Dante Alighieri: differenze tra le versioni

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*[...] lo consentire è uno confessare, villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno, perché né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare. ({{Source|Convivio/Trattato primo|lo consentire è uno confessare|Trattato I, capitolo II, 11}})
*[...] lo consentire è uno confessare, villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno, perché né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare. ({{Source|Convivio/Trattato primo|lo consentire è uno confessare|Trattato I, capitolo II, 11}})
*Questi [gli uomini mutevoli e facili a giudicare] sono da chiamare pecore, e non uomini; ché se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che 'l pastore, piangendo e gridando, con le braccia e col petto dinanzi a esse si parava» ({{Source|Convivio/Trattato primo|questi sono da chiamare pecore|Trattato I, capitolo XI, 9}})
*''Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, | udite il ragionar ch'è nel mio core, | ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo.'' ({{Source|Convivio/Trattato secondo|Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete|Trattato II, canzone prima, 1-3}}<ref name=c1>Presente anche in ''Rime'', LXXIX, ''[[s:Rime (Dante)/LXXIX - Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete|Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete]]''.</ref>)
*''Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, | udite il ragionar ch'è nel mio core, | ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo.'' ({{Source|Convivio/Trattato secondo|Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete|Trattato II, canzone prima, 1-3}}<ref name=c1>Presente anche in ''Rime'', LXXIX, ''[[s:Rime (Dante)/LXXIX - Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete|Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete]]''.</ref>)
*''Chi veder vuol la salute, | faccia che li occhi d'esta donna miri, | sed e' non teme angoscia di sospiri''. ({{Source|Convivio/Trattato secondo|Chi veder vuol la salute|Trattato II, canzone prima, 24-26}}<ref name=c1/>)
*''Chi veder vuol la salute, | faccia che li occhi d'esta donna miri, | sed e' non teme angoscia di sospiri''. ({{Source|Convivio/Trattato secondo|Chi veder vuol la salute|Trattato II, canzone prima, 24-26}}<ref name=c1/>)

Versione delle 01:56, 3 apr 2016

Dante Alighieri

Dante Alighieri (1265 – 1321), il Sommo poeta italiano.

Citazioni di Dante Alighieri

  • Che se in Fiorenza per via onorata non s'entra, io non entrerovvi giammai. E che? non potrò io da qualunque angolo della terra mirare il sole e le stelle? non potrò io sotto ogni plaga del cielo meditare le dolcissime verità, se pria non mi renda uom senza gloria, anzi d'ignominia, in faccia al popolo e alla città di Fiorenza? (dall'epistola XII; citato in Piero Fraticelli (a cura di), La Divina Commedia di Dante Alighieri col comento di Pietro Fraticelli, G. Barbèra, Firenze, 1881, p. 20)
  • Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell’isola hanno cantato con solennità [...] E in verità quegli uomini grandi e illuminati, Federico Cesare e il suo degno figlio Manfredi, seppero esprimere tutta la nobiltà e dirittura del loro spirito, e finché la fortuna lo permise si comportarono da veri uomini, sdegnando di vivere da bestie. Ed è per questo che quanti avevano in sé nobiltà di cuore e ricchezza di doni divini si sforzarono di rimanere a contatto con la maestà di quei grandi principi, cosicché tutto ciò che a quel tempo producevano gli Italiani più nobili d'animo vedeva dapprima la luce nella reggia di quei sovrani così insigni; e poiché sede del trono regale era la Sicilia, ne è venuto che tutto quanto i nostri predecessori hanno prodotto in volgare si chiama siciliano: ciò che anche noi teniamo per fermo, e che i nostri posteri non potranno mutare.[1] (da De vulgari eloquentia, XII cap. del I libro)

Attribuite

  • Dio è Uno; l'Universo è un pensiero di Dio; l'Universo è dunque Uno esso pure. Tutte le cose vengono da Dio. Tutte partecipano, più o meno, della natura divina, a seconda del fine pel quale sono create. L'uomo è nobilissimo fra tutte le cose: Dio ha versato in lui più della sua natura che non sull'altre. Ogni cosa che viene da Dio tende al perfezionamento del quale è capace. La capacità di perfezionamento nell'uomo è indefinita. L'Umanità è Una. Dio non ha fatto cosa inutile; e poiché esiste una Umanità, deve esistere uno scopo unico per tutti gli uomini, un lavoro da compirsi per opera d'essi tutti. Il genere umano dovrebbe dunque lavorare unito sì che tutte le forze intellettuali diffuse in esso ottengano il più alto sviluppo possibile nella sfera del pensiero e dell'azione. Esiste dunque una Religione universale della natura umana.[2]
  • Non ti curar di loro, ma guarda e passa.
[Citazione errata] La citazione corretta è: «Non ragioniam di lor, ma guarda e passa.»[3]

Divina Commedia

Inferno

Incipit

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.

