Benazir Bhutto: differenze tra le versioni

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==Citazioni di Benazir Bhutto==
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*Il programma nucleare pachistano è destinato a fini di pace. Invece l'[[India]] starebbe per effettuare dei test atomici, mentre l'ex premier di New Delhi ha dichiarato che non si sente di escludere l'azione nucleare. (da un intervista nel 1996)<ref name="lupis">Citato in Marco Lupus, ''Interviste del Secolo Breve: Incontri con i protagonisti della cultura, della politica e dell'arte del XX secolo'', Edizioni del Drago, 2017. ISBN 882280600X</ref>
*Il programma nucleare pachistano è destinato a fini di pace. Invece l'[[India]] starebbe per effettuare dei test atomici, mentre l'ex premier di New Delhi ha dichiarato che non si sente di escludere l'azione nucleare. (da un intervista nel 1996)<ref name="lupis">Citato in Marco Lupis, ''Interviste del Secolo Breve: Incontri con i protagonisti della cultura, della politica e dell'arte del XX secolo'', Edizioni del Drago, 2017. ISBN 882280600X</ref>
*Ci potrebbero essere conseguenze tragiche per il subcontinente indiano se non venisse fatto ogni sforzo da parte della comunità internazionale per scongiurare un test nucleare dell'India. (da un intervista nel 1996)<ref name="lupis"/>
*Ci potrebbero essere conseguenze tragiche per il subcontinente indiano se non venisse fatto ogni sforzo da parte della comunità internazionale per scongiurare un test nucleare dell'India. (da un intervista nel 1996)<ref name="lupis"/>
*È deplorevole che in un'epoca di disarmo esista un programma indiano per missili a medio e lungo raggio. (da un intervista nel 1996)<ref name="lupis"/>
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Versione delle 00:20, 25 gen 2018

Benazir Bhutto nel 1994

Benazir Bhutto (1953 – 2007), politica pakistana.

Citazioni di Benazir Bhutto

Citazioni in ordine temporale.

