Primo Levi: differenze tra le versioni

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==''Il sistema periodico''==
==''Il sistema periodico''==
*Era di fantasia pedestre e lenta: viveva di sogni come tutti noi, ma i suoi sogni erano saggi, erano ottusi, possibili, contigui alla realtà, non romantici, non cosmici. Non conosceva il mio tormentoso oscillare dal cielo (di un successo scolastico o sportivo, di una nuova amicizia, di un amore rudimentale e fugace) all'inferno (di un quattro, di un rimorso, di una brutale rivelazione d'inferiorità che pareva ogni volta eterna, definitiva). Le sue mete erano sempre raggiungibili. Sognava la promozione, e studiava con pazienza cose che non lo interessavano. Voleva un microscopio, e vendette la bicicletta da corsa per averlo. Voleva essere un saltatore con l'asta, e frequentò la palestra per un anno tutte le sere, senza darsi importanza né slogarsi articolazioni, finché arrivò ai metri 3,50 che si era prefissi, e poi smise. Più tardi, voile una certa donna, e la ebbe; volle il danaro per vivere tranquillo, e lo ottenne dopo dieci anni di lavoro noioso e prosaico. (''Idrogeno'')
*Era di fantasia pedestre e lenta: viveva di sogni come tutti noi, ma i suoi sogni erano saggi, erano ottusi, possibili, contigui alla realtà, non romantici, non cosmici. Non conosceva il mio tormentoso oscillare dal cielo (di un successo scolastico o sportivo, di una nuova amicizia, di un amore rudimentale e fugace) all'inferno (di un quattro, di un rimorso, di una brutale rivelazione d'inferiorità che pareva ogni volta eterna, definitiva). Le sue mete erano sempre raggiungibili. Sognava la promozione, e studiava con pazienza cose che non lo interessavano. Voleva un microscopio, e vendette la bicicletta da corsa per averlo. Voleva essere un saltatore con l'asta, e frequentò la palestra per un anno tutte le sere, senza darsi importanza né slogarsi articolazioni, finché arrivò ai metri 3,50 che si era prefissi, e poi smise. Più tardi, voile una certa donna, e la ebbe; volle il danaro per vivere tranquillo, e lo ottenne dopo dieci anni di lavoro noioso e prosaico. (''Idrogeno'')
*Apprezzavo i suoi due testi, chiari fino all'ossessione. Stringati, pregni del suo arcigno disprezzo per l’umanità in generale e per gli studenti pigri e sciocchi in particolare: perché tutti gli studenti, per definizione, erano pigri e sciocchi. (''Zinco'')
*- Poi, devi capire che a lavare sabbia non sono capaci tutti, e questo dà soddisfazione. A me, appunto, mi ha insegnato mio padre: solo a me, perché ero il più svelto; gli altri fratelli lavorano alla fabbrica. E solo a me ha lasciato la scodella, - e, con la enorme destra leggermente inflessa a coppa, accennò al movimento rotatorio professionale. - Non tutti i giorni sono buoni: va meglio quando c'è sereno ed è ultimo quarto. Non saprei dirti perché, ma è proprio così, nel caso mai ti venisse in mente di provare. Apprezzai in silenzio l'augurio. Certo, che avrei provato: che cosa non avrei provato? In quei giorni, in cui attendevo abbastanza coraggiosamente la morte, albergavo una lancinante voglia di tutto, di tutte le esperienze umane pensabili, e imprecavo alla mia vita precedente, che mi pareva di avere sfruttato poco e male, e mi sentivo il tempo scappare di fra le dita, sfuggire dal corpo minuto per minuto, come un'emorragia non più arrestabile. Certo, che avrei cercato l'oro: non per arricchire, ma per sperimentare un'arte nuova, per rivisitare la terra l'aria e l'acqua, da cui mi separava una voragine ogni giorno più larga; e per ritrovare il mio mestiere chimico nella sua forma essenziale e primordiale, la <<Scheidekunst>>, appunto, l'arte di separare il metallo dalla ganga. (''Oro'')
*- Poi, devi capire che a lavare sabbia non sono capaci tutti, e questo dà soddisfazione. A me, appunto, mi ha insegnato mio padre: solo a me, perché ero il più svelto; gli altri fratelli lavorano alla fabbrica. E solo a me ha lasciato la scodella, - e, con la enorme destra leggermente inflessa a coppa, accennò al movimento rotatorio professionale. - Non tutti i giorni sono buoni: va meglio quando c'è sereno ed è ultimo quarto. Non saprei dirti perché, ma è proprio così, nel caso mai ti venisse in mente di provare. Apprezzai in silenzio l'augurio. Certo, che avrei provato: che cosa non avrei provato? In quei giorni, in cui attendevo abbastanza coraggiosamente la morte, albergavo una lancinante voglia di tutto, di tutte le esperienze umane pensabili, e imprecavo alla mia vita precedente, che mi pareva di avere sfruttato poco e male, e mi sentivo il tempo scappare di fra le dita, sfuggire dal corpo minuto per minuto, come un'emorragia non più arrestabile. Certo, che avrei cercato l'oro: non per arricchire, ma per sperimentare un'arte nuova, per rivisitare la terra l'aria e l'acqua, da cui mi separava una voragine ogni giorno più larga; e per ritrovare il mio mestiere chimico nella sua forma essenziale e primordiale, la <<Scheidekunst>>, appunto, l'arte di separare il metallo dalla ganga. (''Oro'')
*Il [[fascismo]] non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. (''Oro'')
*Il [[fascismo]] non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. (''Oro'')

Versione delle 21:30, 22 giu 2016

Primo Levi

Primo Levi (1919 – 1987), scrittore italiano.

Citazioni di Primo Levi

  • Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. [...] C'è Auschwitz, quindi non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.[1] (da Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi, Guanda)
  • Kafka comprende il mondo (il suo, e anche meglio il nostro d'oggi) con una chiaroveggenza che stupisce, e che ferisce come una luce troppo intensa. (da Tradurre Kafka, in Racconti e saggi)
  • Le leggi razziali furono provvidenziali per me, ma anche per gli altri: costituirono la dimostrazione per assurdo della stupidità del fascismo. Le leggi razziali erano il sintomo di una carnevalata: si era ormai dimenticato il volto criminale del fascismo (quello del delitto Matteotti, per intenderci): rimaneva da vederne quello sciocco. (dall'intervista di Giorgio De Rienzo, In un alambicco quanta poesia, Famiglia Cristiana, n. 29, 20 luglio 1975; ora in Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e conversazioni con Primo Levi, a cura di Gabriella Poli e Giorgio Calcagno, Mursia, 1992)
  • [...] una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa, che sulla strada scelta tanti anni addietro sta tuttora proseguendo con energia geniale, e con quella rara combinazione di pazienza e d'impazienza che è propria dei grandi innovatori.[2] [riferito a Rita Levi Montalcini]

I sommersi e i salvati

Incipit

La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento.