Citazioni

  • Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta | una lonza [lince o leopardo][4] leggiera e presta molto, | che di pel maculato era coverta; | e non mi si partìa dinanzi al volto, | anzi 'mpediva tanto il mio cammino, | ch'i' fui per ritornar più volte vòlto. (I, 31-36)
  • Ma non sì che paura non mi desse | la vista che m'apparve d'un leone[5]. | Questi parea che contra me venisse | con la test'alta e con rabbiosa fame, | sì che parea che l'aere ne tremesse. | Ed una lupa[6], che di tutte brame | sembrava carca ne la sua magrezza, | e molte genti fè già viver grame, | questa mi porse tanto di gravezza | con la paura ch'uscìa di sua vista, | ch'io perdei la speranza de l'altezza. (I, 44-54)
  • Temer si dee di sole quelle cose | c'hanno potenza di fare altrui male; | de l'altre no, ché non son paurose. (II, 88-90)
  • Donna è gentil nel ciel che si compiange | di questo 'mpedimento ov' io ti mando, | sì che duro giudicio là sù frange. (II, 94-96)
  • Per me si va ne la città dolente, | per me si va ne l'etterno dolore, | per me si va tra la perduta gente. | Giustizia mosse il mio alto fattore; | fecemi la divina podestate, | la somma sapïenza e 'l primo amore. | Dinanzi a me non fuor cose create | se non etterne, e io etterno duro. | Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate. (III, 1-9)
  • Non ragioniam di lor, ma guarda e passa. (III, 51)
  • [Su Papa Celestino V[7]]... Colui | Che fece per viltà lo gran rifiuto. (III, 59-60)
  • Vuolsi così colà dove si puote | ciò che si vuole, e più non dimandare. (III, 95-96; V, 23-24)
  • Caron dimonio, con occhi di bragia | loro accennando, tutte le raccoglie; | batte col remo qualunque s'adagia. (III, 109-111)
  • «Figliuol mio,» disse 'l maestro cortese, | «quelli che muoion nell'ira di Dio | tutti convegno qui d'ogni paese; e pronti sono a trapassar lo rio | chè la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disìo. (III, 121–125)
  • [Su Virgilio] Onorate l'altissimo poeta. (IV, 80)
  • Mira colui con quella spada in mano, | che vien dinanzi ai tre sì come sire: | quelli è Omero poeta sovrano. (IV, 86–88)
  • Poi ch'innalzai un poco più le ciglia, | vidi 'l maestro di color che sanno [Aristotele] | seder tra filosofica famiglia. (IV, 130-132)
  • Democrito, che 'l mondo a caso pone. (IV, 136)
  • E vidi il buono accoglitor del quale, | Dïascoride dico. (IV, 139-140)
  • «La prima di color di cui novelle | tu vuo' saper» mi disse quelli [Virgilio] allotta, | «fu imperadrice di molte favelle. | A vizio di lussuria fu sì rotta, | che lìbito fé licito in sua legge | per tòrre il biasimo in che era condotta. | Ell'è Semiramis, di cui si legge | che succedette a Nino e fu sua sposa: | tenne la terra che 'l Soldan corregge. | L' altra è colei [Didone] che s' ancise amorosa | e ruppe fede al cener di Sicheo; | poi è Cleopatràs lussurïosa. (V, 52 – 63)
  • Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende, | prese costui de la bella persona | che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. | Amor, ch'a nullo amato amar perdona, | mi prese del costui piacer sì forte, | che, come vedi, ancor non m'abbandona. | Amor condusse noi ad una morte. | Caina attende chi a vita ci spense. (Francesca da Polenta: V, 100-107)
  • E quella [Francesca] a me: «Nessun maggior dolore | che ricordarsi del tempo felice | ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore». (V, 121-123)
  • Mentre che l'uno spirto questo disse, | l'altro piangëa, sì che di pietade | io venni men così com'io morisse. | E caddi come corpo morto cade. (V, 139-142)
  • Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: | per la dannosa colpa della gola, | come tu vedi, alla pioggia mi fiacco. (Ciacco: VI, 52–54)
  • Pape Satàn, pape Satàn aleppe! (Pluto: VII, 1)
  • Questi fuor cerchi, che non han coperchio | piloso al capo, e papi e cardinali, | in cui usa avarizia il suo soperchio. (Virgilio: VII, 46–48)
  • Fitti nel limo dicon: [gli iracondi] "Tristi fummo | ne l'aere dolce che dal sol s'allegra, | portando dentro accidïoso fummo: | or ci attristiam ne la belletta negra". | Quest'inno si gorgoglian ne la strozza, | ché dir nol posson con parola integra. (Virgilio: VII, 121–126)
  • Or se' giunta, anima fella! (il demone Flegiàs a Dante; VIII, 18)
  • Quanti si tegnon or là sù gran regi | che qui staranno come porci in brago, | di sé lasciando orribili dispregi! (Virgilio: VIII, 49-51)
  • Chi è costui che sanza morte | va per lo regno de la morta gente? (demoni: VIII, 84-85)
  • Chi m' ha negate le dolenti case! (Virgilio: VIII, 120)
  • O voi ch'avete li 'ntelletti sani, | mirate la dottrina che s'asconde | sotto 'l velame de li versi strani. (IX, 61-63)
  • D'ogne malizia, ch'odio in cielo acquista, | ingiuria è 'l fine, ed ogne fin cotale | o con forza o con frode altrui contrista. | Ma perché frode è de l'uom proprio male, | più spiace a Dio; e però stan di sotto | li frodolenti, e più dolor li assale. (Virgilio: XI, 22-27)
  • Puossi far forza ne la deïtade, | col cor negando e bestemmiando quella, | e spregiando natura e sua bontade; | e però lo minor giron suggella | del segno suo e Soddoma e Caorsa | e chi, spregiando Dio col cor, favella. (Virgilio: XI, 46-51)
  • La frode, ond'ogne coscïenza è morsa, | può l'omo usare in colui che 'n lui fida | e in quel che fidanza non imborsa. | Questo modo di retro par ch'incida | pur lo vinco d'amor che fa natura; | onde nel cerchio secondo s'annida | ipocresia, lusinghe e chi affattura, | falsità, ladroneccio e simonia, | ruffian, baratti e simile lordura. (Virgilio: XI, 52-60)
  • O sol che sani ogne vista turbata, | tu mi contenti sì quando tu solvi, | che, non men che saver, dubbiar m'aggrata. (Dante: XI, 91-93)
  • Da queste due, se tu ti rechi a mente | lo Genesì dal principio, convene | prender sua vita e avanzar la gente | e perché l'usuriere altra via tene, | per sé natura e per la sua seguace | dispregia, poi ch'in altro pon la spene. (Virgilio: XI, 106-111)
  • Io son colui che tenni ambo le chiavi | del cor di Federigo, e che le volsi, | serrando e disserrando. (Pier della Vigna: XIII, 58-60)
  • L'animo mio, per disdegnoso gusto, | credendo col morir fuggir disdegno, | ingiusto fece me contra me giusto. (Pier della Vigna: XIII, 70-72)
  • Poi si rivolse, e parve di coloro | che corrono a Verona il drappo verde | per la campagna; e parve di costoro | quelli che vince, non colui che perde. (XV, 121-124)
  • Ahi quanto cauti li uomini esser dienno | presso a color che non veggion pur l'ovra, | ma per entro i pensier miran col senno! (XVI, 118-120)
  • Sempre a quel ver c' ha faccia di menzogna | de' l'uom chiuder le labbra fin ch'el puote, | però che sanza colpa fa vergogna. (XVI, 124-126)
  • Ecco la fiera con la coda aguzza, | che passa i monti e rompe i muri e l'armi! | Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza! (XVII, 1-3)
  • O Simon mago, o miseri seguaci | che le cose di Dio, che di bontate | deon essere spose, e voi rapaci | per oro e per argento avolterate, | or convien che per voi suoni la tromba, | però che ne la terza bolgia state. (XIX, 1-6)
  • O somma sapïenza, quanta è l'arte | che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, | e quanto giusto tua virtù comparte! (XIX, 10-12)
  • E io: "Tanto m'è bel, quanto a te piace: | tu se' segnore, e sai ch'i' non mi parto | dal tuo volere, e sai quel che si tace". (XIX, 37-39)
  • Ed el [papa Niccolò III] gridò: "Se' tu già costì ritto, | se' tu già costì ritto, Bonifazio? | Di parecchi anni mi mentì lo scritto. | Se' tu sì tosto di quell'aver sazio | per lo qual non temesti tòrre a 'nganno | la bella donna [la Chiesa], e poi di farne strazio?". (XIX, 52-57)
  • Nuovo Iasón sarà, di cui si legge | ne' Maccabei; e come a quel fu molle | suo re, così fia lui chi Francia regge. [Filippo il bello] (papa Niccolò III: XIX, 85-87)
