Stefan Zweig: differenze tra le versioni

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*Noi confidavamo in Jaurès e nell'internazionale socialista, credevamo che i ferrovieri avrebbero preferito far saltare le rotaie che portare i loro compagni al fronte come bestie al macello, noi contavamo sulle donne, che avrebbero negato i loro figli e i loro sposi al Moloc, eravamo convinti che nel supremo momento si sarebbe manifestata, trionfando, la forza spirituale e morale dell'[[Europa]]. Il nostro idealismo comune, il nostro ottimismo determinato dal progresso ci fece misconoscere e disprezzare il comune pericolo. (p.176)
*Noi confidavamo in Jaurès e nell'internazionale socialista, credevamo che i ferrovieri avrebbero preferito far saltare le rotaie che portare i loro compagni al fronte come bestie al macello, noi contavamo sulle donne, che avrebbero negato i loro figli e i loro sposi al Moloc, eravamo convinti che nel supremo momento si sarebbe manifestata, trionfando, la forza spirituale e morale dell'[[Europa]]. Il nostro idealismo comune, il nostro ottimismo determinato dal progresso ci fece misconoscere e disprezzare il comune pericolo. (p.176)
*La notte a [[Zurigo]] avevo il bisogno di girare ore e ore per le strade o lungo la riva del lago. Le mille luci significavano pace, lì gli uomini godevano ancora la beata calma della vita. Mi pareva di sentire che dietro quelle finestre non vi erano donne insonni, torturate dal pensiero dei figli lontani; non incontravo feriti o mutilati, non giovani in uniforme destinati ad essere caricati per il fronte l'indomani: lì pareva di aver diritto alla vita, mentre nei paesi in guerra quasi si sentiva come un disagio ed una colpa il fatto di non essere mutilati. (p. 227)
*La notte a [[Zurigo]] avevo il bisogno di girare ore e ore per le strade o lungo la riva del lago. Le mille luci significavano pace, lì gli uomini godevano ancora la beata calma della vita. Mi pareva di sentire che dietro quelle finestre non vi erano donne insonni, torturate dal pensiero dei figli lontani; non incontravo feriti o mutilati, non giovani in uniforme destinati ad essere caricati per il fronte l'indomani: lì pareva di aver diritto alla vita, mentre nei paesi in guerra quasi si sentiva come un disagio ed una colpa il fatto di non essere mutilati. (p. 227)
*Sapevamo che a cinque ore di distanza ogni tedesco che sorprendesse un francese, ogni francese che cogliesse un tedesco lo assaliva alla baionetta o lo ammazzava con una bomba a mano, ricevendone in cambio una medaglia al valore; sapevamo che dall'una e dall'altra parte milioni di persone avevano il solo sogno di distruggersi e di cancellarsi dalla superficie terrestre reciprocamente, sapevamo che i giornali avversari parlavano soltanto con la schiuma alla bocca, mentre noi, un pugno d'uomini fra tanti milioni, non soltanto sedevamo pacifici alla stessa tavola, ma ci sentivamo stretti da lealissima, appassionata [[fratellanza|fraternità]]. (p. 231)


==''Novella degli scacchi''==
==''Novella degli scacchi''==

Versione delle 21:09, 9 ago 2013

Stefan Zweig

Stefan Zweig (1881 – 1942), drammaturgo, poeta e scrittore austriaco.

