Richard Nixon: differenze tra le versioni

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Richard Nixon

Richard Milhous Nixon (1913 – 1994), politico statunitense, 37º Presidente degli USA.

Citazioni di Richard Nixon

  • A lunga scadenza, è del tutto impossibile credere di poter lasciare per sempre la Cina fuori della comunità delle nazioni, a rimuginare sulle sue fantasie, coltivare i suoi odi e minacciare i suoi vicini. Sul nostro piccolo pianeta non ha senso che un miliardo dei suoi abitanti potenzialmente più solerti sia lasciato in irato isolamento [...]. A breve scadenza ciò suggerisce una politica di fermo riserbo, di rifiuto di concessioni e di contropressione costruttiva intesa a persuadere Pechino che i suoi interessi fondamentali possono essere soddisfatti solo con l'accettazione delle regole fondamentali della civiltà internazionale. A lunga scadenza ciò significa recuperare la Cina alla comunità mondiale ma come nazione grande e progressista, non come epicentro della rivoluzione mondiale.[1]
  • Caro Donald, non ho visto la trasmissione,[2] ma la signora Nixon mi ha detto che sei stato magnifico durante il Donahue show. Come puoi immaginare, lei è un'esperta di politica e prevede che, nel caso decidessi di correre alla presidenza, vincerai! Cordiali saluti, sinceramente, Dick.
Dear Donald, I did not see the program but Mrs. Nixon told me that you were great on the Donahue show. As you can imagine, she is an expert on politics and she predicts that whenever you decide to run for office you will be a winner! With warm regards, sincerely, Dick. (da una lettera diretta a Donald Trump, 21 dicembre 1987[3])
  • In base alle mie convinzioni personali e religiose considero gli aborti una forma inaccettabile di controllo delle nascite. Inoltre, non posso far quadrare politiche di aborto illimitato, o aborto su richiesta, con la mia personale fede nella santità della vita umana, inclusa la vita dei non ancora nati. Perché, sicuramente, anche i non nati hanno diritti, riconosciuti dalla legge, riconosciuti altresì dai principi enunciati dalle Nazioni Unite.[4]
  • [Ultime parole famose] In confidenza posso affermare che non prevedo assolutamente di candidarmi a qualunque cosa negli anni 1964, 1966, 1968 o 1972... Chiunque pensi che io possa candidarmi a qualunque cosa che inizi in qualunque anno è fuori di melone.
I can confidently say I have no contemplation at all of being a candidate for anything in 1964, 1966, 1968 or 1972... Anyone who thinks I could be a candidate for anything starting in any year is off his rocker. (da un'intervista del 1964[5])
  • [Nel 1991] Io ho spesso pensato che se ci fosse stato in giro in quel periodo un buon gruppo rap, potrei aver scelto una carriera nella musica invece che nella politica.
I have often thought that if there had been a good rap group around in those days, I might have chosen a career in music instead of politics.[6]
  • Io ho conosciuto Bob Haldeman come uomo di rara intelligenza, forza, integrità e coraggio. [...] Egli giocò un ruolo indispensabile in tempi turbolenti quando la nostra Amministrazione dovette intraprendere un'ampia gamma di iniziative in patria e all'estero.
I have known Bob Haldeman to be a man of rare intelligence, strength, integrity and courage. [...] He played an indispensable role in turbulent times as our administration undertook a broad range of initiatives at home and abroad. (dichiarazione rilasciata dopo la morte di Harry Robbins Haldeman, 12 novembre 1993[7])
  • Io sono un vecchio marinaio; la prua è l'estremità posteriore, non è vero?
I'm an old navy man; the bow is the rear end, isn't it? (da un'intervista televisiva di David Frost, 19 maggio 1977[8])
  • [Ultime parole famose, nel luglio 1974] Non lascerò la Casa Bianca.[9]
  • Per anni i politici hanno promesso la luna: io sono il primo in grado di darvela.[10]
  • Quel che penso veramente è che, scavando più in profondità, in questo paese vi sia un forte antisemitismo: e tutto ciò [l'opposizione della comunità ebraica al movimento evangelico universitario Campus Crusade] non farà altro che fomentarlo. [...] Non escludo che abbiano un desiderio di morte. È questo, si sa, il problema dei nostri amici ebrei da secoli e secoli.[11]
  • [Riguardo Mobutu Sese Seko] Sebbene lei sia un uomo giovane e venga da una nazione giovane, ci sono cose che possiamo imparare da lei.[12]
  • Vi sono circostanze in cui l'aborto è necessario. Lo so bene. Quando un genitore è nero e l'altro è bianco. Oppure in caso di stupro.[11]
  • [Ultime parole famose, nel 1962] Voi non avrete più Nixon in circolazione – poiché, signori, questa è la mia ultima conferenza stampa.
You won't have Nixon to kick around anymore – because, gentlemen, this is my last press conference.[13]

