Pierre Haski

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Pierre Haski

Pierre Haski (1953 – vivente), giornalista francese.

Citazioni di Pierre Haski[modifica]

Citazioni in ordine temporale.

2014[modifica]

Da Quando l'Albania era amica di Mao

Sull'Albania e la Repubblica Popolare Socialista d'Albania, tradotto in Internazionale.it, 11 agosto 2014.

  • C'è stato un tempo in cui l'Albania aveva ambizioni da grande potenza. Quanto meno per Pechino, visto che l'Albania socialista è stata per anni l'unico alleato della Cina di Mao e alcuni cinesi credevano che l'Albania fosse il paese più importante d'Europa. Ma questo periodo è ormai dimenticato da tempo e l'Albania ha ritrovato la sua posizione reale, quella di un paese povero dei Balcani, che a vent'anni dalla fine di uno dei regimi comunisti più ortodossi al mondo sta ancora cercando di ricostruire uno stato degno di questo nome.
  • Che cosa dice questa storia dell'Albania di oggi? Parla di un periodo che i giovani sotto i 20 anni non hanno conosciuto. Ma parla soprattutto della follia nel quale questo paese era caduto per tanto tempo, e di cui continua ancora oggi a pagare le conseguenze.
  • L'Albania, a lungo descritta in Europa come uno "stato mafioso", si rialza a fatica da questo marxismo-leninismo a tappe forzate che non bastava a nascondere la povertà. Una povertà che oggi si fa sentire duramente con gli stipendi più bassi d'Europa, con un'economia sommersa che corrisponde al 25 per cento del pil e una disoccupazione di massa.
  • La lingua albanese è sopravvissuta a cinque secoli di occupazione ottomana, durante i quali è stata vietata. Le persone istruite andavano a imparare il turco a Istanbul e alla fine dell’impero ottomano il 90 per cento degli albanesi era ancora analfabeta.

2016[modifica]

Da Benvenuti nell’era che non crede più ai fatti

Tradotto in Internazionale.it, 14 settembre 2016.

  • [Su Brexit] Ralph Keyes definisce la menzogna "un'affermazione falsa, fatta in piena cognizione di causa con l'obiettivo d'ingannare". Un esempio? La campagna referendaria per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea sosteneva che Londra versava all'Ue 350 milioni di sterline alla settimana e che tale denaro sarebbe potuto essere investito nel servizio sanitario nazionale in caso d'uscita dall’Unione europea. L'affermazione era chiaramente falsa: non erano vere né la cifra né la promessa. Ma una volta scritta sugli autobus britannici a due piani è diventata credibile.
  • Nel caso di Trump la cosa più stupefacente è che un paese moralista come gli Stati Uniti ha spesso considerato la menzogna una cosa più grave dei fatti che si volevano nascondere. Sono stati la bugia e lo spergiuro, più che il furto con scasso, a portare all'impeachment di Richard Nixon dopo lo scandalo Watergate.
  • [Su Donald Trump] Il candidato repubblicano non si è affatto opposto all'invasione dell'Iraq come ha sostenuto più volte. Tre mesi prima della guerra si era detto favorevole all'idea, per poi prenderne le distanze nel 2004 quando sono cominciati i problemi. Ma poco importa. Trump continua a dire quel che gli fa comodo, o che piace al suo elettorato, senza preoccuparsi della verità e neppure dei fatti.
  • Non si vota per la Brexit o per Trump perché dicono la verità, ma perché incarnano, a torto o a ragione, un rifiuto del "sistema". E i social network, grazie all'ambivalenza della tecnologia che fa gli interessi di chi la sa usare meglio, sono il campo di battaglia preferito di chi si crede poco rappresentato dai mezzi d'informazione tradizionali. La postverità è incompatibile con la democrazia. Se lasceremo che si radichi e si diffonda in maniera duratura, ne pagheremo tutti il prezzo.

Da Trump, Putin e Xi Jinping sono i nuovi signori del mondo

Tradotto in Internazionale.it, 15 novembre 2016.

  • Che ci piaccia o meno, sono questi tre uomini che faranno il mondo nel quale vivremo nei prossimi anni. Gli europei hanno perso il treno della storia: collettivamente non sono più abbastanza influenti nell’attuale partita geopolitica globale; individualmente gli stati-nazione del continente (Francia, Germania, Italia e il Regno Unito del dopo Brexit) sono delle medie potenze in declino.
  • Reagan aveva attorno a sé una solida équipe di vecchie volpi della diplomazia e della sicurezza, come Alexander Haig, Caspar Weinberger, George Shultz, Robert McFarlane, dei nomi che ancora oggi suscitano rispetto. Un gruppo di “guardie del corpo”, secondo la formula utilizzata da Sérina, che nonostante i disaccordi talvolta violenti, ha influito sulle scelte di questo presidente atipico. [...] Per ora tra i collaboratori di Trump non ci sono personalità di politica estera di questo calibro. I “professionisti” repubblicani di questioni strategiche si sono accuratamente tenuti a distanza dal candidato a causa delle sue strambe dichiarazioni sul nucleare e sulla Nato, e alcuni hanno addirittura chiesto di votare Clinton.
  • In un mondo ideale si potrebbe sperare che un presidente statunitense che rinunci al “messianesimo” dei neoconservatori, decisi a imporre anche con la forza la democrazia occidentale nel resto del mondo, possa tranquillizzare un contesto sempre più inquietante. Ma per farlo sarebbe necessario che i “signori del mondo” siano animati dalla stessa volontà di pacificare le relazioni internazionali e di stabilire una guida globale più consensuale. Tuttavia siamo ben lontani da tutto ciò, sia per il freddo realismo geopolitico, sia per la natura autoritaria di questi regimi.

2017[modifica]

  • Nel conflitto con i jihadisti, gli occidentali si sono sempre preoccupati di distinguere tra la minoranza degli estremisti e il miliardo di musulmani di tutto il mondo. Donald Trump ha abbandonato questa importante precauzione. Il rischio è che lo "scontro di civiltà" teorizzato da Samuel Huntington diventi una profezia che si autoavvera e pone all'Europa una difficile sfida.[2]

Da L’irresistibile ascesa di Xi Jinping

Su Xi Jinping, tradotto in Internazionale.it, 12 ottobre 2017.