Citazioni

  • Non era semplice la rete dei rapporti umani all'interno dei Lager: non era riconducibile ai due blocchi delle vittime e dei persecutori. […] L'ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile, ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, il «noi» perdeva i suoi confini. (p. 25)
  • E' ingenuo, assurdo e storicamente falso ritenere che un sistema infero, qual era il nazionalsocialismo, santifichi le sue vittime: al contrario, esso le degrada, le assimila a sé, e ciò è tanto più quanto più esse sono disponibili, bianche, prive di un'ossatura politica o morale. Da molti segni, pare che sia giunto il tempo di esplorare lo spazio che separa (non solo nei Lager nazisti!) le vittime dai persecutori. (p. 27)
  • In secondo luogo, ed a contrasto con una certa stilizzazione agiografica e retorica, quanto più è dura l'oppressione, tanto più è diffusa tra gi oppressi la disponibilità a collaborare con il potere. (p. 30)
  • Chi diventava Kapo? Occorre ancora una volta distinguere. In primo luogo, coloro a cui la possibilità veniva offerta, e cioè gli individui in cui il comandante del Lager o i suoi delegati (che spesso erano buoni psicologi) intravedevano la potenzialità del collaboratore: rei comuni tratti dalle carceri, […] Ma molti, come accennato, aspiravano al potere spontaneamente: lo cercavano i sadici […]. Lo cercavano i frustrati […] Lo cercavano, infine, i molti fra gli oppressi che subivano il contagio degli oppressori e tendevano inconsciamente ad identificarsi con loro. (p. 33)
  • Non so, e non mi interessa sapere, se nel mio profondo si annidi un assassino, ma so che vittima incolpevole sono stato ed assassino no; so che gli assassini sono esistiti, non solo in Germania, e ancora esistono, e che confonderli con le loro vittime è una malattia morale o un vezzo estetistico o un sinistro segnale di complicità; soprattutto, è un prezioso servigio reso (volutamente o no) ai negatori della verità. […] Rimane vero che, in Lager e fuori, esistono persone grigie, ambigue, pronte al compromesso. La tensione estrema del Lager tende ad accrescerne la schiera. (p. 35)
  • La vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. (p. 55)
  • I "salvati" del Lager non erano i migliori, i predestinati al bene, i latori di un messaggio: quanto io avevo visto e vissuto dimostrava l'esatto contrario. Sopravvivevano di preferenza i peggiori, gli egoisti, i violenti, gli insensibili, i collaboratori della "zona grigia", le spie. Non era una regola certa (non c'erano, né ci sono nelle cose umane, regole certe), ma era pure una regola. Mi sentivo sì innocente, ma intruppato tra i salvati, e perciò alla ricerca permanente di una giustificazione, davanti agli occhi miei e degli altri. Sopravvivevano i peggiori, cioè i più adatti; i migliori sono morti tutti. (p. 63)
  • Non esistono problemi che non possano essere risolti intorno a un tavolo, purché ci sia volontà buona e fiducia reciproca: o anche paura reciproca.

Il sistema periodico

  • Era di fantasia pedestre e lenta: viveva di sogni come tutti noi, ma i suoi sogni erano saggi, erano ottusi, possibili, contigui alla realtà, non romantici, non cosmici. Non conosceva il mio tormentoso oscillare dal cielo (di un successo scolastico o sportivo, di una nuova amicizia, di un amore rudimentale e fugace) all'inferno (di un quattro, di un rimorso, di una brutale rivelazione d'inferiorità che pareva ogni volta eterna, definitiva). Le sue mete erano sempre raggiungibili. Sognava la promozione, e studiava con pazienza cose che non lo interessavano. Voleva un microscopio, e vendette la bicicletta da corsa per averlo. Voleva essere un saltatore con l'asta, e frequentò la palestra per un anno tutte le sere, senza darsi importanza né slogarsi articolazioni, finché arrivò ai metri 3,50 che si era prefissi, e poi smise. Più tardi, voile una certa donna, e la ebbe; volle il danaro per vivere tranquillo, e lo ottenne dopo dieci anni di lavoro noioso e prosaico. (Idrogeno)
  • Apprezzavo i suoi due testi, chiari fino all'ossessione. Stringati, pregni del suo arcigno disprezzo per l’umanità in generale e per gli studenti pigri e sciocchi in particolare: perché tutti gli studenti, per definizione, erano pigri e sciocchi. (Zinco)
  • - Poi, devi capire che a lavare sabbia non sono capaci tutti, e questo dà soddisfazione. A me, appunto, mi ha insegnato mio padre: solo a me, perché ero il più svelto; gli altri fratelli lavorano alla fabbrica. E solo a me ha lasciato la scodella, - e, con la enorme destra leggermente inflessa a coppa, accennò al movimento rotatorio professionale. - Non tutti i giorni sono buoni: va meglio quando c'è sereno ed è ultimo quarto. Non saprei dirti perché, ma è proprio così, nel caso mai ti venisse in mente di provare. Apprezzai in silenzio l'augurio. Certo, che avrei provato: che cosa non avrei provato? In quei giorni, in cui attendevo abbastanza coraggiosamente la morte, albergavo una lancinante voglia di tutto, di tutte le esperienze umane pensabili, e imprecavo alla mia vita precedente, che mi pareva di avere sfruttato poco e male, e mi sentivo il tempo scappare di fra le dita, sfuggire dal corpo minuto per minuto, come un'emorragia non più arrestabile. Certo, che avrei cercato l'oro: non per arricchire, ma per sperimentare un'arte nuova, per rivisitare la terra l'aria e l'acqua, da cui mi separava una voragine ogni giorno più larga; e per ritrovare il mio mestiere chimico nella sua forma essenziale e primordiale, la <<Scheidekunst>>, appunto, l'arte di separare il metallo dalla ganga. (Oro)
  • Il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di un ordine e di una legalità detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata. (Oro)
  • Ma venne in novembre lo sbarco alleato in Nord Africa, venne in dicembre la resistenza e poi la vittoria russa a Stalingrado, e capimmo che la guerra si era fatta vicina e la storia aveva ripreso il suo cammino. Nel giro di poche settimane ognuno di noi maturò, più che in tutti i vent'anni precedenti. Uscirono dall'ombra uomini che il fascismo non aveva piegati, avvocati, professori ed operai, e riconoscemmo in loro i nostri maestri, quelli di cui avevamo inutilmente cercato fino allora la dottrina nella Bibbia, nella chimica, in montagna. Il fascismo li aveva ridotti al silenzio per vent'anni. (Oro)
  • Poiché anche la Natura è conservatrice, portiamo nel coccige quanto resta di una coda scomparsa. (Cromo)
  • Davanti al 40 di Viale Gorizia c'era una panchina: Giulia mi disse di aspettarla, ed entrò nel portone come un vento. [...] Ha avuto molte traversie e molti figli; siamo rimasti amici, ci vediamo a Milano ogni tanto e parliamo di chimica e di cose sagge. Non siamo malcontenti delle nostre scelte e di quello che la vita ci ha dato, ma quando ci incrontriamo proviamo entrambi la curiosa e non sgradevole impressione (ce la siamo più volte descritta a vicenda) che un velo, un soffio, un tratto di dado, ci abbia deviati su due strade divergenti che non erano le nostre. (Fosforo)