  • Il programma nucleare pachistano è destinato a fini di pace. Invece l'India starebbe per effettuare dei test atomici, mentre l'ex premier di New Delhi ha dichiarato che non si sente di escludere l'azione nucleare. (da un intervista nel 1996)[1]
  • Ci potrebbero essere conseguenze tragiche per il subcontinente indiano se non venisse fatto ogni sforzo da parte della comunità internazionale per scongiurare un test nucleare dell'India. (da un intervista nel 1996)[1]
  • È deplorevole che in un'epoca di disarmo esista un programma indiano per missili a medio e lungo raggio. (da un intervista nel 1996)[1]
  • [Sull conflitto indo-pakistano] L'origine della tensione tra i nostri due paesi è il Kashmir. Io vorrei trovare una soluzione, ma l'India rifiuta ogni discussione: secondo New Delhi, non c'è nulla da discutere perché il Kashmir fa parte dell'India e basta. Con queste premesse ogni speranza di dialogo fallisce. (da un intervista nel 1996)[1]
  • Penso che esistano i falchi da entrambe le parti, nel mio paese come dall'altra parte del confine. Personalmente ho sempre creduto nel disarmo, nella non proliferazione nucleare e nella pace. Ho fatto ogni sforzo per mettere a bando, in Pakistan, i pregiudizi etnici e i settarismi di ogni tipo: quella che io chiamo la «cultura del Kalashnikov», cioè della gente che per risolvere i suoi problemi se ne va in giro con un mitra al collo. Io mi auguro che non venga mai il giorno, né in Pakistan né in India, in cui vincano i falchi.[1]
  • In Pakistan la povertà ha molteplici dimensioni, comporta bassi redditi e l'impossibilità di soddisfare i bisogni primari, quali la salute, l'istruzione, la nutrizione, l'accesso all'acqua potabile e ad adeguati servizi igienici. L'impossibilità da parte dei poveri ad avere accesso a servizi sociali di base provoca in futuro la loro emarginazione sociale. Sebbene la povertà si sia attenuata nei periodi di governance democratica, alla fine degli anni '90 questa tendenza si è invertita.[2]
  • L'attuale ideologia pachistana riguardante il ruolo dei sessi considera gli uomini come coloro che guadagnano il pane per la famiglia, mentre il mondo delle donne spesso è letteralmente confinato tra le pareti domestiche, dove sono madri e mogli. Le disuguaglianze tra i sessi sono indiscutibili prendendo atto delle statistiche: oggi vi sono soltanto 65 donne alfabetizzate ogni cento uomini. La tradizione ostacola l'accesso alla scuola media, secondaria e universitaria delle bambine, particolarmente nelle aree rurali. Il tessuto sociale pachistano sta sperimentando un cambiamento sostanziale: vi è una battaglia in corso per il futuro del Pakistan, paese che attualmente si trova davanti a un bivio e deve scegliere tra la strada delle riforme o la strada che riconduce al passato.[2]
  • In assenza di partiti politici modernizzatori, che rispettino la libertà e l'eguaglianza tra i sessi, il pericolo è che il paese prosegua lungo il sentiero della povertà e del sottosviluppo. E, come sappiamo, la povertà colpisce più incisivamente proprio le donne.[2]
  • Quando le donne sono rispettate e considerate alla pari con gli uomini, si moltiplicano e migliorano le premesse sociali necessarie a far entrare una nazione nella comunità globale.[2]
  • Per il Pakistan è arrivato il momento della verità. Le decisioni prese oggi determineranno se in Paksitan estremismo e terrorismo possano essere contenuti, al fine di salvare il paese da un tracollo interno. In gioco c'è la stabilità non solo del Pakistan, ma del mondo civilizzato. In tutte le elezioni democratiche tenute nel mio paese i partiti estremisti religiosi non hanno mai raccolto più dell'11% dei voti. Ma sotto la dittatura – in particolare sotto il dittatore militare generale Muhammad Zia-ul-Haq negli anni 80, ma purtroppo anche sotto il generale Pervez Musharraf – l'estremismo religioso ha preso piede. L'estremismo è emerso a minacciare la mia nazione ed il mondo. Questi estremisti sono un vivaio del terrorismo internazionale. Ma non deve per forza essere così. Le cose devono cambiare.[3]
  • L'attuale governo del Pakistan ha dichiarato ingovernabili ampie zone del nostro paese, cedendole alle forze filo-talebane e pro Al Qaeda. Io credo invece che siano governabili. Dobbiamo essere realistici circa la realtà storica e politica del Pakistan. Forse in un modo perfetto l'esercito non occuperebbe un ruolo nella politica. Da questo punto di vista il Pakistan è men che perfetto.[3]
  • Musharraf continua a godere del sostegno della comunità internazionale e delle forze armate del Pakistan. Ma tale sostegno non sostituisce la volontà della gente, che è priva di potere e disincantata.[3]
  • Come molti pachistani, il fatto che parte delle regioni tribali della nostra terra siano state cedute ai terroristi per me è causa di dolore. C'è chi crede che attraverso cessate-il-fuoco e trattati di pace si potrà riportare gli estremisti nel mainstream, e renderli moderati. Ma in Pakistan ogni cessate-il-fuoco e trattato di pace non ha fatto che incoraggiare militanti e terroristi.[3]
  • Il mio Pakistan sta ancora una volta attraversando una crisi che non minaccia soltanto la mia patria, ma che potrebbe avere ripercussioni sul mondo intero. Le sue radici risalgono a quasi mezzo secolo fa quando i militari presero il potere per la prima volta nel 1958. Da allora si sono succedute quattro dittature militari, salvo un breve periodo di governo civile e il paese è molto cambiato da quando, nel 1996, ho lasciato il potere. Oggi dalle regioni un tempo controllate dal mio governo, forze che appoggiano i Taliban collegate ad Al Qaeda sferrano attacchi contro le truppe Nato spingendosi al di là del confine afgano. Alle forze politiche moderate è vietata la libertà di associazione, di movimento, di parola e, perciò, moschee e madrasse sono diventate l'unico luogo in cui sia consentita l'espressione politica. I partiti religiosi sono saliti al potere: adesso amministrano le due aree più critiche del Pakistan al confine con l'Afghanistan. Abbiamo visto gruppi estremisti affermarsi e i regimi degli Anni '80 utilizzare la cosiddetta carta islamica per promuovere la dittatura militare demonizzando i partiti. Anche l'attuale establishment militare ventila la minaccia islamica per esercitare pressioni sulla comunità internazionale perché l'appoggi ancora una volta. Ma, per quanto riguarda noi, Partito popolare pachistano (Ppp), la scelta in Pakistan non è tra dittatura militare e partiti religiosi, la scelta è tra dittatura e democrazia.[4]