  • Xi Jinping, che incarna la quinta generazione di dirigenti della Repubblica popolare da quando la fondò Mao Zedong nel 1949, è a capo di un paese convinto che sia arrivato il suo momento e che sta ritrovando il suo ruolo centrale nel mondo dopo un’eclissi di un secolo e mezzo.
  • Il grande paradosso della nostra epoca è che questa ascesa della Cina avviene in contraddizione di tutte le teorie costruite nel corso degli ultimi 20 anni: quelle che affermavano che lo sviluppo economico avrebbe provocato automaticamente l’apertura del regime; quelle che pensavano che internet avrebbe portato la libertà; quelle che negavano a un paese, visto in passato solo come il subappaltatore dell’industria tessile o elettronica in oscuri sweat-shop, la possibilità di essere la culla di un settore innovativo; o quelle che rifiutavano di vedere in un regime autoritario del tutto privo di soft power la capacità di sviluppare una “diplomazia di influenza” in grado di competere con quella degli occidentali.
  • Dal suo arrivo a capo del partito e dello stato nel 2012, il numero uno cinese ha puntato sulla modernizzazione della Cina senza concedere nulla nel campo delle libertà.
  • Il 19° congresso del Pcc con la sua coreografia senza sorprese e con il suo culto della personalità del nuovo “Timoniere”, dovrebbe essere il simbolo di questa nuova epoca del “sogno cinese” di grandezza ritrovata. Poco tempo dopo, il vertice con Trump, patetico leader di un “mondo libero” che non sa più se esiste ancora, arriverà a confermare questo senso di potenza cinese.

Da In Cina si torna a una concezione imperiale del potere

Su Xi Jinping, tradotto in Internazionale.it, 26 ottobre 2017.

  • Al contrario dei suoi predecessori ha fatto inserire il suo “pensiero” accanto a quello di Mao e di Deng Xiaoping nella costituzione del partito mentre è ancora in carica.
  • Oggi la Cina è l’unica potenza in questo mondo multipolare a combinare un’economia in pieno sviluppo, innovativa e dinamica; un potere politico sicuro dei suoi mezzi e che non teme alcuna contestazione interna.
  • Senza cadere in definizioni razziste come “pericolo giallo”, c’è nella ridefinizione del mondo una “questione cinese” che si sta imponendo in modo crescente a tutti i suoi partner e rivali. Non riflettere su questo punto, come fa in genere un’Europa ancora troppo ripiegata su di sé, espone a dei risvegli potenzialmente dolorosi.

Da In un anno Donald Trump ha accelerato il declino degli Stati Uniti

Su Donald Trump, tradotto in Internazionale.it, 7 novembre 2017.

  • Dal suo arrivo alla Casa Bianca, Donald Trump ha esercitato il suo potere in chiave negativa, smontando una parte dei risultati ottenuti dal suo predecessore Barack Obama, al quale tributa un odio ammantato di gelosia.
  • Ha ritirato la partecipazione degli Stati Uniti al trattato di Parigi sul riscaldamento del clima, dando così una forte spinta agli scettici dei cambiamenti climatici, in barba ai dati scientifici e all’opinione del resto del mondo.
  • Ha rifiutato di confermare l’accordo nucleare con l’Iran, indebolendo senza tuttavia vanificare uno dei rari successi delle trattative multilaterali degli ultimi anni, rischiando così di destabilizzare ulteriormente il Medio Oriente ma anche di distruggere ogni possibilità di negoziato con una Corea del Nord già nuclearizzata e che ha tutte le ragioni, ormai, di diffidare della parola di un presidente degli Stati Uniti.
  • Questa capacità del capo dell’esecutivo di fare danni non è accompagnata da una strategia chiara. Questo isolazionista primordiale ha comunque deciso di rilanciare l’impegno militare statunitense in Afghanistan, ha bombardato la Siria perché sua figlia aveva visto delle immagini impressionanti su Fox News, e ha rischiato di provocare uno scontro tra il Qatar e i suoi vicini del Golfo autorizzando un’offensiva congiunta di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti contro il loro rivale di Doha.
  • È vero che ha contribuito in maniera decisiva alla sconfitta del gruppo Stato islamico (Is) nelle sue due roccaforti di Mosul e Raqqa. Ma è altrettanto chiaro che non possiede alcun piano per il dopo Is, né in Siria né in Iraq. La questione curda in Iraq lo dimostra in maniera evidente.
  • Invece di rendere l’America great again, trasmette ai suoi rivali l’immagine di un uomo che sta indebolendo il suo paese e la sua statura su scala mondiale. Chi crede ancora che gli Stati Uniti stiano diventando più “grandi” con Trump? Di sicuro non Xi Jinping.

2018[modifica]

Da Xi Jinping vuole diventare l’imperatore di un mondo postoccidentale

Su Xi Jinping, tradotto in Internazionale.it, 20 marzo 2018.

  • I precetti di Deng hanno funzionato bene fino a oggi, con direzioni collegiali, un limite di due mandati da cinque anni ciascuno e una relativa sobrietà ai vertici che segnava una rottura con lo statuto di dio vivente di Mao. Fino alla svolta avviata con l’arrivo alla testa del partito di Xi Jinping, nel 2012.
  • Xi ambisce a fare della Cina la prima potenza di un mondo che sta per diventare, agli occhi di Pechino, “postoccidentale”, nel quale cioè gli attori dominanti degli ultimi due secoli non avranno più i mezzi per realizzare le loro ambizioni.
  • È [...] riuscito, da vivo, a iscrivere il suo “pensiero” sul “socialismo della nuova era” all’interno della Carta del Partito comunista cinese e a farsi chiamare lingxiu, ovvero “il leader”, una formula che non veniva utilizzata dalla fine dell’epoca maoista, eliminando il principio della collegialità caro a Deng Xiaoping, a vantaggio di un potere personale assoluto.

Da La Cina ripete gli errori del passato contro gli uiguri

Sul genocidio culturale degli uiguri, tradotto in Internazionale.it, 11 settembre 2018.

  • Sembra di essere tornati ai tempi della rivoluzione culturale in Cina negli anni sessanta. Nella provincia dello Xinjiang, nel nordovest del paese, il popolo uiguro subisce una repressione e un indottrinamento simili a quelli dell’epoca maoista, pratiche da cui si pensava che il governo cinese si fosse definitivamente allontanato.
  • La radicalizzazione di una parte della popolazione è incontestabile, e le autorità cinesi la usano per giustificarsi davanti a chi denuncia la loro politica. [...] Ma davvero una repressione cieca contro un’intera comunità potrà proteggere la Cina dalla violenza e dal terrorismo? Quello che succede in altre parti del mondo porta a pensare che sia vero il contrario, e che Pechino stia favorendo la radicalizzazione.
  • La Cina rivendica il suo ruolo di potenza di primo piano nel mondo, in considerazione della sua storia e della sua importanza. Ma come pensa di ottenere il rispetto generale se ripeterà i peggiori eccessi della sua storia recente? La sofferenza degli uiguri non è degna della potenza emergente del ventunesimo secolo.

Da In Brasile l’ambiente sarà la prima vittima di una presidenza di destra

Tradotto in Internazionale.it, 19 ottobre 2018.