  • I più commoventi fra questi individui erano per me – quasi m'avesse già sfiorato il presagio del mio futuro destino – gli uomini senza patria, o ancor peggio, quelli che in luogo di una patria ne avevano due o tre e non sapevano interiormente a quale appartenessero. (da Il mondo di ieri, capitolo Nel cuore dell'Europa)
  • Dickens narra con tale precisione, con tale minuziosità, da costringerci a seguire il suo sguardo ipnotizzante. Non aveva lo sguardo magico di Balzac [...], ma uno sguardo tutto terreno, uno sguardo da marinaio, da cacciatore, uno sguardo di falco per le piccole cose umane. – Ma sono le piccole cose – disse egli una volta – che formano il senso della vita. (Tre maestri: Balzac, Dickens, Dostoevskij, traduzione Berta Burgio Abrens, Sperling e Kupfer, Milano, 1938.)
  • Forse nessun uomo ha posto pretese morali tanto alte a se stesso (con sì scarsa capacità di adempiere a un ideale categorico) come Heinrich von Kleist. (citato in Corriere della sera, 28 luglio 2001)
  • Soltanto quegli ideali che non si sono logorati, o compromessi attuandosi, vivono in ogni generazione. Ad essi soltanto, non ancora adempiuti, è assicurato un costante ritorno.  Fonte? Fonte?

Maria Antonietta – Una vita involontariamente eroica

Incipit

Scrivere la storia della regina Maria Antonietta vuol dire riprendere un processo più che secolare, nel quale accusatori e difensori polemizzano con la maggior asprezza. Il tono appassionato della discussione risale agli accusatori. Per colpire la monarchia la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna. Ma è raro che veridicità e la politica dormano nello stesso letto, e là dove una figura è delineata con fini demagogici non si potrà aspettarsi molta giustizia dai facili servitori dell'opinione pubblica.

Citazioni

  • Maria Antonietta non fu né la grande santa dell'idea monarchica, né la grande bagascia della rivoluzione, bensì un carattere medio, in fondo una donna comune, non troppo intelligente, non troppo stolta, né fuoco né ghiaccio, senza energie speciali per il bene e senza la minima volontà al male, la donna media di ieri, di oggi e di domani, senza tendenze e genialità eccezionali, senza volontà di eroismi e perciò appunto apparentemente inadatta a divenire oggetto di una tragedia. Ma la storia, questo divino demiurgo, non ha bisogno di una protagonista dal carattere eroico per creare un dramma commovente. La tensione tragica non risulta soltanto dalla statura eccezionale di un personaggio ma sempre dalla sproporzione fra un individuo e il suo destino. […] la tragedia nasce anche quando la natura normale, od anzi piuttosto debole, si incontra con un destino inaudito, con responsabilità personali che la opprimono e schiacciano, e questa forma di tragedia mi sembra talvolta essere la più umana e la più commovente. […] Il carattere mediocre […] non vuole responsabilità storiche universali, al contrario, ne ha terrore, non cerca di patire, ma vi è costretto; dall'esterno, non dall'interno è portato ad essere più grande della sua vera misura. (pp. 13-14)
  • Ma talvolta un simile individuo di medio valore è in grado di frangere le dure zolle del proprio destino, di ergersi violentemente con la propria energia al disopra della sua stessa mediocrità: di ciò la vita di Maria Antonietta è forse il più luminoso esempio storico. Per i primi trent'anni nei trentotto della sua esistenza, questa donna percorre una via insignificante, se pure in una sfera inconsueta; ella non supera mai nel bene o nel male, la misura media: anima tiepida, carattere mediocre e, dal punto di vista storico, da principio, soltanto un personaggio di comparsa. Se la rivoluzione non fosse scoppiata nel suo mondo sereno e spensierato, questa figlia d'Absburgo avrebbe tranquillamente continuato a vivere come cento donne, milioni di donne di tutti i tempi […] Mai nessun uomo avrebbe sentito il desiderio di interrogare la sua anima spenta, nessuno avrebbe saputo chi essa fosse in realtà; non solo, ma – e questo è l'essenziale – ella medesima, Maria Antonietta, regina di Francia, senza le prove della sorte, non avrebbe mai appresa e conosciuta la sua vera grandezza. (pp. 14-15)
  • […] nella suprema sua ora Maria Antonietta raggiunge finalmente tragiche proporzioni e si fa grande al pari del suo destino. (p. 16)
  • Ma com'è lontana ancora la bufera che si addensa all'orizzonte! Come sono ancora remote le complicazioni e derivazioni fatali dell'anima puerile della quindicenne, che si trastulla ignara con col suo goffo compagno, che si illude di salire col cuore in tumulto e gli occhi ridenti d'attesa i gradini d'un trono – e vi trova invece un patibolo! (p. 45)
  • Il destino l'ha posta simbolica Regina di questo secolo, perché con esso viva la sua vita e muoia la sua morte. (p. 95)

