Alain Daniélou

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Alain Daniélou

Alain Daniélou (1907 – 1994), scrittore e orientalista francese.

Citazioni di Alain Daniélou[modifica]

  • L'induismo è una religione senza dogmi. Fin dalla sua origine, la società hindu è stata edificata su basi razionali, da saggi che cercarono di comprendere la natura e il ruolo dell'uomo nella creazione come un tutt'uno.
Hinduism is a religion without dogmas. Since its origin, Hindu society has been built on rational bases by sages who sought to comprehend man's nature and role in creation as a whole. (da Virtue, Success, Pleasure, & Liberation : The Four Aims of Life in the Tradition of Ancient India, p. 154; citato in A Tribute to Hinduism)

Miti e dèi dell'India[modifica]

Incipit[modifica]

Per rappresentare qualche cosa in termini di qualcos'altro c'è bisogno di un sistema di corrispondenze. La trasposizione di un ordine di cose in un secondo può avvenire unicamente con l'aiuto di equivalenti, evidenti o arbitrari, chiamati simboli. Per esprimere i raccolti in termini di quantità servono simboli: i numeri. Per tradurre le idee in suoni, si impiegano ancora simboli: le parole. Per riprodurre le parole in modo grafico c'è bisogno di simboli: i caratteri. Un simbolo è l'espressione analogica, percettibile, di un oggetto o di un'idea. Il linguaggio è una forma particolare di simbolismo. La scrittura, all'origine probabilmente sempre basata su ideogrammi, è essenzialmente simbolica.

Citazioni[modifica]