  • Deh, or mi dì: quanto tesoro volle | Nostro Segnore in prima da san Pietro | ch'ei ponesse le chiavi in sua balìa? | Certo non chiese se non "Viemmi retro". [...] E se non fosse ch'ancor lo mi vieta | la reverenza de le somme chiavi | che tu tenesti ne la vita lieta, | io userei parole ancor più gravi; | ché la vostra avarizia il mondo attrista, | calcando i buoni e sollevando i pravi. [...] Fatto v'avete dio d'oro e d'argento; | e che altro è da voi a l'idolatre, | se non ch'elli uno, e voi ne orate cento? | Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, | non la tua conversion, ma quella dote | che da te prese il primo ricco patre! (Dante a papa Niccolò III: XIX, 90-117)
  • Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto | di tua lezione, or pensa per te stesso | com'io potea tener lo viso asciutto. (XX, 19-21)
  • Ancor se' tu de li altri sciocchi? | Qui vive la pietà quand'è ben morta; | chi è più scellerato che colui | che al giudicio divin passion comporta? (Virgilio: XX, 27-30)
  • Mira c' ha fatto petto de le spalle; | perché volse veder troppo davante, | di retro guarda e fa retroso calle. (Virgilio: XX, 37-39)
  • Suso in Italia bella giace un laco, | a piè de l'Alpe che serra Lamagna | sovra Tiralli, c'ha nome Benaco. (XX, 61-63)
  • Fer la città sovra quell'ossa morte; | e per colei che 'l loco prima elesse, | Mantüa l'appellar sanz'altra sorte. (XX, 91-93)
  • E io: "Maestro, i tuoi ragionamenti | mi son sì certi e prendon sì mia fede, | che li altri mi sarien carboni spenti". (XX, 100-102)
  • Quell'altro che ne' fianchi è così poco, | Michele Scotto fu, che veramente | de le magiche frode seppe 'l gioco. (Virgilio: XX, 115-117)
  • Mettetel sotto, ch'i' torno per anche | a quella terra ch'i' ho ben fornita [Lucca]: | Ogn' uom v'è barattier, fuor che Bonturo; | del no, per li denar, vi si fa ita. (XXI, 39-42)
  • Ed elli avea del cul fatto trombetta. (XXI, 139)
  • Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi | d'incenerarti sì che più non duri, | poi che 'n mal fare il seme tuo avanzi? (XXV, 10-12)
  • [8] Come 'l ramarro sotto la gran fersa | dei canicular, cangiando sepe, | folgore par se la via attraversa, | sì pareva, venendo verso l'epe | de li altri due, un serpentello acceso, | livido e nero come gran di pepe; | e quella parte onde prima è preso | nostro alimento, a l'un di lor trafisse; | poi cadde giuso innanzi lui disteso. | Lo trafitto 'l mirò, ma nulla disse; | anzi, co' piè fermati, sbadigliava | pur come sonno o febbre l'assalisse. | Elli 'l serpente e quei lui riguardava; | l'un per la piaga e l'altro per la bocca | fummavan forte, e 'l fummo si scontrava. | Taccia Lucano omai là dov'e' tocca | del misero Sabello e di Nasidio, | e attenda a udir quel ch'or si scocca. | Taccia di Cadmo e d'Aretusa Ovidio, | ché se quello in serpente e quella in fonte | converte poetando, io non lo 'nvidio; | ché due nature mai a fronte a fronte | non trasmutò sì ch'amendue le forme | a cambiar lor matera fosser pronte. | Insieme si rispuosero a tai norme, | che 'l serpente la coda in forca fesse, | e 'l feruto ristrinse insieme l'orme. | Le gambe con le cosce seco stesse | s'appiccar sì, che 'n poco la giuntura | non facea segno alcun che si paresse. | Togliea la coda fessa la figura | che si perdeva là, e la sua pelle | si facea molle, e quella di là dura. | Io vidi intrar le braccia per l'ascelle, | e i due piè de la fiera, ch'eran corti, | tanto allungar quanto accorciavan quelle. | Poscia li piè di rietro, insieme attorti, | diventaron lo membro che l'uom cela, | e 'l misero del suo n'avea due porti. | Mentre che 'l fummo l'uno e l'altro vela | di color novo, e genera 'l pel suso | per l'una parte e da l'altra il dipela, | l'un si levò e l'altro cadde giuso, | non torcendo però le lucerne empie, | sotto le quai ciascun cambiava muso. | Quel ch'era dritto, il trasse ver' le tempie, | e di troppa matera ch'in là venne | uscir li orecchi de le gote scempie; | ciò che non corse in dietro e si ritenne | di quel soverchio, fé naso a la faccia | e le labbra ingrossò quanto convenne. | Quel che giacëa, il muso innanzi caccia, | e li orecchi ritira per la testa | come face le corna la lumaccia; | e la lingua, ch'avëa unita e presta | prima a parlar, si fende, e la forcuta | ne l'altro si richiude; e 'l fummo resta. (XXV, 79-135)
  • Godi, Fiorenza, poi che se' sì grande | che per mare e per terra batti l'ali, | e per lo 'nferno tuo nome si spande! (XXVI, 1-3)
  • Là dentro si martira | Ulisse e Dïomede, e così insieme | a la vendetta vanno come a l'ira; | e dentro da la lor fiamma si geme | l'agguato del caval che fé la porta | onde uscì de' Romani il gentil seme. (Virgilio: XXVI, 55-60)
  • Considerate la vostra semenza: | fatti non foste a viver come bruti, | ma per seguir virtute e canoscenza. (XXVI, 118-120)
  • Cinque volte racceso e tante casso | lo lume era di sotto dalla luna | poi ch'entrati eravam nell'alto passo (XXVI, 130–132)
  • [Cesena] E quella cu' il Savio bagna il fianco, | così com' ella sie' tra 'l piano e 'l monte, | tra tirannia si vive e stato franco. (Dante: XXVII, 52-54)
  • Io fui uom d'arme, e poi fui cordigliero, | credendomi, sì cinto, fare ammenda; | e certo il creder mio venìa intero, | se non fosse il gran prete [Papa Bonifacio VIII], a cui mal prenda! (Guido da Montefeltro: XXVII, 67-70)
  • Ch'assolver non si può chi non si pente, | né pentere e volere insieme puossi | per la contradizion che nol consente. (un diavolo: XXVII, 118-120)
  • Mentre che tutto in lui veder m'attacco, | guardommi e con le man s'aperse il petto, | dicendo: «Or vedi com' io mi dilacco! | vedi come storpiato è Mäometto (XXVIII, 28-31)
  • Rimembriti di Pier da Medicina, | se mai torni a veder lo dolce piano | che da Vercelli a Marcabò dichina. (XXVIII, 73-75)
  • Coscïenza m'assicura, | la buona compagnia che l'uom francheggia | sotto l'asbergo del sentirsi pura. (XXVIII, 115-117)
  • «Io fui d'Arezzo, e Albero da Siena», | rispuose l'un, «mi fé mettere al foco; | ma quel per ch'io mori' qui non mi mena». (XXIX, 109-111)
  • Or fu già mai | gente sì vana come la sanese? | Certo non la francesca sì d'assai! (Dante: XXIX, 121-123)
  • Maggior difetto men vergogna lava. (Virgilio: XXX, 142)
  • Ché voler ciò udire è bassa voglia. (Virgilio: XXX, 148)
  • Dove l'argomento de la mente | s'aggiugne al mal volere e a la possa, | nessun riparo vi può far la gente. (XXXI, 55-57)
  • Qual pare a riguardar la Garisenda | 'sotto 'l chinato, quando un nuvol vada | sovr'essa sí, che ella incontro penda | tal parve Anteo a me che stava a bada |di vederlo chinare (XXXI, 136 – 138)
  • La bocca sollevò dal fiero pasto | quel peccator, forbendola a' capelli | del capo ch'elli avea di retro guasto. (XXXIII, 1-3)
  • [...] Tu vuo' ch'io rinovelli | disperato dolor che ’l cor mi preme | già pur pensando, pria ch'io ne favelli. (XXXIII, 4-6)
  • Questi pareva a me maestro e donno, | cacciando il lupo e' lupicini al monte | per che i Pisan veder Lucca non ponno. (XXXIII, 28-30)
  • Ben se' crudel, se tu già non ti duoli | pensando ciò che 'l mio cor s'annunziava; | e se non piangi, di che pianger suoli? (Ugolino: XXXIII, 40-42)
  • Poscia, più che 'l dolor, poté 'l digiuno. (XXXIII, 75)
  • Ahi Pisa, vituperio de le genti | del bel paese là dove 'l suona, | poi che i vicini a te punir son lenti, | muovasi la Capraia e la Gorgona, | e faccian siepe ad Arno in su la foce, | sì ch'elli annieghi in te ogne persona! | Che se 'l conte Ugolino aveva voce | d'aver tradita te de le castella, | non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. (XXXIII, 79-87)
  • Ahi Genovesi, uomini diversi | d'ogni costume e pien d'ogni magagna, | perché non siete voi del mondo spersi? | Che col peggior spirto di Romagna | trovai di voi un tal [Branca d'Oria], che, per sua opra, | in anima in Cocito già si bagna | ed in corpo par vivo ancor di sopra. (XXXIII, 151 – 157)

