognavano Aldo Moro. I colleghi sognavano Aldo Moro. Sognavano di fare la stessa fine dei cinque martiri di via Fani. (p. 100)
*Maggio si era abbattuto su Roma con tutta la violenza della sua inandescente primavera. Ma era uno strano maggio. Triste. In una città sospesa in un'angoscia insonorizzata, come sotto una nevicata di polistirolo. In una città finita sotto una di quelle teche di vetro dove i vecchi tengono l'immagine della Madonna. O di un Cristo con il cuore sanguinante e la faccia di [[Aldo Moro]]. Scialoja sognava Aldo Moro. Milioni di italiani sognavano Aldo Moro. I colleghi sognavano Aldo Moro. Sognavano di fare la stessa fine dei cinque martiri di via Fani. (p. 100)
*Al cineclub di Via Banaco davano ''[[L'infernale Quinlan]]''. L'avrebbe rivisto volentieri per l'undicesima, no, la dodicesima volta. Ogni volta la storia lo mandava in crisi. [[Charlton Heston]] era un poliziotto democratico e garantista, come lui aspirava a essere. [[Orson Welles]] era un bandito in divisa, sporco, avido, corrotto. Un fascista, come la maggior parte dei suoi colleghi. Ma Henston era anche un coglione capace di farsi menare per il naso dalle lacrime di un bombarolo. E Welles un genio investigativo che subodorava la puzza del colpevole a cadavere ancora caldo. Come non ammirarlo? (p. 102)
*I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile. (p. 141)
*I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile. (p. 141)
*La Patria è minacciata dalla teppaglia rossa. Le zanne scarlatte dei bolscevichi sono pronte a spolparsi la Nazione. La Democrazia cristiana inciucia coi cosacchi, che scalpitano per abbeverarsi in piazza San Pietro: si vede che la lezione di [[Aldo Moro|Moro]] non gli è bastata. (p. 149)
*La Patria è minacciata dalla teppaglia rossa. Le zanne scarlatte dei bolscevichi sono pronte a spolparsi la Nazione. La Democrazia cristiana inciucia coi cosacchi, che scalpitano per abbeverarsi in piazza San Pietro: si vede che la lezione di [[Aldo Moro|Moro]] non gli è bastata. (p. 149)

Versione delle 17:42, 9 ago 2013

Giancarlo De Cataldo

Giancarlo De Cataldo (1956 – vivente), scrittore e magistrato italiano.

Citazioni di Giancarlo De Cataldo

  • In Romanzo criminale 2 ci saranno sorprese: racconteremo gli anni '80, recuperando parti del romanzo ma anche fatti veri per descrivere il rapporto perverso che si creò tra la banda della Magliana e i terroristi e i pezzi deviati dello stato. Tutta la nuova serie avrà come tema "Chi ha ucciso il libanese?" e la risposta non sarà scontata.[1]
  • Non è solo una storia di gangster, già nel romanzo c'era una connotazione politica. Ad un certo punto la banda viene manovrata, nel film è più evidente. Non si poteva seguire pedissequamente il romanzo perché lo si sarebbe tradito. La differenza di linguaggio obbliga a dei cambiamenti. Un pezzo della storia d'Italia è stata anche una storia criminale.[2]
  • [Su Romanzo criminale] [...] rivendico il diritto di raccontare una storia dove il male ha un ruolo preponderante, per insegnare ai giovani a difendersene e a combattere la paura. La rappresentazione edulcorata della realtà non serve. Nel mio romanzo c'era ancora qualcosa di nascosto che doveva essere raccontato, alcuni dettagli importanti che, nel film di Placido, non erano emersi, forse a causa dei tempi imposti a una pellicola cinematografica. Nella serie si recupera il contesto storico, che permette di capire, a chi non ha vissuto quel periodo, i motivi che condussero una piccola banda criminale ad agire liberamente.[3]
  • Romanzo Criminale 2 affonda le radici nella zona rimossa della nostra coscienza pubblica che riguarda i misteri italiani su cui ancora ci interroghiamo.[1]
  • Romanzo Criminale viene dopo 20-30 anni di cattiva tv, una narcosi inaudita che fa brillare fiction di coraggio come questa.[1]