  • Il divino è ciò che resta quando si spoglia la realtà di tutto ciò che può essere percepito o concepito. (p. 23)
  • Gli dèi sono entità simboliche utilizzate per rappresentare le forze guida da cui sembra essere derivato ogni aspetto dei mondi visibili e invisibili. (p. 24)
  • Ciò nonostante, se osserviamo con maggiore attenzione il fatto religioso nella sua realtà oggettiva, notiamo facilmente che tutti i monoteisti adorano aspetti molto particolareggiati del loro "Dio" e non un essere senza forma, causale, non manifesto. L'uomo in genere prova un senso di affinità, sente una rispondenza immediata per l'aspetto formale, che manca inevitabilmente al concetto astratto. (p. 25)
  • Nelle religioni politeistiche, ogni individuo si sceglie un dio preferito (ishta-devatā) e di solito non si rivolge ad altri dèi fintanto che adora il suo dio, colui al quale si sente più vicino, la cui immagine risveglia in lui più risonanze e gli permette una concentrazione più facile. (p. 25)
  • Se consideriamo il cosmo non come un meccanismo inconscio, ma come uno stato creativo, come la manifestazione di un pensiero, di una volontà, siamo portati a cercare un substrato attivo, potremmo quasi dire vivente, per ciascun continuum percettibile.
    Allora, il substrato dello spazio appare come l'esistenza (sat); il substrato del tempo come l'esperienza o beatitudine (ānanda); il substrato del pensiero come la coscienza (cit).. (p. 34)
  • Poiché la coscienza è necessariamente legata a una nozione di individualità, il luogo della coscienza universale è chiamato il Sé (ātman). (p. 35)
  • Il Sé può esistere indipendentemente da ogni nozione particolareggiata, senza il pensiero. Non è uguale all'io, centro di quella vibrazione che è il pensiero. (p. 38)
  • Māyā è contemporaneamente la sorgente del cosmo e quella della coscienza che lo percepisce. Entrambi sono interdipendenti. Il cosmo non percepito non esiste e la coscienza che non percepisce nulla non ha realtà. (p. 49)
  • Nel processo della manifestazione, tutto avviene per creare l'illusione della molteplicità e per impedire la realizzazione dell'identità fondamentale di ogni essere, poiché ciò porterebbe alla distruzione della nozione di io, che è la forza di coesione che unisce gli elementi costitutivi dell'essere individuale, il testimone che dà la sua realtà al cosmo. Qualsiasi indebolimento della tendenza centripeta caratterizzante l'individualità è contrario al processo di creazione del mondo. Lo scopo di ogni creatore è di impedire una realizzazione che distrugga la sua creazione. Ecco perché «il Sé non è alla portata del debole». [1] Bisogna conquistarlo andando contro tutte le forze della natura, tutte le leggi della creazione. (p. 52)
  • La Persona cosmica (purusha) è l'aspetto maschile, inattivo, di una dualità. Essa si manifesta tramite la sua controparte attiva, femminile, chiamata Natura (prakriti). Persona e Natura sono complementi inseparabili, e ogni forma di manifestazione porta la firma di questa dualità. (p. 65)
  • Lo shivaismo ha sempre costituito la religione della gente semplice dell'India, per la quale non vi era nessuno spazio nella società aristocratica degli ariani; ma è rimasto pure la base delle dottrine esoteriche trasmesse da ordini iniziatici la cui missione era, ed è ancora, di conservare le forme più elevate della speculazione metafisica attraverso i periodi di conflitto e decadenza, […] (p. 219-220)
  • Ai nostri giorni la filosofia shivaita rappresenta l'aspetto più astratto del pensiero religioso indiano. Essa ci porta gli strani e profondi insegnamenti della più antica cosmologia, come pure i metodi dello yoga che sono la base di ogni concezione di progresso interiore e di realizzazione spirituale, nell'induismo attuale come lo era nell'India pre-ariana. (p. 221)
  • Lo stadio raggiunto dallo yogi che è riuscito a ridurre la mente al silenzio è la sorgente della conoscenza dove, una volta arrivato, prende coscienza del substrato non manifesto della manifestazione. (p. 234)
  • La virilità trascendente è la causa immanente della creazione. La femminilità trascendente ne è la causa efficiente. Nel microcosmo questi principi sono visibili soprattutto negli organi di riproduzione che rappresentano la funzione fisica essenziale nell'essere vivente. (p. 260)
  • Per avere effetto, i mantra devono essere trasmessi direttamente e avere una tradizione orale ininterrotta da quando il Veggente ne ha avuto la percezione diretta. Altrimenti non sono 'vivi'. Non si può imparare un mantra da un libro, né farlo rivivere una volta che la sua tradizione è stata interrotta. (pp. 380-381)
  • Un terzo modo per rappresentare gli dèi è quello attraverso i gesti (mudrā). Esiste un considerevole numero di gesti simbolici impiegati nei riti, il cui scopo è di evocare gli esseri soprannaturali. Molti di questi gesti sono usati anche nell'arte sacra della danza per suggerire la presenza delle divinità. (p. 410)
  • Nel culto della mano sinistra si utilizzano cinque supporti i cui nomi sanscriti cominciano tutti con la lettera m. Sono quindi denominati le cinque M, cioè: le bevande inebrianti (madhya), la carne (māmsa), il pesce (matsya), il gesto (mudrā) e il coito (maithuna). (p. 424)

Śiva e Dioniso[modifica]

Citazioni[modifica]