La vera guerra

Incipit

Al momento di scrivere questo libro sono passati un terzo di secolo da quando fui eletto membro del Congresso e cinque anni dalle mie dimissioni da presidente.
Quando lasciai l'incarico non avevo portato a termine il lavoro che per me significava più di qualunque cosa alla quale mi ero dedicato: l'instaurazione di una nuova "struttura di pace" che potesse impedire un grave conflitto e al tempo stesso mantenere la sicurezza del mondo occidentale per il resto del secolo. Da allora la posizione degli Stati Uniti in rapporto a quella dell'Unione Sovietica è seriamente peggiorata e il pericolo per l'Occidente è molto aumentato. Quella "struttura di pace" può essere ancora realizzata, ma ormai sarà più difficile, e il tempo per crearla è diminuito.

Citazioni

  • Il presidente degli Stati Uniti esercita un enorme potere. Dall'usarlo, più o meno bene, più o meno abilmente, dipende la sorte dell'Occidente. Egli può esercitarlo con molto maggiore effetto se il popolo americano comprende la difficoltà da affrontare e perché l'uso del potere americano comprende la difficoltà da affrontare e perché l'uso del potere americano è necessario; se, di conseguenza, il popolo si associa con lui per mantenere la sicurezza dell'Occidente e la pace nel mondo. Egli non può fare ciò da solo, né può faro affatto se gli ostruzionisti gli sbarrano la via. (p. 12)
  • Ho avuto rapporti diretti e talvolta molto franchi con i capi dell'Unione Sovietica, della Cina, dell'Europa e di nazioni sviluppate e in via di sviluppo di tutti i continenti. Ho usato forza e diplomazia negli affari internazionali, e ho visto come sono usate da altri. Mi sono scontrato con la volontà d'acciaio dei dirigenti del Cremlino e ho dovuto uniformarmi alla loro risolutezza. Ho osservato che sanno ciò che vogliono e che per ottenerlo ricorrono a qualsiasi mezzo. (p. 12)
  • L'Unione Sovietica è oggi la nazione espansionistica più potentemente armata che il mondo abbia mai conosciuto e il suo potenziale bellico continua ad aumentare a un ritmo quasi doppio di quello degli Stati Uniti. Le intenzioni sovietiche non sono un mistero. I dirigenti del Cremlino non vogliono la guerra, ma vogliono il mondo. (p. 12)
  • Le ambizioni sovietiche comportano per gli Stati Uniti una sfida strategica di dimensioni globali, il che richiede una rinnovata coscienza strategica ed una risposta. Richiede una coerente strategia nazionale basata sul sostegno di un pubblico informato. Temporeggiamenti disorganici e frammentari non serviranno. Angola, Etiopia, Afghanistan, Yemen del Sud, Mozambico, Laos, Cambogia e Vietnam del Sud sono passati tutti sotto il dominio comunista dal 1974; quasi cento milioni di abitanti negli ultimi cinque anni. L'Iran è piombato nel caos e bruscamente si è trasformato da bastione della forza occidentale a calderone di virulento anti-occidentalismo, mentre i suoi tesori petroliferi si offrono in modo provocante agli avidi occhi russi. Cuba funge sempre più da agente delle ambizioni sovietiche a largo raggio. Questi sono esempi di come i pezzi continueranno a cadere se noi rimarremo privi di una visione organica. Dobbiamo ricuperare lo slancio geopolitico, ordinando e usando le nostre risorse secondo la tradizione di una grande potenza. (p. 13)
  • I vecchi imperi coloniali sono scomparsi. Il nuovo imperialismo sovietico esige una nuova controforza per tenerlo a freno. Gli Stati Uniti non possono provvedervi da soli, ma senza la guida forte ed efficiente degli Stati Uniti essa manca del tutto. Non possiamo permetterci atteggiamenti indecisi ed esitazioni. O agiamo da grande potenza o saremo ridotti a potenza minore, e così ridotti non sopravviveremo, né sopravvivranno libertà o valori occidentali. (p. 14)
  • Dalla Seconda Guerra Mondiale in poi la Russia ha avuto un incremento militare costante e la sua pressione espansionistica è stata inesorabile. Mosca ha pescato assiduamente nelle acque torbide rimaste dopo lo smantellamento dei vecchi imperi coloniali. Ha isolato Berlino, fomentando rivoluzioni nell'America latina, in Asia e in Africa, aiutato le aggressioni compiute dalla Corea del Nord e dal Vietnam del Nord. Ha addestrato ed appoggiato formazioni di guerriglieri, ha impedito lo svolgimento di consultazioni elettorali, ha abbattuto aerei disarmati, patrocinato colpi di Stato, ucciso profughi, incarcerato dissidenti. Ha minacciato, inveito, tollerato abusi, cospirato, rovesciato sistemi, usato metodi di corruzione, di intimidazione, di terrore; ha ingannato, rubato, torturato, spiato, ricattato, assassinato: tutto in attuazione di una premeditata politica nazionale. (p. 14)