L'asimmetria e la vita

  • Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell'aria. La peste si è spenta, ma l'infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo. In questo libro se ne descrivono i segni: il disconoscimento della solidarietà umana, l'indifferenza ottusa o cinica per il dolore altrui, l'abdicazione dell'intelletto e del senso morale davanti al principio d'autorità, e principalmente, alla radice di tutto, una marea di viltà, una viltà abissale, in maschera di virtù guerriera, di amor patrio e di fedeltà a un'idea. (dalla prefazione a Léon Poliakov, Auschwitz, Veutro, Roma, 1968)
  • È dell'uomo operare in vista di un fine: la strage di Auschwitz, che ha distrutto una tradizione ed una civiltà, non ha giovato a nessuno. (da Monumento ad Auschwitz, La Stampa, 18 luglio 1959)
  • Esiste un contagio del male: chi è non-uomo disumanizza gli altri, ogni delitto si irradia, si trapianta intorno a sé, corrompe le coscienze e si circonda di complici sottratti con la paura o la seduzione [...] al campo avverso. (dalla prefazione a Jacob Presser, La notte dei girondini)
  • [I nazisti e i fascisti] Hanno dimostrato per tutti i secoli a venire quali insospettate riserve di ferocia e di pazzia giacciano latenti nell'uomo dopo millenni di vita civile, e questa è opera demoniaca. (da Deportati. Anniversario, Torino, anno XXXI, n. 4, aprile 1955)
  • In questa nostra epoca fragorosa e cartacea, piena di propaganda aperta e di suggestioni occulte, di retorica macchinale, di compromessi, di scandali e di stanchezza, la voce della verità, anziché perdersi, acquista un timbro nuovo, un risalto più nitido. (da Il tempo delle svastiche, Il giornale dei genitori, anno II, n. 1, 15 gennaio 1960)
  • In realtà, e nonostante alcune contrarie apparenze, il disconoscimento, il vilipendio del valore morale del lavoro era ed è essenziale al mito fascista in tutte le sue forme. Sotto ogni militarismo, colonialismo, corporativismo sta la volontà precisa, da parte di una classe, di sfruttare il lavoro altrui, e ad un tempo di negargli ogni valore umano. [...] Allo stesso scopo tende l'esaltazione della violenza, essa pure essenziale al fascismo: il manganello, che presto assurge a valore simbolico, è lo strumento con cui si stimolano al lavoro gli animali da soma e da traino. (da «Arbeit macht frei», Triangolo rosso, ANED, novembre 1959)
  • La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell'Italia fascista costretta all'antisemitismo dalle leggi razziali di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano. (da Al visitatore[3], aprile 1980)
  • Nelle intenzioni fasciste, [in Italia] la caccia all'ebreo non avrebbe dovuto essere meno accanita che nella Germania alleata, ma è stata ampiamente vanificata dalla sensibilità umana degli italiani, dalla indifferenza politica di allora, e dal discredito di cui il fascismo si era ormai coperto. (da Perché non ritornino gli olocausti di ieri (le stragi naziste, le folle e la Tv), La Stampa, 20 maggio 1979)
  • Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell'intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l'informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuola, diffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l'ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti. (da Un passato che credevamo non dovesse tornare più, Corriere della sera, 8 maggio 1974)
  • Sarà bene ricordare a chi non sa, ed a chi preferisce dimenticare, che l'olocausto si è esteso anche all'Italia, benché la guerra volgesse ormai alla fine, e benché la massima parte del popolo italiano si sia mostrata immune al veleno razzista. (da Le immagini di «Olocausto» – dalla realtà alla Tv, in Speciale del "Radiocorriere TV", a cura di Pier Giorgio Martinelli, Eri, maggio 1979, p. 2-5)

La chiave a stella

  • [...] perché il martello aggiusta tutto, tanto che alla Lancia lo chiamavano "l'ingegnere".
  • L'ho contattato, che poi vuol dire che gli ho telefonato ma è più elegante.
  • Pena e dispetto come fanno i malati, che anche se uno non gli vuole bene finisce col dare una mano perché guariscano, così almeno non si lamentano più.
  • Non è mica un caso che quelli che hanno più fretta di fare il funerale sono proprio quelli che sentono più colpa.
  • Lei deve sapere che farmi avanti quando tutti si fanno indietro a me mi è sempre piaciuto, e mi piace ancora.
  • Infatti, come c'è un'arte di raccontare, solidamente codificata attraverso mille prove ed errori, così c'è pure un'arte dell'ascoltare, altrettanto antica e nobile, a cui tuttavia, che io sappia, non è stata mai data norma.
  • Conviene essere sempre d'accordo con chi racconta, se no lo si intralcia e gli si fa perdere il filo.
  • Perché sa, a me il mare non è mai piaciuto: si muove sempre, ci fa umido, c'è l'aria molle e marinosa, insomma non mi dà fiducia e mi fa venire le lune.
  • Perché certe imprese per capirle bisogna farle, o almeno vederle;
  • L'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.
  • E malinconicamente vero che molti lavori non sono amabili, ma è nocivo scendere in campo carichi di odio preconcetto: chi lo fa, si condanna per la vita a odiare non solo il lavoro, ma se stesso e il mondo.
  • Si può e si deve combattere perché il frutto del lavoro rimanga nelle mani di chi lo fa, e perché il lavoro stesso non sia una pena, ma l'amore o rispettivamente l'odio per l'opera sono un dato interno, originario, che dipende molto dalla storia dell'individuo, e meno di quanto si creda dalle strutture produttive entro cui il lavoro si svolge.
  • Anche se poi, se lei mi chiedesse perché sono al mondo, sarei un po' imbarazzato a risponderle.
  • Perché quando c'è la fame uno si fa furbo.
  • Perché la brava gente si somiglia dappertutto.
  • Ma sa come succede quando uno incontra una difficoltà e allora gli pare come se avesse fatto una scommessa e gli spiace di perderla.
  • Io ho idea che se certi lavori li insegnassero a scuola, invece di Romolo e Remo, si guadagnerebbe.
  • Io sulle prime credevo che fosse una ragazza un po' strana, perché non avevo esperienza e non sapevo che tutte le ragazze sono strane, o per un verso o per un altro, e se una non è strana vuol dire che è ancora più strana delle altre, appunto perché è fuori quota, non so se mi spiego.
  • Il termine «libertà» ha notoriamente molti sensi, ma forse il tipo di libertà più accessibile, più goduto soggettivamente, e più utile al consorzio umano, coincide con l'essere competenti nel proprio lavoro, e quindi nel provare piacere a svolgerlo.
  • Può essere che invece non mi segua il lettore, qui ed altrove, dove è questione di mandrini, di molecole, di cuscinetti a sfere e di capicorda; bene, non so che farci, mi scuso ma sinonimi non ce n'è. Se, come è probabile, ha accettato a suo tempo i libri di mare dell'Ottocento, avrà pure digerito i bompressi e i palischermi: dunque si faccia animo, lavori di fantasia o consulti un dizionario. Gli potrà venire utile, dato che viviamo in un mondo di molecole e di cuscinetti.
  • Ma per me un uomo che non abbia mai avuto un collaudo negativo non è un uomo, è come se fosse rimasto alla prima comunione.
  • E già difficile per il chimico antivedere, all'infuori dell'esperienza, l'interazione fra due molecole semplici; del tutto impossibile predire cosa avverrà all'incontro di due molecole moderatamente complesse. Che predire sull'incontro di due esseri umani?
  • Meglio sbagliare per omissione che per commissione: meglio astenersi dal governare il destino degli altri, dal momento che è già così difficile ed incerto pilotare il proprio.
  • Se si escludono istanti prodigiosi e singoli che il destino ci può donare, l'amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra: ma questa è una verità che non molti conoscono.