  • Ci sono molte ragioni per temere una vittoria di Jair Bolsonaro, candidato dell'estrema destra alla presidenza del Brasile evidentemente razzista, sessista e omofobo. Ma ce n'è una il cui impatto va oltre il destino dei brasiliani che lo eleggeranno con ogni probabilità tra otto giorni: le sue idee catastrofiche per l'ambiente, o piuttosto contro l'ambiente.
  • Il programma di Bolsonaro non lascia spazio all'ambiguità: il candidato di destra vuole sopprimere il ministero dell'ambiente accorpandolo con quello dell'agricoltura, vuole dedicare altre aree boschive alla coltivazione della soia e all'allevamento e vuole negare qualsiasi ulteriore diritto sulla terra ai popoli indigeni.
  • Nonostante le sue ambivalenze, infatti, l'ex presidente Luiz Inácio Lula Da Silva aveva comunque messo un freno alla deforestazione. Ora però la tendenza si è invertita, soprattutto dopo che i conservatori sono tornati al potere due anni fa.

Da In Brasile la democrazia è stata sconfitta alle urne

Tradotto in Internazionale.it, 29 ottobre 2018.

  • I brasiliani hanno molti motivi per essere furenti: corruzione, incuria, criminalità... Tuttavia questa collera, cattiva consigliera, li ha spinti tra le braccia di un candidato che difficilmente si può evitare di definire fascista.
  • In Europa Lula resta un'icona della sinistra pragmatica, e anche in Brasile le elezioni avrebbero avuto un esito diverso se l'ex presidente avesse avuto la possibilità di candidarsi. Ma Lula è anche ritenuto responsabile per molti degli scandali di corruzione che hanno intaccato il suo mandato e per la tremenda recessione in cui è sprofondato il paese.
  • Jair Bolsonaro somiglia un po' a Donald Trump e molto a Rodrigo Duterte, il presidente delle Filippine, un uomo che si è paragonato a Hitler, la cui battaglia contro la droga è degenerata in migliaia di esecuzioni sommarie e che ha messo a tacere la stampa indipendente. Bolsonaro minaccia di fare lo stesso in Brasile.

Da Vladimir Putin riaccende la tensione in Ucraina

Sull'incidente dello stretto di Kerč' del 2018, tradotto in Internazionale.it, 29 ottobre 2018.

  • Dal 2014 Putin ha trasformato l’Ucraina nel luogo in cui fermare l’avanzata dell’occidente nell’ex mondo sovietico.
  • Vladimir Putin sta mettendo in atto con grande abilità un’escalation calcolata della tensione. Sa che gli occidentali protesteranno, ed effettivamente le rimostranze sono arrivate domenica e si sono ripetute lunedì alle Nazioni Unite. La Nato è solidale con l’Ucraina e Kiev ha decretato la legge marziale. Ma nei fatti, nessuno in occidente è pronto a morire per il mar d’Azov.
  • La soluzione a questa instabilità non può essere militare, questo lo sanno (più o meno) tutti. Al contempo, la via della diplomazia e della concertazione non ha mai dato frutti, e gli sforzi franco-tedeschi per trovare una soluzione diplomatica in Ucraina sono a un punto morto. Non resta che la via della de-escalation.

Da Xi Jinping soffia sulle braci del nazionalismo cinese

Su Xi Jinping, tradotto in Internazionale.it, 19 dicembre 2018.

  • Xi ha ribadito senza ambiguità che lo stato resterà ai posti di comando dell’economia e che il Partito comunista cinese non ha intenzione di cedere nemmeno un grammo del suo potere. Una smentita clamorosa per tutti quelli che scommettevano su una democratizzazione della Cina derivata dallo sviluppo della sua economia.
  • Xi Jinping è chiaramente diventato il cantore di un modello di capitalismo autoritario cinese che si oppone al modello occidentale. Il presidente cinese è il primo leader ad averlo affermato dopo Mao, oltre che il primo ad aver sviluppato il piano cinese a colpi di miliardi di dollari investiti sui cinque continenti, Europa compresa.
  • Il mondo non ha ancora la misura della potenza che si sta costruendo in Cina.

Da La buona notizia dell’anno è arrivata dall’Etiopia

Tradotto in Internazionale.it, 31 dicembre 2018.

  • Abiy Ahmed ha cominciato liberando centinaia di prigionieri politici e giornalisti detenuti, e per la prima volta negli ultimi 15 anni non ce n’è più nemmeno uno in prigione. Una rondine non fa primavera, certo, ma si tratta comunque di un buon indicatore dello stato delle liberà in un paese.
  • Alla fine ha prevalso Abiy Ahmed, uomo che incarna una nuova generazione più in sintonia con la popolazione giovane che aspira a una società più aperta. Da quel momento è partita “l’Abiymania” che si è prolungata oltre l’entusiasmo iniziale.
  • Il primo ministro, ex militare che ha studiato informatica e filosofia, ha un padre musulmano e una madre cristiana. Sa bene che dovrà gestire conflitti etnici che ancora ci sono nell’ex impero di Haile Selassie e che dovrà superare il test della democratizzazione, coinvolgendo un’opposizione a lungo repressa.

2019[modifica]

Da La teoria razzista dietro la strage in Nuova Zelanda

Sugli attentati di Christchurch, tradotto in Internazionale.it, 18 marzo 2019.

  • Come Anders Breivik, l’assassino dei giovani socialdemocratici in Norvegia nel 2011, anche Tarrant ha fornito la chiave interpretativa della sua radicalizzazione con un testo apertamente razzista e carico di odio verso i musulmani, in cui ritroviamo un riferimento tristemente familiare in Francia grazie a una tesi sviluppata da uno scrittore francese. Parlo di Renaud Camus e della sua teoria sulla “grande sostituzione”.
  • Dietro le aggressioni contro ebrei e musulmani c’è la stessa logica, una logica di esclusione e superiorità razziale, un meccanismo di odio con una ricorrente matrice ideologica che pervade certe forme di antisemitismo e islamofobia.
  • Nel vortice di informazioni e indignazione, forse non riusciamo più a vedere le logiche in atto e fino a che punto un’azione più intensa delle altre riveli la piega verso cui ci vogliono spingere questi ideologhi: la piega dell’odio e della guerra civile. Pensiamoci prima della prossima polemica pavloviana che puzzi di “grande sostituzione”. Dietro ogni massacro c’è sempre un’idea.

Da La strage di Christchurch in diretta e i limiti delle aziende tecnologiche

Sugli attentati di Christchurch, tradotto in Internazionale.it, 19 marzo 2019.