  • Disgraziatamente l'America soffre ancora dell'eredità degli Anni Sessanta. Allora un furioso antirazionalismo investì il nostro ambiente studentesco e l'immaginazione regnò sovrana. Era di moda contestare tutto ciò che rappresentava l'ordine costituito. I contrasti di quel decennio e le loro conseguenze indebolirono in modo critico la capacità della nazione di far fronte alle proprie responsabilità mondiale, non soltanto militarmente ma anche in rapporto alla sua abilità di comando. (p. 15)
  • Le nazioni vivono o muoiono a seconda di come reagiscono alle particolari provocazioni che devono affrontare. Tali provocazioni possono essere interne o esterne; affrontate da una sola nazione o di comune accordo con le altre nazioni; possono arrivare gradualmente o all'improvviso. Non esiste una legge naturale immutabile che stabilisca come solo gli ingiusti abbiano a soffrire o che i giusti debbano trionfare. Se la forza non crea il diritto, neppure il diritto crea la forza. Il momento in cui una nazione anela soprattutto alla tranquillità può essere proprio quello che la costringe ad affrontare urgentemente una minaccia esterna. Sopravvive quella nazione che si mostra all'altezza della situazione: che ha la saggezza di individuare la minaccia e la volontà di stonarla, e che agisce prima che sia troppo tardi.
    L'ingenuo concetto che possiamo mantenere la libertà trasudando benevolenza è non soltanto sciocco, ma pericoloso. Più trova seguaci, più alletta l'aggressore. (p. 16)
  • La rivoluzione non è di per sé né buona né cattiva. Ma ciò che gli Stati Uniti devono affrontare oggi è l'avanzata di una tirannia che marcia all'insegna della rivoluzione: essa si prefigge di sostituire alla democrazia un dispotismo in nome del "popolo". Ma in queste "democrazie popolari" il popolo non ha alcun voto significativo; non ha voce, né libertà, né scelta. L'Unione Sovietica ha costruito la più potente macchina bellica mai posseduta da una potenza aggressiva, non a beneficio - o per scelta - del popolo russo, ma per estendere il dominio della leadership del Cremlino. (pp. 18-19)
  • Come l'imbroglione sa approfittare dell'avidità e della presunzione della sua vittima, così il Cremlino sa abilmente sfruttare l'idealismo romantico di chi ha preso di mira e i suoi sogni grandiosi di ricreare intere società secondo la propria immagine. (p. 19)
  • Ora che l'Africa è uno spazio di manovra per le grandi potenze, noi non possiamo permettere che la nostra politica verso quel continente risvegli gli amari ricorsi ancora conservati da coloro che lottarono per l'uguaglianza razziale in America. Non possiamo permettere che l'Africa diventi un palcoscenico su cui gli americani recitino i loro traumi psichici. Dobbiamo trattarla come campo di battaglia di vitale importanza strategica, perché questo ne ha fatto l'avventurismo sovietico.
    Né possiamo ignorare una qualsiasi parte del mondo con la scusa che è troppo lontana dai nostri interessi per dovercene occupare. L'inizio degli Anni Ottanta ci ha ricordato questa lezione con gli avvenimenti dell'Afghanistan: fatto che ha anche presentato il suo lato ironico, in quanto per molti anni i cronisti americani hanno denigrato le analisi di ciò che accadeva nelle terre lontane definendolo "afghanistanismo". (p. 19)
  • L'Afghanistan - remoto, distante dal mare, regione di impervie montagne abitata da tribù primitive, rozze come la terra in cui vivono - era usato come metafora per tutti gli avvenimenti lontani e di scarso interesse che cadevano sotto gli occhi del lettore americano. (p. 19)
  • Nel corso della storia è stato il crocevia di conquistatori; Alessandro il Grande, Gengis Khan e Tamerlano hanno invaso tutti le polverose colline dell'Afghanistan nella loro sete d'impero. [...] Oggi l'Afghanistan è il banco di prova di una nuova, minacciosa, impudente fase della spinta espansionistica sovietica. (pp. 19-20)
  • L'orgoglioso popolo afghano era stritolato nel pugno di ferro dell'Unione Sovietica, la quale si avvicinava così al conseguimento dei suoi obiettivi, ormai una tentazione a breve distanza: cioè la disponibilità di un porto nelle acque calde del Mare d'Arabia e il controllo del petrolio del Golfo Persico. (pp. 21-22)