Explicit

Salimmo sù, el primo e io secondo,
tanto ch'i' vidi de le cose belle
che porta 'l ciel, per un pertugio tondo.

E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Purgatorio

Incipit

Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro a sé mar sì crudele;

Citazioni

  • Libertà va cercando, ch'è sì cara, | come sa chi per lei vita rifiuta. (Virgilio: I, 71-72)
  • Già era 'l sole a l'orizzonte giunto | lo cui meridïan cerchio coverchia | Ierusalèm col suo più alto punto[9]. (II, 1-3)
  • Noi eravam lunghesso mare ancora, | come gente che pensa a suo cammino, | che va col cuore e col corpo dimora. (II, 10-12)
  • O dignitosa coscïenza e netta, | come t'è picciol fallo amaro morso! (III, 8-9)
  • State contenti, umana gente, al quia; | ché, se potuto aveste veder tutto, | mestier non era parturir Maria. (Virgilio: III, 37-39)
  • Ché perder tempo a chi più sa più spiace. (Virgilio: III, 78)
  • Come le pecorelle escon del chiuso | a una, a due, a tre, e l'altre stanno | timidette atterrando l'occhio e 'l muso; | e ciò che fa la prima, e l'altre fanno, | addossandosi a lei, s'ella s'arresta, | semplici e quete, e lo 'mperché non sanno. (III, 79-84)
  • [Incontro con Manfredi di Sicilia] Biondo era e bello e di gentile aspetto, | ma l'un de' cigli un colpo avea diviso. (III, 107-108)
  • Or le bagna la pioggia e move il vento [...]. (Manfredi, riferendosi al destino delle sue spoglie: III, 130)
  • Orribil furon li peccati miei; | ma la bontà infinita ha sì gran braccia, | che prende ciò che si rivolge a lei. (Manfredi: III, 121-123)
  • Per lor maladizion sì non si perde, | che non possa tornar, l'etterno amore, | mentre che la speranza ha fior del verde. (Manfredi: III, 133-135)
  • Che ti fa ciò che quivi si pispiglia? (Virgilio: V, 12)
  • Vien dietro a me, e lascia dir le genti: | sta come torre ferma, che non crolla | già mai la cima per soffiar di venti; | ché sempre l'omo in cui pensier rampolla | sovra pensier, da sé dilunga il segno, | perché la foga l'un de l'altro insolla. (Virgilio: V, 13-18)
  • Ond'io, che solo innanzi a li altri parlo, | ti priego, se mai vedi quel paese | che siede tra Romagna e quel di Carlo [Carlo II d'Angiò], | che tu mi sie di tuoi prieghi cortese | in Fano, sì che ben per me s'adori | pur ch'i' possa purgar le gravi offese. (Jacopo del Cassero: V, 67-72)
  • [Su Pia de' Tolomei]"Deh, quando tu sarai tornato al mondo | e riposato de la lunga via", | seguitò 'l terzo spirito al secondo, | "ricorditi di me, che son la Pia; | Siena mi fé, disfecemi Maremma: | salsi colui che 'nnanellata pria | disposando m'avea con la sua gemma". (V, 130-136)
  • Pur Virgilio si trasse a lei, pregando | che ne mostrasse la miglior salita; | e quella non rispuose al suo dimando, | ama di nostro paese e de la vita | ci 'nchiese; e 'l dolce duca incominciava | "Mantüa ...", e l'ombra, tutta in sé romita, | surse ver' lui del loco ove pria stava, | dicendo: "O Mantoano, io son Sordello | de la tua terra!"; e l'un l'altro abbracciava. (VI, 67-75)
  • Ahi serva Italia, di dolore ostello, | nave sanza nocchiere in gran tempesta, | non donna di provincie, ma bordello! (VI, 76-78)
  • Ahi gente che dovresti esser devota, | e lasciar seder Cesare in la sella, | se bene intendi ciò che Dio ti nota, | guarda come esta fiera è fatta fella | per non esser corretta da li sproni, | poi che ponesti mano a la predella. (VI, 91-96)
  • Rade volte risurge per li rami [figli] | l'umana probitate; e questo vole | quei che la dà, perché da lui si chiami. (Sordello: VII, 121-123)
  • Era già l'ora che volge il disio | ai navicanti e 'ntenerisce il core | lo dì c' han detto ai dolci amici addio; | e che lo novo peregrin d'amore | punge, se ode squilla di lontano | che paia il giorno pianger che si more. (VIII, 1-6)
  • Per lei[10] assai di lieve si comprende | quanto in femmina foco d'amor dura, | se l'occhio o 'l tatto spesso non l'accende. (Nino Visconti: VIII, 76-78)
  • Oh vana gloria de l'umane posse! | com' poco verde in su la cima dura, | se non è giunta da l'etati grosse! | Credette Cimabue ne la pittura | tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, | sì che la fama di colui è scura. | Così ha tolto l'uno a l'altro Guido | la gloria de la lingua; e forse è nato | chi l'uno e l'altro caccerà del nido. | Non è il mondan romore altro ch'un fiato | di vento, ch'or vien quinci e or vien quindi, | e muta nome perché muta lato. (Oderisi: XI, 91-102)
  • Colui [Provenzano Salvani] che del cammin sì poco piglia | dinanzi a me, Toscana sonò tutta; | e ora a pena in Siena sen pispiglia, | ond'era sire quando fu distrutta | la rabbia fiorentina, che superba | fu a quel tempo sì com'ora è putta. (Oderisi: XI, 109-114)
  • [Su Provenzano Salvani] "Quando vivea più glorïoso", disse, | "liberamente nel Campo di Siena, | ogne vergogna diposta, s'affisse. XI, 133-135)
  • Mostrava come i figli si gittaro | sovra Sennacherìb dentro dal tempio, | e come, morto lui, quivi il lasciaro (XII, 52-54)
  • Or superbite, e via col viso altero, | figliuoli d'Eva, e non chinate il volto | sì che veggiate il vostro mal sentero! (XII, 70-72)
  • A noi venìa la creatura bella, | biancovestito e ne la faccia quale | par tremolando mattutina stella. (XII, 88-90)
  • O gente umana, per volar sù nata, | perché a poco vento così cadi? (l'Angelo dell'umiltà: XII, 95-96)
  • Ahi quanto son diverse quelle foci | da l'infernali! ché quivi per canti | s'entra, e là giù per lamenti feroci. (XII, 112-114)
  • Tu li vedrai tra quella gente vana | che spera in Talamone, e perderagli | più di speranza ch'a trovar la Diana. (Sapìa Salvani: XIII, 151-153)
  • Oh Romagnuoli tornati in bastardi! | Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? | quando in Faenza un Bernardin di Fosco, | verga gentil di picciola gramigna? (Guido del Duca: XIV, 99-102)
  • Che volse dir lo spirto di Romagna [Guido del Duca], | e 'divieto' e 'consorte' menzionando? (Dante: XV, 44-45)
  • Lume v'è dato a bene e a malizia. (Marco Lombardo: XVI, 75)
  • Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? | Nullo, però che 'l pastor che procede, | rugumar può, ma non ha l'unghie fesse; | per che la gente, che sua guida vede | pur a quel ben fedire ond'ella è ghiotta, | di quel si pasce, e più oltre non chiede. | Ben puoi veder che la mala condotta | è la cagion che 'l mondo ha fatto reo, | e non natura che 'n voi sia corrotta. (XVI, 97-105)
  • Ciascun confusamente un bene apprende | nel qual si queti l'animo, e disira; | per che di giugner lui ciascun contende. (XVII, 127-129)
  • Fino a quel punto misera e partita | da Dio anima fui [papa Adriano V], del tutto avara; | or, come vedi, qui ne son punita. (XIX, 112-114)[11]
  • Perché men paia il mal futuro e 'l fatto, | veggio [Carlo II d'Angiò, re di Puglia] in Alagna [Anagni] intrar lo fiordaliso, | e nel vicario suo [papa Bonifacio VIII] Cristo esser catto. (XX, 85-87)
  • De l'Eneïda dico, la qual mamma | fummi, e fummi nutrice, poetando: | sanz'essa non fermai peso di dramma. (XXI, 97-99)
  • Veramente più volte appaion cose | che danno a dubitar falsa matera | per le vere ragion che son nascose. (XXII, 28-30)
  • Facesti come quei che va di notte, | che porta il lume dietro e sé non giova, | ma dopo sé fa le persone dotte. (XXII, 67-69)
  • Poi disse [Stazio] : «Più pensava Maria onde | fosser le nozze [di Cana] orrevoli e intere, | ch'a la sua bocca, ch'or per voi risponde.» (XXII, 142-144)
  • Io dicea fra me stesso pensando: 'Ecco | la gente che perdé Ierusalemme, | quando Maria nel figlio diè di becco!'.[12] (XXIII, 28-30)
  • Tutta esta gente che piangendo canta | per seguitar la gola oltra misura, | in fame e 'n sete qui si rifà santa. (XXIII, 64-66)
  • Sì accostati a l'un d'i due vivagni [orli del cerchio] | passammo, udendo colpe de la gola | seguite già da miseri guadagni. (XXIV, 127-129)
  • La nova gente: "Soddoma e Gomorra"; | e l'altra: "Ne la vacca entra Pasife, | perché 'l torello a sua lussuria corra". (XXVI, 40-42)
  • Non aspettar mio dir più né mio cenno; | libero, dritto e sano è tuo arbitrio, | e fallo fora non fare a suo senno: | per ch'io te sovra te corono e mitrio. (Virgilio: XXVII, 139-142)

Explicit

Io ritornai da la santissima onda
rifatto sì come piante novelle
rinovellate di novella fronda,

puro e disposto a salire a le stelle.

Paradiso

Incipit

La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra, e risplende
in una parte più e meno altrove.