  • A quanto pare le aziende tecnologiche non hanno imparato dal passato. I jihadisti del gruppo Stato islamico (Is) avevano infatti ottenuto gli stessi risultati, trasformando i loro massacri in spot pubblicitari sul teatro mondiale dei social network.
  • La trasmissione è durata 17 minuti. La premier neozelandese si è detta sorpresa dal fatto che Facebook non abbia bloccato prima quelle immagini atroci. Ma i controlli, su queste piattaforme, sono effettuati a posteriori, e solo dopo l’allerta è stato possibile agire. Ormai il danno era fatto e si stava propagando a grande velocità.
  • Da questo evento possiamo trarre due insegnamenti. Il primo è in realtà una constatazione: malgrado il loro impegno e l’assunzione di migliaia di moderatori, queste aziende sono incapaci di bloccare i contenuti carichi d’odio, illegali in tutti i paesi. Siamo davanti all’ennesimo scandalo che ha colpito le grandi aziende, già criticate per il disprezzo della privacy e l’elusione fiscale.
    Il secondo insegnamento è più complesso. A Christchurch ha agito un uomo di 28 anni abituato a usare la tecnologia e gli strumenti dell’informazione virale. Come già l’Is qualche anno fa, anche questa frangia estremista sa sfuggire alla sorveglianza e usa tecnologie accessibili a tutti. Questo aspetto rappresenta una sfida enorme per le nostre società aperte, i cui nemici sfuggono in pochi clic.

Da Donald Trump, il presidente inossidabile

Tradotto in Internazionale.it, 24 settembre 2019.

  • È uno dei misteri della vita politica nell’epoca del populismo: perché gli elettori di questo universo chiudono gli occhi davanti ad atti che segnerebbero la fine della carriera di qualsiasi politico tradizionale?
  • Seminando la discordia nell’opinione pubblica, il presidente degli Stati Uniti ha fatto in modo che i suoi sostenitori non credano più a nessuna parola proveniente dallo schieramento “nemico”. La logica è semplice: se il New York Times o la Cnn attaccano Trump, vorrà dire che lui dice la verità.
  • Andrà sempre così? Questa fiducia cieca permetterà a Trump di farsi rieleggere? Per il momento non ci sono segnali che lascino pensare il contrario. Come se non bastasse, l’esempio dato dal presidente della prima potenza mondiale sta creando imitatori nel resto del mondo. A quanto pare, il populismo contiene il gene dell’impunità.

Da L’operazione turca in Siria dimostra che Trump ha abbandonato i curdi

Sull'offensiva turca nella Siria nordorientale del 2019, tradotto in Internazionale.it, 10 ottobre 2019.

  • Siamo davanti all’ennesima incarnazione della disfunzionalità del mondo, con il disimpegno statunitense che lascia campo libero a una potenza regionale predatrice che agisce difendendo i propri interessi.
  • Anche se l’amministrazione Trump ha dichiarato di non sostenere l’azione di Ankara, resta il fatto che all’inizio della settimana i soldati statunitensi si sono ritirati delle stesse zone che ora vengono invase dall’esercito turco.
  • I turchi vogliono prima di tutto cacciare i curdi dalla regione, non lasciandogli altra scelta se non quella di chiedere aiuto al regime di Damasco sostenuto da Russia e Iran. Se le cose andranno davvero così, l’autorizzazione concessa da Trump a Erdogan avrà un effetto paradossale.
  • Siamo davanti all’ennesimo episodio inquietante di una guerra che in Siria dura da oltre sette anni e ha portato solo morte e sofferenza. Il fatto che sia il presidente della prima potenza mondiale ad aggiungere guerra alla guerra, anziché contribuire alla pace, è un segno della deriva del mondo di oggi.

Da Per Boris Johnson la Brexit è solo uno strumento di potere

Su Boris Johnson, tradotto in Internazionale.it, 17 ottobre 2019.

  • Johnson ha maltrattato il suo partito conservatore cacciando alcuni deputati che gli si erano opposti; ha colpito le istituzioni britanniche al punto da incassare una dura condanna dalla corte suprema e ha forzato la mano degli unionisti nordirlandesi, grazie ai quali il suo partito ha potuto governare negli ultimi due anni.
    Ma per Johnson tutto questo non è importante. Il fine giustifica i mezzi. E in questo caso il fine non è mai stato la Brexit, ma il potere.
  • L’attuale primo ministro ha sempre vantato le virtù del mercato unico e in passato il suo sostegno alla Brexit non era affatto scontato. Johnson, in sostanza, si è schierato a favore dell’uscita dall’Ue solo al momento del referendum del 2016, spinto dal suo fiuto e da una buona dose di opportunismo e diventando una delle figure di punta del fronte della Brexit.
  • Il principale nemico di Boris Johnson è proprio lui stesso. L’ebbrezza del successo e l’assenza di princìpi, infatti, potrebbero trasformarsi negli ingredienti della sconfitta.

Da L’India resiste al programma nazionalista di Modi

Su Narendra Modi, tradotto in Internazionale.it, 18 dicembre 2019.

  • Il primo ministro Narendra Modi, nazionalista indù che quest’anno ha ottenuto facilmente la rielezione, ha suscitato le ire di parte del paese con una legge discriminatoria sulla nazionalità. La legge, adottata l’11 dicembre, concede la nazionalità indiana a tutte le persone che fuggono dai paesi vicini a causa di persecuzioni religiose. Con un’unica eccezione: i musulmani.
  • Narendra Modi appartiene a un gruppo nazionalista indù che assimila l’India alla maggioranza induista del paese. Quando era primo ministro dello stato del Gujarat, all’inizio del nuovo millennio, la provincia è stata teatro delle peggiori violenze contro i musulmani dalla separazione del 1947.
  • I conflitti religiosi coinvolgono altri paesi come il Bangladesh e il Pakistan, stati musulmani che sono regolarmente vittime dell’intolleranza integralista. Nel frattempo, la Cina sta cercando di eradicare la cultura islamica “rieducando” la sua popolazione uigura in grandi campi di detenzione.
    In questo contesto l’India avrebbe dovuto dare l’esempio, anziché adottare una politica di esclusione. Narendra Modi, invece, si è assunto il rischio di aprire le porte dell’odio nel suo paese.

2020[modifica]

Da Il coronavirus in Cina è un test di credibilità politica per Pechino

Sulla pandemia di COVID-19 in Cina, tradotto in Internazionale.it, 22 gennaio 2020.

  • Quando la Cina prende un raffreddore, il mondo intero ha paura di ammalarsi.
  • La questione, a questo punto, è semplice: le autorità cinesi hanno imparato la lezione della Sars e seguiranno la strada dell’informazione e della trasparenza, soprattutto in un momento segnato da massicci movimenti di persone a causa del capodanno cinese?
  • Dai tempi della Sars la Cina è diventata una potenza economica e politica di prima grandezza, che come tale vuole essere riconosciuta. Ma questo status prevede responsabilità che il sistema politico cinese non sembra sempre pronto ad accettare. Il coronavirus, in questo senso, sarà un test importante.

Da Il coronavirus si è diffuso grazie al segreto di stato cinese

Sulla pandemia di COVID-19 in Cina, tradotto in Internazionale.it, 28 gennaio 2020.

