Ernst Gombrich

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Ernst Gombrich nel 1975

Sir Ernst Hans Josef Gombrich (1909 – 2001), storico dell'arte austriaco naturalizzato britannico.

Breve storia del mondo[modifica]

Incipit[modifica]

Tutte le storie incominciano con «C'era una volta». E la nostra storia vuole raccontare proprio questo: che cosa c'era una volta. Una volta eri piccolo, e anche quando stavi in piedi raggiungevi appena con la tua mano quella della mamma. Te ne ricordi? Se volessi, potresti raccontare anche tu una storia, e potresti incominciarla così: «C'era una volta un bambino – o una bambina –, e quel bambino ero io». E una volta eri ancora più piccolo, e portavi i pannolini, ma di quello non ti puoi ricordare. Però sai che è così. Una volta erano piccoli anche la mamma e il papà. E il nonno e la nonna. Era tanto tempo fa, ma tu lo sai. E infatti adesso noi diciamo che sono vecchi. Anche loro, poi, hanno avuto nonni e nonne, e anche loro potevano dire: «C'era una volta». E così via indietro nel tempo, sempre più indietro. Dopo ogni «C'era una volta» ne viene un altro. Hai mai provato a stare tra due specchi? Dovresti farlo! Vedrai tantissimi specchi uno dietro l'altro, sempre più piccoli e più lontani, all'infinito: non finiscono mai. Anche dove non si riesce più a vederne, c'è sicuramente spazio per altri specchi. Sono anche là dietro, e tu lo sai.

Citazioni[modifica]

  • [...] chi vuole fare qualcosa di nuovo deve prima conoscere a fondo il passato. (cap. 14, Un nemico della storia)
  • Fu solo nel corso del Settecento che le cose iniziarono a cambiare. Le molte, orribili miserie causate in Europa dai conflitti di religione portarono alcuni uomini a riflettere: è davvero così determinante a quale articolo del catechismo si creda? Non è più importante che uno sia buono e onesto? Non sarebbe meglio se gli uomini riuscissero ad andare d'accordo, anche quelli che hanno opinioni e fedi diverse? Se si rispettassero a vicenda e tollerassero le convinzioni del prossimo? Fu proprio questo il primo e più importante principio che venne allora formulato: il principio della tolleranza. La differenza di opinioni, così dicevano i sostenitori di questa tesi, può esserci solo nelle questioni di fede. Ma sul fatto che 2 + 2 = 4 sono d'accordo tutti gli esseri umani ragionevoli. E perciò è la ragione (o il buon senso, come anche si diceva) ciò che potrebbe e dovrebbe unire tutti gli uomini. Nel regno della ragione si può litigare a suon di motivazioni cercando di convincere l'avversario, ma la fede dell'altro, che è al di là della razionalità, va solo rispettata e tollerata. (cap. 33, La vera nuova epoca)
  • Conosco un vecchio e saggio monaco buddhista che una volta in un discorso ai suoi connazionali disse che gli sarebbe piaciuto sapere perché sono tutti d'accordo che quando qualcuno dice di sé «io sono il più intelligente, il più forte, il più coraggioso e più talentoso uomo al mondo» si rende ridicolo e imbarazzante, ma se al posto di «io» dice «noi», e sostiene che «noi» siamo i più intelligenti, i più forti, i più coraggiosi e più talentosi al mondo nella sua patria lo applaudono entusiasti e lo definiscono un patriota. Mentre tutto ciò non ha nulla a che vedere con il patriottismo. Si può infatti essere attaccati al proprio paese senza per questo dover sostenere che al di fuori di esso vive solo gentaglia inferiore. E invece più persone caddero in questa insensatezza, più la pace fu in pericolo. (cap. 40, Ciò che ho visto e imparato nella mia vita)

Citazioni su Breve storia del mondo[modifica]

  • Non posso continuare a raccontare il libro di Gombrich, cara signora, anche perché non saprei rendere la freschezza, l'immaginazione e l'ironia con cui l'autore racconta la storia del mondo sino alla fine della Seconda guerra mondiale passando attraverso le diverse fasi dell'umanità. (Sergio Romano)

La storia dell'arte[modifica]

Incipit[modifica]

