Benazir Bhutto: differenze tra le versioni

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*Io rappresento per loro un pericolo. Se porterò la democrazia nel Paese, perderanno la loro influenza. I [[talebani]] e gli estremisti islamici non possono agire da soli. Hanno bisogno di sostegno logistico, cibo, armi e una supervisione.<ref name="uominizia"/>
*Io rappresento per loro un pericolo. Se porterò la democrazia nel Paese, perderanno la loro influenza. I [[talebani]] e gli estremisti islamici non possono agire da soli. Hanno bisogno di sostegno logistico, cibo, armi e una supervisione.<ref name="uominizia"/>
*Gli stessi settori della società pachistana che collusero per distruggere mio padre e porre fine alla democrazia in Pakistan nel 1977 si erano adesso schierati contro di me per lo stesso fine, esattamente trent'anni dopo.<ref>Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/02/09/ultima-premonizione-di-benazir-bhutto.html?ref=search ''L'ultima premonizione di Benazir Bhutto''], ''la Repubblica'', 9 febbraio 2008.</ref>
*Gli stessi settori della società pachistana che collusero per distruggere mio padre e porre fine alla democrazia in Pakistan nel 1977 si erano adesso schierati contro di me per lo stesso fine, esattamente trent'anni dopo.<ref>Da [http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/02/09/ultima-premonizione-di-benazir-bhutto.html?ref=search ''L'ultima premonizione di Benazir Bhutto''], ''la Repubblica'', 9 febbraio 2008.</ref>

==''Figlia del destino''==
===[[Incipit]]===
Ho sempre creduto nell'importanza della documentazione storica. Quando nel 1977 fu rovesciato il governo di mio padre [[Zulfiqar Ali Bhutto|Zulfikar Ali Bhutto]], incoraggiai i suoi più stretti collaboratori a scriverne la storia. Ma negli anni difficili della legge marziale molti di coloro che avevano fatto parte del governo di mio padre erano troppo impegnati a difendersi dalle persecuzioni e dalle false accuse del regime militare. Altri erano andati in esilio e non avevano più accesso alla loro documentazione personale. In quanto a me, il mio impegno nella lotta per riportare la democrazia nel [[Pakistan]] e gli anni che ho trascorso rinchiusa in carcere senza accuse mi impedirono di scrivere un libro sul governo di mio padre.<br>Più di un milione di miei compatrioti vennero ad accogliermi quando tornai in Pakistan nell'aprile 1986 dopo due anni di esilio, facendomi così balzare agli onori della cronaca internazionale. Molti mi proposero di scrivere la mia storia, invece di quella di mio padre, ma io non ero convinta: un conto era scrivere di mio padre che era stato primo ministro del Pakistan, eletto democraticamente, e che aveva ottenuto risultati importanti; un altro era scrivere di me stessa, poiché dovevo ancora combattere le mie battaglie politiche più importanti. Mi sembrava un atto di presunzione e pensavo che le autobiografie dovessero essere scritte quando, nell'autunno della vita, si ripensa il passato.<br>Fu un'osservazione di un'amica a farmi cambiare idea. «Ciò che non è documentato non viene ricordato» mi disse.

===Citazioni===
*Mio padre era stato il primo a portare la democrazia dove in passato era esistita soltanto la repressione, sotto i generali che avevano governato il Pakistan sin dalla sua nascita nel 1947. Dove il popolo era vissuto per secoli in balia dei capi tribali e dei proprietari terrieri, aveva varato la prima costituzione pakistana per garantire una protezione legale e i diritti civili; dove il popolo aveva dovuto ricorrere alla violenza e agli spargimenti di sangue per spodestare i generali, aveva garantito un sistema parlamentare, un governo civile e le elezioni ogni cinque anni. (p. 13)