La tregua

Incipit

Nei primi giorni del gennaio 1945, sotto la spinta dell'Armata Rossa, i tedeschi avevano evacuato in tutta fretta il bacino minerario slesiano. Mentre altrove, in analoghe condizioni, non avevano esitato a distruggere col fuoco e con le armi i Lager insieme con i loro occupanti, nel distretto di Auschwitz operarono diversamente.
[citato in Fruttero & Lucentini, Íncipit, Mondadori, 1993]

Citazioni

  • Sognavamo nelle notti feroci | Sogni densi e violenti | Sognati con anima e corpo: | Tornare; mangiare; raccontare. | Il comando dell'alba: | "Wstawać"; | E si spezzava in petto il cuore. || Ora abbiamo ritrovato la casa, | Il nostro ventre è sazio, | Abbiamo finito di raccontare. | È tempo. Presto udremo ancora | Il comando straniero: | "Wstawać".[4]
  • Non salutavano, non sorridevano; apparivano oppressi, oltre che da pietà, da un confuso ritegno, che sigillava le loro bocche, e avvinceva i loro occhi allo scenario funereo. Era la stessa vergogna a noi ben nota, quella che ci sommergeva dopo le selezioni, ed ogni volta che ci toccava assistere o sottostare a un oltraggio: la vergogna che i tedeschi non conobbero, quella che il giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabilmente nel mondo delle cose che esistono, e che la sua volontà buona sia stata nulla o scarsa, e non abbia valso a difesa. Cosí per noi anche l’ora della libertà suonò grave e chiusa, e ci riempí gli animi, ad un tempo, di gioia e di un doloroso senso di pudore, per cui avremmo voluto lavare le nostre coscienze e le nostre memorie della bruttura che vi giaceva: e di pena, perché sentivamo che questo non poteva avvenire, che nulla mai piú sarebbe potuto avvenire di cosí buono e puro da cancellare il nostro passato, e che i segni dell’offesa sarebbero rimasti in noi per sempre, e nei ricordi di chi vi ha assistito, e nei luoghi ove avvenne, e nei racconti che ne avremmo fatti. Poiché, ed è questo il tremendo privilegio della nostra generazione e del mio popolo, nessuno mai ha potuto meglio di noi cogliere la natura insanabile dell’offesa, che dilaga come un contagio. È stolto pensare che la giustizia umana la estingua. Essa è una inesauribile fonte di male: spezza il corpo e l’anima dei sommersi, li spegne e li rende abietti; risale come infamia sugli oppressori, si perpetua come odio nei superstiti, e pullula in mille modi, contro la stessa volontà di tutti, come sete di vendetta, come cedimento morale, come negazione, come stanchezza, come rinuncia.
  • In ogni gruppo umano esiste una vittima predestinata: uno che porta pena, che tutti deridono, su cui nascono dicerie insulse e malevole, su cui, con misteriosa concordia, tutti scaricano i loro mali umori e il loro desiderio di nuocere.
  • L'uomo è gregario, e ricerca più o meno consapevolmente la vicinanza non già del suo prossimo generico, ma solo di chi condivide le sue convinzioni profonde (o la sua mancanza di tali convinzioni).
  • Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso. – Ma la guerra è finita, – obiettai: e la pensavo finita, come molti in quei mesi di tregua, in un senso molto più universale di quanto si osi pensare oggi. – Guerra è sempre, – rispose memorabilmente Mordo Nahum.

Ranocchi sulla luna e altri animali

Incipit

Sedevano nella jeep rigidi e silenziosi: facevano vita comune da due mesi, ma fra loro non c'era molta confidenza. Quel giorno toccava al francese guidare. Percorsero il Kurfürstendamm sobbalzando sul selciato sconnesso, svoltarono nella Glockenstrasse aggirando di misura una colata di macerie, e la percorsero fino all'altezza della Magdalene: qui un cratere di bomba sbarrava la strada, pieno di acqua melmosa; da una conduttura sommersa il gas gorgogliava in grosse bolle vischiose. (Angelica Farfalla, p. 5)

