Gaio Valerio Catullo: differenze tra le versioni

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*[...] ''chè nulla è sciocco — a par d'un sciocco [[risata|riso]].'' ([[s:Le poesie di Catullo/39|XXXIX]], v. 16)
*[...] ''chè nulla è sciocco — a par d'un sciocco [[risata|riso]].'' ([[s:Le poesie di Catullo/39|XXXIX]], v. 16)
:[...] ''risu inepto res ineptior nulla est.'' ([[s:la:Carmina (Catullus)/39|XXXIX]], v. 16)
:[...] ''risu inepto res ineptior nulla est.'' ([[s:la:Carmina (Catullus)/39|XXXIX]], v. 16)

*''Cosa di più desiderabile può essere donato dagli dei che un'ora fortunata?''{{da controllare|traduttore?}} (LXII, ''exametrum carmen nuptiale'', v. 30)
:''Quid datur a divis felici optatius hora?''


*''Nati sul pelio giogo eran quei pini, | che primi (se di fede il grido è degno) | del Fasi ai flutti ed agli eètei fini | il nettunio varcâr liquido regno, | Quando, l'aureo a rapir vello a' Colchini | il fior de' prodi argivi, in agil legno, | osò, lungi scorrendo i gorghi amari, | sferzar con lignei remi i glauchi mari.'' ([[s:Le poesie di Catullo/64|LXIV]]; vv. 1-8)
*''Nati sul pelio giogo eran quei pini, | che primi (se di fede il grido è degno) | del Fasi ai flutti ed agli eètei fini | il nettunio varcâr liquido regno, | Quando, l'aureo a rapir vello a' Colchini | il fior de' prodi argivi, in agil legno, | osò, lungi scorrendo i gorghi amari, | sferzar con lignei remi i glauchi mari.'' ([[s:Le poesie di Catullo/64|LXIV]]; vv. 1-8)
:Peliaco quondam prognatae uertice pinus | dicuntur liquidas Neptuni nasse per undas | phasidos ad fluctus et fines Aeeteos, | cum lecti iuuenes, Argiuae robora pubis, | auratam optantes Colchis auertere pellem | ausi sunt uada salsa cita decurrere puppi, | caerula uerrentes abiegnis aequora palmis.'' ([[s:la:Carmina (Catullus)/64|LXIV]], v. 1-8)
:''Peliaco quondam prognatae uertice pinus | dicuntur liquidas Neptuni nasse per undas | phasidos ad fluctus et fines Aeeteos, | cum lecti iuuenes, Argiuae robora pubis, | auratam optantes Colchis auertere pellem | ausi sunt uada salsa cita decurrere puppi, | caerula uerrentes abiegnis aequora palmis.'' ([[s:la:Carmina (Catullus)/64|LXIV]], v. 1-8)


*Ciò che una donna dice all'amante pieno di desiderio bisognerebbe scriverlo nel vento e nell'acqua corrente.<ref>Citato in Paola Mastellaro, ''Il libro delle citazioni latine e greche'', Mondadori, Milano, 2012, p. 24. ISBN 978-88-04-47133-2.</ref> (LXX, vv. 3-4)
*Ciò che una donna dice all'amante pieno di desiderio bisognerebbe scriverlo nel vento e nell'acqua corrente.<ref>Citato in Paola Mastellaro, ''Il libro delle citazioni latine e greche'', Mondadori, Milano, 2012, p. 24. ISBN 978-88-04-47133-2.</ref> (LXX, vv. 3-4)

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Gaio Valerio Catullo

Gaio Valerio Catullo (87 a.C. – 54 a.C.), poeta latino.

Carmi

Incipit

A chi mai dedico questo libretto
di cianciafruscole giocondo e schietto,
che uscendo in pubblico, ben ben polito
dall'arsa pomice mostra il vestito?
te, Cornelio, ch'uso dir sei,
c'han qualche grazia gli scherzi miei;
e che fra gl'itali scrittori osasti
di tutti i secoli spiegare i fasti
con ardir unico, solo in tre carte:
che giudizio, per dio, che arte!
Qual ch'esso siasi dunque tu accetta
questo libercolo che a te si spetta,
e tu fa', vergine patrona e diva,
che più d'un secolo perenne ei viva. (I)