  • La tragedia dimostra che, nonostante il regime abbia imparato la lezione dell’epidemia di sars del 2003 e abbia reagito più rapidamente, mantiene ancora la lentezza di un sistema burocratico e autoritario, lontano dall’immagine di modernità tecnologica che la Cina vuole dare di sé.
  • Su internet, nonostante la censura, alcune critiche continuano a circolare: a proposito degli ospedali di Wuhan strapieni in attesa della costruzione di nuove unità, delle difficoltà nell’approvvigionamento o della confusione che circonda le informazioni. Questo dimostra che accanto all’aspetto medico e umano esiste una posta in gioco politica.
  • Negli ultimi giorni i leader cinesi si sono preoccupati per i riferimenti alla serie televisiva Chernobyl che circolano sui social network, tanto che la serie sulla catastrofe sovietica è stata ritirata da un sito specializzato dopo aver fatto nascere un intenso dibattito con inevitabili riferimenti alle menzogne di stato e ai fallimenti del sistema.

Da Vladimir Putin vuole restare al potere fino al 2036

Tradotto in Internazionale.it, 23 marzo 2020.

  • Gli uomini della provvidenza hanno la tendenza a presentarsi come insostituibili, e a forza di spazzare via tutti i potenziali rivali finiscono per diventarlo davvero. Vladimir Putin, ormai da vent’anni alla guida della Russia, è uno di loro.
  • Il 10 marzo si è verificato un colpo di scena al parlamento di Mosca, quando un deputato ha proposto un emendamento che azzererebbe il conteggio dei mandati, consentendo dunque a Putin di ottenerne altri due da più di sei anni, restando in carica fino al 2036. A quel punto il presidente avrà 83 anni e avrà governato più a lungo di Stalin, ma sempre meno di Pietro il Grande, di cui Putin aveva appeso il ritratto nel suo ufficio quando era sindaco di San Pietroburgo.
  • Putin si considera insostituibile perché è lui, e solo lui, a decidere di bombardare la Siria, negoziare con la Turchia, giocare con i nervi degli occidentali e restituire alla Russia lo status di potenza temuta. E pazienza se il paese resta un attore di secondo piano in campo economico.
  • Cosa possiamo aspettarci dal presidente russo nei prossimi anni? Di sicuro sappiamo cosa non possiamo aspettarci, ovvero la liberalizzazione del sistema.
  • Certo, c’è sempre il rischio di un mandato di troppo e di perdere quell’autorità fatta di rispetto e paura che ha permesso a Putin di diventare un Brežnev post-sovietico, a sua volta fossilizzato.

Da Il coronavirus svela il declino dell’occidente

Sulla pandemia di COVID-19, tradotto in Internazionale.it, 23 marzo 2020.

  • In un momento in cui 169 paesi di tutti i continenti sono colpiti dal coronavirus la più grande sorpresa agli occhi del mondo è il crollo dell’occidente. [...] L’occidente è caduto dal piedistallo, e la sua supremazia – che si basava anche sull’immagine di società efficiente, con tecnologie avanzate e governi più trasparenti che altrove – ha subìto un duro colpo. Dopo la vecchia Europa, anche gli Stati Uniti sono stati investiti dal virus, rivelando tutta la disfunzionalità dell’amministrazione Trump. Anziché la via della leadership, l’America di Trump ha scelto prima la negazione della realtà e successivamente la risposta nazionalista. Oggi gli Stati Uniti non sembrano diversi da un qualsiasi paese del mondo che scopre le sue vulnerabilità e i suoi cortocircuiti.
  • L’Italia, colpita duramente dall’epidemia, sta ricevendo aiuti medici dalla Cina, dalla Russia e persino da Cuba, rivelando l’incapacità dell’Europa di assistere il governo italiano. Tutto questo, inevitabilmente, lascerà tracce durature.
  • Qualche anno fa i cinesi si sono appassionati allo studio sul declino dei grandi imperi, probabilmente nella speranza di riscontrare un segnale dell’indebolimento di quello che ha dominato il ventesimo secolo. A questo punto è probabile che considerino il virus, paradossalmente emerso in Cina e inizialmente nascosto da Pechino al resto del mondo, come la prova che è finalmente arrivato il loro momento.

Da Il virus incrina i sogni di gloria di Vladimir Putin

Sulla pandemia di COVID-19 in Russia, tradotto in Internazionale.it, 22 aprile 2020.

  • La Russia è attualmente isolata, con più di 50mila casi e quattrocento decessi. Le cifre sono in aumento ed è probabile che il picco dell’epidemia non arriverà prima di alcune settimane. Negli ospedali di Mosca la situazione è la stessa che si ripresenta altrove nel mondo, con un sistema sanitario indebolito dall’economia, la corsa ai respiratori, operatori sanitari esausti, un primo medico deceduto e gli aiuti in arrivo dalla Cina.
  • Il problema di Putin non riguarda tanto l’economia mondiale, quanto la situazione interna. Con il blocco dell’economia russa gli ammortizzatori sociali si sono indeboliti, e malgrado il presidente abbia promesso di versare tutti gli stipendi, il denaro arriva con il contagocce. Il malcontento sociale è un problema evidente.
  • Putin si trova in una situazione paradossale. Da un lato la sua onnipotenza è confermata dal fatto che i suoi critici devono accontentarsi di manifestazioni virtuali senza alcun impatto, mentre il prolungamento del suo mandato è stato già approvato dal parlamento. Al contempo, però, il virus sta mettendo in discussione il suo potere assoluto, più di quanto Putin voglia ammettere.

Da Il presidente brasiliano nella tempesta politica e sanitaria

Sulla pandemia di COVID-19 in Brasile, tradotto in Internazionale.it, 27 aprile 2020.

  • Il comportamento irresponsabile del presidente rispetto al virus è stato fortunatamente bilanciato dalla serietà dei governatori, che hanno imposto l’isolamento contro il parere del presidente.
  • L’atteggiamento del presidente di fronte alla pandemia alimenta un dibattito infuocato. Come Trump, anche Bolsonaro ha inizialmente paragonato il covid-19 a una semplice influenza, non risparmiando le strette di mano in pubblico e criticando i governatori che seguivano i consigli della comunità scientifica e decretavano l’isolamento. Bolsonaro ha addirittura rimosso il suo ministro della sanità perché tentava di convincerlo a cambiare rotta mentre l’epidemia dilagava in Brasile.
  • I passi falsi di Bolsonaro confermano la tendenza degli “uomini forti” del momento – Trump negli Stati Uniti, Erdoğan in Turchia e Putin in Russia – a minimizzare la minaccia del virus, prima di essere costretti ad affrontarla. Di sicuro questi leader non possono sostenere di essere stati più lungimiranti ed efficaci degli altri. Sopravvivono grazie all’autoritarismo, ma questo non cancella il bilancio negativo della loro attività. Forse, nel caso di Bolsonaro, questo accelererà la caduta di un uomo palesemente inadatto a guidare un grande paese come il Brasile.

Da In Amazzonia il virus rischia di sterminare i popoli indigeni

Sulla pandemia di COVID-19 in Brasile, tradotto in Internazionale.it, 4 maggio 2020.

