Denis Diderot: differenze tra le versioni

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*[...] valorosi americani, che hanno preferito vedere oltraggiare le loro donne, trucidare i loro figli, distruggere le loro case, devastare i loro campi, incendiare le loro città, e che hanno preferito versare il loro sangue e morire, piuttosto di perdere la minima parte della loro libertà.<ref>Da ''Saggio sui regni di Claudio e di Nerone e sui costumi e gli scritti di Sene­ca'' (1782), traduzione di Secondo Carpanetto, Luciano Guerci, Sellerio, Palermo, 1987, lib. II, 5 74, pp. 327-28; citato in Domenico Losurdo, ''Controstoria del liberalismo'', Laterza, 2005, p. 133.</ref>
*[...] valorosi americani, che hanno preferito vedere oltraggiare le loro donne, trucidare i loro figli, distruggere le loro case, devastare i loro campi, incendiare le loro città, e che hanno preferito versare il loro sangue e morire, piuttosto di perdere la minima parte della loro libertà.<ref>Da ''Saggio sui regni di Claudio e di Nerone e sui costumi e gli scritti di Sene­ca'' (1782), traduzione di Secondo Carpanetto, Luciano Guerci, Sellerio, Palermo, 1987, lib. II, 5 74, pp. 327-28; citato in Domenico Losurdo, ''Controstoria del liberalismo'', Laterza, 2005, p. 133.</ref>
*Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle. <ref>Da ''Sur les femmes'' (1772), pubblicato nelle ''Correspondance littéraire, philosophique et critique'' [[ https://fr.wikisource.org/wiki/Sur_les_femmes|Leggere on line (in francese)]]</ref>.
*Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle. <ref>Da ''Sur les femmes'' (1772), pubblicato nelle ''Correspondance littéraire, philosophique et critique'' [[https://fr.wikisource.org/wiki/Sur_les_femmes|Leggere on line (in francese)]]</ref>.
:''Quand on écrit des femmes, il faut tremper sa plume dans l’arc-en-ciel et jeter sur sa ligne la poussière des ailes du papillon.''
:''Quand on écrit des femmes, il faut tremper sa plume dans l’arc-en-ciel et jeter sur sa ligne la poussière des ailes du papillon.''



Versione delle 15:42, 4 set 2015

Denis Diderot

Denis Diderot (1713 – 1784), filosofo e scrittore francese.