Citazioni

  • Vivamus, mea Lesbia, atque amemus. (V, v. 1)
    • Godiamo, o Lesbia, mia Lesbia, amiamo. (V, v. 1)
    • Viviamo, mia Lesbia, e amiamo.[1]
  • Tramontar possono gli astri e redire: | noi, quando il tenue raggio dileguasi, | dobbiam perpetua notte dormire. (V, vv. 4-6)
Soles occidere et redire possunt: | nobis, cum semel occidit brevis lux, | nox est perpetua una dormienda. (V, vv. 4-6)
  • Da mi basia mille, deinde centum, | dein mille altera, dein secunda centum, | deinde usque altera mille, deinde centum, | dein, cum milia multa fecerimus, |conturbabimus illa, ne sciamus, | aut ne quis malus inuidere possit, | cum tantum sciat esse basiorum. (V, vv. 7-14)
    • Baciami, baciami, vuo' che mi baci; | a cento scocchino, a mille piovano | qui su quest'avida bocca i tuoi baci. | E poi che il numero sfugge a noi stessi. (V, vv. 7-10)
    • Baciami mille volte e ancora cento | poi nuovamente mille e ancora cento | e dopo ancora mille e dopo cento, | e poi confonderemo le migliaia | tutte insieme per non saperle mai, | perché nessun maligno porti male | sapendo quanti sono i nostri baci. (2007, vv. 7-13)
  • Lascia, o Catullo — triste, i sogni di prima, | e quanto hai visto — perir, perduto estima. (VIII, vv. 1-2)
Miser Catulle, desinas ineptire, | et quod uides perisse perditum ducas. (VIII, vv. 1-2)
  • Pedicabo ego vos et irrumabo, | Aureli pathice et cinaede Furi, | qui me ex uersiculis meis putastis, | quod sunt molliculi, parum pudicum. | Nam castum esse decet pium poetam | ipsum, uersiculos nihil necesse es. (XVI, vv. 1-6)
    • Or sì, che v’empio forziere e cassa, | finocchio Aurelio, Furio bardassa, | che troppo morbido mi giudicaste | dalle mie pagine non troppo caste. | dee pura e candida l'anima aversi: | posson non essere pudichi i versi. (XVI, vv. 1-6)
    • Io a voi lo metto in culo e in bocca | Aurelio frocio e Furio pederasta | voi che avete dedotto dai miei versi | niente austeri che sono niente casto. | Il sacro vate deve essere onesto, | senza obbligo che i versi anche lo siano. (2007)
    • Conviene al poeta ch'egli stesso sia casto e pio, ma non occorre che tali siano i suoi versi. (XVI, 5-6[2])
  • O Sirmione — o vago occhio di quante | isole e terre. (XXXI, vv. 1-2)
Paene insularum, Sirmio, insularumque Ocelle (XXXI, vv. 1-2)
  • [...] ei ghigna. Ad ogni evento, | checchè egli faccia, — ovunque vada, ei ghigna. | È questo il suo — debole, e affè, non troppo | bello ed urbano. (XXXIX, vv. 5-8)
[...] renidet ille. Quidquid est, ubicumque est, | quodcumque agit, renidet: hunc habet morbum, | neque elegantem, ut arbitror, neque urbanum. (XXXIX, vv. 6-8)
  • [...] chè nulla è sciocco — a par d'un sciocco riso. (XXXIX, v. 16)
[...] risu inepto res ineptior nulla est. (XXXIX, v. 16)
  • Nati sul pelio giogo eran quei pini, | che primi (se di fede il grido è degno) | del Fasi ai flutti ed agli eètei fini | il nettunio varcâr liquido regno, | Quando, l'aureo a rapir vello a' Colchini | il fior de' prodi argivi, in agil legno, | osò, lungi scorrendo i gorghi amari, | sferzar con lignei remi i glauchi mari. (LXIV; vv. 1-8)
Peliaco quondam prognatae uertice pinus | dicuntur liquidas Neptuni nasse per undas | phasidos ad fluctus et fines Aeeteos, | cum lecti iuuenes, Argiuae robora pubis, | auratam optantes Colchis auertere pellem | ausi sunt uada salsa cita decurrere puppi, | caerula uerrentes abiegnis aequora palmis. (LXIV, v. 1-8)
  • Ciò che una donna dice all'amante pieno di desiderio bisognerebbe scriverlo nel vento e nell'acqua corrente.[3] (LXX, vv. 3-4)
Mulier cupido quod dicit amanti, in vento et rapida scribere oportet aqua.
  • Su chi erotiche cose dice o fa | lo zio di Gellio tuonava e rituonava. | Gellio sfuggì a ogni censura: | inculando la moglie dello zio | fece di lui la statua del Silenzio. | Inculasse anche lo zio | lo zio non fiaterebbe. (74; da Le poesie, Einaudi, Torino, 1969, p. 238)
  • Difficile est longum subito deponere amorem. (LXXVI, ad deos, v. 13)
È difficile guarire di colpo d'un amore durato a lungo. traduttore? traduttore?
È difficile deporre d'improvviso un amore lungo.[4]
  • Andarti a genio, Cesare, non è la mia passione | Né di sapere se sei «bianco o nero». (93; 2007)
  • Quando fu detto mai di parolai e stronzi | si può dire di te, vezzoso Vezzio, | che questa lingua tua se ti conviene | lecca culi e scarpacce rusticane. | Se tu ci vuoi distruggere in un colpo | schiudi la bocca, Vezzio, è irresistibile. (98; 2007)
  • Il sogno, il desiderio, contro ogni speranza appagato, | è la gioia dell'anima più vera. | Così anche a me tu dai una gioia più cara dell'oro, | tornando, Lesbia, quando più ti bramavo, | e ti bramavo senza sperare, e tu vieni da te, | per me. Giorno di privilegio questo. (107, vv. 1-7; 2007)