  • Il virus potrebbe provocare un genocidio? A sollevare il dubbio è un appello firmato da diverse personalità internazionali che si interrogano sui rischi della pandemia per una delle popolazioni più fragili al mondo: gli ultimi indigeni dell’Amazzonia, in Brasile.
  • Inevitabilmente viene da pensare [...] a quello che è accaduto cinque secoli fa, quando i colonizzatori europei arrivarono nel continente americano portando con sé malattie contro le quali le popolazioni native non avevano alcuna difesa immunitaria. All’epoca gli indigeni dell’America meridionale e settentrionale furono decimati da vaiolo, influenza e tifo.
  • In Brasile, dove l’attuale epidemia di covid-19 ha già fatto più di seimila vittime, la posizione di Jair Bolsonaro fa molto discutere. Il presidente, infatti, sminuisce la minaccia del virus e si oppone all’azione dei governatori che hanno imposto l’isolamento nelle principali regioni del paese.

Da L’estrema destra guida la protesta contro le misure di distanziamento

Sulla disinformazione sul SARS-CoV-2, tradotto in Internazionale.it, 14 maggio 2020.

  • In diversi paesi le proteste contro l'isolamento e le restrizioni coinvolgono decine e a volte centinaia di persone, spesso troppo numerose rispetto ai limiti imposti nei luoghi pubblici e ancora più spesso sprezzanti di qualsiasi distanza di sicurezza.
  • Oggi in tutto il mondo si contano più di quattro milioni di malati e circa trecentomila decessi dovuti al covid-19. Non accettare queste cifre è ormai inammissibile. I manifestanti, però, trovano le loro motivazioni in un mix di strumentalizzazioni politiche, teorie complottiste e in un individualismo ostinato che non intende rispettare le istruzioni dello stato.
  • A quanto pare durante la pandemia la disinformazione e la manipolazione sono più attive che mai, nonostante sia in gioco la salute di tutti noi.

Da Vladimir Putin ha sottovalutato la forza politica del virus

Sulla pandemia di COVID-19 in Russia, tradotto in Internazionale.it, 4 giugno 2020.

  • Mentre i sondaggi rivelano il profondo disincanto dei russi, dovuto alla gestione approssimativa dell’epidemia e ai problemi finanziari causati dal crollo del prezzo degli idrocarburi, Putin spinge sull’acceleratore del patriottismo e di una continuità che sarebbe garanzia di stabilità.
  • La popolarità incontestabile del presidente si basa su due pilastri. Per prima cosa Putin è considerato l’architetto della ripresa della Russia dopo gli anni di Eltsin, e in secondo luogo ha saputo restituire un certo orgoglio ai russi riportando l’ex impero al ruolo di potenza magari non rispettata, ma sicuramente temuta. E pazienza se questo orgoglio nasce da avventure militari insanguinate, in Siria come in Ucraina.
  • Il mondo, o comunque una parte del mondo, è diventato il teatro della rinascita militare della Russia, considerata ben più importante di quella economica o sociale, parenti povere del "putinismo". La popolazione si rende conto di questo squilibrio nei momenti difficili, come quello portato dal covid-19.

Da La deriva del populista Bolsonaro, dalle smentite al contagio

Sulla pandemia di COVID-19 in Brasile, tradotto in Internazionale.it, 8 luglio 2020.

  • Bolsonaro si è rifiutato di prendere le minime precauzioni e ha sostenuto attivamente i manifestanti che protestavano per le misure di isolamento imposte dai governatori e dai sindaci delle grandi città, trasformando questo rifiuto in un vanto.
    L’aspetto più incredibile è che Bolsonaro ha mantenuto la sua posizione anche quando il Brasile è diventato l’epicentro mondiale della pandemia, con più di 65mila morti e 1,6 milioni di contagi, secondo paese più colpito al mondo dopo gli Stati Uniti.
  • Molti paesi hanno “fallito” la risposta al virus per impreparazione o per incompetenza. Nel caso del Brasile la colpa è di un rifiuto su base ideologica. Il populismo si nutre dell’ostilità nei confronti della scienza, del complottismo e della sfida permanente che ha trasformato la mascherina in un simbolo disprezzato.
  • Se la sanità pubblica è un ambito chiaramente politico, i populisti hanno perso l’occasione di mostrare la loro competenza. Il caso di Bolsonaro è sicuramente il più emblematico.

Da La sorte degli uiguri è cruciale per i rapporti tra Cina e occidente

Sul genocidio culturale degli uiguri, tradotto in Internazionale.it, 18 settembre 2020.

  • Fino a poco tempo fa gli uiguri dello Xinjiang, regione della Cina occidentale, erano poco conosciuti fuori dalla cerchia degli esperti. Oggi questa minoranza musulmana e turcofona è diventata il simbolo della repressione messa in atto dal regime di Pechino, e di conseguenza un tema cruciale della politica internazionale.
  • Il governo di Xi Jinping si è lanciato in una campagna di "sinizzazione" delle religioni, mirata non solo contro l'islam ma anche contro il cristianesimo e il buddismo tibetano. Nelle aree popolate dagli uiguri – ma anche dagli hui, altra minoranza musulmana del paese – le moschee sono state rase al suolo perché considerate l’espressione di un'architettura troppo mediorientale. Io stesso ho potuto vedere l'anno scorso a Yinchuan, capoluogo della regione hui del Ningxia, caratteri arabi recentemente coperti nelle insegne dei ristoranti halal. Non molto tempo fa un’altra minoranza, quella dei mongoli, è stata repressa dopo una serie di proteste contro il divieto di insegnare la lingua locale nella Mongolia interna.
  • Un tempo i circa dodici milioni di uiguri rappresentavano la maggioranza nella regione, ma sono ormai diventati minoritari a causa dell’afflusso (incoraggiato) di contadini poveri dal resto della Cina, esponenti della popolazione dominante nel paese, gli han. I leader cinesi non amano la parola "colonizzazione", ma è sostanzialmente ciò che sta accadendo.

Da I paesi dell’ex Unione Sovietica preoccupano Putin

Tradotto in Internazionale.it, 8 ottobre 2020.

  • Non esiste un legame diretto tra le proteste in Bielorussia, la guerra tra Azerbaigian e Armenia sul Nagorno Karabakh, la rivolta postelettorale in Kirghizistan e la crisi infinita in Ucraina. Eppure tutte queste esplosioni hanno come denominatore comune la Russia, e si svolgono in territori che Vladimir Putin considera di sua pertinenza.
  • Ma davvero la Russia è minacciata? L’esempio offerto da mesi dai bielorussi e in questi ultimi giorni dai kirgizi contro le manovre elettorali dei rispettivi leader rappresenta un motivo di preoccupazione, perché anche in Russia ci sono tutti gli ingredienti per uno scenario simile, anche se il potere sorveglia la situazione da vicino.
  • Questa aspirazione al cambiamento non può che inquietare Putin, soprattutto in un momento in cui ha appena fatto approvare il prolungamento eterno del suo potere.