Romanzo criminale

Incipit

Se ne stava rannicchiato fra due auto in sosta e aspettava il prossimo colpo cercando di coprirsi il volto. Erano in quattro. Il più cattivo era il piccoletto, con uno sfregio di coltello lungo la guancia. Tra un assalto e l'altro scambiava battute al cellulare con la ragazza: la cronaca del pestaggio. Menavano alla cieca, per fortuna. Per loro era solo un gran divertimento. Pensò che potevano essergli figli. A parte il negro, si capisce. Pischelli sbroccati. Pensò che qualche anno prima, solo a sentire il suo nome, si sarebbero sparati da soli, piuttosto che affrontare la vendetta. Qualche anno prima. Quando i tempi non erano ancora cambiati. Un attimo fatale di distrazione. Lo scarpone chiodato lo prese alla tempia. Scivolò nel buio.

Citazioni

  • Sarebbe stato da saggi ripiegare, a questo punto. Ma quando mai lui era stato saggio? Quando mai tutti loro erano stati saggi? Poi, la paura del piccoletto... l'odore della strada... non era per momenti come questo che tutti loro avevano sempre vissuto? Si chinò sul piccoletto e gli sussurrò all' orecchio il suo nome. Quello prese a tremare. (p. 7)
  • Dividiamo oggi. E domani e dopodomani stiamo daccapo a quindici. Le macchine se fanno vecchie, la coca se consuma, la fica si secca per mancanza di liquidi... e dico liquidi, soldi, Fierolo'... ma se invece questi due miliardi e mezzo noi non li dividiamo... se li teniamo uniti... se ci teniamo uniti noi... avete idea di cosa possiamo diventare? Invece di avere poco, abbiamo tanto. E più abbiamo, più avremo... ti ricordi il prete, Satana? Chi più ha più avrà... e noi così dobbiamo fare: avere di meno oggi per avere tutto domani. (il Libanese, p. 27)
  • Se i soldi si dividono non servono più a niente. Se ci dividiamo non serviamo più a niente. Uniti si vince. (il Freddo, p. 28)
  • Il potere deve premiare chi ha le idee più chiare e la forza per affermarle. (p. 36)
  • Patrizia non doveva avere più di ventidue-ventitre anni. Mora, pelle morbida e levigata, seni piccoli e sodi, ascelle perfettamente depilate, gambe lunghe. Un culo da strappare il cuore. Quando gli aprì, in sottoveste nera e microreggiseno dal quale spuntava l'areola di una tetta già inturgidita, Dandi non rimpianse di essersi rivolto a Fierolocchio, il massimo esperto di puttane della banda. In confronto a Gina [...] quella ragazzina era una dea. (p. 43)
  • – Facciamo finta... solo finta di riconoscere la sua autorità, - riprese il Libanese, - gli diciamo che il numero uno è sempre lui... ce lo teniamo buono il tempo che ci serve... due.. tre mesi... quando il carico è piazzato... tutto piazzato... ne facciamo venire un altro... e gli offriamo il venti... a quel punto lui è sicuro, sicurissimo... dorme sul velluto... è allora che dobbiamo beccarlo. Con calma. Quando decidiamo noi. Come decidiamo noi. Dove decidiamo noi! (p. 71)
  • Era la prima volta che il Freddo vedeva il Terribile. Tutti sapevano che aveva cominciato con i furti di automobili, poi era passato allo strozzo e ai bordelli e da lì alle scommesse. Il Terribile era il re dei cani e dei cavalli. Coi soldi del picchetto aveva aperto un paio di macellerie e uno smorzo a Primavalle. Manteneva una quindicina di scagnozzi, ricettava la roba dei cassettari. I Gemito erano la guardia pretoriana: a loro era concesso di esercitare l'estorsione e l'usura in proprio. Il Freddo lo valutò: cervello di gallina e lardo da bue orientale. (pp. 72-73)
  • Nelle zone calde, le teste d'uovo del ministero avevano pensato bene di piazzare i soldatini di leva. Magari pure bravi a individuare un terrorista - e come poi? Dalla chioma? Dalla puzza? - ma capaci di farsi passare sotto il naso come niente un etto di roba. Gli sbirri avevano gli occhi iniettati di sangue come dopo un pippatone alla Cristo comanda, ma erano così infoiati di carne brigatista che di tutto il resto si curavano poco o niente. (p. 83)
  • Non sarebbe stata la prima volta. Nè l'ultima. Per la paura, o per i soldi, qualcuno disposto a tradire si finisce sempre per trovarlo, a Roma. La Sicilia era un'altra cosa. Lì non si tradiva. Lì c'era rispetto. Ma pazienza:avrebbero cambiato Roma. Serviva solo un po' di tempo. (p. 90)