  • La conquista sovietica dell'Afghanistan è una continuazione del vecchio imperialismo zarista: l'implacabile pressione verso l'esterno che si protrae da quando il ducato di Moscovia abbatté il dominio mongolo nel 1480. È anche un duro monito affinché l'America non si conceda più il lusso di considerare qualsiasi luogo della terra troppo lontano per potere attentare alla sua sicurezza. (p. 22)
  • Dwight D. Eisenhower era un acuto stratega. Ricordo che durante la sua presidenza, quando attorno al tavolo del Consiglio nazionale di sicurezza i discorsi dei consiglieri diventavano pessimistici nell'esaminare il mondo, Eisenhower voleva ricordarci che uno dei primi requisiti di un comandante militare in grado di vincere è la capacità di stimare realisticamente i punti forti e i lati deboli del proprio esercito. Ma altrettanto importante, aggiungeva, è sapere individuare non soltanto la forza, ma anche la debolezza e la vulnerabilità degli eserciti nemici. (p. 24)
  • L'economia cinese è ancora debole e la sua capacità nucleare relativamente primitiva. Ma dovendosi misurare con un miliardo di abitanti, potenzialmente molto abili, attestati sulla più lunga frontiera sovietica e controllati da un governo che guarda a Mosca con accanita ostilità, i dirigenti del Cremlino hanno di che preoccuparsi. (p. 24)
  • Le nazioni comuniste hanno il vantaggio che, essendo totalitarie, possono distribuire le loro risorse come i capi desiderano, per soddisfare le loro ambizioni più che le necessità della popolazione. Così anche economie relativamente improduttive possono sostenere enormi apparati militari. Ma se si dovesse verificare una corsa agli armamenti e l'Occidente decidesse di competere, questo Occidente avrebbe la capacità economica di vincerla. I sovietici lo sanno. (p. 25)
  • Dobbiamo comprendere che la distensione non è un festino d'amore. È l'intesa fra due nazioni che hanno obiettivi opposti ma alcuni interessi in comune, tra cui quello di evitare il conflitto nucleare. Una simile intesa può funzionare - cioè può frenare l'aggressione e scoraggiare la guerra - soltanto se il potenziale aggressore è convinto che aggressione e guerra non recano benefici. (p. 25)
  • Il sistema capitalistico funziona in base al movente del profitto economico. Il sistema sovietico funziona in base al movente del profitto militare e territoriale. (pp. 25-26)
  • Come gli Anni Quaranta e Cinquanta hanno visto la fine del vecchio colonialismo, gli Anni Ottanta e Novanta dovranno essere quelli del nostro successo sul nuovo imperialismo sovietico. (p. 26)
  • La Terza Guerra Mondiale è la prima vera guerra globale. Non c'è angolo del mondo che sia irraggiungibile. Stati Uniti e Unione Sovietica sono diventati entrambi potenze mondiali, e qualunque cosa alteri l'equilibrio in un certo luogo, altera tale equilibrio in un certo luogo, altera tale equilibrio dovunque. I sovietici lo capiscono. Anche noi dobbiamo capirlo, e imparare a pensare in termini mondiali. (p. 30)
  • Come l'acqua scorre giù dal monte, così i sovietici premono per estendere il loro potere dovunque sia possibile, con qualsiasi mezzo ritenuto efficace. Sono opportunisti completamente amorali. (p. 31)
  • Gli apologisti obiettano spesso che i sovietici cercano in realtà di garantirsi la sicurezza contro minacce esterne che essi ritengono vere o potenziali, e che una volta raggiunta la forza sufficiente a garantirsi tale sicurezza i loro appetiti saranno sazi. Vi è forse qualche verità nella prima metà del ragionamento, ma per la seconda il guaio è che l'appetito russo per la "sicurezza" è insaziabile. Più essi ottengono, più hanno da proteggere; e "sicurezza" per essi significa dominio, in patria o fuori. (p. 31)
  • La leadership sovietica non ha un concetto di "pace" come noi lo intendiamo, né di coesistenza come noi la concepiamo. Non credono nell'idea di parità. Uno uguale è per definizione, un rivale da eliminare prima che esso elimini loro. (p. 32)
  • Il significato della Terza Guerra Mondiale è scritto in modo nitido ed eloquente sui volti dei profughi vietnamiti, che rischiano di morire su fragili imbarcazioni in mare aperto e di essere respinti quando toccano terra piuttosto che vivere nella prigione che un tempo era loro paese. (p. 32)