  • Voglio guidare un Pakistan democratico, libero dal giogo della dittatura militare. Un Paese che non sia più un rifugio, un terreno di coltura per il terrorismo internazionale. Un Pakistan democratico, che contribuisca a stabilizzare l'Afghanistan, mitigando la pressione sulle truppe Nato. Un Pakistan democratico che dia la caccia ai signori della droga e che ne smantelli il cartello che oggi finanzia il terrorismo. Un Pakistan in cui il principio di legalità impedisca a chiunque di costituire, reclutare e addestrare un esercito o una milizia privati.[4]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Come possiamo fare campagna elettorale presso la cittadinanza sotto la minaccia costante e concreta di essere assassinati? Con l'eventualità di un massacro di innocenti? L'attentato nei miei confronti non è giunto inaspettato. Da informazioni attendibili ero stata avvisata di essere presa di mira da elementi che vogliono ostacolare il processo democratico.[5]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Il Pakistan è un Paese nel quale la politica è qualcosa di molto radicato, che si pratica in massa, con un contatto faccia a faccia, persona a persona. Qui non siamo in California o a New York, dove i candidati fanno campagna elettorale pagando i media o spedendo messaggi e posta abilmente indirizzata. Qui quelle tecnologie non soltanto sono logisticamente impossibili, ma altresì incompatibili con la nostra cultura politica. Il popolo pachistano – a qualsiasi partito esso appartenga – ha voglia, si aspetta di vedere e ascoltare i leader del proprio partito, e di essere parte integrante del discorso politico. I pachistani partecipano ai comizi e ai raduni politici, vogliono ascoltare direttamente e senza intermediari i loro leader parlare con megafoni e altoparlanti. In condizioni normali tutto ciò è impegnativo. Con una minaccia terroristica che incombe è straordinariamente difficile. Mio dovere è far sì che non sia impossibile.[5]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Non dobbiamo permettere che la sacralità del processo politico sia sconfitta dai terroristi. In Pakistan occorre ripristinare la democrazia e l'equilibrio delle posizioni moderate, e il modo per farlo è tramite elezioni libere e oneste che instaurino un governo legittimo su mandato popolare, con leader scelti dal popolo. Le intimidazioni da parte di assassini codardi non dovranno far deragliare il cammino del Pakistan verso la democrazia.[5]
  • Se il popolo pachistano mi rifarà l'onore di concedermi l'opportunità di governare, intendo mettere in pratica tutto ciò che predico, intendo far sì che le mie azioni corrispondano alle mie parole, trasformare il Pakistan in un modello positivo per il miliardo di musulmani sparsi nel mondo, per il nostro futuro nel nuovo millennio. Nel mio Paese da sessant'anni si alternano dittatura militare e democrazia e il futuro è strangolato dall'oppressione politica e dalla stagnazione economica. Da circa dieci anni siamo governati da una dittatura militare, da almeno cinque siamo minacciati da un movimento terroristico internazionale che malauguratamente pare aver scelto come proprio epicentro le aree tribali del Pakistan. Questi non sono tempi ordinari, ma tempi che esigono di ricorrere a soluzioni fuori dall'ordinario.[6]
  • Mentre salgo su un aereo diretto in Pakistan, sono pienamente consapevole che i sostenitori dei Taliban e di al Qaeda hanno pubblicamente minacciato di uccidermi. Il leader dei Taliban Baitullah Mehsud ha dichiarato che i suoi terroristi mi daranno «il loro benvenuto» in occasione del mio ritorno, e non è certo necessario che io spieghi che cosa implicano queste parole.[6]
  • Noi rappresentiamo il futuro del Pakistan moderno, un futuro nel quale non c'è posto per l'ignoranza, l'intolleranza e il terrorismo. Le forze dei moderati e le forze della democrazia devono prevalere – e prevarranno – contro l'estremismo e la tirannia. Non mi lascerò intimidire. [...] Malgrado le minacce di morte, non indietreggerò davanti alla tirannia, ma mi metterò alla testa di chi la combatte.[6]
  • So esattamente chi ha cercato di uccidermi. Sono funzionari dell'ex regime del generale Zia, che oggi sono dietro estremismo e fanatismo.[7]
  • Io rappresento per loro un pericolo. Se porterò la democrazia nel Paese, perderanno la loro influenza. I talebani e gli estremisti islamici non possono agire da soli. Hanno bisogno di sostegno logistico, cibo, armi e una supervisione.[7]
  • Gli stessi settori della società pachistana che collusero per distruggere mio padre e porre fine alla democrazia in Pakistan nel 1977 si erano adesso schierati contro di me per lo stesso fine, esattamente trent'anni dopo.[8]

Note

  1. a b c d e Citato in Marco Lupis, Interviste del Secolo Breve: Incontri con i protagonisti della cultura, della politica e dell'arte del XX secolo, Edizioni del Drago, 2017. ISBN 882280600X
  2. a b c d Da Il futuro del Pakistan e quello delle sue donne, la Repubblica, 22 ottobre 2004.
  3. a b c d Da La mia ricetta per il Pakistan, la Repubblica, 1 settembre 2007.
  4. a b Da Noi e i terroristi la sfida è ora, la Repubblica, 21 settembre 2007.
  5. a b c Da Conosco i nomi dei miei assassini, la Repubblica, 28 dicembre 2007.
  6. a b c Da Il mio ritorno a casa per cambiare il Pakistan, la Repubblica, 18 ottobre 2007.
  7. a b Citato in Benazir rilancia la sfida al terrore. "Sono stati gli uomini di Zia", la Repubblica, 19 ottobre 2007.
  8. Da L'ultima premonizione di Benazir Bhutto, la Repubblica, 9 febbraio 2008.

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