  • Il Dandi osservava e imparava: il Libano era un capo nato. Sapeva come tenere a bada i sanguinari e ringalluzzire gli infiacchiti. (p. 98)
  • Maggio si era abbattuto su Roma con tutta la violenza della sua inandescente primavera. Ma era uno strano maggio. Triste. In una città sospesa in un'angoscia insonorizzata, come sotto una nevicata di polistirolo. In una città finita sotto una di quelle teche di vetro dove i vecchi tengono l'immagine della Madonna. O di un Cristo con il cuore sanguinante e la faccia di Aldo Moro. Scialoja sognava Aldo Moro. Milioni di italiani sognavano Aldo Moro. I colleghi sognavano Aldo Moro. Sognavano di fare la stessa fine dei cinque martiri di via Fani. (p. 100)
  • Al cineclub di Via Banaco davano L'infernale Quinlan. L'avrebbe rivisto volentieri per l'undicesima, no, la dodicesima volta. Ogni volta la storia lo mandava in crisi. Charlton Heston era un poliziotto democratico e garantista, come lui aspirava a essere. Orson Welles era un bandito in divisa, sporco, avido, corrotto. Un fascista, come la maggior parte dei suoi colleghi. Ma Henston era anche un coglione capace di farsi menare per il naso dalle lacrime di un bombarolo. E Welles un genio investigativo che subodorava la puzza del colpevole a cadavere ancora caldo. Come non ammirarlo? (p. 102)
  • I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile. (p. 141)
  • La Patria è minacciata dalla teppaglia rossa. Le zanne scarlatte dei bolscevichi sono pronte a spolparsi la Nazione. La Democrazia cristiana inciucia coi cosacchi, che scalpitano per abbeverarsi in piazza San Pietro: si vede che la lezione di Moro non gli è bastata. (p. 149)
  • – Un giorno ti faccio il ritratto, Patrizia.
    – Sai anche dipingere?
    – Me la cavo. Ho fatto un paio d'anni di accademia. Ti raffigurerò come sei. Come ti vedo io. Come tu nemmeno immagini di essere.
    – Ah, sì? E come?
    – Geometrica. Puntuta. Slava. Tu non hai una faccia romana. Le facce romane sono tonde e dolci, tendono a sfumare nel languore, ispirano lussuria. Tu fai venire voglia di sfidarti. Sei una donna di là da venire, Patrizia. Volti come il tuo non se ne vedono molti in giro. (p. 213)
  • Il Vecchio è il Vecchio. Il Vecchio ordina e Dio dispone. Il Vecchio comandava un'unità informativa dal nome neutro il cui potere era noto solo a pochissimi eletti. Circondato dai suoi giocattoli meccanici, pezzi autentici del Settecento austriaco, prototipi dei moderni automi, il Vecchio combatteva l'insonnia giocando a disordinare il mondo. (p. 215)
  • Ah, gli americani! I guardiani della Libertà! I custodi della Democrazia! With God On My Side! Così semplici, così diretti, così amabilmente, intimamente, innocentemente fascisti! Così fieri della loro tradizione Wasp e del loro avatico prognatismo, ma se andavi a scavare nel pedigree affioravano gli ispanici, i greci, gli armeni e i turcomanni... le razze inferiori, le razze maledette... (p. 216)
  • La stazione era sventrata. Le sirene ululavano. Militari e volontari, fianco a fianco con le mascherine al naso, scavavano le macerie in cerca di un segno di vita. Qualcuno piangeva, i più moltiplicavano gli sforzi per rimandare l'appuntamento con la rabbia e lo sgomento. Arrivarono le troupe televisive. Una folla di parenti angosciati assiepava i binari. Circolava una parola maledetta e rivelatrice: strage. Le lancette del grande orologio del piazzale Ovest erano ferme sulle 10 e 25. L'ora in cui il cuore dell'Italia aveva preso a sanguinare. (pp. 239-240) [sulla strage di Bologna]
  • – Le lacrime del guerriero feriscono le stelle, - sussurrò il Nero, che sembrava avergli letto nel pensiero, - e ritornano sotto forma di stille di sangue. (p. 254)
  • Quella parola - Mafia - era stato lui a scandirla, forte e chiara, davanti al plotone di giornalisti eccitati. La vanagloria del Procuratore non lo turbava più di tanto. Solo i risultati contavano. I risultati, e il clima che cambiava. La gente doveva rendersi conto che non c'è solo il terrorismo a questo mondo. Il terrorismo passa. La mafia resta. Era questo il punto di partenza. (p. 295)