Odi et amo

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. | Nescio, sed fieri sentio et excrucior. (LXXXV)

Odio e amo. Forse chiedi perché lo faccia. | Non lo so, ma sento e mi tormento.[5]
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. | Non lo so, ma sento che ciò accade, e mi tortura.[6]
Io odio e amo. "Come fai?" mi chiedi. | Non lo so. Ma lo sento, e sono in croce.[7]
Odio e amo. | Come sia non so dire. | Ma tu mi vedi qui crocifisso | Al mio odio e al mio amore.[8]
Io odio e amo; forse chiederai | come questo può essere. Non so, | ma sento che è così: sento e ne soffro.[9]
Odio e amo. Perché mai, tu mi chiedi. | Non so. Ma sento che è così, ed è un tormento.[10]
Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. | Non so ma sento che questo mi accade: qui è la mia croce.[11]
Io odio e amo. Ma come, dirai. Non lo so, | sento che avviene e che è la mia tortura.[12]
Odio e amo. Tu non mi chiedere. | Come non so, ma sento questa pena.[13]
I' t'odio e tt'amo, e saccio amaro 'o ddoce. | pe' cchesto stongo ccà, 'nchiuvato 'ncroce.[14]
L'odio e l'adoro. Perché ciò faccia, se forse mi chiedi, | io, nol so: ben so tutta la pena che n'ho.[15]
Odio e amo. Perché io faccia così, forse t'interessa sapere. | Non lo so. Ma sento che così è, e sono in croce.[16]
Odio e amo. Forse chiederai come sia possibile; | non so, ma è proprio così, e mi tormento.[17]
Odio e amo. Me ne chiedi la ragione? | Non so, così accade e mi tormento.[18]
Odio e amo. Mi chiedi come si può. | Lo sa il mio cuore crocifisso. Io non lo so.[19]
Odio e amo. Perché questo io faccia forse domandi. | Non so; lo sento e mi torturo l'anima.[20]

Explicit

Molte volte ho cercato, con l'animo del cacciatore,
di dedicarti versi del Battìade
di cui sei specialista, per intenerirti e smettessi
di saettarmi, nemico tenacissimo,
ma vedo adesso, Gellio, che è tutta fatica sprecata.
Da questa parte, ogni preghiera è inutile.
Ma alle tue saette mi basta il mantello. Le ferma.
Il tuo no. Te lo pianto e me la paghi.[21] (116)

[Catullo, I Canti, introduzione e note di Alfonso Traina, traduzione di Enzo Mandruzzato, BUR, 2007]

Note

  1. Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 22. ISBN 978-88-04-47133-2.
  2. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 599.
  3. Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 24. ISBN 978-88-04-47133-2.
  4. Citato in Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche, Mondadori, Milano, 2012, p. 26. ISBN 978-88-04-47133-2.
  5. Citato in Guido Almansi, Il filosofo portatile, TEA, 1991.
  6. Traduzione di Luca Canali.
  7. Traduzione di Franco Caviglia.
  8. Citato in Nicola Flocchini, Piera Guidotti Bacci, Il libro degli autori. Antologia di scrittori latini, Bompiani, Milano, 1989.
  9. Traduzione di Enzio Cetrangolo.
  10. Traduzione di Gioachino Chiarini.
  11. Catullo, Poesie, a cura di Francesco Della Corte, Mondadori, Milano, 2007.
  12. Citato in Enzo Mandruzzato, Catullo: Canti, Rizzoli, Milano, 2007.
  13. Citato in Italo Mariotti, Da Saffo a Ovidio, Manni Editori, 2001.
  14. Traduzione di Amedeo Messina.
  15. Citato in Giovanni Pascoli, Odio e amore, in Traduzioni e riduzioni, a cura di Maria Pascoli, Zanichelli, Bologna, 1913.
  16. Traduzione di Giovanni Battista Pighi.
  17. Citato in Salvatore Quasimodo, Catullo: Canti, Mondadori, Milano, 1988.
  18. Citato in Mario Ramous, Gaio Valerio Catullo: Le Poesie, Garzanti, Milano, 1989.
  19. Citato in Tiziano Rizzo, Catullo: Le poesie – Carmina, Newton Compton Editori, Roma, 1992.
  20. Traduzione di Guido Vitali.
  21. Poesia numero 116 nell'edizione BUR.

Bibliografia

  • Catullo, I Canti, introduzione e note di Alfonso Traina, traduzione di Enzo Mandruzzato, BUR, 2007.
  • Gaio Valerio Catullo, Le poesie di Catullo, tradotte da Mario Rapisardi, Luigi Pierro, Napoli, 1889.

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