Da La sconfitta dell’Armenia ribalta gli equilibri nel Caucaso

Sulla seconda guerra del Nagorno Karabakh, tradotto in Internazionale.it, 11 novembre 2020.

  • La guerra è stata scatenata dall'Azerbaigian per mettere fine al "conflitto congelato" sul Nagorno Karabakh, territorio situato all'interno del paese ma popolato da armeni. Da trent’anni la situazione era ormai bloccata, in seguito a una guerra vinta dall'Armenia. Ma oggi il rapporto di forze è cambiato: l'Azerbaigian, forte delle ricchezze derivate dagli idrocarburi e di una popolazione tre volte più numerosa di quella armena, ha modernizzato il suo esercito e si è imposto sul campo. Le armi moderne in possesso degli azeri sono state fornite dalla Turchia, ma anche da Israele. E hanno fatto la differenza.
  • La vicenda ha suscitato la collera della popolazione armena, che si sente tradita e considera vane le migliaia di vittime del conflitto. Ma queste reazioni emotive ignorano il fatto che l'alternativa era portare avanti una guerra impossibile.
  • Questa guerra del ventesimo secolo, le cui radici sono antiche e profonde, ha ribaltato la situazione geopolitica di una regione strategica, senza che l'Europa o l'occidente abbiano proferito parola e senza che abbiano avuto la possibilità di giocare un ruolo attivo. È il simbolo di un mondo postoccidentale in cui le regole del gioco sono quelle della violenza.

Da In Etiopia una guerra brutale per scoraggiare le secessioni

Sulla guerra del Tigrè, tradotto in Internazionale.it, 13 novembre 2020.

  • È la guerra che non ci aspettavamo, o comunque non in un paese il cui primo ministro ha ricevuto l'anno scorso il premio Nobel per la pace.
  • Dopo una grave crisi politica, Abiy Ahmed si è ritrovato a capo del paese, a cui ha imposto una nuova direzione: ha svuotato le carceri, liberalizzato l'economia (9 per cento di crescita) e soprattutto ha trovato un accordo di pace con i vicini eritrei, un risultato che gli è valso il Nobel per la pace. [...] Ma alla fine le tensioni etniche e regionali hanno avuto ragione del giovane primo ministro.
  • Resta da capire se l'Etiopia sta vivendo il suo momento "jugoslavo", ovvero la ribellione di una serie di popoli che vogliono uscire da un matrimonio non esattamente felice.

Da Putin è di nuovo padrone del gioco nel Caucaso

Tradotto in Internazionale.it, 19 novembre 2020.

  • A questo punto è evidente chi abbia perso [la seconda guerra del Nagorno Karabakh], ovvero l’Armenia. Il vero vincitore, però, non è uno dei belligeranti, ma Vladimir Putin, riuscito a imporre la fine delle ostilità, un accordo per il cessate il fuoco e la presenza delle sue truppe per farlo rispettare.
  • Il Cremlino ha permesso che l’Azerbaigian ottenesse una vittoria riconquistando territori perduti trent’anni fa, ed è intervenuto appena in tempo per evitare che l’Armenia perdesse tutto. È stato un atto di forza. Nessuno avrebbe potuto fare lo stesso, e in questo modo la Russia ha tenuto a distanza la Turchia e fuori dal gioco gli occidentali.
  • Putin ha ereditato il problema politico irrisolto tra i due paesi. Bisognerà applicare l’accordo, con il ritorno dei territori conquistati sotto il controllo dell’Azerbaigian. Soprattutto il problema di ciò che resta dell’enclave del Nagorno Karabakh non è stato risolto. Senza una soluzione, la miccia è destinata a riaccendersi, stavolta con truppe russe sul campo.

Da La guerra nel Tigrai è una tragedia per tutta l’Africa

Sulla guerra del Tigrè, tradotto in Internazionale.it, 23 novembre 2020.

  • Il governo di Addis Abeba continua a parlare di una semplice operazione di polizia contro un territorio ribelle, ma in realtà lo scontro tra l'esercito federale etiope e le forze della regione del Tigrai, nel nord del paese, è una vera guerra, con lo spiegamento di mezzi blindati, aerei e decine di migliaia di soldati.
  • Il Tigrai ospita appena il 6 per cento dei cento milioni di abitanti del paese, ma ha sempre ricoperto un ruolo determinante. Dal Tigrai è partita la resistenza contro la sanguinosa dittatura di Mengistu Haile Mariam, l'uomo che nel 1974 aveva rovesciato l'imperatore Haile Selassie. Dopo aver vinto nel 1991 (insieme ad altre forze regionali), il Tplf è di fatto rimasto al potere per diciassette anni, guidato da un uomo forte, Meles Zenawi, che ha introdotto il federalismo nel paese. Nel 2012 la morte di Zenawi ha segnato l'inizio dei problemi per i tigrini, che sono stati progressivamente messi ai margini dopo l'arrivo di Abiy nel 2018.
  • [Su Abiy Ahmed Ali] Incensato per le sue misure progressiste, il primo ministro etiope è comunque un ex militare, dai metodi autoritari, ed è deciso a opporsi con ogni mezzo alle forze centrifughe che minacciano l'unità dell'ex impero.
  • Quella in corso è una tragedia per l'Etiopia ma anche per il resto dell'Africa. L'Etiopia, infatti, è il secondo paese africano per popolazione, ospita la sede dell'Unione africana e dovrebbe essere una delle locomotive dell'anelata rinascita del continente. L'Africa deve fare tutto il possibile per mettere fine a questa guerra fratricida che rischia di avere conseguenze devastanti.

2021[modifica]

  • Ricordiamo ancora che parte della campagna per il referendum del 2016 si era giocata sulla presunta presenza di "troppi stranieri" sul suolo britannico. Per i favorevoli all'uscita (leave), la definizione di "straniero" coincideva con le persone provenienti da altri paesi dell'Unione europea. Una sorta di versione britannica dell'"idraulico polacco".
    Dopo il voto per uscire dall’Unione e anni di incertezze, negoziati sfiancanti e psicodrammi in parlamento, almeno un milione di europei ha deciso di lasciare il paese dove aveva ricostruito la sua vita ma dove non si sentiva più benvenuto. I britannici ne hanno patito le conseguenze prima di tutto nel sistema sanitario, che dipendeva molto dal personale straniero. Nel frattempo nessuno ha prestato molta attenzione agli autotrasportatori, che a causa di complicazioni amministrative hanno deciso di tornare nel loro paese.[3]
  • Trent’anni dopo la morte dell’Urss che Gorbaciov non era riuscito a salvare, Putin ha rimesso in marcia la storia, e andrà avanti fino a quando qualcuno non lo fermerà.[4]
  • La Russia è uno dei principali attori di questo “grande gioco” planetario, trent’anni dopo la fine della parentesi sovietica. Il rischio, con Putin, nostalgico dell’Urss, è che per farsi rispettare la Russia pensi che l’unica soluzione sia far rinascere il “nemico”.[5]

Da L'attacco al congresso è l'ultimo fiasco del populismo di Trump

Sull'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021, tradotto in Internazionale.it, 7 gennaio 2021.