Il mondo di ieri

Incipit

Se tento di trovare una formula comoda per definire quel tempo che precedette la prima guerra mondiale, il tempo in cui son cresciuto, credo di essere il più conciso possibile dicendo: fu l'età d'oro della sicurezza. Nella nostra monarchia austriaca quasi millenaria tutto pareva duraturo e lo Stato medesimo appariva il garante supremo di tale continuità. I diritti da lui concessi ai cittadini erano garantiti dal parlamento, dalla rappresentanza del popolo liberamente eletta, e ogni dovere aveva i suoi precisi limiti. La nostra moneta, la corona austriaca, circolava in pezzi d'oro e garantiva così la sua stabilità. Ognuno sapeva quanto possedeva o quanto gli era dovuto, quel che era permesso e quel che era proibito: tutto aveva una sua norma, un peso e una misura precisi.

Citazioni

  • Non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede della irresistibile forza conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi in un comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la sicurezza, i beni supremi. (p. 23)
  • Il senso di massa e di gregge non aveva raggiunto nella vita pubblica la repugnante potenza che ha oggi; la libertà dell'agire privato era considerata - cosa oggi appena concepibile - legittima e sottintesa; la tolleranza non veniva come oggi disprezzata e ritenuta debolezza, ma esaltata quale energia morale. (p. 39)
  • La missione del docente per quell'età non era tanto portarci avanti, quanto tenerci indietro, non plasmarci interiormente, ma inserirci il più docilmente possibile nel sistema dell'ordine, non accrescendo la nostra energia, ma disciplinandola e livellandola. (p. 47)
  • Il miglior centro di cultura per ogni novità rimaneva tuttavia il caffè. Per capire questo, bisogna ricordare che il caffè viennese rappresenta un'istituzione speciale, non paragonabile a nessun'altra al mondo. Esso è in fondo una specie di club democratico, accessibile a tutti in cambio di un'economica tazza di caffè, dove ogni cliente, versando quel modestissimo obolo, ha il diritto di starsene per ore a discutere, a scrivere, a giocare alle carte, ricevendo la posta e divorando soprattutto un illimitato numero di giornali e di riviste. Nei migliori caffè viennesi c'erano tutte le gazzette della città e non queste soltanto, ma quelle della Germania intera, nonché le francesi, le inglesi, le italiane e le americane, ed inoltre tutte le riviste letterarie ed artistiche di qualche importanza, dal Mercure de Pratice alla Neue Rundschau, dallo Studio al Burlington Magazine. (p.50)
  • Noi confidavamo in Jaurès e nell'internazionale socialista, credevamo che i ferrovieri avrebbero preferito far saltare le rotaie che portare i loro compagni al fronte come bestie al macello, noi contavamo sulle donne, che avrebbero negato i loro figli e i loro sposi al Moloc, eravamo convinti che nel supremo momento si sarebbe manifestata, trionfando, la forza spirituale e morale dell'Europa. Il nostro idealismo comune, il nostro ottimismo determinato dal progresso ci fece misconoscere e disprezzare il comune pericolo. (p.176)
  • La notte a Zurigo avevo il bisogno di girare ore e ore per le strade o lungo la riva del lago. Le mille luci significavano pace, lì gli uomini godevano ancora la beata calma della vita. Mi pareva di sentire che dietro quelle finestre non vi erano donne insonni, torturate dal pensiero dei figli lontani; non incontravo feriti o mutilati, non giovani in uniforme destinati ad essere caricati per il fronte l'indomani: lì pareva di aver diritto alla vita, mentre nei paesi in guerra quasi si sentiva come un disagio ed una colpa il fatto di non essere mutilati. (p. 227)
  • Sapevamo che a cinque ore di distanza ogni tedesco che sorprendesse un francese, ogni francese che cogliesse un tedesco lo assaliva alla baionetta o lo ammazzava con una bomba a mano, ricevendone in cambio una medaglia al valore; sapevamo che dall'una e dall'altra parte milioni di persone avevano il solo sogno di distruggersi e di cancellarsi dalla superficie terrestre reciprocamente, sapevamo che i giornali avversari parlavano soltanto con la schiuma alla bocca, mentre noi, un pugno d'uomini fra tanti milioni, non soltanto sedevamo pacifici alla stessa tavola, ma ci sentivamo stretti da lealissima, appassionata fraternità. (p. 231)