*[[Muhammad Zia-ul-Haq|Zia ul-Haq]], il capo di stato maggiore dell'esercito, l'uomo che mio padre credeva fedelissimo. Aveva mandato i suoi soldati nel cuore della notte a spodestarlo e a impadronirsi del potere con la forza. Zia ul-Haq, il dittatore che non era riuscito ad annientare il seguito di mio padre nonostante i fucili, i gas lacrimogeni e la legge marziale, e non aveva potuto fiaccare il suo spirito nonostante l'isolamento nella cella della morte. Zia ul-Haq, il generale che aveva appena fatto uccidere mio padre. Zia ul-Haq, il generale che per nove anni avrebbe governato spietatamente il Pakistan. (p. 13)

*Per giorni e giorni dopo la morte di mio padre non riuscii a bere e a mangiare nulla. Bevevo qualche sorso d'acqua ma lo risputavo. Non potevo deglutire. E non potevo dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi facevo lo stesso sogno. Ero davanti al carcere, i cancelli erano aperti. Vedevo una figura che veniva verso di me. Papà! Gli correvo incontro. «Sei uscito! Sei uscito! Credevo che ti avessero ucciso, invece sei vivo!» Ma un attimo prima di raggiungerlo, mi svegliavo e mi trovavo di fronte ancora una volta alla tragica realtà. (p. 23)

*Centinaia di migliaia di persone, in India e in Pakistan, appartenevano alla tribù dei Bhutto, una delle più nomerose del Sindh, i cui membri andavano dai contadini ai proprietari terrieri. Il nostro ramo della famiglia discendeva direttamente dal celebre capo tribale dei Bhutto, Sardar Dodo Khan. (p. 40)

*Le avversità affrontate dai nostri antenati formavano il nostro codice morale, appunto come desiderava mio padre: lealtà, onore, principi. (p. 43)

*Mio padre [...] era considerato molto progressista. Diede un'istruzione ai figli e arrivò al punto di mandare le figlie a scuola, un atto che altri proprietari terrieri giudicarono scandaloso. Molti grandi proprietari feudali non si prendevano neppure il disturbo di far studiare i figli maschi. (p. 44)

*Nella nostra cultura dominata dai maschi, i ragazzi venivano sempre favoriti rispetto alle ragazze e non solo ricevevano spesso un'istruzione ma in certi casi venivano serviti a tavola per primi mentre la madre e le figlie dovevano aspettare. Nella nostra famiglia, tuttavia, le discriminazioni non esistevano. Se mai, ero io a ricevere la massima attenzione. (p. 45)

*In casa nostra l'istruzione aveva la precedenza. Come mio nonno, mio padre voleva che servissimo da esempio: dovevamo essere la nuova generazione di pakistani progressisti e colti. (p. 46)


==Citazioni su Benazir Bhutto==
==Citazioni su Benazir Bhutto==
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==Note==
==Note==
<references />
<references />

==Bibliografia==
*Benazir Bhutto, ''Figlia del destino'', traduzione di Roberta Rambelli, Leonardo Paperback, 1991. ISBN 88-355-1031-7.


==Voci correlate==
==Voci correlate==

Versione delle 20:45, 18 feb 2018

Benazir Bhutto nel 1994

Benazir Bhutto (1953 – 2007), politica pakistana.

Citazioni di Benazir Bhutto

Citazioni in ordine temporale.