  • Ogni dieci-quindici giorni il Sorcio andava da Trentadenari o dal Freddo per assaggiare la roba. Se era coca, la leccava sulla punta delle dita. L'ero se la iniettava in dosi bassissime, per evitare il rischio di overdose. Come assaggiatore, nessuno poteva stargli alla pari. I suoi giudizi sul grado di purezza e sulle sostanze di taglio potevano sfidare qualunque analisi chimica. (p. 305)
  • Quando smetti con la roba senza scalare la realtà cambia ritmo. Il passo stesso della vita ti scorre un momento a velocità iperbolica, e quello con lentezza liquida. La testa ti finisce in un cerchio di ferro e il cuore si stacca dal torace e se ne va pompando all'aria per conto suo. (p. 347)
  • Il tennis era lo sport più stupido del mondo. Il televisore era l'elettrodomestico più stupido del mondo. Messi insieme, costituivano l'antidoto efficace contro l'ansia. (p. 355)
  • La cosa non mi turba. Fa parte delle regole. Io detesto la gente fidata. La gente fidata è leale, e dunque priva di fantasia. Se mi fossi circondato di gente fidata a quest'ora sarei da un pezzo sottoterra... (il Vecchio, p. 370)
  • Il Vecchio era l'interlocutore privilegiato della diplomazia parallela che legava a filo doppio Italia e Stati Uniti. Il campione dell'anticomunismo viscerale. Il Vecchio era un moderato. Temperava le asprezze degli estremisti con la sua calma sapienza. Era ben gradito anche oltrecortina. No, il Vecchio non era che un rottame, un sopravvissuto di altre epoche, uno specchietto per le allodole, un uomo di paglia che tenevano relegato in un ufficetto senza né fondi né uomini. Macché. Mai come nel caso del Vecchio il ruolo formale non corrispondeva al potere effettivo: mediocre e periferico il primo, oscuro e illimitato il secondo. Il Vecchio era uno spaventapasseri che si agitava nei momenti di crisi. Il Vecchio era il crocevia della Storia segreta dell'ultimo quarto di secolo. (p. 407)
  • Il Vecchio, per una volta, era alquanto indeciso. A ragionare lucidamente, si poteva concludere che la situazione generale si andava normalizzando. I comunisti erano stati risospinti all'opposizione, e anche se facevano la voce grossa, la loro influenza era in netto calo. L'ineluttabile declino era già avviato: questione di pochi anni, e le bandiere con la falce e il martello sarebbero finite sulle bancarelle di Porta Portese. Il terrorismo, rosso e nero, era entrato in un vortice autodistruttivo dal quale non c'era ritorno. Tra pentimenti, delezioni, dissociazioni e arresti, la generazione del 1970 era stata di fatto cancellata. Quanto alla mafia, non aveva mai rappresentato un vero problema. La mafia era più che un'istituzione: una necessità storica. Un accordo, alla fine, si riusciva sempre a trovarlo. L'Italia veleggiava tranquilla verso il traguardo degli anni Novanta, mollemente cullata dal ritmo di commedia dell'antica quadriglia dei poteri in eterno conflitto. (p.447)
  • A differenza dei rossi, perennemente impegnati nella stresura di prolissi e noiosissimi documenti, i neri predicavano e praticavano la mistica del gesto, l'idea senza parola. (p. 462)
  • [...] l'omini che te rompono li cojoni o se comprano o se spengono... (il Dandi, p. 567)
  • Ma lo vuoi capire che quei quattro sbandati non mi fanno paura? Non possono niente contro di me! Puzzano di carogna! Io sono il Dandi... Dandi, capisci? Io ho dàto una strada e una sicurezza a una massa di coatti... io ho Roma! E sai perché ce l'ho? Perché l'ho fatta io Roma. Proprio così! Prima di me non esisteva niente, qua tutti pascolavano, tutti... siciliani, calabresi, marsigliesi, fichetti, e voi quattro servi a leccare l'osso sotto la tavola dei ricchi... Prima di me c'erano solo usurai da quattro soldi e tagliagole pronti a farsela addosso davanti al primo caramba con le palle... e anche tu, Nero! Co' tutte quelle fregnacce, e l'Idea, e il Gesto, e la Rivoluzione... anche tu sei finito sul mio libro paga... come i ministri, l'avvocati, i giudici, i comandanti colle loro belle uniformi... se pensano che me metto paura de quattro stracciaculi... (il Dandi, pp. 603-604)