  • Prima che il regime comunista prendesse il potere nella grande Cina, Hong Kong era una città di poco più di un milione di abitanti. Oggi ne conta quasi cinque milioni. L'aumento è dovuto in prevalenza del flusso di profughi cinesi che vi si sono riversati nonostante il filo spinato e le guardie confinarie poste per fermarli. (p. 32)
  • Prima del muro, Berlino indivisa era un'isola di libertà accessibile in un mare di tirannia. Era una infamia per i comunisti, poiché rappresentava una scelta. Prima che il muro venisse costruito nel 1961, oltre tre milioni di cittadini approfittarono di quella scelta e fuggirono dal dominio comunista: cinquecento persone al giorno per quindici anni.
    Frontiere chiuse, filo spinato, mura, guardie con l'ordine di sparare a vista contro chiunque tenti la fuga: questi sono i segni del dominio comunista e i simboli dell'avanzata russa. (p. 33)
  • È un segno dei nostri tempi che, quando una o due persone lasciano l'Occidente per l'Est europeo, il fatto fa notizia. Ma quando migliaia di persone fuggono dal regime comunista, questa è semplice statistica. (p. 33)
  • I dirigenti sovietici puntano lo sguardo sulle strutture fondamentali dell'economia nella società moderna. Il loro obiettivo è di togliere la corrente alla macchina industriale occidentale. (p. 35)
  • Per moltissimi americani la carta geografica dell'Africa è poco conosciuta come quella dell'Antartide. Tanti non saprebbero distinguere il Mali dal Malawi, né hanno idea di dove sia la Somalia o l'Eritrea, tanto meno capiscono perché i fatti che accadono in quei paesi possono plasmare il futuro del mondo. (p. 35)
  • Gli spettri del passato coloniale tormentano i capi di molte nazioni africane. La politica africana precoloniale era tribale; dopo la conquista europea si è avuta una politica imperiale; oggi è una combinazione unica delle due. (p. 35)
  • I confini di gran parte degli attuali Stati africani hanno poca logica da un punto di vista Stato-nazione. Non corrispondono a linee naturali o tribali; sono rimasti laddove gli eserciti delle potenze coloniali si fermarono o dove i cartografi di Parigi o di Londra li tracciarono casualmente. Spesso i paesi africani consistono di venti o trenta tribù, un guazzabuglio di molte mininazioni, mentre tante tribù sono state divise in due da confini coloniali ereditati. La conseguente mancanza di unità nazionale fa sì che la democrazia sia quasi impossibile, lo sviluppo economico un sogno lontano e la tensione interna una costante realtà. Molti capi di Stato africani desiderano soltanto conservare il potere e impedire che la nazione si disgreghi. (p. 35)
  • Quando i capi delle nazioni africane si muovono per fare acquisti, i sovietici offrono merci allettanti. Il complesso militare-industriale dell'URSS funziona a pieno ritmo, per cui Mosca ha abbondanti scorte di armi da offrire, talvolta a prezzi convenienti e senza ritardi causati da controversi sulla "moralità" del traffico d'armi. (p. 36)
  • Sebbene la Russia sia nuova nel continente africano, Mosca e i suoi alleati forniscono già più del settantacinque per cento delle armi importate dall'Africa, e la loro quota di vendite è destinata a salire. (p. 35)
  • "Comunisti ravanello", rossi fuori ma bianchi dentro, hanno per i russi un buon sapore come i pomodori rossi. (p. 37)
  • Fino al settembre 1974 l'Etiopia era un sicuro amico dell'Occidente. Sotto il dominio di Hailé Selassié il paese era da tempo uno dei più stretti alleati dell'America nell'Africa nera. Ma da anni i russi osservavano con interesse come i loro alleati cubani e altri avessero alimentato un movimento secessionista armato in Eritrea: la provincia dell'Etiopia strategicamente situata a nordest, sul Mar Rosso, di fronte all'Arabia Saudita.
    Poi, sulla scia di una gravissima carestia, nel 1974, i militari rovesciarono Selassié. Un gruppo radicale in seno all'esercito affermò il proprio predominio nell'ambito del governo rivoluzionario. I nuovi governanti ruppero i legami con l'Occidente e ne allacciarono con l'Europa dell'Est. (p. 37)
  • Menghistu non ha limitato le sue cure all'Etiopia. Sono stati violati i confini del Sudan e questo paese ha dovuto assorbire più di trecentomila etiopi fuggiti dal "terrore rosso" di Menghistu. Un nuovo seme di fermento è stato piantato in terra africana e alimentato da Mosca. (p. 38)