Non esiste in realtà una cosa chiamata arte. Esistono solo gli artisti: uomini che un tempo con terra colorata tracciavano alla meglio le forme del bisonte sulla parete di una caverna e oggi comprano i colori e disegnano gli affissi pubblicitari per le stazioni della metropolitana, e nel corso dei secoli fecero parecchie altre cose. Non c'è alcun male a definire arte tutte codeste attività, purché si tenga presente che questa parola può significare cose assai diverse a seconda del tempo e del luogo, e ci si renda conto che non esiste l'Arte con l'A maiuscola, quell'Arte con l'A maiuscola che è oggi diventata una specie di spauracchio o di feticcio. Si può rovinare un artista sostenendo che la sua opera è ottima a modo suo, ma non è Arte, e si può confondere chiunque abbia trovato bello un quadro dicendogli che non si trattava di Arte ma di qualcos'altro. (Introduzione, L'arte e gli artisti)

Citazioni[modifica]

  • Non si deve mai dimenticare, parlando dell'arte primitiva, che l'aggettivo non vuole alludere a una conoscenza primitiva che gli artisti avrebbero del loro compito. Tutt'altro: molte tribù antichissime hanno raggiunto un'abilità sbalorditiva nello scolpire, nell'intrecciare canestri, nel conciare il cuoio o nel lavorare metalli. Se pensiamo con quali rozzi strumenti ciò viene eseguito, non possiamo non meravigliarci della pazienza e della sicurezza di tocco acquistata da questi artigiani in secoli e secoli di specializzazione. (1. Strani inizi, Popoli preistorici e primitivi. L'America antica, p. 44)
  • La grande rivoluzione dell'arte greca, la scoperta delle forme naturali e dello scorcio, avvenne in un'epoca che è stata certamente la più sorprendente della storia umana. È l'epoca in cui il popolo greco incomincia a contestare le antiche tradizioni e leggende sugli dei e spregiudicatamente indaga sulla natura delle cose. È l'epoca in cui sorsero e si svilupparono la scienza, nel senso che oggi si attribuisce a questo termine, e la filosofia, e in cui dalle feste dionisiache[1] fiorì il teatro. (3. Il grande risveglio, La Grecia (VII-V secolo avanti Cristo), p. 82)
  • Forse nessun'altra invenzione architettonica esercitò un'influenza più duratura dell'arco trionfale[2], che i romani eressero in tutto il loro impero: Italia, Francia, Africa settentrionale e Asia. L'architettura greca in generale era composta da elementi identici, e lo stesso si può dire anche del Colosseo: gli archi trionfali, invece, adoperano gli ordini per incorniciare e mettere in risalto il grande passaggio centrale affiancandogli aperture più strette. Era una disposizione atta a essere usata nella composizione architettonica quasi come si usa un accordo in musica. (5. I conquistatori del mondo, Romani, buddisti, ebrei e cristiani (I-IV secolo d.C.), p. 117)
  • La novità più importante dell'architettura romana è l'impiego degli archi. Quest'invenzione aveva avuto una parte esigua o nulla nell'architettura greca, benché possa essere stata nota agli architetti. Costruire un arco con pietre a forma di cuneo è ardua impresa ingegneristica ma una volta che il costruttore sia riuscito a impadronirsi di questa tecnica, se ne può valere per progetti sempre più arditi. Può gettar sui pilastri un ponte o un acquedotto, può perfino servirsene per costruire una volta. (5. I conquistatori del mondo, Romani, buddisti, ebrei e cristiani (I-IV secolo d.C.), p. 119)
  • [Riferendosi al Pantheon di Roma] Conosco poche costruzioni che comunichino un'impressione di così serena armonia. Non si avverte alcun senso di peso: l'enorme cupola pare librarsi libera come una seconda cupola celeste. (5. I conquistatori del mondo, Romani, buddisti, ebrei e cristiani (I-IV secolo d.C.), p. 121)
  • I cinesi furono il primo popolo che non considerò la pittura come un'opera servile, ponendo anzi il pittore sullo stesso piano del poeta ispirato. (7. Guardando verso Oriente, Islam, Cina (II-XIII secolo), p. 150)
  • Brunelleschi non fu soltanto l'iniziatore del Rinascimento in architettura. Pare gli sia dovuta un'altra importante scoperta nel campo dell'arte, destinata a dominare nei secoli seguenti: la prospettiva. (12. La conquista della realtà, Il primo Quattrocento, pp 226-227)
  • Le figure del Botticelli sono meno solide. Non hanno la correttezza del disegno di quelle del Pollaiolo o di Masaccio. I suoi movimenti aggraziati e le sue linee melodiose ricordano la tradizione gotica, forse perfino l'arte del Trecento [...] (14. Tradizione e rinnovamento (II), Il Quattrocento nordico, p. 264)