Explicit

Ma mentre si infilava in ascensore, dopo aver controllato per l'ultima volta il nodo della cravatta, provò una piccola, dolorosa fitta in fondo al cuore. Una puntura di spillo, niente di più. Strano. Nel momento del trionfo, da quali mai oscuri recessi del passato affiorava questo incomparabile senso di sconfitta?

Citazioni su Romanzo criminale

  • Contribuisce in modo notevole ad aiutare la gente a non pensare, a rivolgere l'attenzione ad altro ed è per questo che il prodotto letterario e poi cinematografico è vincente. (Paolo Crepet)
  • L'unico rischio di Romanzo Criminale – libro, film, serie – è quello di dare una dignità letteraria a personaggi che tutto erano fuorché eroi. (Andrea Scanzi)

Incipit de I traditori

Il prete ha la tonaca lorda e lo sguardo acceso di follia. Brandisce la torcia urlando frasi sconnesse in un incerto latino misto all'aspra cadenza gutturale del luogo. Invoca il suo Dio, pensa Lorenzo con una punta di disprezzo, o forse il diavolo. Contadini armati di forconi fanno eco alle urla con un sommesso mormorio. Schiacciata contro il portone della chiesa, una povera chiesa di campagna, legata a un palo improvvisato, sopra un cumulo di fascine secche, la ragazza dai capelli rossi ha la veste bianca stracciata, scarpe sfilacciate di corda ai piedi, e fissa il cielo con un sorriso vago. Ma la notte è nera, non ci sono stelle, e solo il riverbero agitato della torcia illumina una scena che sa di Goya e di notturni fiamminghi. Nell'oscurità che protegge i patrioti, gli occhi sarcastici del Calabrotto mandano lampi inquieti. La guida si fa il segno della croce e sputa per terra.

Note

  1. a b c Citato in Cosa resterà di questi anni Ottanta, Sky.it, 13 aprile 2010.
  2. Citato in Romanzo criminale: intervista agli autori, Italica. Rai.it.
  3. Citato in Emilia Costantini, «Romanzo criminale» a puntate. Una sfida giocata su volti nuovi, Corriere della Sera, 7 novembre 2008.

Bibliografia

Voci correlate

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