  • Le elezioni indette dal generale Zia sono una farsa. Il regime militare che dal 1977 domina spietatamente il Pakistan cerca di salvare la faccia e di autoconferirsi una patente democratica. Al tempo stesso con la sua famigerata brutalità, Zia ha eliminato ogni possibile oppositore. I dirigenti dei partiti democratici hanno subito ogni sorta di intimidazione, persecuzione, ci sono stati settemila arresti, alcuni prigionieri sono stati torturati, ci sono state negli ultimi mesi sette esecuzioni. Noi del Partito Popolare del Pakistan sfidiamo Zia ad indire elezioni veramente libere, con questa nuova orribile farsa del generale, non vogliamo avere nulla a che fare. La nostra raccomandazione al popolo del Pakistan è di tenersi lontano dalle urne che esprimeranno cosiddetti parlamentari ma in realtà soltanto dei burattini del regime.[1]
  • Pensare che l'astensione per protesta del 60% dell'elettorato sia una vittoria è qualcosa che soltanto il generale Zia può fare.[1]
  • Noi temiamo soprattutto la disintegrazione del nostro paese. Il generale Zia ha privilegiato i grandi affaristi, il giro dei militari e soprattutto gli uomini del Punjab che costituiscono la gran parte dei suoi ufficiali e dei suoi più alti burocrati. In altre zone del paese non soltanto c'è fame e squallore ma anche risentimento verso i profittatori.[1]
  • Il programma nucleare pachistano è destinato a fini di pace. Invece l'India starebbe per effettuare dei test atomici, mentre l'ex premier di New Delhi ha dichiarato che non si sente di escludere l'azione nucleare. (da un'intervista nel 1996[2])
  • Ci potrebbero essere conseguenze tragiche per il subcontinente indiano se non venisse fatto ogni sforzo da parte della comunità internazionale per scongiurare un test nucleare dell'India. (da un'intervista nel 1996[2])
  • È deplorevole che in un'epoca di disarmo esista un programma indiano per missili a medio e lungo raggio. (da un intervista nel 1996)[2]
  • [Sul conflitto indo-pakistano] L'origine della tensione tra i nostri due paesi è il Kashmir. Io vorrei trovare una soluzione, ma l'India rifiuta ogni discussione: secondo New Delhi, non c'è nulla da discutere perché il Kashmir fa parte dell'India e basta. Con queste premesse ogni speranza di dialogo fallisce. (da un'intervista nel 1996[2])
  • Penso che esistano i falchi da entrambe le parti, nel mio paese come dall'altra parte del confine. Personalmente ho sempre creduto nel disarmo, nella non proliferazione nucleare e nella pace. Ho fatto ogni sforzo per mettere a bando, in Pakistan, i pregiudizi etnici e i settarismi di ogni tipo: quella che io chiamo la «cultura del Kalashnikov», cioè della gente che per risolvere i suoi problemi se ne va in giro con un mitra al collo. Io mi auguro che non venga mai il giorno, né in Pakistan né in India, in cui vincano i falchi.[2]
  • In Pakistan la povertà ha molteplici dimensioni, comporta bassi redditi e l'impossibilità di soddisfare i bisogni primari, quali la salute, l'istruzione, la nutrizione, l'accesso all'acqua potabile e ad adeguati servizi igienici. L'impossibilità da parte dei poveri ad avere accesso a servizi sociali di base provoca in futuro la loro emarginazione sociale. Sebbene la povertà si sia attenuata nei periodi di governance democratica, alla fine degli anni '90 questa tendenza si è invertita.[3]
  • L'attuale ideologia pachistana riguardante il ruolo dei sessi considera gli uomini come coloro che guadagnano il pane per la famiglia, mentre il mondo delle donne spesso è letteralmente confinato tra le pareti domestiche, dove sono madri e mogli. Le disuguaglianze tra i sessi sono indiscutibili prendendo atto delle statistiche: oggi vi sono soltanto 65 donne alfabetizzate ogni cento uomini. La tradizione ostacola l'accesso alla scuola media, secondaria e universitaria delle bambine, particolarmente nelle aree rurali. Il tessuto sociale pachistano sta sperimentando un cambiamento sostanziale: vi è una battaglia in corso per il futuro del Pakistan, paese che attualmente si trova davanti a un bivio e deve scegliere tra la strada delle riforme o la strada che riconduce al passato.[3]