Citazioni

  • Poca favilla gran fiamma seconda. (I, 34)
  • Trasumanar significar per verba | non si poria; però l'essemplo basti | a cui esperïenza grazia serba. (I, 70-72)
  • Intra due cibi, distanti e moventi | d'un modo, prima si morria di fame, | che liber'omo l'un recasse ai denti. (IV, 1-3)
  • Volontà, se non vuol, non s'ammorza, | ma fa come natura face in foco, | se mille volte vïolenza il torza. (IV, 76-78)
  • Apri la mente a quel ch'io ti paleso | e fermalvi entro; ché non fa scïenza, | sanza lo ritenere, avere inteso. (Beatrice: V, 40-42)
  • Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: | non siate come penna ad ogne vento, | e non crediate ch'ogne acqua vi lavi. | Avete il novo e 'l vecchio Testamento, | e 'l pastor de la Chiesa che vi guida; | questo vi basti a vostro salvamento. | Se mala cupidigia altro vi grida, | uomini siate, e non pecore matte, | sì che 'l Giudeo di voi tra voi non rida! (Beatrice: V, 73-81)
  • E la bella Trinacria, che caliga | tra Pachino e Peloro, sopra 'l golfo | che riceve da Euro maggior briga, | non per Tifeo ma per nascente solfo. (VIII, 67-70)
  • Ma tosto fia che Padova al palude | cangerà l'acqua che Vincenza bagna, | per essere al dover le genti crude; | e dove Sile e Cagnan s'accompagna. (IX, 46-49)
  • Per questo l'Evangelio e i dottor magni | son derelitti, e solo ai Decretali | si studia, sì che pare a' lor vivagni. | A questo intende il papa e' cardinali; | non vanno i lor pensieri a Nazarette, | là dove Gabrïello aperse l'ali. (IX, 133-138)
  • E se le fantasie nostre son basse | a tanta altezza, non è maraviglia; | ché sopra 'l sol non fu occhio ch'andasse. (X, 46-48)
  • [Su Francesco e Domenico] L'un fu tutto serafico in ardore; | l'altro per sapïenza in terra fue | di cherubica luce uno splendore. (XI, 37-39)
  • Intra Tupino e l'acqua che discende | del colle eletto dal beato Ubaldo, | fertile costa d'alto monte pende, | onde Perugia sente freddo e caldo | da Porta Sole; e di rietro le piange | per grave giogo Nocera con Gualdo. | Di questa costa, là dov' ella frange | più sua rattezza, nacque al mondo un sole, | come fa questo talvolta di Gange. | Però chi d'esso loco fa parole, | non dica Ascesi, ché direbbe corto, | ma Orïente, se proprio dir vuole. (XI, 43-54)
  • Ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso | tal, ch'io pensai co' miei toccar lo fondo | de la mia gloria e del mio paradiso. (XV, 34-36)
  • Sempre la confusion de le persone | principio fu del mal de la cittade. (XVI, 67-68)
  • E come 'l volger del ciel de la luna | cuopre e discuopre i liti sanza posa, | così fa di Fiorenza la Fortuna: | per che non dee parer mirabil cosa | ciò ch'io dirò de li alti Fiorentini | onde è la fama nel tempo nascosa. (XVI, 82-87)
  • Tu proverai sì come sa di sale | lo pane altrui, e come è duro calle | lo scendere e 'l salir per l'altrui scale. (XVII, 58-60)
  • E quel che mi convien ritrar testeso [subito], | non portò voce mai, né scrisse incostro, | né fu per fantasia già mai compreso. (XIX, 7-9)
  • Or tu chi se', che vuo' sedere a scranna, | per giudicar di lungi mille miglia | con la veduta corta d'una spanna? (XIX, 79-81)
  • Quale allodetta che 'n aere si spazia | prima cantando, e poi tace contenta | de l'ultima dolcezza che la sazia, | tal mi sembiò l'imago de la 'mprenta | de l'etterno piacere, al cui disio | ciascuna cosa qual ell' è diventa. (XX, 73-78)
  • In quel loco fu' io Pietro Damiano, | e Pietro Peccator fu' ne la casa | di Nostra Donna in sul lito adriano. | Poca vita mortal m'era rimasa, | quando fui chiesto e tratto a quel cappello, | che pur di male in peggio si travasa. (XXI, 121-126)
  • L'aiuola che ci fa tanto feroci, | volgendom' io con li etterni Gemelli, | tutta m'apparve da' colli a le foci; | poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. (XXII, 151-154)
  • La Chiesa militante alcun figliuolo | non ha con più speranza, com' è scritto | nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: | però li è conceduto che d'Egitto | vegna in Ierusalemme[13] per vedere, | anzi che 'l militar li sia prescritto. (XXV, 52-57)
  • Opera naturale è ch'uom favella; | ma così o così, natura lascia | poi fare a voi secondo che v'abbella. (XXVI, 130-132)
  • Quand' ïo udi': «Se io [San Pietro] mi trascoloro, | non ti maravigliar, ché, dicend' io, | vedrai trascolorar tutti costoro. | Quelli ch'usurpa in terra il luogo mio, | il luogo mio, il luogo mio che vaca | ne la presenza del Figliuol di Dio, | fatt' ha del cimitero mio cloaca | del sangue e de la puzza; onde 'l perverso | che cadde di qua sù, là giù si placa». (XXVII, 19-27)
  • Se mala segnoria, che sempre accora li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: "Mora, mora!" (VIII, 73-75)
  • Vergine Madre, figlia del tuo figlio, | umile e alta più che creatura, | termine fisso d'etterno consiglio, | tu se' colei che l'umana natura | nobilitasti sì, che 'l suo fattore | non disdegnò di farsi sua fattura. (XXXIII, 1-6)

Explicit

A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,

l'amor che move il sole e l'altre stelle.

Similitudini

  • E come quei che con lena affannata | uscito fuor del pelago a la riva | si volge a l'acqua perigliosa e guata, | così l'animo mio, ch'ancor fuggiva, | si volse a retro a rimirar lo passo | che non lasciò già mai persona viva. (da Inferno, I, 22-27)
  • E qual è quei che volontieri acquista, | e giugne 'l tempo che perder lo face, | che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista; | tal mi fece la bestia sanza pace, | che, venendomi 'ncontro, a poco a poco | mi ripigneva là dove 'l sol tace. (da Inferno, I, 55-60)
  • E qual è quei che disvuol ciò che volle | e per novi pensier cangia proposta, | sì che dal cominciar tutto si tolle, | tal mi fec'ïo 'n quella oscura costa, | perché, pensando, consumai la 'mpresa | che fu nel cominciar cotanto tosta. (da Inferno, II, 37-42)
  • Quali i fioretti, dal notturno gelo | chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca | si drizzan tutti aperti in loro stelo, | tal mi fec'io di mia virtute stanca. (da Inferno, II, 127-130)
  • Diverse lingue, orribili favelle, | parole di dolore, accenti d'ira, | voci alte e fioche, e suon di man con elle | facevano un tumulto, il qual s'aggira | sempre in quell'aura sanza tempo tinta, | come la rena quando turbo spira. (da Inferno, III, 25-30)
  • Come d'autunno si levan le foglie | l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo | vede a la terra tutte le sue spoglie, | similmente il mal seme d'Adamo | gittansi di quel lito ad una ad una, | per cenni come augel per suo richiamo. (da Inferno, III, 112-117)
  • Io venni in luogo d'ogni luce muto, | che mugghia come fa mar per tempesta, | se da contrari venti è combattuto. (da Inferno, V, 28-30)
  • E come li stornei ne portan l'ali | nel freddo tempo a schiera larga e piena, | così quel fiato li spiriti mali | di qua, di là, di giù, di su li mena; | nulla speranza li conforta mai, | non che di posa, ma di minor pena. | E come i gru van cantando lor lai, | faccendo in aere di sé lunga riga, | così vidi venir, traendo guai, | ombre portate da la detta briga; (da Inferno, V, 40-49)
  • Quali colombe, dal disio chiamate, | con l'ali alzate e ferme al dolce nido | vegnon per l'aere, dal voler portate; | cotali uscir de la schiera ov'è Dido, | a noi venendo per l'aere maligno, | sì forte fu l'affettüoso grido. (da Inferno, V, 82-87)
  • Qual è quel cane ch'abbaiando agogna, | e si racqueta poi che 'l pasto morde, | ché solo a divorarlo intende e pugna, | cotai si fecer quelle facce lorde | de lo demonio Cerbero, che 'ntrona | l'anime sì, ch'esser vorrebber sorde. (da Inferno, VI, 28-33)
  • Quali dal vento le gonfiate vele | caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca, | tal cadde a terra la fiera crudele. (da Inferno, VII, 13-15)
  • Come fa l'onda là sovra Cariddi, | che si frange con quella in cui s'intoppa, | così convien che qui la gente riddi. (da Inferno, VII, 22-24)

Citazioni sulle similitudini

  • La similitudine in Dante, pur nella sua immediatezza e nel suo realismo, si carica sempre di accenti morali. (dalle note curate da Emilio Alessandro Panaitescu a La Divina Commedia, Fabbri, Milano, 1982)

Vita nuova

Incipit

In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit[14] vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d'assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia.
Nove fiate già appresso lo mio nascimento era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto, quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la quale fu chiamata da molti Beatrice li quali non sapeano che si chiamare.
Ella era in questa vita già stata tanto, che ne lo suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d'oriente de le dodici parti l'una d'un grado, sì che quasi dal principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi quasi da la fine del mio nono.
Apparve vestita di nobilissimo colore, umile e onesto, sanguigno, cinta e ornata a la guisa che a la sua giovanissima etade si convenia.

Citazioni

  • Ecco un iddio più forte di me, che viene a signoreggiarmi. (1857[15])
Ecce deus fortior me, qui veniens dominabitur michi. (Capitolo II)
  • L'anima era tutta data nel pensare di questa gentilissima; onde io divenni in picciolo tempo poi di sì fraile e debole condizione, che a molti amici pesava de la mia vista; e molti pieni d'invidia già si procacciavano di sapere di me quello che io volea del tutto celare ad altrui.
    Ed io, accorgendomi del malvagio domandare che mi faceano [...] rispondea loro che Amore era quelli che così m'avea governato. [...]
    E quando mi domandavano "Per cui t'ha così distrutto questo Amore?", ed io sorridendo li guardava, e nulla dicea loro. (da Capitolo IV)
  • Lo viso mostra lo color del core. (da Capitolo XV)
  • Ingégnati, se puoi, d'esser palese. (da Capitolo XIX)
  • Tanto gentile e tanto onesta pare | la donna mia quand'ella altrui saluta, | ch'ogne lingua deven tremando muta, | e li occhi no l'ardiscon di guardare. (da Capitolo XXVI)

Explicit

Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei.
E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com'ella sae veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna.
E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus. Amen.