  • Ogni volta che è riapparso, il culto di Śiva o di Dioniso è stato messo al bando dalla città, la quale ammette soltanto i culti che danno all'uomo un posto smisurato, che permettono e scusano i suoi saccheggi, e condannano le forme d'estasi che consentono un contatto diretto col mondo misterioso degli spiriti. (p. 16)
  • A partire dal II millennio lo Śivaismo viene gradualmente assorbito nella religione vedica ariana. Ne derivano da un lato l'Induismo ulteriore, dall'altro la religione micenea e greca. Tuttavia lo Śivaismo resiste a questa fusione e lo vediamo ricomparire periodicamente nell'antica forma in India come nel Dionisismo ellenico, e più tardi in numerose sette mistiche o esoteriche sino ai tempi moderni. (p. 27)
  • Śiva risiede nelle montagne e nelle foreste; là c'è il presentimento della misteriosa presenza e là, in caverne e luoghi isolati, gli si erigono santuari e gli si recano offerte. (p. 49)
  • Il simbolo di Śiva è il Liṇga o fallo. In effetti il sesso è l'organo misterioso mediante il quale il principio creatore si manifesta dando la nascita a un nuovo essere. E quindi l'organo mediante il quale il principio creatore è rappresentato visibilmente nelle singole specie. Lo sperma, che contiene in potenza tutta l'eredità degli antenati, la razza e le caratteristiche genetiche del futuro essere, è chiamato bindu (punto limite). In realtà è il passaggio infimo e misterioso tra non-essere ed essere. Il sesso è quindi l'organo attraverso il quale si stabilisce una comunicazione tra l'uomo (o l'animale o il fiore) e la forza creatrice che è la natura del divino. È il tipo stesso del simbolo. (p. 52)
  • Śiva, dio delle popolazioni preariane, rimarrà la loro divinità preferita, anche dopo che queste saranno state asservite e ridotte allo status di caste artigianali in un mondo dominato dagli invasori ariani. (p. 64)
  • Rudra (l'Urlatore), Śarva (l'Arciere), Ugra (il Terribile) e Asani (la Folgore) sono gli aspetti distruttori di Śiva. Bhava (il Principio), Pāśupati (il signore degli animali), Mahādeva (il Grande Dio) e Īśāna (il sovrano) i suoi aspetti benevoli. (p. 66)
  • I serpenti sono gli abitatori del mondo sotterraneo. Vivono nelle viscere della terra e ne conoscono i segreti. Sono i detentori del veleno e quindi l'antitesi degli dèi celesti che detengono l'ambrosia, l'elisir di immortalità. (p. 106)
  • Agli dèi non piace che l'uomo giunga alla conoscenza, che si liberi dell'illusione del mondo delle forme. Tutto è previsto per disorientarlo. Ecco perché la via della conoscenza è contorta (vakra). (p. 109)
  • Il labirinto evoca sempre i misteri iniziatici, le vie devianti che portano all'illuminazione. (p. 110)
  • Lo Śivaismo, le cui fonti risalgono alla più remota preistoria, è un'immensa somma d'esperienza. Le descrizioni delle strutture sottili dell'essere umano che sono a base delle tecniche yoga rivelano un livello di conoscenze di fronte al quale i balbettii della psicofisiologia moderna appaiono rudimentali.
    Nessuna delle concezioni relative alla natura del mondo o ai metodi di realizzazione dell'essere umano, così come trovano espressione nello Śivaismo, appartiene in origine al mondo barbaro degli Ari che solo gradualmente hanno assimilato qualche aspetto delle conoscenze dei popoli vinti nel mondo indiano e in quello ellenico. A eccezione delle parti più antiche dei Veda, tutti i successivi testi dell'Induismo recano l'impronta delle idee filosofiche e delle tecniche rituali dell'antico Śivaismo più o meno adattati per essere integrati in un mondo teoricamente vedico. (p. 125)
  • Lo Yoga è la tecnica tramite la quale, per mezzo dell'introspezione, l'uomo impara conoscere se stesso, a tacitare le divagazioni del proprio pensiero, a oltrepassare i limiti dei sensi, a risalire alle fonti profonde della vita e a prendere contatto con le forze invisibili che si nascondono in lui, come in ogni aspetto del creato, e che costituiscono la natura profonda dell'essere vivente. Il corpo, comprese le facoltà mentali e intellettuali non è che il supporto, una sorta di rivestimento. Il Tantra è il flesso tra il Sāṃkhya e lo Yoga. Insegna i metodi iniziatici e magici con cui l'uomo può entrare in contatto diretto con la natura segreta delle cose, l'invisibile, il mondo misterioso degli spiriti e degli dèi. (p. 126)