  • In assenza di partiti politici modernizzatori, che rispettino la libertà e l'eguaglianza tra i sessi, il pericolo è che il paese prosegua lungo il sentiero della povertà e del sottosviluppo. E, come sappiamo, la povertà colpisce più incisivamente proprio le donne.[3]
  • Quando le donne sono rispettate e considerate alla pari con gli uomini, si moltiplicano e migliorano le premesse sociali necessarie a far entrare una nazione nella comunità globale.[3]
  • Per il Pakistan è arrivato il momento della verità. Le decisioni prese oggi determineranno se in Paksitan estremismo e terrorismo possano essere contenuti, al fine di salvare il paese da un tracollo interno. In gioco c'è la stabilità non solo del Pakistan, ma del mondo civilizzato. In tutte le elezioni democratiche tenute nel mio paese i partiti estremisti religiosi non hanno mai raccolto più dell'11% dei voti. Ma sotto la dittatura – in particolare sotto il dittatore militare generale Muhammad Zia-ul-Haq negli anni 80, ma purtroppo anche sotto il generale Pervez Musharraf – l'estremismo religioso ha preso piede. L'estremismo è emerso a minacciare la mia nazione ed il mondo. Questi estremisti sono un vivaio del terrorismo internazionale. Ma non deve per forza essere così. Le cose devono cambiare.[4]
  • L'attuale governo del Pakistan ha dichiarato ingovernabili ampie zone del nostro paese, cedendole alle forze filo-talebane e pro Al Qaeda. Io credo invece che siano governabili. Dobbiamo essere realistici circa la realtà storica e politica del Pakistan. Forse in un modo perfetto l'esercito non occuperebbe un ruolo nella politica. Da questo punto di vista il Pakistan è men che perfetto.[4]
  • Musharraf continua a godere del sostegno della comunità internazionale e delle forze armate del Pakistan. Ma tale sostegno non sostituisce la volontà della gente, che è priva di potere e disincantata.[4]
  • Come molti pachistani, il fatto che parte delle regioni tribali della nostra terra siano state cedute ai terroristi per me è causa di dolore. C'è chi crede che attraverso cessate-il-fuoco e trattati di pace si potrà riportare gli estremisti nel mainstream, e renderli moderati. Ma in Pakistan ogni cessate-il-fuoco e trattato di pace non ha fatto che incoraggiare militanti e terroristi.[4]
  • Il mio Pakistan sta ancora una volta attraversando una crisi che non minaccia soltanto la mia patria, ma che potrebbe avere ripercussioni sul mondo intero. Le sue radici risalgono a quasi mezzo secolo fa quando i militari presero il potere per la prima volta nel 1958. Da allora si sono succedute quattro dittature militari, salvo un breve periodo di governo civile e il paese è molto cambiato da quando, nel 1996, ho lasciato il potere. Oggi dalle regioni un tempo controllate dal mio governo, forze che appoggiano i Taliban collegate ad Al Qaeda sferrano attacchi contro le truppe Nato spingendosi al di là del confine afgano. Alle forze politiche moderate è vietata la libertà di associazione, di movimento, di parola e, perciò, moschee e madrasse sono diventate l'unico luogo in cui sia consentita l'espressione politica. I partiti religiosi sono saliti al potere: adesso amministrano le due aree più critiche del Pakistan al confine con l'Afghanistan. Abbiamo visto gruppi estremisti affermarsi e i regimi degli Anni '80 utilizzare la cosiddetta carta islamica per promuovere la dittatura militare demonizzando i partiti. Anche l'attuale establishment militare ventila la minaccia islamica per esercitare pressioni sulla comunità internazionale perché l'appoggi ancora una volta. Ma, per quanto riguarda noi, Partito popolare pachistano (Ppp), la scelta in Pakistan non è tra dittatura militare e partiti religiosi, la scelta è tra dittatura e democrazia.[5]