Citazioni su Richard Nixon

Nixon con Mohammad Reza Pahlavi nel 1973
  • Da Gran Perdente è diventato un perfetto trionfo riuscendo a perdere la presidenza in modo più grandioso e originale di chiunque altro abbia fatto prima d'ora. (Gore Vidal)
  • Ha venduto l'intero Paese, duecento milioni di persone, tutto da solo. Due volte. E qual era il punto di forza di Nixon nel '68? [...] Ha detto che avrebbe fermato la guerra, che ci avrebbe fatto uscire dal Vietnam. E che ha fatto? [...] Ha mandato altri centomila soldati e poi gli ha bombardato il culo e anche l'anima! Ecco cos'ha fatto. E l'anno scorso su cos'ha basato la sua candidatura? Mettere fine alla guerra nel Vietnam e ha vinto con una valanga di voti! Quello è un vero venditore, Sam. Ha fatto una promessa, non l'ha mantenuta e poi ci ha venduto la stessa identica promessa. Da capo. Di nuovo. Questo sì che è credere in se stessi. (The Assassination)
  • Nixon. Cicero pro domo usa.[14] (Marcello Marchesi)
  • Nixon è un capo forte con una buona comprensione dei problemi mondiali. Lui sa che l'unico modo per discutere con i comunisti e da una posizione di forza. (Mohammad Reza Pahlavi)
  • Non mi sembrò un tipo umano, Nixon. Mi sembrò molto arrogante, molto pieno di sé. Uh, quella mascella! Non mi piace proprio, quella mascella. E quei lineamenti da bulldog. Non mi piacciono proprio. Denunciano una prepotenza. (Sandro Pertini)
  • Penso che la seconda metà del XX secolo verrà ricordata come l'era di Nixon. Perché è il più duraturo personaggio pubblico del nostro tempo? Non perché ha fatto i discorsi più eloquenti, ma per la leadership più efficace. Non perché ha vinto ogni battaglia, ma perché ha sempre incarnato i sentimenti più profondi delle persone che ha guidato. (Bob Dole)
  • Per quanto riguarda la politica estera degli Stati Uniti, Nixon ebbe sempre, ed ha tuttora, una visione sorprendentemente esatta di uomini e cose. La sua politica di disimpegno nel Vietnam e di relazioni normali con la Repubblica popolare cinese, fu una politica ragionevole, impostata al buon senso e alla prudenza. Allo stesso modo, la sua concezione rigorosa dell'equilibrio delle forze mondiali aveva dato indiscusso prestigio agli Stati Uniti. (Mohammad Reza Pahlavi)
  • Prendete Richard Nixon ad esempio. La gente dimentica ma quarantasette milioni di americani avevano votato Nixon. Pensavamo che fosse uno dei buoni e Nixon pensava che il generale Pinochet fosse uno buono perché odiava i comunisti, così abbiamo aiutato Pinochet a prendere il potere. Poi Pinochet cambiò faccia ed uccise migliaia di persone. Forse in fondo non era uno dei buoni. (Narcos)
  • Se il tuo paese non ti capisce, vieni da papà Amin che ti vuol bene. Un bacio su entrambe le guance. (Idi Amin Dada)
  • Sia detto di passata, Richard Nixon è stato il miglior presidente americano del dopoguerra: ha chiuso la guerra del Vietnam, ha aperto alla Cina con quarant'anni di anticipo, ha eliminato l'equivoco del gold exchange standard, non era mafioso. Ma poiché, a differenza di Kennedy (che iniziò la guerra del Vietnam, combinò il pericoloso pasticcio della "baia dei porci", portò, insieme a Kruscev, il mondo sull'orlo della terza guerra mondiale, era intimo di noti gangster mafiosi coma Sam Giancana) aveva un brutto grugno, è passato alla storia come "Nixon boia". (Massimo Fini)
  • Soffriva di grandi complessi. E aveva una mania paranoide di persecuzione, che lo portò allo scandalo Watergate. Ma era intelligente, preparato, rapido nelle analisi. E aveva il senso dello Stato. Durante gli scrutini del 1960 Nixon sembrava che stesse vincendo (a detta dei sondaggi). Ma Joseph Kennedy, il padre di John, telefonò al suo amico sindaco di Chicago Richard J. Daley, che gli procurò i voti necessari. Nixon lo seppe. Ma non volle sollevare uno scandalo. Subì in silenzio una sconfitta immeritata. (Giovanni Sartori)