Citazioni

  • Perché il delfino è simile ad un pesce, eppure partorisce ed allatta i suoi nati? Perché è figlio di un tonno e di una vacca. Di dove i colori gentili delle farfalle, e la loro abilità al volo? Sono figlie di una mosca e di un fiore. E le testuggini, sono figlie di un rospo e di uno scoglio. E i pipistrelli, di una civetta e di un topo. E le conchiglie, di una lumaca e di un ciottolo levigato. E gli ippopotami, di una cavalla e di un fiume. E gli avvoltoi, di un verme nudo e di una strige. (Quaestio de Centauris, pp. 30-31)
  • Con le mani, non che sia facile, ma si può anche scheggiare una selce, e legare la scheggia in cima a un bastone, e insomma farsi un'ascia, e con l'ascia difendere il mio territorio, o magari anche allargarlo; in altri termini, sfondare la testa di certi altri «io» che mi stanno fra i piedi, o corteggiano mia moglie, o anche soltanto sono più bianchi o più neri o più pelosi o meno pelosi di me, o parlano con accento diverso. (Il fabbro di se stesso, p. 80)
  • Una volta, nella vasca del lavatoio, nulla meno che una sanguisuga, aggraziata nel suo nuoto ondulante come in una danza. [...] o un grillotalpa né grillo né talpa, mostriciattolo pingue, ripugnante e minaccioso. Nel giardino-cortile si affaccendavano ordinate tribù di formiche, di cui era affascinante studiare le astuzie e le ottusità. (Ranocchi sulla luna, p. 106)
  • A mezz'aria si libravano libellule meravigliose, dai riflessi turchini, metallici; metallico e meccanico era anche il loro ronzio. Erano piccole macchine da guerra: a un tratto calavano come dardi su un'invisibile preda. Sui lembi di sabbia asciutta correvano scarabei verdi, agilissimi, e si aprivano le trappole coniche dei formicaleoni. Assistevamo ai loro agguati con un segreto senso di complicità, e quindi di colpa; al punto che mia sorella, ogni tanto, non resisteva alla pietà, e con uno stecco stornava una formichina che si stava avviando verso una morte subitanea e crudele. (Ranocchi sulla luna, p. 106)
  • [I girini] Erano chimere, bestie impossibili, tutte testa e coda, eppure navigavano veloci e sicure, spingendosi con un elegante sbandieramento della coda. (Ranocchi sulla luna, p. 107)
  • Un istinto ben comprensibile, lo stesso che ci ha spinti sulla luna, induce i girini ad allontanarsi dallo specchio d'acqua dove hanno compiuto la muta; non importa verso dove, in qualunque luogo salvo quello. (Ranocchi sulla luna, p. 108)
  • Se potessi [...] mi riempirei la casa di tutti gli animali possibili. Farei ogni sforzo non solo per osservarli, ma anche per entrare in comunicazione con loro. Non farei questo in vista di un traguardo scientifico (non ne ho la cultura né la preparazione), ma per simpatia, e perché sono sicuro che ne trarrei uno straordinario arricchimento spirituale e una più compiuta visione del mondo. In mancanza di meglio, leggo con godimento e stupore sempre rinnovati molti libri vecchi e nuovi che parlano di animali, e mi pare di ricavarne un nutrimento vitale, indipendentemente dal loro valore letterario o scientifico. Possono anche essere pieni di bugie, come il vecchio Plinio: non ha importanza, il loro valore sta nei suggerimenti che forniscono. (Romanzi dettati dai grilli, p. 114)
  • Tutti abbiamo ascoltato, nelle sere di estate, i duetti dei grilli. Ce ne sono di varie specie, e ognuna canta con il suo proprio ritmo e con una sua propria nota: il maschio chiama, e la femmina, lontana anche duecento metri, e totalmente invisibile, risponde «a tono». Il duetto, paziente e casto, prosegue per ore e ore, e a mano a mano i due partner lentamente si avvicinano, fino al contatto e all'accoppiamento. Ma è indispensabile che la femmina risponda giusto: una risposta stonata, anche solo di un quarto di tono, interrompe il dialogo, e il maschio va in cerca di un'altra compagna più conforme al suo innato modello. (Romanzi dettati dai grilli, p. 115)
  • I ragni, in specie, sono una inesauribile sorgente di meraviglia, di meditazioni, di stimoli e di brividi. Sono (non tutti) geometri metodici e fanaticamente conservatori: il comune ragno dei giardini, il ragno dal Diadema, costruisce da decine di milioni di anni la sua tela raggiata, simmetrica e conforme a un rigido modello. Non sopporta imperfezioni: se la tela viene danneggiata, non la ripara. La distrugge e ne tesse una nuova. (Romanzi dettati dai grilli, p. 116)
  • Tutti gli animali inventati dalla mitologia, in tutti i paesi ed in tutte le epoche, sono dei pots pourris, rapsodie di tratti e membra di animali noti. Il più famoso ed il più composito era la chimera, ibrido di capra, serpente e leone, talmente impossibile che il suo nome è oggi equivalente a «sogno vano»; ma è anche stato adottato dai biologi per indicare i mostri che essi creano, o vorrebbero creare, nei loro laboratori grazie a trapianti fra animali diversi. (Inventare un animale, p. 119)
  • I centauri sono creature affascinanti, portatrici di simboli multipli ed arcaici, ma della loro fisica impossibilità si era già accorto Lucrezio, ed aveva cercato di dimostrarla con un argomento curioso: a tre anni di età il cavallo è nel pieno delle sue forze, mentre l'uomo è bambino, e «spesso cercherà in sogno il capezzolo» da cui è appena stato slattato; come potrebbero convivere due nature che non «florescunt pariter», e che del resto non ardono degli stessi amori?
    In tempi più recenti, e in un bel romanzo fantascientifico, P. J. Farmer ha messo in rilievo le difficoltà respiratorie dei centauri classici, e le ha risolte fornendo loro un organo supplementare «simile a un mantice, che inspirava aria attraverso un'apertura simile a una gola»; altri hanno insistito sul problema dell'alimentazione, facendo notare che una piccola bocca umana sarebbe stata insufficiente a permettere il passaggio del molto foraggio necessario per nutrire la parte equina. (Inventare un animale, p. 120)
  • Da skíuros è stato ricavato il nome scientifico Sciurus, ma i latini del volgo, a cui l'accostamento iu non piaceva (ma piaceva loro, cosa abominevole, la carne della bestiola, che pure non pesa più di tre o quattrocento grammi), ne hanno trasformato il nome in scurius. Da qui a scoiattolo il passo è breve: ci si arriva grazie ad un doppio diminutivo, ed in verità sono pochi gli animaletti a cui meglio si addica il diminutivo: lo scoiattolo è un diminutivo vivente. (Lo scoiattolo, p. 125)
  • Ho incontrato pochi scoiattoli nella mia vita, né posso sperare di incontrarne più tanti. Ne ho visto qualcuno nei boschi, che saltava da un ramo all'altro servendosi della coda come di un timone o di uno stabilizzatore; altri, meno impauriti e più mercenari, nei parchi di Ginevra e di Zurigo, che vengono a prendere il cibo dalla mano e sembra quasi che ti ringrazino. Altri ne ho visti in prigionia, ma non apparivano meno vivaci né meno allegri dei loro colleghi della foresta. (Lo scoiattolo, p. 126)
  • In un altro prigioniero mi sono imbattuto molti anni addietro, in un laboratorio di biochimica. [...] la gabbia era chiusa dai due lati, ed era mantenuta in lenta rotazione da un motorino elettrico: lo scoiattolo era costretto a camminare continuamente dentro la gabbia per evitare di essere trascinato. In quel laboratorio si stavano facendo esperimenti sul problema del sonno; immagino che dalla bestiola si prelevassero periodicamente campioni di sangue, per ricercarvi le tossine prodotte dall'insonnia prolungata.
    Lo scoiattolo era esausto: zampettava pesantemente su quella strada senza fine, e mi ricordava i rematori delle galere, e quegli altri forzati in Cina che venivano costretti a camminare per giorni e giorni entro gabbie simili a quella per sollevare l'acqua destinata ai canali d'irrigazione. Nel laboratorio non c'era nessuno; io ho chiuso l'interruttore del motorino, la gabbia si è arrestata e lo scoiattolo si è addormentato all'istante. È dunque forse colpa mia se del sonno e dell'insonnia si sa tuttora così poco. (Lo scoiattolo, pp. 126-127)
  • Ad un mio giovanissimo amico era stato assegnato in terza elementare un tema di ricerca sugli insetti, e lui lo aveva incominciato trionfalmente in questo modo: «Gli insetti si chiamano cosi perché hanno sei zampe». La maestra gli aveva fatto notare che il nome sarebbe stato appropriato se le zampe fossero state sette, e lui aveva risposto che fra sei e sette la differenza è piccola. (Paura dei ragni, p. 137)
  • Quanto alla bruttezza, non c'è termine più ambiguo e discusso: sarebbe prudente limitarne l'uso alle opere dell'uomo. Non ci sono oggetti naturali brutti, né animali né piante né pietre né acque, né tanto meno ci sono astri brutti in cielo. Ci hanno insegnato a chiamare brutti («brutta bestia») alcuni animali ritenuti nocivi, ma la bruttezza naturale finisce qui. (Paura dei ragni, p. 139)
