Stanley Karnow: differenze tra le versioni

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*La guerra è guerra. In che cosa la guerra in Vietnam fu diversa? Il pericolo era onnipresente e cronico. Durante la seconda guerra mondiale passai tre anni nell'esercito; una buona parte del tempo lo trascorsi nei campi d'aviazione e nei magazzini militari in una zona dell'India nordorientale senza mai sentire un colpo di arma da fuoco. Ma in Vietnam non esistevano zone sicure. Un soldato assegnato ad un ufficio di Saigon o ad un magazzino di Danang poteva essere ucciso o ferito in qualsiasi momento del giorno o della notte dai mortai o dai razzi comunisti. E durante il suo servizio di un anno un soldato di fanteria che passava attraverso le boscaglie era quasi continuamente in combattimento, esposto alle mine nemiche, alle trappole e agli agguati, quando non era impegnato in scontri diretti. [...] L'età media del soldato americano in Vietnam era di diciannove anni, sette anni più giovane di quanto fosse suo padre all'epoca della seconda guerra mondiale; questo lo rendeva molto più vulnerabile alla tensione psicologica della lotta, che era gravata dalla particolare tensione del Vietnam dove ogni contadino poteva essere un terrorista vietcong. (p. 21)
*La guerra è guerra. In che cosa la guerra in Vietnam fu diversa? Il pericolo era onnipresente e cronico. Durante la seconda guerra mondiale passai tre anni nell'esercito; una buona parte del tempo lo trascorsi nei campi d'aviazione e nei magazzini militari in una zona dell'India nordorientale senza mai sentire un colpo di arma da fuoco. Ma in Vietnam non esistevano zone sicure. Un soldato assegnato ad un ufficio di Saigon o ad un magazzino di Danang poteva essere ucciso o ferito in qualsiasi momento del giorno o della notte dai mortai o dai razzi comunisti. E durante il suo servizio di un anno un soldato di fanteria che passava attraverso le boscaglie era quasi continuamente in combattimento, esposto alle mine nemiche, alle trappole e agli agguati, quando non era impegnato in scontri diretti. [...] L'età media del soldato americano in Vietnam era di diciannove anni, sette anni più giovane di quanto fosse suo padre all'epoca della seconda guerra mondiale; questo lo rendeva molto più vulnerabile alla tensione psicologica della lotta, che era gravata dalla particolare tensione del Vietnam dove ogni contadino poteva essere un terrorista vietcong. (p. 21)
*I soldati americani di altre guerre misuravano i progressi in base al territorio che veniva conquistato; occupare un'altra città sulla strada verso la vittoria sosteneva il loro morale. In Vietnam, invece, i soldati americani conquistavano e riconquistavano più volte lo stesso terreno e nemmeno i generali erano in grado di spiegare lo scopo dei combattimenti. La sola misura del successo era il "conto dei morti", il mucchio dei nemici ammazzati, una misura banale che conferiva alla guerra lo stesso fascino di un mattatoio. (p. 22)
*I soldati americani di altre guerre misuravano i progressi in base al territorio che veniva conquistato; occupare un'altra città sulla strada verso la vittoria sosteneva il loro morale. In Vietnam, invece, i soldati americani conquistavano e riconquistavano più volte lo stesso terreno e nemmeno i generali erano in grado di spiegare lo scopo dei combattimenti. La sola misura del successo era il "conto dei morti", il mucchio dei nemici ammazzati, una misura banale che conferiva alla guerra lo stesso fascino di un mattatoio. (p. 22)
*Le sofferenze dell'America dopo la guerra impallidiscono di fronte alle condizioni del Vietnam che io rivisitai all'inizio del 1981. Riscoprii una terra che non soltanto era stata devastata da trent'anni di guerra quasi ininterrotta, ma era governata da un regime inetto e repressivo, incapace di affrontare la sfida della ricostruzione. (p. 22)
*Dal 1930 in poi, nonostante le guerre, la popolazione vietnamita si è triplicata, mentre la sua produzione di riso si è soltanto raddoppiata. Oggi il reddito medio del paese è inferiore ai duecento dollari all'anno; il Vietnam è quindi uno dei paesi più poveri della terra. Il resto dell'Asia è in fase espansiva, ma il Vietnam continua ad essere un'isola di povertà; considerata l'intelligenza e l'operosità della sua gente, che potrebbe benissimo reggere il confronto con i sudcoreani o i cinesi di Formosa se fosse adeguatamente incentivata, si tratta di una vera tragedia. (p. 26)


==Bibliografia==
==Bibliografia==

Versione delle 23:58, 17 lug 2019

Karnow nel 2009 durante il 50º anniversario della morte di due soldati in Vietnam

Stanley Karnow (1925 – 2013), giornalista, scrittore e storico statunitense.