Benazir Bhutto

  • È paradossale che un uomo presentandosi candidato alla presidenza in nome della legge e dell'ordine abbia fatto il possibile per infrangere la legge e causare disordine nel suo paese.
  • Nixon si è considerato continuamente al di sopra della legge, in grado di fare ciò che voleva. L'ultimo sovrano inglese che lo fece perse la testa.
  • Oggi Nixon non è soltanto odiato ma ha anche perduto ogni credibilità. Perdendo la credibilità agli occhi del suo popolo, Nixon ha perso l'autorità morale per governare la nazione americana. È la tragedia di Nixon e dell'America.

Indro Montanelli

  • Prima di partire per Vienna, il presidente [degli Stati Uniti] Carter ha fatto due dichiarazioni. La prima: «Ci auguriamo che il signor Breznev [allora presidente dell'Unione Sovietica e Primo Segretario del PCUS] abbia per le nostre ragioni la stessa comprensione che noi abbiamo per le sue». La seconda: «Se Ted Kennedy si presenta contro di me alle elezioni presidenziali, gli faccio un c.o così» Il triviale Nixon avrebbe potuto dire le stesse cose, ma certamente ne avrebbe invertito l'ordine di priorità riservando la comprensione a Kennedy ed il c.o a Breznev. La differenza fra i due è tutta qui.
  • Fino ad una decina di anni orsono, la maggioranza degli americani erano convinti che, se Nixon fosse rimasto nella Storia del loro Paese – cosa che al loro orecchio suonava come un obbrobrio – vi sarebbe rimasto solo per il Watergate, cioè appunto per l'obbrobrio. Negli ultimi tempi tutto si è rovesciato: l'obbrobrio non è stato più il Watergate, ma la campagna scandalistica che lo aveva provocato. Gli stessi protagonisti che l'avevano montata – Bob Woodward e Carl Bernstein del Washington Post – ne riconobbero le forzature e fecero atto di contrizione. Non avevano inventato nulla, ma avevano deformato tutto. [...] La sorte è stata, tutto sommato, clemente con Nixon dandogli il tempo di vedere questo capovolgimento.
  • Ultimamente era ricevuto, ed anzi continuamente sollecitato alla Casa Bianca, dove lo si accoglieva come lo Elder Statesman, lo statista anziano da consultare come un vecchio saggio sui problemi difficili. Fu a lui che Bush si rivolse per riallacciare un dialogo con Pechino dopo la rottura seguita al fattaccio di Tienanmen. E lui a Pechino lo riallacciò: i cinesi non avevano dimenticato che quel dialogo erano stati Nixon e Kissinger ad aprirlo, quando l'America aveva deciso di chiudere l'avventura del Vietnam in cui Kennedy e Johnson l'avevano malaccortamente cacciata. Ma anche Clinton è ricorso alla sua esperienza per capire cosa succedeva in Russia e trarne qualche insegnamento. Nixon andò a Mosca, e ne tornò con cattivi presagi sulla sorte di Eltsin che i successivi avvenimenti hanno confermato.
  • Non era un uomo «simpatico», e soprattutto non aveva nulla che potesse sedurre l'America dei salotti e della intellighenzia, che gli uomini politici li misurano a modo loro, mai quello giusto. Scambiarono per un grande intellettuale Kennedy, che in vita sua aveva visto migliaia di film, ma mai letto un libro. E prendevano Nixon, che di libri ne ha letti ed ha continuato a leggerne (ed a scriverne, niente male), fino all'ultimo giorno per una specie di Bossi californiano, rozzo e triviale. [...] Ma forse quello che più infastidiva gli americani era la renitenza di Nixon ad appelli e richiami tanto più sonori quanto più vacui, come «la nuova frontiera» e simili. Nixon era un professionista della politica, uno dei pochissimi che l'America abbia mandato alla Casa Bianca. Non andava per sogni e per versetti del Vangelo. Conosceva il suo Bismarck, il suo Disraeli, e credo anche il suo Machiavelli che in America basta nominarli per finire scomunicati. Per questo lo consideravano un mestierante, e per questo si era scelto come consigliere un altro mestierante, l'ebreo tedesco Kissinger. Furono questi due uomini che ridiedero all'America la leadership nella politica estera coinvolgendo nel gioco la Cina e scavandone il solco da Mosca. I successori di Nixon, e specialmente Reagan, vissero in gran parte di questa eredità.