  • Assistere alla schiusa di una nidiata di ragnetti, che appena usciti dall'uovo si sparpagliano su una siepe e si affaccendano a tendere ognuno la sua tela, è spettacolo non orribile, bensì meraviglioso. Ognuno di loro è grosso quanto la testa di uno spillo, ma è nato maestro: senza ripensamenti, senza errori, tesse la sua tela grande quanto un francobollo commemorativo, e ci si apposta ad aspettare la minuscola preda. È nato adulto, la sua sapienza gli è stata trasmessa insieme con la forma. (Paura dei ragni, p. 139)
  • La coccinella socchiude le elitre, armeggia per districare le ali, infine le distende, solleva le elitre obliquamente, ed inizia il suo volo, non agile né veloce. Pare se ne debba concludere che per una buona corazzatura si può pagare un prezzo alto.
    Ma la corazza dei coleotteri è una struttura ammirevole: da ammirarsi, purtroppo, solo nelle vetrine dei musei zoologici. È un capolavoro di ingegneria naturale, e ricorda le armature di tutto ferro dei guerrieri medioevali. (Gli scarabei, p. 147)
  • La somiglianza fra uno scarabeo che avanza scartando l'erba, lento e possente, e un carro armato, è tale da far subito sorgere in mente una metafora nei due sensi: l'insetto è un piccolo panzer, il panzer è un enorme insetto. E il dorso dello scarabeo è araldico: convesso o piatto, opaco o rilucente, è uno stemma nobiliare: anche se il suo aspetto non ha alcun rapporto simbolico con il «mestiere» del suo titolare, cioè col suo modo di sfuggire agli aggressori, di riprodursi e di alimentarsi. (Gli scarabei, p. 147)
  • Non c'è materiale organico, vivente o morto o decomposto, che non abbia trovato un amatore fra i coleotteri. (Gli scarabei, p. 147)
  • Le bellissime cetonie (care a Gozzano: «Disperate cetonie capovolte», uno dei più bei versi che siano mai stati composti nella nostra lingua) si nutrono solo di rose, e i non meno belli scarabei sacri, solo di escrementi bovini: il maschio ne confeziona una pallina, l'afferra fra i tarsi posteriori come tra due perni, e parte a marcia indietro spingendola e facendola rotolare, finché trova un terreno adatto a seppellirla: allora entra in scena la femmina, e vi depone un solo uovo. La larva si nutrirà del materiale (ormai non più ignobile) a cui la coppia previdente ha dedicato tanta fatica, e dopo la muta emergerà dalla tomba un nuovo scarabeo: anzi, secondo alcuni antichi osservatori, lo stesso di prima, risorto dalla morte come la Fenice. (Gli scarabei, p. 148)
  • Una volta, viaggiando a notte su un'autostrada illuminata dalla luna, ho sentito i vetri e il tetto dell'auto bombardati come dalla grandine: era uno sciame di ditischi, lucidi, bruni ed orlati di arancio, grossi come una mezza noce, che avevano scambiato l'asfalto della strada per un fiume, e tentavano invano di ammararvi. Questi scarabei, per ragioni idrodinamiche, hanno raggiunto una compattezza e semplicità di forme che credo unica nel regno animale: visti dal dorso, sono ellissi perfette, da cui sporgono solo le zampe mutate in remi. (Gli scarabei, p. 148)
  • Altre fughe singolari sono quelle degli elateridi, eleganti scarabei nostrani dal corpo allungato. Se presi in mano, o comunque disturbati, ripiegano zampe ed antenne e si fingono morti; ma dopo un minuto o due si sente un clic improvviso, e l'insetto scatta in aria. Per questo breve balzo, fatto per sconcertare gli aggressori, non usa le zampe: ha elaborato un curioso sistema di tensione e scatto. Nella posizione di finta morte, torace e addome non sono allineati, ma formano un piccolo angolo: si raddrizzano di colpo quando si allenta una sorta di nottolino, e l'elateride non c'è più. (Gli scarabei, p. 149)
  • Come non ammirare, ad esempio, l'adattabilità degli storni? Fortemente gregari, abitavano da sempre le campagne coltivate, dove talvolta depredavano in misura massiccia le vigne e gli uliveti. Da non molti decenni hanno scoperto le città [...]. All'alba partono in reggimenti serrati «per il lavoro», cioè per i campi al di là della cintura industriale; rincasano al tramonto, in stormi giganteschi, di migliaia di individui, seguiti da ritardatari sparsi. Visti da lontano, questi voli sembrano nuvole di fumo: ma poi, a un tratto, si esibiscono in evoluzioni stupefacenti, la nuvola diventa un lungo nastro, poi un cono, poi una sfera; infine si ridistende, e come una enorme freccia punta sicura verso il ricovero notturno. («Le più liete creature del mondo», pp. 153-154)
  • I rapaci notturni sono straordinarie macchine da preda. Il loro aspetto inconsueto, ed un po' goffo quando sono a riposo, ha sempre destato curiosità, e qualche volta avversione. Hanno volo silenzioso, artigli potenti e grandi occhi frontali, che conferiscono loro un aspetto vagamente umano [...]. («Le più liete creature del mondo», p. 154)
  • Non minore è la meraviglia davanti al comportamento del cuculo, che alla luce della nostra morale umana appare dettato da un'astuzia perversa. Invece di costruire un nido, la femmina depone l'uovo nel nido di un uccello più piccolo; la coppia titolare del nido spesso (non sempre) non si accorge dell'intrusione, cova l'uovo estraneo insieme con i propri e il piccolo cuculo schiude. [...] Si rigira, si sforza, spinge, finché non ha fatto cadere a terra tutte le uova dei suoi fratelli putativi.
    I due «genitori» lo imboccheranno affannosamente per giorni e giorni, finché il pulcino sarà assai più grande di loro. Sembra di leggere un cattivo feuilleton, e non si sa se stupirsi di più per la perfezione degli istinti del cuculo, o per la mancanza di tali istinti nei suoi ospiti involontari [...]. («Le più liete creature del mondo», p. 155)
  • Quasi tutti abbiamo paura delle forfecchie [...] il cui addome termina in una pinza dall'aspetto minaccioso. Stanno nascoste sotto la corteccia degli alberi, o si annidano a volte nei panni riscaldati dal sole, nelle pieghe degli ombrelli o delle sedie a sdraio. Non fanno male a nessuno: la pinza non è velenosa, anzi, non pinza affatto (è un organo che facilita l'accoppiamento); e non è vero, ma viene tenacemente insegnato da generazione a generazione, che «se uno non sta attento, gli si infilano nelle orecchie». Questa nozione è talmente radicata nella nostra memoria collettiva che è stata recepita nella denominazione binaria della bestiolina, che infatti si chiama ufficialmente Forficula auricularia; ma inglesi e tedeschi non hanno aspettato il battesimo scientifico, e da secoli la chiamano rispettivamente earwig e Ohrwurm, l'insetto o il verme dell'orecchio. Oltre alla pinza, la forfecchia ha un'altra proprietà che ci incute uno strano timore: come tutti gli animali notturni, se viene esposta alla luce passa bruscamente dall'immobilità alla fuga, ed il suo trasalire si ripercuote in un nostro trasalire. (Bisogno di paura, p. 156)
  • Ora, i pipistrelli nostrani, inermi e innocui, temono l'uomo, non gli si avvicinano mai né si lasciano avvicinare; ma la nostra avversione razzista di animali diurni contro la «cattiva gente, gente che gira di notte» (così Don Abbondio) non arretra davanti alla mancanza di ogni conferma sperimentale, chi gira di notte è cattivo per definizione, e nella sua immagine più diffusa il diavolo, quando ha le ali, ha ali di pipistrello, mentre le fate hanno ali di farfalla e gli angeli ali di cigno. [...] i vampiri, quelli veri, non quelli delle leggende nere dei Carpazi [...] sono pressoché innocui: la quantità di sangue che sottraggono in una sessione (raramente a spese dell'uomo) non arriva a un ventesimo di quella che cediamo in una donazione all'Avis [...]. (Bisogno di paura, pp. 156-157)
  • [...] le vacche madri, quando vedono i loro nati avvicinarsi ai velenosi veratri per brucarli, li scostano con una cornata [...]. (Bisogno di paura, p. 158)
  • [...] le vipere, anche se in buona salute, sono molto meno rapide di quanto affermi la zoologia popolare, e quindi anche meno pericolose. (Bisogno di paura, p. 160)
  • Mi sono fatte mani buone a scavare, | concave, adunche, ma sensitive e robuste. | Ora navigo insonne | impercettibile sotto i prati, | dove non sento mai freddo né caldo | né vento pioggia giorno notte neve | e dove gli occhi non mi servono più. | Scavo e trovo radici succulente, | tuberi, legno fradicio, ife di funghi, | e se un macigno mi ostruisce la via | lo aggiro, con fatica ma senza fretta, | perché so sempre dove voglio andare. (Vecchia talpa, p. 194)
  • Pio bove un corno. Pio per costrizione, | pio contro voglia, pio contro natura, | pio per arcadia, pio per eufemismo. | [...] | Pio sarà Lei, professore, | dotto in greco e latino, Premio Nobel, che | batte alle chiuse imposte coi ramicelli di fiori | in mancanza di meglio | mentre io m'inchino al giogo, pensi quanto contento. (Pio, p. 201)
  • A che tante querele, liti e guerre? | Non avete che da imitarmi. | Niente acqua? Me ne sto senza, | attento solo a non sprecare fiato. | Niente cibo? Attingo alla gobba: | quando i tempi vi sono propizi | crescetene una anche voi. (Il dromedario, p. 204)
  • Sono brutto? Piaccio alla mia femmina, | le nostre badano al sodo | e dànno il miglior latte che ci sia; | alle vostre, chiedete altrettanto. (Il dromedario, p. 204)