Convivio

Incipit

Sì come dice lo Filosofo nel principio de la Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente desiderano di sapere. La ragione di che puote essere ed è che ciascuna cosa, da providenza di propria natura impinta è inclinabile a la sua propria perfezione; onde, acciò che la scienza è ultima perfezione de la nostra anima, ne la quale sta la nostra ultima felicitade, tutti naturalmente al suo desiderio semo subietti.

Citazioni

  • [...] lo consentire è uno confessare, villania fa chi loda o chi biasima dinanzi al viso alcuno, perché né consentire né negare puote lo così estimato sanza cadere in colpa di lodarsi o di biasimare. (Trattato I, capitolo II, 11)
  • Questi [gli uomini mutevoli e facili a giudicare] sono da chiamare pecore, e non uomini; ché se una pecora si gittasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre andrebbero dietro; e se una pecora per alcuna cagione al passare d'una strada salta, tutte l'altre saltano, eziandio nulla veggendo da saltare. E io ne vidi già molte in uno pozzo saltare per una che dentro vi saltò, forse credendo saltare uno muro, non ostante che 'l pastore, piangendo e gridando, con le braccia e col petto dinanzi a esse si parava» (Trattato I, capitolo XI, 9)
  • Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, | udite il ragionar ch'è nel mio core, | ch'io nol so dire altrui, sì mi par novo. (Trattato II, canzone prima, 1-3[16])
  • Chi veder vuol la salute, | faccia che li occhi d'esta donna miri, | sed e' non teme angoscia di sospiri. (Trattato II, canzone prima, 24-26[16])
  • Ma però che non subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto, ma vuole tempo alcuno e nutrimento di pensieri, massimamente là dove sono pensieri contrari che lo 'mpediscano, convenne, prima che questo nuovo amore fosse perfetto, molta battaglia intra lo pensiero del suo nutrimento e quello che li era contraro, lo quale per quella gloriosa Beatrice tenea ancora la rocca de la mia mente. (Trattato II, capitolo II, 3)
  • Dico che intra tutte le bestialitadi quella è stoltissima, vilissima e dannosissima, chi crede dopo questa vita non essere altra vita; però che, se noi rivolgiamo tutte le scritture, sì de' filosofi come de li altri savi scrittori, tutti concordano in questo, che in noi sia parte alcuna perpetuale. (Trattato II, capitolo VIII [IX], 8)
  • [...] la dottrina veracissima di Cristo, la quale è via, verità e luce: via, perché per essa sanza impedimento andiamo a la felicitade di quella immortalitade; verità, perché non soffera alcuno errore; luce, perché allumina noi ne la tenebra de la ignoranza mondana. (Trattato II, capitolo VIII [IX], 14)
  • [...] non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore. (Trattato II, capitolo XV [XVI], 6)
  • Amor che ne la mente mi ragiona | de la mia donna disiosamente, | move cose di lei meco sovente, | che lo 'ntelletto sovr'esse disvia. (Trattato III, canzone seconda, 1-4[17])
  • Non vede il sol, che tutto 'l mondo gira, | cosa tanto gentil, quanto in quell'ora | che luce ne la parte ove dimora | la donna di cui dire Amor mi face. (Trattato III, canzone seconda, 19-22[17])
  • [...] Filosofia non è altro che amistanza a sapienza. (Trattato III, capitolo XI, 6)
  • Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che 'l sole. (Trattato III, capitolo XII, 7)
  • [...] la moralitade è bellezza de la filosofia. (Trattato III, capitolo XV, 11)
  • Le dolci rime d'amor ch'i' solia | cercar ne' miei pensieri, | convien ch'io lasci; non perch'io non speri | ad esse ritornare, | ma perché li atti disdegnosi e feri | che ne la donna mia | sono appariti m'han chiusa la via | de l'usato parlare. (Trattato IV, canzone terza, 1-8[18])
  • Tale imperò che gentilezza[19] volse, | secondo 'l suo parere, | che fosse antica possession d'avere | con reggimenti belli. (Trattato IV, canzone terza, 21-24[18])
  • È gentilezza dovunqu'è vertute, | ma non vertute ov'ella; | sì com'è 'l cielo dovunqu'è la stella, | ma ciò non e converso. | E noi in donna e in età novella | vedem questa salute, | in quanto vergognose son tenute, | ch'è da vertù diverso. (Trattato IV, canzone terza, 101-108[18])
  • Veramente Aristotile, che Stagirite ebbe sopranome, e Zenocrate Calcedonio, suo compagnone, [e per lo studio loro], e per lo 'ngegno [singulare] e quasi divino che la natura in Aristotile messo avea, questo fine conoscendo per lo modo socratico quasi e academico, limaro e a perfezione la filosofia morale redussero, e massimamente Aristotile. E però che Aristotile cominciò a disputare andando in qua e in lae, chiamati furono – lui dico, e li suoi compagni – Peripatetici, che tanto vale quanto 'deambulatori'. E però che la perfezione di questa moralitade per Aristotile terminata fue, lo nome de li Academici si spense, e tutti quelli che a questa setta si presero Peripatetici sono chiamati; e tiene questa gente oggi lo reggimento del mondo in dottrina per tutte parti, e puotesi appellare quasi cattolica oppinione. Per che vedere si può, Aristotile essere additatore e conduttore de la gente a questo segno. E questo mostrare si volea. (Trattato IV, capitolo VI, 15-16)

Le Rime

  • Guido, i' vorrei che tu Lapo ed io | fossimo presi per incantamento | e messi in un vasel, ch'ad ogni vento | per mare andasse al voler vostro e mio. (da Guido, i' vorrei che tu Lapo ed io)
  • Se io sarò là dove sia | Fioretta mia bella [a sentire], | allor dirò la donna mia | che port'in testa i miei sospire. | Ma per crescer disire | mia donna verrà | coronata da Amore. (da Per una ghirlandetta)
  • Tu, Violetta, in forma più che umana, | foco mettesti dentro in la mia mente | col tuo piacer ch'io vidi; | poi con atto di spirito cocente | creasti speme, che in parte mi sana. (da Deh, Violetta, che in ombra d'Amore)
  • «Or ecco leggiadria di gentil core, | per una sì delvaggia dilettanza | lasciar le donne e lor gaia sembianza!» | Allor, temendo non che senta Amore, | prendo vergogna, onde mi ven pesanza. (da Sonar brachetti, e cacciatori aizzare.)
  • Un dì si venne a me Malinconia | e disse: «Io voglio un poco stare teco»; | e parve a me ch'ella menasse seco | Dolore e Ira per sua compagnia. (da Un dì si venne a me Malinconia)

[Dante Alighieri, Rime, Opere Minori, in Letteratura Italiana, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965]

De Monarchia

Incipit

Originale

Omnium hominum quos ad amorem veritatis natura superior impressit hoc maxime interesse videtur: ut, quemadmodum de labore antiquorum ditati sunt, ita et ipsi posteris prolaborent, quatenus ab eis posteritas habeat quo ditetur.

Traduzione

El principale huficio di tutti gli huomini, i quali dalla natura superiore sono tirati ad amare la verità, pare che ·ssia questo: che ·ccome loro sono aricchiti per la fatica degli antichi, così s'affatichino di dare delle medesime riccheze a quelli che dopo loro verranno. (I, I)

Citazioni

  • Dovunque può essere litigio, ivi debbe essere g[i]udicio. (I, XII)
  • L'umana generatione, quando è massime libera, hottimamente vive. (I, XIV)

[Monarchia, a cura di Prudence Shaw, traduzione di Marsilio Ficino, in «Studi Danteschi», LI (1978)]

Incipit di alcune opere

De vulgari eloquentia

Cum neminem ante nos de vulgaris eloquentie doctrina quicquam inveniamus tractasse, atque talem scilicet eloquentiam penitus omnibus necessariam videamus, cum ad eam non tantum viri sed etiam mulieres et parvuli nitantur, in quantum natura permictit, volentes discretionem aliqualiter lucidare illorum qui tanquam ceci ambulant per plateas, plerunque anteriora posteriora putantes, – Verbo aspirante de celis – locutioni vulgarium gentium prodesse temptabimus, non solum aquam nostri ingenii ad tantum poculum aurientes, sed, accipiendo vel compilando ab aliis, potiora miscentes, ut exinde potionare possimus dulcissimum ydromellum.

Egloghe

Originale

Vidimus in nigris albo patiente lituris
Pyerio demulsa sinu modulamina nobis.
Forte recensentes pastas de more capellas
tunc ego sub quercu meus et Melibeus eramus.