Pablo Neruda

  • Per un atto d'amore al mio paese | io ti reclamo, fratello necessario, | vecchio Walt Whitman dalla mano grigia,| affinché col tuo appoggio straordinario | verso a verso uccidiamo alla radice | Nixon, Presidente sanguinario.
  • Assumo i miei doveri di poeta | armato del sonetto terrorista; | perché devo dettare senza pena | la sentenza fin'ora non mai vista | di fucilare un criminale ardente | che nonostante i suoi viaggi sulla luna | ha ucciso sulla terra tanta gente, | che la carta mi sfugge e la penna mi manca | nello scrivere il nome del malvagio, | del genocida della Casa Bianca.
  • Nixon, Frei e Pinochet | fino a oggi, fino a questo amaro | mese di settembre | dell'anno 1973, con Bordaberry, Garrastuzu e Banzer, | iene voraci [...] satrapi mille volte venduti | e traditori, eccitati | dai lupi di New York.

Note

  1. Citato in Ennio Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Dal 1918 ai giorni nostri, Editori Laterza, Roma, 2008, pp. 1189-1190. ISBN 978-88-420-8734-2
  2. Un'intervista condotta da Phil Donahue durante la quale Trump ha espresso delle opinioni politiche. The Phil Donahue Show, dicembre 1987. Cfr. The Phil Donahue Show - Donald Trump - December 1987, Archive.org
  3. (EN) Citato in In 1987, the Nixons predicted @realDonaldTrump would win whenever he ran for office., Twitter.com, 9 novembre 2016.
  4. Dal discorso tenuto a San Clemente il 3 aprile 1971; citato come epigrafe del romanzo di Philip Roth La nostra gang, traduzione di Norman Gobetti, Einaudi, Torino, 2015, p. 5. ISBN 978-88-06-22731-9
  5. Citato in Christopher Cerf e Victor Navasky, p. 311.
  6. Citato in Christopher Cerf e Victor Navasky, p. 313.
  7. (EN) Citato in J.Y. Smith, H.R. Haldeman Dies Was Nixon Chief of Staff; Watergate Role Led to 18 Months in Prison, The Washington Post, 13 novembre 1993, pagina A12.
  8. Citato in Christopher Cerf e Victor Navasky, p. 254
  9. Citato in Focus n. 88, p. 102.
  10. Citato in Dizionario mondiale di Storia, Rizzoli Larousse, Milano, 2003, p. 826. ISBN 88-525-0077-4
  11. a b Da una conversazione desecretata dei primi mesi del 1973; citato in Christopher Hitchens, Quando l'America era in mano a un presidente razzista, Corriere della Sera, 5 luglio 2009.
  12. Citato in Antonio Donno & Giuliana Iurlano, L'amministrazione Nixon e il continente africano. Tra decolonizzazione e guerra fredda (1969-1974), FrancoAngeli, p. 166
  13. Frase pronunciata dopo la sconfitta alle elezioni di Governatore della California; (EN) citato in Christopher Cerf e Victor Navasky
  14. Cfr. locuzione latina: «Cicero pro domo sua» («Cicerone [che parla] per la propria casa»). Cfr. voce su Wikipedia.

Bibliografia

  • (EN) Christopher Cerf e Victor Navasky, The Experts Speak, New York, Villard, 1998. ISBN 0-679-77806-3
  • Richard Nixon, La vera guerra, traduzione di Alda Carrer, editoriale corno, 1980.

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