Se non ora, quando?

Incipit

- Al mio paese, di orologi ce n'erano pochi. Ce n'era uno sul campanile, ma era fermo da non so quanti anni, forse fin dalla rivoluzione: io non l'ho mai visto camminare, e mio padre diceva che neanche lui. Non aveva orologio neppure il campanaro.
- Allora come faceva a suonare le campane all'ora giusta?
- Sentiva l'ora alla radio, e si regolava col sole e con la luna. Del resto, non suonava tutte le ore, ma solo quelle importanti. Due anni prima che scoppiasse la guerra si era rotta la corda della campana: si era strappata in alto, la scaletta era fradicia, il campanaro era vecchio e aveva paura di arrampicarsi fino lassù per mettere una corda nuova. Da allora in poi ha segnato le ore sparando in aria col fucile da caccia: uno, due, tre, quattro spari. È andato avanti così finché sono venuti i tedeschi; il fucile glielo hanno preso, e il paese è rimasto senza ore.

Citazioni

  • Perché ognuno è l'ebreo di qualcuno, perché i polacchi sono gli ebrei dei tedeschi e dei russi. Perché Edek è un uomo mite che ha imparato a combattere; ha scelto come me ed è mio fratello, anche se lui è polacco e ha studiato, e io sono un russo di villaggio e un orologiaio ebreo. (in Opere, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino, 1997, vol. II, p. 427)