  • Il Tantrismo si oppone al Vedanta, perché respinge, dal punto di vista dell'uomo, la concezione del mondo come illusione, come Māyā. Ne riconosce invece la realtà, sotto forrma di potenza, di Śakti. (p. 135)
  • Dioniso aveva il potere di mutare l'acqua in vino. Stando a Platone, questo potere miracoloso era ritenuto pratica corrente negli esercizi rituali che facevano cadere in trance i baccanti e le Menadi. Lo si attribuisce anche a Gesù, come avviene per molti miracoli di Dioniso. (p. 140)
  • Il principio fondamentale dello Śivaismo è l'accettazione del mondo com'è, non come vorremmo che fosse. (p. 150)
  • Nell'induismo il vegetarianesimo è richiesto solo ai brahmani e ai mercanti, cioè a una minoranza. (p. 161)
  • Gli dèi muoiono e rinascono, ma lo Śivaismo antico crede solo in una sopravvivenza relativa e temporanea dell'essere individuale, e comunque non crede nella trasmigrazione. La concezione di un progresso dell'essere umano attraverso più esistenze proviene dal Jainismo. (p. 162)
  • Śiva come manifestazione dell'energia ritmica primordiale è il 'signore della danza' (Naţarāja). L'universo cosmico è il suo teatro. (p. 181)
  • Troviamo una corrispondenza dei cortei di Śiva e di Dioniso ovunque permanga un carnevale, una mezza quaresima con carri, maschere, travestimenti. […] Le feste di Śiva-Dioniso in cui sono evocati altri aspetti del dio non hanno lo stesso carattere di lubricità. È il caso specie del solstizio d'inverno, festa della nascita del dio trasferita in seguito al 'bambino' cristiano, che è anche la festa della nascita di Skanda […]. (p. 189)
  • La società śivaita è originariamente matriarcale. La proprietà, la casa, le terre, i servi appartengono alle donne. L'uomo non è che un fecondatore, un errabondo che si interessa all'arte, alla guerra, al gioco, o si consacra alla vita intellettuale o spirituale. Nelle società sedentarie che si dedicano all'agricoltura, la proprietà appartiene di norma alla donna, l'eredità avviene tra madre e figlia. Ne è una sopravvivenza il sistema della dote. Invece nelle società nomadi fondate sull'allevamento del bestiame, predomina l'uomo. La donna si compra. Il principale problema delle società originate dalle invasioni ariane sta nel fatto che sono diventate società sedentarie pur continuando a mantenere un sistema patriarcale da società nomade. La donna rappresenta la proprietà, il mondo materiale, la schiavitù dell'uomo. (p. 193)
  • La realizzazione di sé sul piano erotico è un aspetto essenziale dello sviluppo dell'essere umano. La prostituzione, che permette all'errante, al monaco, al povero, ma anche all'uomo sposato i cui rapporti a scopo procreativo non hanno lo stesso valore, di praticare l'estasi erotica, diviene una professione benefica e sacra. (p. 194)
  • Il Buddhismo, nato nella casta regale degli Kśatriya, permise agli imperatori indiani di liberarsi dalla dominazione della classe sacerdotale ed è stato un prodigioso strumento d'espansione coloniale. (p. 204)
  • Il culto di Mitra, che si sviluppa in Italia contemporaneamente al Cristianesimo, rappresenta uno sforzo per tornare all'antico Śivaismo. Anch'esso ha avuto un ruolo importante nella formazione dei miti e dei riti cristiani. (p. 205)
  • Nella filosofia śivaita il divino è definito come "ciò in cui gli opposti coesistono". Troviamo la stessa definizione in Eraclito. 'L'unione degli opposti' (coincidentia oppositorum) era per Nicola Cusano la meno imperfetta definizione di Dio. (p. 206)
  • Attraverso l'orfismo molti 'miracoli' di Dioniso furono attribuiti a Gesù. Ritroviamo nella vita di Gesù vari aspetti della leggenda del Dioniso orfico. C'è un evidente parallelismo tra la morte e la resurrezione del dio e quelle del Cristo. (p. 208)
  • È strano che oggi proprio la scienza atea, nel suo sforzo di capire senza pregiudizi la natura del mondo e dell'uomo, sia meno lontana da una vera religione che l'aberrante dogmatismo dei Cristiani. (p. 211)

Note[modifica]

Bibliografia[modifica]

  • Alain Daniélou, Miti e dèi dell'India, traduzione di Verena Hefti, BUR, 2008.
  • Alain Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini Editore, 1980.

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