  • Voglio guidare un Pakistan democratico, libero dal giogo della dittatura militare. Un Paese che non sia più un rifugio, un terreno di coltura per il terrorismo internazionale. Un Pakistan democratico, che contribuisca a stabilizzare l'Afghanistan, mitigando la pressione sulle truppe Nato. Un Pakistan democratico che dia la caccia ai signori della droga e che ne smantelli il cartello che oggi finanzia il terrorismo. Un Pakistan in cui il principio di legalità impedisca a chiunque di costituire, reclutare e addestrare un esercito o una milizia privati.[5]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Come possiamo fare campagna elettorale presso la cittadinanza sotto la minaccia costante e concreta di essere assassinati? Con l'eventualità di un massacro di innocenti? L'attentato nei miei confronti non è giunto inaspettato. Da informazioni attendibili ero stata avvisata di essere presa di mira da elementi che vogliono ostacolare il processo democratico.[6]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Il Pakistan è un Paese nel quale la politica è qualcosa di molto radicato, che si pratica in massa, con un contatto faccia a faccia, persona a persona. Qui non siamo in California o a New York, dove i candidati fanno campagna elettorale pagando i media o spedendo messaggi e posta abilmente indirizzata. Qui quelle tecnologie non soltanto sono logisticamente impossibili, ma altresì incompatibili con la nostra cultura politica. Il popolo pachistano – a qualsiasi partito esso appartenga – ha voglia, si aspetta di vedere e ascoltare i leader del proprio partito, e di essere parte integrante del discorso politico. I pachistani partecipano ai comizi e ai raduni politici, vogliono ascoltare direttamente e senza intermediari i loro leader parlare con megafoni e altoparlanti. In condizioni normali tutto ciò è impegnativo. Con una minaccia terroristica che incombe è straordinariamente difficile. Mio dovere è far sì che non sia impossibile.[6]
  • [Dopo l'attentato del 18 ottobre 2007] Non dobbiamo permettere che la sacralità del processo politico sia sconfitta dai terroristi. In Pakistan occorre ripristinare la democrazia e l'equilibrio delle posizioni moderate, e il modo per farlo è tramite elezioni libere e oneste che instaurino un governo legittimo su mandato popolare, con leader scelti dal popolo. Le intimidazioni da parte di assassini codardi non dovranno far deragliare il cammino del Pakistan verso la democrazia.[6]
  • Se il popolo pachistano mi rifarà l'onore di concedermi l'opportunità di governare, intendo mettere in pratica tutto ciò che predico, intendo far sì che le mie azioni corrispondano alle mie parole, trasformare il Pakistan in un modello positivo per il miliardo di musulmani sparsi nel mondo, per il nostro futuro nel nuovo millennio. Nel mio Paese da sessant'anni si alternano dittatura militare e democrazia e il futuro è strangolato dall'oppressione politica e dalla stagnazione economica. Da circa dieci anni siamo governati da una dittatura militare, da almeno cinque siamo minacciati da un movimento terroristico internazionale che malauguratamente pare aver scelto come proprio epicentro le aree tribali del Pakistan. Questi non sono tempi ordinari, ma tempi che esigono di ricorrere a soluzioni fuori dall'ordinario.[7]
  • Mentre salgo su un aereo diretto in Pakistan, sono pienamente consapevole che i sostenitori dei Taliban e di al Qaeda hanno pubblicamente minacciato di uccidermi. Il leader dei Taliban Baitullah Mehsud ha dichiarato che i suoi terroristi mi daranno «il loro benvenuto» in occasione del mio ritorno, e non è certo necessario che io spieghi che cosa implicano queste parole.[7]
  • Noi rappresentiamo il futuro del Pakistan moderno, un futuro nel quale non c'è posto per l'ignoranza, l'intolleranza e il terrorismo. Le forze dei moderati e le forze della democrazia devono prevalere – e prevarranno – contro l'estremismo e la tirannia. Non mi lascerò intimidire. [...] Malgrado le minacce di morte, non indietreggerò davanti alla tirannia, ma mi metterò alla testa di chi la combatte.[7]
  • So esattamente chi ha cercato di uccidermi. Sono funzionari dell'ex regime del generale Zia, che oggi sono dietro estremismo e fanatismo.[8]
  • Io rappresento per loro un pericolo. Se porterò la democrazia nel Paese, perderanno la loro influenza. I talebani e gli estremisti islamici non possono agire da soli. Hanno bisogno di sostegno logistico, cibo, armi e una supervisione.[8]
  • Gli stessi settori della società pachistana che collusero per distruggere mio padre e porre fine alla democrazia in Pakistan nel 1977 si erano adesso schierati contro di me per lo stesso fine, esattamente trent'anni dopo.[9]

