Raffaello Giovagnoli: differenze tra le versioni
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*Raffaello Giovagnoli, ''[https://archive.org/details/ciceruacchioedo00giovgoog/page/n10 Ciceruacchio e don Pirlone. {{small|Ricordi storici della rivoluzione romana dal 1846 al 1849}}]'', Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma, 1894. |
*Raffaello Giovagnoli, ''[https://archive.org/details/ciceruacchioedo00giovgoog/page/n10 Ciceruacchio e don Pirlone. {{small|Ricordi storici della rivoluzione romana dal 1846 al 1849 con documenti nuovi}}]'', Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma, 1894. |
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Versione delle 16:56, 15 apr 2019
Raffaello Giovagnoli (1838 – 1915), scrittore, patriota e politico italiano.
Ciceruacchio e don Pirlone
- Il crescente disordine nel caos dell'amministrazione; le finanze sperperate; il pubblico erario, fra l'aumentare delle imposte più odiose, sempre esausto; le prigioni rigurgitanti di liberali; le vie dell'esilio piene dei lamenti e delle maledizioni di migliaia di profughi; la giustizia nome vano e ad essa sostituito il più sfacciato favoritismo, il più laido mercimonio, sotto l'impero di regolamenti e di costituzioni feudali e medioevali, contraddicentesi ed opposte fra di loro; l'istruzione popolare in balia dei gesuiti e de' loro proseliti; proibita la stampa e la diffusione di libri e di giornali; combattuta la illuminazione a gas, le strade ferrate, gli asili infantili, le applicazioni di qualsiasi scoperta, o trovato della scienza... ecco quali furono le condizioni dello Stato romano durante il pontificato di Gregorio XVI. (cap. 1, p. 20)
- Il 1º giugno 1846 il pontefice Gregorio XVI, abbandonato da tutti i familiari, anche dal suo diletto aiutante di camera Gaetanino[1], privo di bevande e di nutrimento, a un'ora pomeridiana, cessava di vivere per sfinimento senile, accresciuto dall'inedia, dopo un regno di quindici anni, tre mesi e ventinove giorni, fra i motteggi di Pasquino, le maledizioni dei liberali e la indifferenza apatica e quasi ostile della plebe di Roma. (cap. 1, p. 24)
- Ingegno fervido e potente, nudrito di molteplici e seri studî, ardente spiritualista, suffuso di una nube di misticismo – che si palesa anche nel suo stile, caldo, robusto, entusiasta, talora un po' retorico, qua e là un po' turgido, un po' asmatico –, Giuseppe Mazzini ebbe un unico intendimento, una sola idealità, all'attuazione della quale consacrò tutto sé stesso dal 1831 in poi: porre a fondamento dell'ordinamento sociale due concetti, espressi, nella sua famosa formula: Dio e Popolo; concetti che egli armonizzava sopra un cardine morale, il dovere, dal quale soltanto scaturisce il diritto. Quindi, per l'Italia, l'unità nazionale da conseguirsi con la democrazia e per la democrazia, con due mezzi: pensiero ed azione, val quanto dire con la educazione dei giovani per prepararli alla lotta delle armi e al sacrificio di sé stessi. (cap. 1, pp. 41-42)
Note
- ↑ Gaetano Moroni.
Bibliografia
- Raffaello Giovagnoli, Ciceruacchio e don Pirlone. Ricordi storici della rivoluzione romana dal 1846 al 1849 con documenti nuovi, Forzani e C. Tipografi del Senato, Roma, 1894.
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