Novella degli scacchi

Incipit

Nella grande nave passeggeri, che a mezzanotte doveva salpare da New York per Buenos Aires, regnava la consueta attività e agitazione dell’ultima ora. Gente del luogo si accalcava per accompagnare gli amici, fattorini del telegrafo col berretto sulle ventitré attraversavano i saloni scandendo nomi ad alta voce, si trascinavano valigie e mazzi di fiori, bambini correvano curiosi su e giù per le scale, mentre l’orchestra suonava imperterrita per il deck-show. Io stavo conversando con un conoscente sul ponte di passeggio, un po’ in disparte da questa confusione, quando accanto a noi guizzarono taglienti due o tre lampi al magnesio – a quanto pareva i giornalisti avevano intervistato e fotografato in fretta, poco prima della partenza, qualche personaggio importante. Il mio amico guardò da quella parte e sorrise.

Citazioni

  • Per quattro mesi non avevo tenuto in mano un libro, e già la sola idea di un libro, in cui si potessero vedere parole allineate, righe, pagine e fogli, di un libro in cui si potessero leggere, seguire, accogliere nel cervello pensieri diversi, nuovi, estranei, capaci di distrarre, aveva qualcosa di inebriante e al tempo stesso di stupefacente.
  • Potevo pensare solo agli scacchi, solo in termini di mosse di scacchi, problemi di scacchi; qualche volta mi svegliavo con la fronte madida e capivo d’aver inconsciamente continuato a giocare anche nel sonno, e quando sognavo esseri umani, me li raffiguravo soltanto nei movimenti dell’Alfiere, della Torre, nell’avanti e indietro della mossa del Cavallo.

Incipit di alcune opere

Amok

Nel marzo del 1912, nel porto di Napoli, durante le operazioni di scarico di un grande transatlantico, si verificò uno strano incidente sul quale i giornali fornirono informazioni copiose ma ornate di molta fantasia.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

L'agnello del povero

LE PERSONE
FRANÇOIS FOURÈS, tenente del Settimo Cacciatori – PAOLINA FOURÈS, moglie del tenente Fourès, soprannominata BELLILOTTE – BONAPARTE generale dell'esercito in Egitto – BERTHIER, suo aiutante – DUPUY, comandante la piazza del Cairo – LA SIGNORA DUPUY, sua moglie – DESCHAMPS ufficiale di fureria – FOUCHÈ, ministro di polizia sotto il Consolato – DESCAZES, avvocato a Parigi – Primo, secondo, terzo soldato – Un gendarme.
QUADRO PRIMO
(Cortile interno del palazzo Esbekieh al Cairo. Sullo sfondo la scala che porta al quartier generale dello Stato Maggiore e all'appartamento del generale Bonaparte. Verso il proscenio, accampati in disordine attorno ad una tavola, soldati della compagnia di guardia e l'ufficiale di fureria Deschamps. Crepuscolo, cielo tropicale di un azzurro opalino picchiettato dalla luce delle stelle.)
PRIMO SOLDATO (si è tolto gli stivali e li va scuotendo) – Sabbia, dappertutto la maledetta sabbia! Nella canna del fucile, nelle tasche, nel pane, a letto, sin dentro le budella, dappertutto quella maledizione di un sale giallo. Vorrei sapere come fanno ad ingrassare tanto le pulci in questo paese.
SECONDO SOLDATO – Perché noi poveri sciocchi veniamo a nutrirle del nostro buon sangue francese! Altrimenti resterebbero secche anche loro come le donne di questi fellah. Vorrei vederlo in faccia quella canaglia di ministro al quale è venuta la bella idea di mandarci quaggiù in una terra desolata, gialla come sterco! Lo possa cogliere la peste!
TERZO SOLDATO – Non nominarla invano! Ieri sedici e oggi ventiquattro all'ospedale con le macchioline verdi. E s'ingrossano a tremende bozze, più rapide che al nostro paese le ciliege.