  • [Il tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante] È una cappella o «tempietto» come egli lo chiamò, che avrebbe dovuto essere circondato da un chiostro nel medesimo stile. Si tratta di un piccolo padiglione, una rotonda su gradini, coronato da una cupola e circondato da un colonnato di stile dorico. La balaustra in cima al cornicione dà luce e conferisce un tocco grazioso all'intero edificio: dalla piccola mole della cappella e dal colonnato decorativo spira un senso di armonia perfetta, come da qualsiasi tempio classico. (15. L'armonia raggiunta, La Toscana e Roma. L'inizio del Cinquecento, pp. 290-291)
  • [...] solo Leonardo trovò la soluzione esatta del problema [della rigidità]. Il pittore deve lasciare allo spettatore qualcosa da indovinare; se i contorni non sono delineati rigidamente, se si lascia un poco vaga la forma come se svanisse nell'ombra, ogni impressione di rigidezza e di aridità sarà evitata. Questa è la famosa invenzione leonardesca detta lo «sfumato»: il contorno evanescente e i colori pastosi fanno confluire una forma nell'altra lasciando sempre un margine allo nostra immaginazione. (15. L'armonia raggiunta, La Toscana e Roma. L'inizio del Cinquecento, pp. 302-303)
  • Come il maestro di Michelangelo, il Ghirlandaio, e quello di Leonardo, il Verrocchio, il Perugino apparteneva a una generazione di maestri coronati da un grande successo, che avevano bisogno di un nutrito personale di esperti apprendisti che li aiutasse a portare a termine le molte ordinazioni. (15. L'armonia raggiunta, La Toscana e Roma. L'inizio del Cinquecento, p. 315)
  • Il Perugino era uno di quei maestri la cui soave e devota maniera nella pittura delle pale d'altare si imponeva al generale rispetto. I problemi intorno ai quali si erano tanto accaniti gli artisti del primo Quattrocento non presentavano più grandi difficoltà per lui. Alcuni dei suoi più celebri lavori, almeno, mostravano come egli sapesse dare il senso della profondità senza sovvertire l'equilibrio della composizione e come avesse imparato a maneggiare lo sfumato leonardesco per evitare ogni possibile rigidezza nelle figure. (15. L'armonia raggiunta, La Toscana e Roma. L'inizio del Cinquecento, p. 315)
  • Come Michelangelo aveva raggiunto la padronanza perfetta del corpo umano così Raffaello era riuscito a toccare la meta verso la quale aveva teso invano la generazione precedente: la composizione perfetta e armoniosa di figure in libero movimento.
    Un altro elemento nell'opera di Raffaello suscitò l'ammirazione dei contemporanei e dei posteri: la pura bellezza delle figure. Terminata che ebbe Raffaello la Galatea, un cortigiano gli domandò dove avesse mai trovato, al mondo, una modella di tanta bellezza. Egli rispose che non copiava una determinata modella, ma seguiva «una certa idea» che gli si era formata in mente. (15. L'armonia raggiunta, La Toscana e Roma. L'inizio del Cinquecento, p. 320)
  • È strano che molte etichette di cui ci serviamo per indicare uno stile fossero in origine termini spregiativi. La parola «gotico» venne dapprima usata dai critici d'arte per indicare uno stile che consideravano barbaro e ritenevano importato in Italia dai goti, distruttori dell'impero romano e saccheggiatori delle sue città. La parola «manierismo» conserva ancora per molti il suo originario significato di affettazione e vuota imitazione [...]. Il termine «barocco» fu impiegato più tardi dai critici che, scesi in campo contro le tendenze secentesche, volevano sottolinearne l'aspetto ridicolo. Barocco in realtà significa assurdo o grottesco, e fu usato da chi sosteneva l'opinione che le forme classiche si dovessero usare o combinare solo nei modi adottati dai greci e dai romani. (19. Visione e visioni, L'Europa cattolica. Prima metà del Seicento, p. 387)
  • Al Caravaggio la paura del brutto pareva una debolezza spregevole: cercava la verità, la verità quale gli appariva; non aveva il gusto dei modelli classici né alcun rispetto per la «bellezza ideale». (19. Visione e visioni, L'Europa cattolica. Prima metà del Seicento, p. 392)
  • Rembrandt fu maestro quanto Rubens o Velázquez nel rendere la brillante preziosità delle superfici. Usò meno di loro i colori accesi: a una prima occhiata molte sue pitture sembrano tutte di una tonalità marrone cupo, ma sono proprio i toni scuri a far risaltare con maggior forza, per contrasto, alcuni colori accesi e splendenti. (20. Lo specchio della natura, L'Olanda nel Seicento, p. 424)