Citazioni di Denis Diderot

  • Andiamo, amico, diamoci un po' meno d'importanza. Noi siamo nella natura, un momento ci stiamo bene, un momento male: credetemi, coloro che lodano la natura per aver tappezzato a primavera la terra di verde, un colore amico dei nostri occhi, sono degli impertinenti che dimenticano che questa stessa natura, di cui vogliono trovare ovunque la benevolenza, stende d'inverno una grande coltre bianca che ferisce i nostri occhi, ci dà il capogiro e ci espone a morire congelati. La natura è bella e buona quando ci è propizia, brutta e cattiva quando ci affligge. Sovente è ai nostri stessi sforzi ch'essa deve almeno una parte del suo fascino...[1]
  • C'è chi muore oscuro perché non ha avuto un diverso teatro.[2]
Tel meurt obscur, à qui il n'a manqué qu'un autre théâtre.
  • [Sulla Russia] Colosso dai piedi di creta.[3]
C'est un colosse aux pieds d'argile.
  • Che cos'è l'animale? È una questione di fronte alla quale si è tanto più imbarazzati quante più nozioni si hanno di filosofia e di storia naturale. Se si esaminano tutte le proprietà conosciute dell'animale, non se ne troverà alcuna che appartenga a tutti gli esseri cui siamo obbligati a dare questa qualifica, o sia assente da quanti non possiamo chiamare con tal nome.[4]
  • Diffidate di chi viene a mettere ordine.[5]
  • È facile criticare giustamente; e difficile eseguire anche mediocremente.[6]
Il est facile de critiquer juste; et difficile d'exécuter médiocrement.
  • Finché le cose rimangono esclusivamente nel nostro intelletto, sono nostre opinioni, sono nozioni che possono esser vere o false, accettate o contraddette. Esse acquisiscono consistenza soltanto legandosi agli enti esterni. Questo legame si realizza attraverso una serie ininterrotta di esperienze, oppure attraverso una catena ininterrotta di ragionamenti, la quale dipende in parte dall'osservazione e in parte dall'esperienza.[7]
  • Il buono vive in società, il malvagio da solo.[8]
  • La cosa peggiore è la posizione stentata in cui ci tiene il bisogno; l'uomo bisognoso non cammina normalmente; egli salta, striscia, si contorce, si trascina, passa la vita ad assumere e a eseguire delle posizioni.[9]
  • L'occhio e l'ala di farfalla bastano per annientare un ateo.[10]
  • Mi rappresento il vasto recinto delle scienze come una grande estensione di terreno disseminato di luoghi oscuri e illuminati. Lo scopo delle nostre fatiche deve essere quello di estendere i confini dei luoghi illuminati, oppure di moltiplicare sul terreno i centri di luce. L'un compito è proprio del genio che crea, l'altro della perspicacia che perfeziona. [11]
  • Nessun uomo ha avuto dalla natura il diritto di comandare sugli altri. La libertà è un dono del cielo e ogni individuo della stessa specie ha il diritto di fruirne non appena è dotato di ragione. [...] Il potere acquistato con la violenza è mera usurpazione e dura solo finché la forza di chi comanda prevale su quella di coloro che obbediscono; sicché, se questi ultimi diventano a loro volta i più forti e si scrollano di dosso il giogo, lo fanno con altrettanto diritto e giustizia di chi l'aveva loro imposto. La stessa legge che ha fondato l'autorità la distrugge; è la legge del più forte.[12]
  • Non esiste in natura un atomo che sia rigorosamente simile ad un altro. E tutto in natura è connesso, senza che sia possibile un vuoto nella catena. Che cosa sono dunque gli individui? Essi non esistono affatto. C'è un solo grande individuo, ed è il tutto. […] Dall'elefante alla pulce, e dalla pulce alla molecola sensibile e vivente, che costituisce l'origine di ogni cosa, non c'è un punto in tutta la natura che non soffra o non goda.[13]
  • Quando si crede troppo, si rischia tanto quanto si crede troppo poco.[14]
  • Quasi sempre ciò che nuoce alla bellezza morale raddoppia la bellezza poetica. Con la virtù si fanno soltanto quadri tranquilli e freddi; sono la passione e il vizio quelli che animano le composizioni del pittore, del poeta, del musicista.[15]
  • Se la ragione ci è stata donata dal Cielo, proprio come la fede, allora il Cielo ci ha offerto due doni incompatibili e contraddittorî.[16]
  • Se un misantropo si fosse proposto di fare l'infelicità del genere umano, che avrebbe potuto inventare di meglio che la credenza in un essere incomprensibile, sul quale gli uomini non avrebbero potuto mai mettersi d'accordo e al quale avrebbero attribuito maggior importanza che alla loro stessa vita?[17]
  • [Su Ipazia] Tutte le conoscenze accessibili allo spirito umano, riunite in questa donna dall'eloquenza incantatrice, ne fecero un fenomeno sorprendente, e non dico tanto per il popolo, che si meraviglia di tutto, quanto per i filosofi stessi, che è difficile stupire.[18]
  • Un'ipotesi non è un fatto.[19]
  • [...] valorosi americani, che hanno preferito vedere oltraggiare le loro donne, trucidare i loro figli, distruggere le loro case, devastare i loro campi, incendiare le loro città, e che hanno preferito versare il loro sangue e morire, piuttosto di perdere la minima parte della loro libertà.[20]
  • Quando si scrive delle donne, bisogna intingere la penna nell'arcobaleno e asciugare la pagina con la polvere delle ali delle farfalle. [21].
Quand on écrit des femmes, il faut tremper sa plume dans l’arc-en-ciel et jeter sur sa ligne la poussière des ailes du papillon.

Pensieri filosofici

  • Il pensiero della non esistenza di Dio non ha mai spaventato nessuno, ma è terrorizzante invece pensare che ne esista uno come quello che mi hanno descritto.
  • Il Dio dei Cristiani è un dio che fa molto caso dei suoi pomi e poco dei suoi figli.
  • Che cosa è questo Dio che fa morire Dio per placare Dio?
  • Conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti, li troverei detestabili.