Figlia del destino

Incipit

Ho sempre creduto nell'importanza della documentazione storica. Quando nel 1977 fu rovesciato il governo di mio padre Zulfikar Ali Bhutto, incoraggiai i suoi più stretti collaboratori a scriverne la storia. Ma negli anni difficili della legge marziale molti di coloro che avevano fatto parte del governo di mio padre erano troppo impegnati a difendersi dalle persecuzioni e dalle false accuse del regime militare. Altri erano andati in esilio e non avevano più accesso alla loro documentazione personale. In quanto a me, il mio impegno nella lotta per riportare la democrazia nel Pakistan e gli anni che ho trascorso rinchiusa in carcere senza accuse mi impedirono di scrivere un libro sul governo di mio padre.
Più di un milione di miei compatrioti vennero ad accogliermi quando tornai in Pakistan nell'aprile 1986 dopo due anni di esilio, facendomi così balzare agli onori della cronaca internazionale. Molti mi proposero di scrivere la mia storia, invece di quella di mio padre, ma io non ero convinta: un conto era scrivere di mio padre che era stato primo ministro del Pakistan, eletto democraticamente, e che aveva ottenuto risultati importanti; un altro era scrivere di me stessa, poiché dovevo ancora combattere le mie battaglie politiche più importanti. Mi sembrava un atto di presunzione e pensavo che le autobiografie dovessero essere scritte quando, nell'autunno della vita, si ripensa il passato.
Fu un'osservazione di un'amica a farmi cambiare idea. «Ciò che non è documentato non viene ricordato» mi disse.

Citazioni

  • Mio padre era stato il primo a portare la democrazia dove in passato era esistita soltanto la repressione, sotto i generali che avevano governato il Pakistan sin dalla sua nascita nel 1947. Dove il popolo era vissuto per secoli in balia dei capi tribali e dei proprietari terrieri, aveva varato la prima costituzione pakistana per garantire una protezione legale e i diritti civili; dove il popolo aveva dovuto ricorrere alla violenza e agli spargimenti di sangue per spodestare i generali, aveva garantito un sistema parlamentare, un governo civile e le elezioni ogni cinque anni. (p. 13)
  • Zia ul-Haq, il capo di stato maggiore dell'esercito, l'uomo che mio padre credeva fedelissimo. Aveva mandato i suoi soldati nel cuore della notte a spodestarlo e a impadronirsi del potere con la forza. Zia ul-Haq, il dittatore che non era riuscito ad annientare il seguito di mio padre nonostante i fucili, i gas lacrimogeni e la legge marziale, e non aveva potuto fiaccare il suo spirito nonostante l'isolamento nella cella della morte. Zia ul-Haq, il generale che aveva appena fatto uccidere mio padre. Zia ul-Haq, il generale che per nove anni avrebbe governato spietatamente il Pakistan. (p. 13)
  • Per giorni e giorni dopo la morte di mio padre non riuscii a bere e a mangiare nulla. Bevevo qualche sorso d'acqua ma lo risputavo. Non potevo deglutire. E non potevo dormire. Ogni volta che chiudevo gli occhi facevo lo stesso sogno. Ero davanti al carcere, i cancelli erano aperti. Vedevo una figura che veniva verso di me. Papà! Gli correvo incontro. «Sei uscito! Sei uscito! Credevo che ti avessero ucciso, invece sei vivo!» Ma un attimo prima di raggiungerlo, mi svegliavo e mi trovavo di fronte ancora una volta alla tragica realtà. (p. 23)
  • Centinaia di migliaia di persone, in India e in Pakistan, appartenevano alla tribù dei Bhutto, una delle più nomerose del Sindh, i cui membri andavano dai contadini ai proprietari terrieri. Il nostro ramo della famiglia discendeva direttamente dal celebre capo tribale dei Bhutto, Sardar Dodo Khan. (p. 40)
  • Le avversità affrontate dai nostri antenati formavano il nostro codice morale, appunto come desiderava mio padre: lealtà, onore, principi. (p. 43)
  • Mio padre [...] era considerato molto progressista. Diede un'istruzione ai figli e arrivò al punto di mandare le figlie a scuola, un atto che altri proprietari terrieri giudicarono scandaloso. Molti grandi proprietari feudali non si prendevano neppure il disturbo di far studiare i figli maschi. (p. 44)
  • Nella nostra cultura dominata dai maschi, i ragazzi venivano sempre favoriti rispetto alle ragazze e non solo ricevevano spesso un'istruzione ma in certi casi venivano serviti a tavola per primi mentre la madre e le figlie dovevano aspettare. Nella nostra famiglia, tuttavia, le discriminazioni non esistevano. Se mai, ero io a ricevere la massima attenzione. (p. 45)
  • In casa nostra l'istruzione aveva la precedenza. Come mio nonno, mio padre voleva che servissimo da esempio: dovevamo essere la nuova generazione di pakistani progressisti e colti. (p. 46)