  • Chi è abituato alle belle figure dell'arte italiana può sentirsi urtato vedendo per la prima volta le opere di Rembrandt in cui l'artista pare non curarsi affatto della bellezza e, anzi, nemmeno evitare la decisa bruttezza. In un certo senso è così. Come altri artisti del suo tempo, Rembrandt aveva assimilato il messaggio di Caravaggio, di cui aveva conosciuto l'opera tramite gli imitatori olandesi. Come Caravaggio, più della bellezza e dell'armonia egli apprezzava la verità e la sincerità. (20. Lo specchio della natura, L'Olanda nel Seicento, p. 427)
  • [Jan Vermeer] Non fece molti quadri in vita sua, e pochi di essi rappresentano scene importanti. Perlopiù si tratta di figure semplici nella stanza di una tipica casa olandese. Altri quadri mostrano una figura soltanto, intenta a una semplice occupazione, come una donna che versa il latte. La pittura «di genere» ha ormai perso con Vermeer l'ultima traccia di bizzarria; le pitture di Vermeer sono vere nature morte con esseri umani. (20. Lo specchio della natura, L'Olanda nel Seicento, pp. 430-433)
  • Come un fotografo che si sforzi di attenuare i forti contrasti degli oggetti senza offuscarne le forme, così Vermeer ammorbidì i contorni pur mantenendo l'effetto di solidità e fermezza. È questa combinazione strana e unica di morbidezza e di precisione che rende indimenticabili i suoi quadri migliori. (20. Lo specchio della natura, L'Olanda nel Seicento, p. 433)
  • [Riferendosi a un gruppo di pittori inglesi della metà dell'Ottocento] Se l'arte doveva essere riformata, era necessario risalire oltre Raffaello, al tempo in cui gli artisti erano artefici «probi agli occhi di Dio», facevano del loro meglio per copiare la natura, senza preoccuparsi della gloria terrena ma solo della gloria divina. Pensando che l'arte si fosse inquinata con Raffaello e che stesse a loro di tornare all'età della fede, questo gruppo di amici si chiamò «Confraternita preraffaellita». (25. La rivoluzione permanente, L'Ottocento, p. 512)
  • Nell'Ottocento la fotografia stava per assorbire la funzione della pittura, e questo fu un colpo grave per gli artisti quanto l'abolizione delle immagini religiose a opera del protestantesimo. [...] Così gli artisti furono costretti a poco a poco a esplorare ambiti inaccessibili alla fotografia. Senza tale sollecitazione l'arte moderna non sarebbe divenuta quale oggi si presenta. (25. La rivoluzione permanente, L'Ottocento, pp. 524-525)
  • Per la prima volta dal tempo di Brunelleschi gli architetti europei si trovarono di fronte [nelle strutture in ferro di Victor Horta[3]] uno stile del tutto nuovo. Non c'è da stupirsi che lo si denominasse Art nouveau. (26. Alla ricerca di nuovi canoni, Il tardo Ottocento, p. 536)
  • Bruegel aveva scoperto per l'arte un nuovo regno che le successive generazioni di pittori olandesi avrebbero esplorato fino in fondo.[4]
  • Michelangelo cercava sempre di concepire le sue figure come se fossero nascoste all'interno del blocco di marmo.[5]
  • [Su Benvenuto Cellini] Per lui essere un artista non significava più essere il proprietario rispettabile e posato di una bottega; significava essere un virtuoso per i cui favori i principi e i cardinali dovevano competere.[6]
  • [Hieronymus Bosch] Riuscì a conferire... forma tangibile alle paure che avevano perseguitato la mente dell'uomo nel Medioevo.[7]
  • Si riteneva che Raffaello avesse realizzato la composizione perfetta e armoniosa di figure che si muovono liberamente.[8]

Note[modifica]

  1. Cfr. voce su Wikipedia.
  2. Cfr. voce su Wikipedia.
  3. Cfr. voce su Wikipedia.
  4. Da Storia dell'arte, 1950; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 159. ISBN 9788858018330
  5. Da Storia dell'arte, 1950; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 145. ISBN 9788858018330
  6. Da Storia dell'arte, 1950; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 152. ISBN 9788858018330
  7. Da Storia dell'arte, 1950; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 137. ISBN 9788858018330
  8. Da Storia dell'arte, 1950; citato in AA.VV., Il libro dell'arte, traduzione di Martina Dominici, Gribaudo, 2018, p. 141. ISBN 9788858018330

Bibliografia[modifica]

  • Ernst Gombrich, Breve storia del mondo, traduzione di Riccardo Cravero, Salani, 2019. ISBN 978-88-3100-466-4
  • Ernst H. Gombrich, La storia dell'arte raccontata da Ernst H. Gombrich (The Story of Art), traduzione di Maria Luisa Spaziani, Milano, Leonardo, 1995. ISBN 88-04-40099-4

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