Traduzione

Sul foglio bianco deturpato dai neri segni ho visto un carme, spremuto per me dal seno delle Muse. Eravamo soli, io e Melibeo, sotto una quercia, intenti come al solito a contare le sazie caprette.[20]

Epistole

Reverendissimo in Christo patri dominorum suorum carissimo domino Nicholao miseratione celesti Ostiensi et Vallatrensi episcopo, Apostolice Sedis legato, necnon in Tuscia Romaniola et Marchia Tervisina et partibus circum adiacentibus paciario per sacrosanctam Ecclesiam ordinato, devotissimi filii A. capitaneus Consilium et Universitas partis Alborum de Florentia semetipsos devotissime atque promptissime recommendant.

Quaestio de aqua et de terra

Originale

Universis et singulis presentes litteras inspecturis, Dantes Alagherii de Florentia inter vere phylosophantes minimus, in Eo salutem qui est principium veritatis et lumen.

Traduzione

A tutti, uno per uno, quelli sotto gli occhi dei quali cadrà questo scritto, Dante Alighieri di Firenze, il più insignificante di tutti i filosofi, augura salute in Colui che è principio e luce di verità.[20]

Citazioni su Dante Alighieri

  • Amore, e Carità suo fuoco accese | Dante a cantare i tristi, e lieti Regni, | Fior di virtù, e fior di tutti ingegni, | Che dall'empireo Ciel fra noi discese. (Burchiello)
  • ... Altissimo | Signor del sommo canto. (Ugo Foscolo)
  • Che Dante non amasse l'Italia, chi vorrà dirlo? Anch'ei fu costretto, come qualunque altro l'ha mai veracemente amata, o mai l'amerà, a flagellarla a sangue, e mostrarle tutta la sua nudità, sì che ne senta vergogna. (Ugo Foscolo)
  • Conoscere e descrivere la mente di Dante sarà mai possibile? Egli eclissa nella profondità del suo pensiero: volontariamente eclissa. (Giovanni Pascoli)
  • Credo che tutti i lettori di Dante siano in qualche modo viziati dalla giovanile lettura parcellare imposta dalla scuola. […] Leggendo la Divina Commedia d'un fiato, mi rendevo conto di contrastare una antica malsana usanza; ma di meglio non potevo fare. […] Dante è un enigmatico, e almeno una volta accettiamolo per quel che è. Ha i suoi motivi per non farsi capire subito, e qualche volta per essere assolutamente impenetrabile. È una corsa stremante tra luci e tenebre, stelle, lune, soli, misteriosi frammenti di edifici regali e sacri, con mutile, occulte scritte. Il percorso è talora nitido, geometrico; talora è paludoso, è uno strisciar tra cunicoli ed antri. Non capire è importante. (Giorgio Manganelli)
  • Dante Alighier, s'i' so' bon begolardo, | tu mi tien' bene la lancia a le reni; | s'eo desno con altrui, e tu vi ceni; | s'eo mordo 'l grasso, tu ne sugi 'l lardo; | s'eo cimo 'l panno, e tu vi freghi 'l cardo. (Cecco Angiolieri)
  • Dante Alighieri che sorresse il mondo | in suo pugno ed i fonti | dell'universa vita ebbe in suo cuore. (Gabriele D'Annunzio)
  • Dante alla porta di Paolo e Francesca | spia chi fa meglio di lui: | lì dietro si racconta un amore normale | ma lui saprà poi renderlo tanto geniale. | E il viaggio all'inferno ora fallo da solo | con l'ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo. (Fabrizio De André)
  • Dante, che è Dante, non ebbe sempre lo stesso culto, stando al numero delle edizioni della sua Commedia, il quale nel sec. XVII fu scarsissimo, a cagione del cattivo gusto predominante.
    La civiltà italiana si può misurare alla stregua della varia fortuna di Dante, come direbbe il Carducci, ossia del culto di Dante rivelato principalmente dalle edizioni e dalle illustrazioni del suo poema. (Carlo Lozzi)
  • Dante ci invita a guardare in alto, ma ci spinge anche a vedere quanto siamo schifosi. Per questo che nel primo girone ci mette i lussuriosi: io mi ci vedrei bene. (Roberto Benigni)
  • Dante, come ogni altro grand'uomo, era pieno di sé – chè senza intima fiducia a nulla di sommo si arriva – e non solo tradisce questo in molte frasi della sua Divina Comedia, ma lo confessa francamente nel C. XIII del Purgatorio (dal v. 133 al 138) dove dice che non ha tanto paura di passare un po' di tempo nel luogo degli invidiosi, quanto in quello de' superbi. (Carlo Dossi)
  • Dante è tal poeta che non sarà mai popolare, né potrà mai destare entusiasmo nelle masse. La natura schiva del suo ingegno lo apparta, lo segrega, e se lo rende più caro a chi s'interna nelle latebre del suo carattere, fa sì però che pel volgo rimanga sempre un libro chiuso con sette suggelli. (Vittorio Imbriani)
  • Dante insegna la strada maestra della norma: l'inferno, il paradiso, il limbo, il premio o la punizione. È la grancassa del cattolicesimo, è un poeta funzionale, bravino ma interessato a compiacere, insomma, spera di essere ben presto a busta paga per i servigi resi. È critico ma solo quel tantino che fa birichino e niente più, in effetti è ligio e monolitico. In altre parole, insegna a piegare il capo e a inginocchiarsi. Tutto in lui è funzionale al potere. (Aldo Busi)
  • Dante non sarebbe forse partito mai da Verona, se il suo costume alquanto aspro e feroce, e il suo parlare troppo libero e franco non l'avessero a poco a poco fatto decadere dalla grazia di Can Grande I, che per un pezzo l'avea avuto carissimo e in sommo onore. [...] Tra la turba d'istrioni e d'altre persone festevoli che lo Scaligero teneva in corte, uno essendone che riusciva a tutti sommamente caro, di lui disse un giorno in presenza di molti Cangrande a Dante: Come sta egli mai, che costui, il quale è un balordo, sia grato a tutti, e tu che vieni riputato sapiente, nol sia? Al che Dante subito rispose: Non è meraviglia, perché la similitudine e l'uniformità de' costumi partorisce grazia e amicizia! (Gaetano Moroni)
  • Dante [...], pur essendo, come poeta, un grande innovatore, fu, come pensatore, alquanto indietro sui tempi. [...] Il pensiero di Dante è interessante, non solo per sé, ma perché è il pensiero d'un laico; ma non ebbe ripercussioni, ed era inoltre disperatamente fuori moda. (Bertrand Russell)
  • Dante sembra il poeta della nostra epoca. (Alphonse de Lamartine)
  • [...] dell'Italiano che più di niun altro raccolse in sé l'ingegno, le virtù, i vizi, le fortune della patria. Egli ad un tempo uomo d'azioni e di lettere, come furono i migliori nostri; egli uomo di parte; egli esule, ramingo, povero, traente dall'avversità nuove forze e nuova gloria; egli portato dalle ardenti passioni meridionali fuori di quella moderazione che era nella sua altissima mente; egli, più che da niun altro pensiero, accompagnato lungo tutta la vita sua dall'amore; egli, insomma, l'Italiano più italiano che sia stato mai. (Cesare Balbo)
  • Dopo Omero nessun poeta, per mio giudicio, può alzarsi a competere con l'Alighieri, salvo Guglielmo Shakspeare, gloria massima dell'Inghilterra. E per fermo, ne' drammi di lui l'animo e la vita umana vengon ritratti così al vero e scandagliati e disaminati così nel profondo, che mai nol saranno di più. Ma le condizioni peculiari della drammatica e l'indole propria degl'ingegni settentrionali impedirono a Shakspeare di raggiungere quella perfetta unione sì delle diverse materie poetiche e sì di tutte l'eccellenze e prerogative onde facciamo discorso. E veramente nelle composizioni sue la religione si mostra sol di lontano e molto di rado; e tra le specie differenti e delicatissime d'amore ivi entro significate, manca quella eccelsa e spiritualissima di cui si scaldò l'amante di Beatrice. (Terenzio Mamiani)
  • E Dante, che sviene ogni momento! (Jules Renard)
  • E voi, cari ragazzi, di chi è stato il promotore dell'apprendimento sotto la guida del Magistero della Chiesa, continuate come state facendo ad amare e ad interessarvi del nobile poeta, di colui che Noi non esitiamo a chiamare il più eloquente cantante dell'ideale Cristiano. (Papa Benedetto XV)
  • Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d'onestissimi panni sempre vestito in quell'abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso. (Giovanni Boccaccio)
  • I fiorentini amano il vino. Dante medesimo fu altissimo poeta e grande bevitore. (Vasco Pratolini)
  • 'Incipit vita nova'. Comincia la vita nuova: così, con solenne ed occulto parlare, l'Alighieri comincia l'opera sua 'La Vita Nuova'. Come molti versi danteschi anche questo diventò popolare, e si usa per significare un mutamento di male in bene nelle operazioni dell'esistenza. (Alfredo Panzini)
  • Legger Dante è un dovere; rileggerlo è bisogno: sentirlo è presagio di grandezza. (Niccolò Tommaseo)
  • O gran padre Alighier... (Vittorio Alfieri)
  • Orma di Dante non si cancella. (Achille Pellizzari)
  • Quando si ha una salda educazione nazionale, e si è radicati nel giusto della nostra letteratura indigena, bisogna sapersi guardare attorno e porre mente all'altro polo, così come faceva Dante per le quattro luci sante, lassù, nel suo bel Purgatorio:
    Goder pareva il ciel di lor fiammelle:
    Oh settentrional vedovo sito,
    Poi che privato se' di mirar quelle!
    (Luigi Russo)
  • Soltanto l'artista universale, il moralista intransigente attirano il lettore moderno, meravigliato che ci sia stato al mondo un carattere così potente. (Giuseppe Prezzolini)