Trattato sul bello

Citazioni

  • 7º I sostenitori del senso interno intendono per bello l'idea che certi oggetti suscitano nella nostra anima e per senso interno del bello la facoltà che abbiamo di accogliere questa idea; osservano che gli animali hanno delle facoltà simili ai nostri sensi esterni, e che anzi le hanno qualche volta superiori alle nostre; ma che non ce n'è nessuno che mostri quello che intendiamo per senso interno. Un essere, continuano, può dunque avere interamente la nostra medesima sensazione esterna, senza cogliere però le somiglianze e i rapporti tra gli oggetti; può anche discernere quelle somiglianze e quei rapporti senza sentirne un grande piacere; d'altra parte le pure e semplici idee della figura e delle forme, ecc., sono qualcosa di distinto dal piacere. Il piacere può trovarsi là dove le proporzioni non sono considerate né conosciute, e può mancare per quanta attenzione si rivolga all'ordine e alle proporzioni. Come chiameremo dunque questa facoltà che agisce in noi senza che sappiamo bene il perché? Senso interno.
    8º Questa denominazione è fondata sul rapporto tra la facoltà che essa designa e le altre facoltà. Tale rapporto consiste principalmente nel fatto che il piacere che ci fa provare il senso interno è differente dalla conoscenza dei princìpi. La conoscenza dei princìpi può accrescerlo o diminuirlo; ma questa conoscenza non si identifica con esso né è la sua causa. Questo senso dà un piacere necessario; poiché la bellezza e la bruttezza di un oggetto rimangono sempre le stesse per noi anche se abbiamo tutte le intenzioni di giudicare diversamente. Un oggetto sgradevole non ci può parere bello per il solo fatto che è utile; un bell'oggetto, anche se è nocivo, non per questo ci sembra brutto. Prometteteci il mondo intero in ricompensa per costringerci a trovare bella la bruttezza e brutta la bellezza; aggiungete al premio le più terribili minacce, voi non porterete nessun cambiamento alle nostre percezioni e al giudizio del senso interno: la nostra bocca potrà lodare o biasimare a vostro piacere; ma il senso interno rimarrà incorruttibile. (2001, pp. 18-20)
  • […] basta un solo fatto per abbattere un sistema […]. (Il bello assoluto secondo Hutcheson e i suoi seguaci; 2001, p. 34)
  • Bello è un termine che noi applichiamo a innumerevoli esseri; ma per quanta sia la differenza tra questi esseri, bisogna concludere o che noi facciamo una falsa applicazione del termine bello, o che in tutti questi esseri c'è una qualità di cui il termine bello è il segno.
    Questa qualità non può rientrare nel numero di quelle che costituiscono la loro differenza specifica; poiché in questo caso non ci sarebbe che un solo essere bello, o tutt'al più una sola specie bella di esseri.
    Ma fra le qualità comuni a tutti gli esseri che chiamiamo belli, quale sceglieremo per identificare la cosa di cui il termine bello è il segno? Quale? È evidente, mi sembra, che dovrà essere quella la cui presenza li rende tutti belli; la cui maggiore o minore intensità (se essa è suscettibile di maggiore o minore intensità) li rende più o meno belli; la cui assenza rende impossibile che siano belli; che non può cambiare natura senza che il bello cambi specie, e la cui qualità opposta renderebbe sgradevoli e brutti i più belli; in una parola, quella grazie alla quale la bellezza comincia, aumenta, varia all'infinito, declina e scompare. Ora, non c'è che la nozione di rapporti che abbia questa virtù.
    Chiamo dunque bello fuori di me tutto ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l'idea di rapporti; e bello per me tutto ciò che risveglia quest'idea.
    Quando dico tutto, escludo però le qualità relative al gusto e all'odorato; benché queste qualità possano risvegliare in noi l'idea di rapporti, non si chiamano belli gli oggetti in cui esse risiedono, quando li si considera dal punto di vista di queste qualità. Diremo un cibo eccellente, un odore delizioso, ma non un bel cibo, un bell'odore. Dunque, quando diciamo questo è un bel pesce, questa è una bella rosa, consideriamo nella rosa e nel pesce qualità diverse da quelle relative ai sensi del gusto e dell'odorato.
    Se faccio distinzione tra tutto ciò che contiene in sé qualcosa che possa risvegliare nel mio intelletto l'idea di rapporti, e tutto ciò che risveglia questa idea, è perché bisogna ben distinguere le forme che sono negli oggetti dalla nozione che io ne ho. Il mio intelletto non mette nulla nelle cose e non ne toglie nulla. Che io pensi o non pensi alla facciata del Louvre, tutte le parti che la compongono hanno ugualmente questa o quella forma e questa o quella rispondenza tra loro: che ci siano degli uomini o meno, essa è bella ugualmente, ma soltanto per possibili esseri costituiti di corpo e di spirito come noi; poiché per altri essa potrebbe non essere né bellabrutta, o anzi essere brutta. Ne consegue che, benché non ci sia un bello assoluto, ci sono due specie di bello per noi, un bello reale e un bello percepito. (2001, pp. 39-41)
  • Le lingue le fa il popolo; al filosofo tocca scoprire l'origine delle cose; e ci sarebbe da stupirsi se i princìpi dell'uno non si trovassero spesso in contraddizione con la pratica dell'altro. (2001, p. 50)
  • Collocate la bellezza nella percezione dei rapporti, e avrete la storia dei suoi progressi dall'origine del mondo fino ad oggi; scegliete qualsiasi altra qualità come carattere distintivo del bello in generale, e subito la vostra nozione si troverà ad essere concentrata in un punto dello spazio e del tempo. (2001, p. 52)
  • Non ci sono forse due uomini sulla terra che percepiscano esattamente gli stessi rapporti in uno stesso oggetto, e che lo giudichino bello allo stesso grado; ma se ce ne fosse uno solo insensibile a rapporti di alcun genere, sarebbe un perfetto bruto; e se vi fosse insensibile solo in qualche ambito, questo fenomeno rivelerebbe in lui una qualche deficienza nell'economia animale; e basterebbe la condizione generale del resto della specie per tenerci sempre lontani dallo scetticismo. (Post equitem sedet atra cura; 2001, p. 61)