Citazioni su Benazir Bhutto

  • Benazir fu la prima donna eletta primo ministro del Pakistan e di tutto il mondo islamico. Improvvisamente tutti sembravano ottimisti riguardo il futuro. (Malala Yousafzai)
  • Gli islamisti uccisero Benazir Bhutto così come uccisero suo padre. Ma non gli si dovrebbe permettere di uccidere le speranze del Pakistan per la democrazia. (Amir Taheri)
  • I due governi di Benazir furono autocratici e corrotti. Avrei continuato a dirglielo, se fosse ancora viva. Ma è morta e la sua fine rappresenta una tragedia, una catastrofe per noi, la sua famiglia, e per il Paese intero. (Fatima Bhutto)
  • L'amministrazione Bush puntava su Benazir Bhutto per ricondurre il paese a una decente democrazia, dopo lo strappo autoritario di Pervez Musharraf. L'ideale sarebbe stata un'intesa, un compromesso tra i due. Il compromesso, che avrebbe meritato l'aggettivo di storico, è stato cancellato dal kamikaze. Ora i sostenitori della Bhutto vedono in Musharraf l'istigatore dell'assassinio. Non sarà facile disinnescare le passioni. (Bernardo Valli)
  • La sola arma che ha usato è stata quella del dialogo e del confronto politico. (Romano Prodi)
  • Lei era il nostro modello. Simboleggiava la fine della dittatura e l'inizio della democrazia e mandava un messaggio di speranza e di forza a tutto il resto del mondo. Ma era anche l'unico leader politico pakistano a pronunciarsi chiaramente contro i militanti talebani e a offrirsi addirittura di aiutare le truppe americane a dare la caccia a bin Laden entro i confini del nostro paese. (Malala Yousafzai)
  • Quando è morta Benazir ho ricominciato a chiamarla con il soprannome di tanti anni fa, Wadi Bua, che nel nostro dialetto è il vezzeggiativo che si dà alla sorella anziana del papà. Non so, è stato così, naturale, spontaneo. All'improvviso ha cessato di essere l'avversaria politica dei tempi più recenti. Ed è tornata la Wadi Bua dei miei giochi di bambina, quando io avevo 5 anni e lei 35. Mi hanno raccontato che ad ucciderla è stato un proiettile al collo. Proprio come mio padre Murtaza, suo fratello. Ho come sospeso il giudizio. Ho smesso di accusarla di complicità nel suo assassinio nel 1996. Quella era Benazir viva, la zia cattiva, la feudataria corrotta e senza scrupoli che ci aveva depredato di tutto per pura sete di potere. Adesso è tornata Wadi Bua, sangue del mio sangue, un altro membro della famiglia ucciso e da piangere tutti assieme. Senza differenze. (Fatima Bhutto)
  • Seguendo le orme del generale Zia, Bhutto aveva ripreso in altra forma il sogno del dittatore: creare, sotto l'egemonia pakistana, un asse transcontinentale che si estendesse dal confine orientale con la Cina, comprendesse l'Afghanistan e le repubbliche dell'Asia centrale e giungesse fino alla regione petrolifera del mar Caspio (va osservata che la via della droga dall'Afghanistan all'Europa attraversa gli stessi territori). (Loretta Napoleoni)

Emma Bonino

  • Dobbiamo ricordare che le donne al potere sono spesso "figlie di", "mogli di"... Non legherei la vita, le opere e le idee di Benazir Bhutto ai problemi di genere che ci sono ed esistono in Pakistan.
  • L'attentato costato la vita a Benazir Bhutto non era mirato contro la prima donna ad aver retto il governo di un Paese islamico, ma contro un'esponente dell'opposizione impegnata per rendere credibile la transizione democratica del Paese.
  • Non si tratta della morte di una donna scomoda. I problemi del Pachistan non sono di genere, sono quelli di un Paese impegnato in un complesso processo di evoluzione democratica dalla dittatura militare. Non dimentichiamo che anche l'altro ex primo ministro e leader dell'opposizione Nawaz Sharif è scampato a diversi attentati ed è un uomo.