Mendel dei libri

Di nuovo a Vienna e di ritorno a casa da una visita nei quartieri fuori mano, mi sorprese un rovescio di pioggia che, con sferzate d'acqua, costringeva la gente a rimpiattarsi rapida sotto i portoni e altri ricoveri, e anch'io cercai in fretta un tetto sotto cui ripararmi. Per fortuna a Vienna c'è un caffè in attesa a ogni angolo, e io mi rifugiai in quello proprio lì di fronte, con il cappello già gocciolante e le spalle bagnate fradice. All'interno si rivelò il solito tradizionale caffè di periferia, senza il contorno accattivante di quelle orchestrine alla moda che in centro imitano i locali tedeschi, ma pervaso invece dall'atmosfera familiare della vecchia Vienna e affollato di gente modesta che consumava più giornali che dolciumi. A quell'ora, verso sera, l'aria già di per sé viziata presentava nelle azzurre volute di fumo un fitto disegno marmorizzato, e tuttavia il caffè aveva un aspetto lindo con i suoi divani di velluto palesemente nuovi e con la cassa di alluminio chiaro. Nella fretta non mi ero dato la pena di leggere il suo nome da fuori, ma a che scopo d'altronde? E adesso ero lì seduto al caldo, e guardavo impaziente di là dai vetri inondati d'azzurro e mi domandavo quando quella pioggia molesta avrebbe avuto la compiacenza di spostarsi di qualche chilometro.

Paura

Quando Irene uscì dall'appartamento del suo amante e cominciò a scendere le scale, tutto d'un tratto quella paura insensata tornò a impadronirsi di lei. All'improvviso una spirale nera prese a mulinarle davanti agli occhi, le gambe erano bloccate da una morsa di ghiaccio, ed ella dovette aggrapparsi in fretta alla ringhiera per non cadere bruscamente in avanti. Non era la prima volta che arrischiava una visita così pericolosa, quel brivido repentino non le era affatto sconosciuto e, pur opponendo in cuor suo una strenua resistenza, nel riprendere la via di casa finiva per soggiacere a simili imperscrutabili attacchi di una paura irragionevole e ridicola.

Bibliografia

  • Stefan Zweig, Il mondo di ieri, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori.
  • Stefan Zweig, L'agnello del povero, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, da IL DRAMMA, Anno 25°, n. 151, 1952.
  • Stefan Zweig, Maria Antonietta. Una vita involontariamente eroica, traduzione di Lavinia Mazzuchetti, Mondadori, 1933.
  • Stefan Zweig, Mendel dei libri; traduzione di Ada Vigliani, Milano, Adelphi, 2008. ISBN 978-88-459-2274-9
  • Stefan Zweig, Novella degli scacchi, traduzione di Simona Martini Vigezzi, Milano, Garzanti, 1982.
  • Stefan Zweig, Paura; traduzione di Ada Vigliani, Milano, Adelphi, 2011. ISBN 978-88-459-2634-1

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