Incipit di alcune opere

Il nipote di Rameau

D'abitudine, che il tempo sia bello o brutto, verso le cinque del pomeriggio me ne vado a passeggiare al Palais Royal.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Jacques il fatalista

Come s'erano incontrati? Per caso, come tutti. Come si chiamavano? E che importanza ha?
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

La religiosa

La risposta del signor marchese di Croismare, se mai me ne darà, mi fornirà le prime righe di questo scritto. Prima di scrivergli, ho voluto conoscerlo. È un uomo di mondo, si è distinto sotto le armi, è anziano, vedovo, ha una figlia e due figli ai quali vuole molto bene e dai quali è adorato. Di nobili natali, è uomo colto, intelligente, di umore gaio, con un gusto spiccato per le belle arti. È soprattutto una persona originale.

Note

  1. Dal Salon de 1767.
  2. Da Les deux amis de Bourbonne.
  3. Citato in Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, pp. 337-338.
  4. Da Encyclopédie; citato in Ditadi 1994, p. 709.
  5. Citato in Tommaso Giartosio, Perché non possiamo non dirci, Feltrinelli, 2004, p. 73. ISBN 88-07-10368-0
  6. Da Discours sur la poésie dramatique.
  7. Da Interpretazione della natura, § 7, 1753.
  8. Citato in Indro Montanelli e Roberto Gervaso, L'Italia del Settecento, Rizzoli, 1971.
  9. Da Il Nipote di Rameau.
  10. Citato in Augustin Barruel, Memorie per servire alla storia del Giacobinismo, p. 31.
  11. Da Interpretazione della natura, a cura di P.Omodeo, Roma, Editori Riuniti 1995, p.36
  12. Da Il pensiero politico dell'illuminismo, a cura di E. Tortarolo.
  13. Da Sogno di d'Alembert; citato in Ditadi 1994, pp. 716-717.
  14. Citato in Karlheinz Deschner, Sopra di noi... niente, Ariele, 2008.
  15. Da Lettera a Sophie Volland.
  16. Dall'Aggiunta ai Pensieri filosofici, 1762.
  17. Da L'uomo e la morale, a cura di V. Barba, Edizioni Studio Tesi, 1991, p. 88.
  18. Dall'Encyclopédie; citato in Silvia Ronchey, Ipazia: La vera storia, Rizzoli, Milano, 2010, p. 19. ISBN 978-88-17-04565-0
  19. Da Dell'interpretazione della natura.
  20. Da Saggio sui regni di Claudio e di Nerone e sui costumi e gli scritti di Sene­ca (1782), traduzione di Secondo Carpanetto, Luciano Guerci, Sellerio, Palermo, 1987, lib. II, 5 74, pp. 327-28; citato in Domenico Losurdo, Controstoria del liberalismo, Laterza, 2005, p. 133.
  21. Da Sur les femmes (1772), pubblicato nelle Correspondance littéraire, philosophique et critique [on line (in francese)]

Bibliografia

  • Denis Diderot, Trattato sul bello (Recherches philosophiques sur l'origine et la nature du beau, 1752), traduzione di Guido Neri, a cura di Miklos N. Varga, Abscondita, Milano, 2001. ISBN 8884160243
  • Denis Diderot, La religiosa, traduzione originale di Antonio Di Giorgio da "La Religieuse", Bookking International, Classiques Francais, Parigi, 1993.
  • Gino Ditadi, I filosofi e gli animali, vol. 2, Isonomia editrice, Este, 1994. ISBN 88-85944-12-4

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