Se questo è un uomo

Incipit

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

Citazioni

  • A molti, individui o popoli, può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti saltuari e incoordinati, e non sta all'origine di un sistema di pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena, sta il Lager. Esso è il prodotto di una concezione del mondo portata alle sue conseguenze con rigorosa coerenza: finché la concezione sussiste, le conseguenze ci minacciano. La storia dei campi di distruzione dovrebbe venire intesa da tutti come un sinistro segnale di pericolo.
  • [...] accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso.
  • Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga.
  • Avevamo deciso di trovarci, noi italiani, ogni domenica sera in un angolo del Lager; ma abbiamo subito smesso, perché era troppo triste contarci, e trovarci ogni volta più pochi, e più deformi, e più squallidi. Ed era così faticoso fare quei pochi passi: e poi, a ritrovarsi, accadeva di ricordare e di pensare, ed era meglio non farlo.
  • Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi. Eccoci docili sotto i vostri sguardi: da parte nostra nulla più avete a temere: non atti di rivolta, non parole di sfida, neppure uno sguardo giudice.
  • E infine, si sa che sono qui di passaggio, e fra qualche settimana non ne rimarrà che un pugno di cenere in qualche campo non lontano, e su un registro un numero di matricola spuntato. Benché inglobati e trascinati senza requie dalla folla innumerevole dei loro consimili, essi soffrono e si trascinano in una opaca intima solitudine, e in solitudine muoiono o scompaiono, senza lasciar traccia nella memoria di nessuno.
  • Essi [gli altri prigionieri di Auschwitz] popolano la mia memoria della loro presenza senza volto, e se potessi racchiudere in una immagine tutto il male del nostro tempo, sceglierei questa immagine, che mi è familiare: un uomo scarno, dalla fronte china e dalle spalle curve, sul cui volto e nei cui occhi non si possa leggere traccia di pensiero.
  • Guai a sognare: il momento di coscienza che accompagna il risveglio è la sofferenza più acuta. Ma non ci capita sovente, e non sono lunghi sogni: noi non siamo che bestie stanche.
  • Il sopravvivere senza aver rinunciato a nulla del proprio mondo morale, a meno di potenti e diretti interventi della fortuna, non è stato concesso che a pochissimi individui superiori, della stoffa dei martiri e dei santi.
  • In questo Ka-Be, parentesi di relativa pace, abbiamo imparato che la nostra personalità è fragile, è molto più in pericolo che non la nostra vita; e i savi antichi, invece di ammonirci «ricordati che devi morire», meglio avrebbero fatto a ricordarci questo maggior pericolo che ci minaccia.
  • La facoltà umana di scavarsi una nicchia, di secernere un guscio, di erigersi intorno una tenue barriera di difesa, anche in circostanze apparentemente disperate, è stupefacente, e meriterebbe uno studio approfondito. Si tratta di un prezioso lavorio di adattamento, in parte passivo e inconscio, e in parte attivo [...]
  • La loro vita è breve ma il loro numero sterminato; sono loro, i Musulmänner, i sommersi, il nerbo del campo; loro, la massa anonima, continuamente rinnovata e sempre identica, dei non-uomini che marciano e faticano in silenzio, spenta in loro la scintilla divina, già troppo vuoti per soffrire veramente. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla.
  • La persuasione che la vita ha uno scopo è radicata in ogni fibra di uomo, è una proprietà della sostanza umana.
  • Nella storia e nella vita pare talvolta di discernere una legge feroce, che suona «a chi ha, sarà dato; a chi non ha, a quello sarà tolto».
  • Oggi è domenica lavorativa, Arbeitssonntag: si lavora fino alle tredici, poi si ritorna in campo per la doccia, la rasatura e il controllo generale della scabbia e dei pidocchi, e in cantiere, misteriosamente, tutti abbiamo saputo che la selezione sarà oggi. La notizia è giunta, come sempre, circondata da un alone di particolari contraddittori e sospetti: stamattina stessa c'è stata selezione in infermeria; la percentuale è stata del sette per cento del totale, del trenta, del cinquanta per cento dei malati. A Birkenau il camino del Crematorio fuma da dieci giorni. Deve essere fatto posto per un enorme trasporto in arrivo dal ghetto di Posen. I giovani dicono ai giovani che saranno scelti tutti i vecchi. I sani dicono ai sani che saranno scelti solo i malati. Saranno esclusi gli specialisti. Saranno esclusi gli ebrei tedeschi. Saranno esclusi i Piccoli Numeri. Sarai scelto tu. Sarò escluso io.
  • Nessuno può vantarsi di comprendere i tedeschi.
  • Oggi io penso che, se non altro per il fatto che un Auschwitz è esistito, nessuno dovrebbe ai nostri giorni parlare di Provvidenza: ma è certo che in quell'ora il ricordo dei salvamenti biblici nelle avversità estreme passò come un vento per tutti gli animi.
  • Pochi sono gli uomini che sanno andare a morte con dignità, e spesso non quelli che ti aspetteresti.
  • Quest'anno è passato presto. L'anno scorso a quest'ora io ero un uomo libero: fuori legge ma libero, avevo un nome e una famiglia, possedevo una mente avida e inquieta e un corpo agile e sano. Pensavo a molte lontanissime cose: al mio lavoro, alla fine della guerra, al bene e al male, alla natura delle cose e alle leggi che governano l'agire umano; e inoltre alle montagne, a cantare, all'amore, alla musica, alla poesia. Avevo una enorme, radicata, sciocca fiducia nella benevolenza del destino, e uccidere e morire mi parevano cose estranee e letterarie. I miei giorni erano lieti e tristi, ma tutti li rimpiangevo, tutti erano densi e positivi; l'avvenire mi stava davanti come una grande ricchezza. Della mia vita di allora non mi resta oggi che quanto basta per soffrire la fame e il freddo; non sono più abbastanza vivo per sapermi sopprimere.
  • Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario. (dall'appendice all'edizione scolastica, 1976)
  • Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn.
  • Tutti scoprono, più o meno presto nella loro vita, che la felicità perfetta non è realizzabile, ma pochi si soffermano invece sulla considerazione opposta: che tale è anche una infelicità perfetta. I momenti che si oppongono alla realizzazione di entrambi i stati-limite sono della stessa natura: conseguono dalla nostra condizione umana, che è nemica di ogni infinito. Vi si oppone la nostra sempre insufficiente conoscenza del futuro; e questo si chiama, in un caso, speranza, e nell'altro, incertezza del domani.

Citazioni su Primo Levi

  • È la completezza. Con lui si impara a leggere, scrivere, parlare. Levi insegna una lingua e quella lingua esprime qualcosa che non è solo vicenda, ma ventaglio di strumenti. (David Bidussa)
  • Ebbene – afferma Levi – gli studi chimici universitari e la lunga professione di chimico industriale hanno dotato il suo scrivere di strumenti che agli altri scrittori mancano. L'ascoltino quegli scienziati i quali si danno artificiosamente a coltivare terreni sull'altra sponda del sapere. (Gianni Fochi)
  • L'ultimo appello di Primo Levi non dice: «Non dimenticatemi!»; bensì «Non dimenticate!». (Claudio Toscani, Come leggere Se questo è un uomo di Primo Levi, Mursia, 1990²)
  • La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi. (Mario Rigoni Stern)

Bibliografia

  • Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi, Torino, 1956.
  • Primo Levi, La tregua, Einaudi, Torino, 1962.
  • Primo Levi, Storie naturali, Einaudi, Torino, 1966.
  • Primo Levi, Vizio di forma, Einaudi, Torino, 1971.
  • Primo Levi, Lilit e altri racconti, Einaudi, Torino, 1971.
  • Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi, Torino, 1975.
  • Primo Levi, L'osteria di Brema, Edizioni Scheiwiller, 1975.
  • Primo Levi, La chiave a stella, Einaudi, Torino, 1978.
  • Primo Levi, La ricerca delle radici, Einaudi, Torino, 1981.
  • Primo Levi, Se non ora, quando?, Einaudi, Torino, 1982. ISBN 8806054015
  • Primo Levi, Ad ora incerta, Garzanti, 1984.
  • Primo Levi, L'altrui mestiere, Einaudi, Torino, 1985.
  • Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino, 1991. ISBN 8806126954
  • Primo Levi, Racconti e saggi, Edizioni La Stampa, Torino, 1986.
  • Primo Levi, L'ultimo natale di guerra, Einaudi, Torino, 2000.
  • Primo Levi, L'asimmetria e la vita. Articoli e saggi 1955-1987, a cura di Marco Belpoliti, Einaudi, Torino, 2002.
  • Primo Levi, Ranocchi sulla luna e altri animali, a cura di Ernesto Ferrero, Einaudi, Torino, 2014. ISBN 978-88-06-22159-1

Note

  1. Queste due ultime frasi furono aggiunte a matita sul dattiloscritto dell'intervista con Camon da Primo Levi stesso.
  2. Da Una piccola signora dal piglio principesco, La Stampa, 14 ottobre 1986, p. 7.
  3. Testo scritto per l'inaugurazione del memoriale in onore degli italiani caduti nei campi di concentramento nazisti
  4. Poesia introduttiva.

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