Giosuè Carducci

  • Anch'ei, tra 'l dubbio giorno d'un gotico | Tempio avvolgendosi, l'Alighier trepido | Cercò l'immagine di Dio nel gemmeo | Pallore d'una femina.
  • Dante, onde avvien che i vóti e la favella | Levo adorando al tuo fier simulacro, | E me sul verso che ti fè già macro | Lascia il sol, trova ancor l'alba novella? | [...] | Son chiesa e impero una ruina mesta | Cui sorvola il tuo canto e al ciel risona: | Muor Giove, e l'inno del poeta resta.
  • Forti sembianze di novella vita | Circondar la tua cuna, | o re del canto che più alto mira. | Gentil virago ardita, | Quale non vider mai le argive sponde | Né le latine, e d'amor balda e d'ira, | te venìa la bella | Toscana libertade; e il pargoletto | Già magnanimo petto | Ti confortava de la sua mammella. | Tutta accesa ne' raggi di sua sfera, | Mite insieme ed austera, | Venne la fede; e per un popoloso | Di visioni e d'ombre oscuro lito | La porta ti mostrò dell'infinito.

Giuseppe Mazzini

  • Ogni città d'Italia quando l'Italia sarà libera ed una, dovrebbe innalzargli una statua.
  • Un uomo Italiano, il più grande fra gl'Italiani che io mi conosca.
  • Volete voi, Operai Italiani, onorare davvero la memoria de' vostri Grandi e dar pace all'anima di Dante Allighieri? Verificate il concetto che lo affaticò nella sua vita terrestre. Fate UNA e potente e libera la vostra contrada. Spegnete fra voi tutte quelle meschinissime divisioni contro le quali Dante predicò tanto, che condannarono lui, l'uomo che più di tutti sentiva ed amava il vostro avvenire, alla sventura e all'esilio, e voi a una impotenza di secoli che ancor dura. Liberate le sepolture de' vostri Grandi, degli uomini che hanno messo una corona di gloria sulla vostra Patria, dall'onta d'essere calpeste dal piede d'un soldato straniero. E quando sarete fatti degni di Dante nell'amore e nell'odio — quando la terra vostra sarà vostra e non d'altri — quando l'anima di Dante potrà guardare in voi senza dolore e lieta di tutto il santo orgoglio Italiano — noi innalzeremo la statua del Poeta sulla maggiore altezza di Roma, e scriveremo sulla base: AL PROFETA DELLA NAZIONE ITALIANA GLI ITALIANI DEGNI DI LUI.

Ezra Pound

  • Chaucer aveva una conoscenza della vita più profonda di Shakespeare... Era più comprendioso di Dante.
  • Ci sono voluti due secoli di Provenza e uno di Toscana per sviluppare i mezzi del capolavoro di Dante.
  • Il Dio di Dante è divinità ineffabile, Il Dio di Milton è un essere pignolo con un hobby, Dante è metafisico, mentre Milton è solamente settario.
  • La visione di Dante è reale, perché egli la vide; la poesia di Villon è reale, perché egli la visse.

Note

  1. Citato in [1]
  2. Citato in Giuseppe Mazzini, Dei doveri dell'uomo, in Dei doveri dell'uomo – Fede e avvenire, a cura di Paolo Rossi, Mursia, Milano, cap. VII.
    Mazzini cita queste parole fra virgolette, come scritte da Dante. Si tratta di «una libera esposizione mazziniana del pensiero dantesco», secondo la nota del curatore.
  3. Cfr. Ragioniamo di Dante (ma senza sbagliare citazione!), Corriere.it, 7 gennaio 2006.
  4. La lonza, nella simbologia medievale dantesca, rappresenta la lussuria.
  5. Rappresenta qui la superbia.
  6. La lupa è per Dante il simbolo dell'avarizia.
  7. Dante non indica espressamente il nome dell'anima a cui si riferisce. La maggior parte dei critici concorda sul fatto che si tratti di Pietro da Morrone (ovvero Celestino V), ma altre teorie propendono per Esaù o Ponzio Pilato. Per approfondire vedi qui.
  8. Nella settima bolgia delle Malebolge sono puniti i ladri. La metà di questi ha sembianze di serpente, mentre l'altra metà vanta aspetto umano, e quando un serpente morde un uomo, questo diventa serpente e l'altro diviene uomo, si scambiano i ruoli: nei versi proposti, Dante descrive la raccapricciante metamorfosi di ambedue le specie, definendosi in ciò superiore a Ovidio, autore delle celebri Metamorfosi, e a Lucano, nipote di Seneca e autore del Bellum civile. Ovidio e Lucano sono già stati visti da Dante e Virgilio sua guida nel Limbo (IV, v. 90).
  9. Qui Dante si rifà alla credenza medievale che Gerusalemme fosse al centro della terra, sita fra il meridiano del fiume Gange e la Spagna occidentale e che, ritenendo la terra abitata tutta nell'emisfero boreale, l'isola del paradiso si trovasse al punto opposto rispetto a Gerusalemme, con la quale condivideva quindi l'orizzonte astronomico.
  10. Beatrice d'Este, moglie di Nino Visconti.
  11. Secondo molti commentatori qui Dante attribuisce a papa Adriano V, Ottobuono dei Fieschi (conti di Lavagna), papa dal 11 luglio 1276 al 18 agosto (giorno del suo decesso) dello stesso anno, caratteristiche che pare appartenessero invece ad uno dei suoi predecessori ed omonimo, Adriano IV, l'inglese Nicola Breakspear, papa dal dicembre 1154 al settembre 1159.
  12. Qui Dante fa riferimento a quanto Flavio Giuseppe narra nella sua Guerra giudaica a proposito della guerra di Roma contro gli ebrei: l'assedio di Gerusalemme fu così lungo e duro per gli assediati che una certa Maria avrebbe ucciso il figlio per cibarsi delle sue carni
  13. Qui Dante intende per Ierusalemme la cosiddetta "Gerusalemme celeste", cioè il paradiso.
  14. Questo incipit costituisce anche l'incipit del libro di Fruttero & Lucentini, appunto Íncipit, Mondadori, 1993.
  15. Traduzione di Pietro Fraticelli, p. 56. Tale iddio è Amore.
  16. a b Presente anche in Rime, LXXIX, Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete.
  17. a b Presente anche in Rime, LXXXI, Amor che ne la mente mi ragiona.
  18. a b c Presente anche in Rime, LXXXII, Le dolci rime d'amor ch'i' solia.
  19. Qui "gentilezza" ha il significato di nobiltà. Il tale che imperò, a cui è attribuita la convinzione è Federico II di Svevia.
  20. a b da Dante Alighieri Opere Minori, Letteratura Italiana, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965.

Bibliografia

  • Dante Alighieri, Convivio, (edizione critica di G. Busnelli e G. Vandelli), Le Monnier, 1964.
  • Dante Alighieri, De vulgari eloquentia, a cura di Aristide Marigo, Le Monnier, 1948.
  • Dante Alighieri, Egloghe, in "Tutte le opere" di Dante Alighieri, Newton Compton.
  • Dante Alighieri, Epistole, in "Dante-Tutte le opere", a cura di Luigi Blasucci, Sansoni editore, 1965.
  • Dante Alighieri, De Monarchia, tratto da "Enciclopedia Dantesca. Appendice: biografia, lingua e stile, opere", Istituto dell'Enciclopedia Italiana fondato da Giovanni Treccani, Roma, 1978.
  • Dante Alighieri, Quaestio de aqua et de terra, in "Tutte le opere" di Dante Alighieri, Newton Compton.
  • Dante Alighieri, Opere Minori, Letteratura Italiana, Fratelli Fabbri Editori, Milano 1965.
  • Dante Alighieri, Vita nuova, in Opere minori di Dante Alighieri, volume II, commento e traduzione di Pietro Fraticelli, Barbèra, Bianchi e comp., Firenze, 1857.

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