Christopher Hitchens

  • Dimostrava sempre la stessa mancanza di imbarazzo privo di ironia. Mi ricordo di quanto graziosamente mi mentiva, e con uno sguardo impassibile da quegli occhi di topazio, su come il programma nucleare pakistano fosse esclusivamente pacifico e civile. Sembrava sempre ipocritamente indignata quando le venivano poste domande non gradite sull'enorme corruzione di cui lei e il suo marito playboy Asif Ali Zardari furono accusati. [...] E ora le due principali eredità del governo Bhutto – le armi nucleari e gli islamisti legittimati – si sono tangibilmente avvicinate.
  • Il critico più severo di Benazir Bhutto non avrebbe potuto negare che possedeva un livello di coraggio fisico straordinario. Quando suo padre giaceva in prigione condannato a morte dalla dittatura militare pakistana nel 1979, e altri membri della sua famiglia cercavano di fuggire dal paese, ella tornò coraggiosamente. Il suo successivo incontro con il brutale generale Zia-ul-Haq le costò cinque anni della sua vita, trascorsi in prigione. Sembrava semplicemente mostrare disprezzo sia per l'esperienza che per l'ometto feroce che gliela inflisse.
  • Sta di fatto che l'indubbio coraggio di Benazir conteneva un certo fanatismo. Aveva il complesso di Elettra più grande di qualsiasi altra donna politica della storia moderna, totalmente consacrata alla memoria del suo padre giustiziato, l'affascinante e spregiudicato Zulfiqar Ali Bhutto, che una volta dichiarò che il popolo del Pakistan avrebbe mangiato erba prima di rinunciare alla lotta per l'acquisizione d'un arma nucleare. (Era piuttosto preveggente a tal riguardo: il paese ora ha effettivamente le armi nucleari, e mentre milioni dei suoi abitanti a malapena si sfamano). Un socialista di nome, Zulfiqar Bhutto era un autocratico opportunista, e questa tradizione familiare fu continuata dal Ppp, un partito apparentemente populista che non ha mai avuto una vera elezione interna e che in realtà – come tante altre cose nel Pakistan – fu una proprietà della famiglia Bhutto.

Note

  1. a b c Citato in Il Pakistan vota con l'opposizione tutta in prigione, la Repubblica, 24 febbraio 1985.
  2. a b c d e Citato in Marco Lupis, Interviste del Secolo Breve: Incontri con i protagonisti della cultura, della politica e dell'arte del XX secolo, Edizioni del Drago, 2017. ISBN 882280600X
  3. a b c d Da Il futuro del Pakistan e quello delle sue donne, la Repubblica, 22 ottobre 2004.
  4. a b c d Da La mia ricetta per il Pakistan, la Repubblica, 1 settembre 2007.
  5. a b Da Noi e i terroristi la sfida è ora, la Repubblica, 21 settembre 2007.
  6. a b c Da Conosco i nomi dei miei assassini, la Repubblica, 28 dicembre 2007.
  7. a b c Da Il mio ritorno a casa per cambiare il Pakistan, la Repubblica, 18 ottobre 2007.
  8. a b Citato in Benazir rilancia la sfida al terrore. "Sono stati gli uomini di Zia", la Repubblica, 19 ottobre 2007.
  9. Da L'ultima premonizione di Benazir Bhutto, la Repubblica, 9 febbraio 2008.

Bibliografia

  • Benazir Bhutto, Figlia del destino, traduzione di Roberta Rambelli, Leonardo Paperback, 1991. ISBN 88-355-1031-7.

Voci correlate

Altri progetti