Storia della guerra del Vietnam

  • Il monumento ai caduti, una lastra di pietra nera lucida appena interrata su un lieve pendio, è un'astrazione artistica. Eppure la sua semplicità evidenzia la drammaticità di una realtà angosciosa. I nomi dei morti scolpiti nel granito nero sono qualche cosa di più che il ricordo di vite perdute in battaglia: rappresentano invece un sacrificio per una crociata fallita. In un senso più ampio, simboleggiano una speranza svanta, o forse la nascita di una nuova consapevolezza. Testimoniano la fine della assoluta fiducia dell'America nella propria peculiare vocazione, nella propria invincibilità militare, nel "destino manifesto". Sono il prezzo, pagato in sangue e dolore, per la conquista della maturità, per il riconoscimento dei limiti dell'America. Insieme con i giovani morti in Vietnam, è morto anche il sogno di un "secolo americano". (p. 9)
  • Almeno da un punto di vista umano, la guerra in Vietnam fu un conflitto che nessuno vinse, una lotta tra vittime, le sue origini furono complesse, le sue lezioni molto discusse, la sua eredità deve ancora essere definita dalle generazioni a venire. Che si sia trattato di una impresa valorosa o di un'avventura irragionevole, fu comunque una tragedia di dimensioni epiche. (p. 11)
  • Gli americani si erano preparati a fare sacrifici in vite umane e in denaro, come era accaduto in altre guerre. Ma si dovevano vedere dei progressi. Si doveva capire quando la guerra sarebbe finita. Durante la seconda guerra mondiale, gli americani potevano seguire sulla carta geografica il percorso dei loro eserciti attraverso l'Europa; in Vietnam, dove i fronti non esistevano, non si riusciva ad ottenere altro che conteggi di "nemici uccisi" e promesse. Così gli Stati Uniti, che avevano messo in campo una stupefacente potenza militare per abbattere il morale dei comunisti, cominciarono a sfaldarsi sotto la tensione di una lotta che sembrava interminabile. (p. 16)
  • Non fosse stato per il Vietnam, forse l'amministrazione Carter avrebbe manovrato apertamente o segretamente per bloccare l'avanzata dei movimenti di sinistra in Etiopia o in Angola o per salvare dal crollo lo scià di Persia. Prima di mandare i marines americani come forza multinazionale di pace in Libano, il presidente Reagan e il Congresso hanno ingaggiato un lungo e tormentato dibattito. La paura di un impegno in un altro conflitto e in un'altra guerra combattuta nella giungla ha anche creato nell'americano una forte ostilità contro un intervento nelle crisi che si manifestano in America Centrale. In effetti, i divergenti atteggiamenti degli americani sulla ribellione in Salvador e nei confronti della crescente insurrezione nel Sud Vietnam due decenni fa esemplificano questa forte differenza. (p. 19)
  • L'immagine del veterano di guerra forse ha ricavato un beneficio dal graduale crescere della considerazione sociale per le forze armate e chiaramente ricevette un beneficio dal monumento di Washington. Tuttavia numerosi veterani sentono di far parte di una generazione anomala; il loro posto nella società è spiacevole, indefinito, quasi imbarazzante, come se la nazione avesse proiettato su loro il proprio senso di colpa o di vergogna o di umiliazione per la guerra. (p. 21)
  • La guerra è guerra. In che cosa la guerra in Vietnam fu diversa? Il pericolo era onnipresente e cronico. Durante la seconda guerra mondiale passai tre anni nell'esercito; una buona parte del tempo lo trascorsi nei campi d'aviazione e nei magazzini militari in una zona dell'India nordorientale senza mai sentire un colpo di arma da fuoco. Ma in Vietnam non esistevano zone sicure. Un soldato assegnato ad un ufficio di Saigon o ad un magazzino di Danang poteva essere ucciso o ferito in qualsiasi momento del giorno o della notte dai mortai o dai razzi comunisti. E durante il suo servizio di un anno un soldato di fanteria che passava attraverso le boscaglie era quasi continuamente in combattimento, esposto alle mine nemiche, alle trappole e agli agguati, quando non era impegnato in scontri diretti. [...] L'età media del soldato americano in Vietnam era di diciannove anni, sette anni più giovane di quanto fosse suo padre all'epoca della seconda guerra mondiale; questo lo rendeva molto più vulnerabile alla tensione psicologica della lotta, che era gravata dalla particolare tensione del Vietnam dove ogni contadino poteva essere un terrorista vietcong. (p. 21)
  • I soldati americani di altre guerre misuravano i progressi in base al territorio che veniva conquistato; occupare un'altra città sulla strada verso la vittoria sosteneva il loro morale. In Vietnam, invece, i soldati americani conquistavano e riconquistavano più volte lo stesso terreno e nemmeno i generali erano in grado di spiegare lo scopo dei combattimenti. La sola misura del successo era il "conto dei morti", il mucchio dei nemici ammazzati, una misura banale che conferiva alla guerra lo stesso fascino di un mattatoio. (p. 22)
  • Le sofferenze dell'America dopo la guerra impallidiscono di fronte alle condizioni del Vietnam che io rivisitai all'inizio del 1981. Riscoprii una terra che non soltanto era stata devastata da trent'anni di guerra quasi ininterrotta, ma era governata da un regime inetto e repressivo, incapace di affrontare la sfida della ricostruzione. (p. 22)
  • Dal 1930 in poi, nonostante le guerre, la popolazione vietnamita si è triplicata, mentre la sua produzione di riso si è soltanto raddoppiata. Oggi il reddito medio del paese è inferiore ai duecento dollari all'anno; il Vietnam è quindi uno dei paesi più poveri della terra. Il resto dell'Asia è in fase espansiva, ma il Vietnam continua ad essere un'isola di povertà; considerata l'intelligenza e l'operosità della sua gente, che potrebbe benissimo reggere il confronto con i sudcoreani o i cinesi di Formosa se fosse adeguatamente incentivata, si tratta di una vera tragedia. (p. 26)

Bibliografia

  • Stanley Karnow, Storia della guerra del Vietnam, traduzione di Piero Bairati, Rizzoli editore, Milano, 1985

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