  • Da quando si è lanciato in politica, Donald Trump ha avuto un vantaggio sui suoi avversari: nessuno lo prende sul serio. Ma la verità è che Trump è ciò che dice e fa ciò che dice, e nessuno può essere sorpreso da quanto è accaduto in Campidoglio. Si è trattato dell'insurrezione più annunciata della storia, anche se alla fine si è risolta con un fiasco patetico che non impedirà a Joe Biden di diventare il nuovo presidente il prossimo 20 gennaio.
  • Donald Trump è responsabile non solo degli eventi del 6 gennaio, giorno in cui Joe Biden doveva essere confermato presidente dal congresso, ma anche di tutti i danni inflitti alla democrazia statunitense e di quelli, sicuramente carichi di conseguenze, arrecati al Partito repubblicano, uno dei due grandi partiti di governo.
  • La lezione più importante che possiamo trarre dagli avvenimenti di Washington riguarda il fallimento di un “momento populista” negli Stati Uniti. Trump aveva incarnato una rivolta elettorale contro un sistema che genera fin troppe disuguaglianze, simboleggiato da Hillary Clinton nel 2016. Ma Trump non ha saputo trasformare questo capitale politico in una forza di progresso, facendone piuttosto uno strumento al servizio di un potere personale e incoerente. La sua radicalizzazione degli ultimi mesi gli lascia come alleate solo le frange più estremiste del nazionalismo bianco e tutti gli opportunisti che pensano esclusivamente alle prossime elezioni.

Da I massacri nascosti nella regione etiope del Tigrai

Sulla guerra del Tigrè, tradotto in Internazionale.it, 22 febbraio 2021.

  • Secondo le Nazioni Unite sessantamila abitanti del Tigrai sono scappati dall’Etiopia per rifugiarsi nel vicino Sudan, mentre in due milioni hanno abbandonato le loro case per spostarsi in altre aree del paese. Tre quarti dei cinque milioni di residenti nel Tigrai hanno bisogno di aiuti umanitari. Il numero di vittime del conflitto è stimato attorno alle 50mila persone, una cifra enorme.
  • A preoccupare è soprattutto la partecipazione di truppe arrivate dall'Eritrea, che stanno dando man forte all'esercito etiope e nel frattempo non esitano a regolare vecchi conti con gli abitanti del Tigrai, con cui si sono scontrati per vent'anni quando l'Eritrea era ancora occupata dall'Etiopia. La presenza degli eritrei non è ufficiale, ma è conclamata.
  • Oggi Ahmed combatte una delle province dell'Etiopia con l'aiuto proprio degli eritrei. La sua fama di modernista liberale ha sedotto il presidente francese Emmanuel Macron, ma nella gestione dei delicati equilibri etnici e politici dell'ex impero etiope Abiy sta usando il pugno di ferro.

Da I mercenari russi denunciati per i crimini in Siria

Tradotto in Internazionale.it, 17 marzo 2021.

  • Dato che la Wagner non ha un’esistenza legale, non esiste nemmeno il coinvolgimento diretto del Cremlino, anche se stiamo parlando di un segreto di pulcinella. In termini legali si chiama “diniego plausibile”.
  • Nei fatti la Wagner è il braccio armato del Cremlino, inviato per esempio a sostegno del maresciallo Haftar nella guerra civile libica, o sempre più spesso in Africa subsahariana, dove la Russia sta cercando di imporre la sua influenza. Gli uomini della Wagner sono sospettati di aver ucciso tre giornalisti d’inchiesta russi in Repubblica Centrafricana nel 2018.
  • Oggi Prigožin è un uomo dell’ombra che invia i suoi mercenari a fare gli interessi del Cremlino, ottenendo contratti succosi. Per questo motivo figura nella lista delle persone colpite dalle sanzioni europee per aver violato l’embargo in Libia.

Da Joe Biden mette fine alla più lunga guerra degli Stati Uniti

Sulla guerra in Afghanistan, tradotto in Internazionale.it, 14 aprile 2021.

  • Non è l’equivalente di Saigon nel 1975, quando gli elicotteri portarono via gli ultimi statunitensi dal tetto dell’ambasciata prima dell’arrivo dei nordvietnamiti, ma è comunque una ritirata senza vittoria che lascia gli afgani da soli ad affrontare un destino incerto.
  • Con il passare del tempo, infatti, il presidente ha maturato una convinzione che senza dubbio inizialmente non aveva: gli Stati Uniti non possono trasformare l’Afghanistan in una democrazia funzionale come sognavano di fare in un primo momento. Questa lezione, di fatto, si applica a tutti gli interventi occidentali degli ultimi due decenni.
  • Il problema è che la situazione che gli statunitensi lasceranno dietro di se è tutt’altro che risolta, con una forte crescita dei taliban. Il governo di Kabul ha costruito una società più aperta permettendo l’istruzione delle ragazze e concedendo maggiore libertà alle donne, ma rischia di essere emarginato dall’avanzata dei combattenti islamici.

Da L'Etiopia in guerra va alle urne ma il risultato è scontato

Sulla guerra del Tigrè, tradotto in Internazionale.it, 21 giugno 2021.

  • Il primo ministro aveva promesso un'operazione di breve durata e si è affrettato a cantare vittoria quando l'esercito ha conquistato il capoluogo regionale, cacciando il Fronte popolare per la liberazione del Tigrai (Tplf). Ma la guerra non si è conclusa: il Tplf, che per molti anni ha dominato la politica nazionale e non aveva accettato la prova di forza di Abiy, si è ritirato nelle montagne, da dove ha cominciato ad attaccare l’esercito etiope e soprattutto quello della vicina Eritrea, chiamato in aiuto da Addis Abeba.
  • Il governo federale si comporta come se nulla fosse, salvo poche eccezioni. Il problema è che il Tigrai è una zona di guerra, e in tutto il paese ci sono altri focolai di violenza. Anche gli oromo sono sotto pressione, e tra loro si sono state numerose vittime.
  • Abiy era stato elogiato all’inizio del suo mandato, nel 2018, per aver svuotato le carceri dai prigionieri politici, sbloccato l’economia e riequilibrato la diplomazia etiope. Ma ora deve affrontare il crollo del vecchio impero e il suo mosaico di popoli, e sta scivolando progressivamente verso un autoritarismo percepito come unico garante dell’unità nazionale.

Da I brasiliani in piazza contro Bolsonaro e la corruzione

Tradotto in Internazionale.it, 5 luglio 2021.

  • Jair Bolsonaro apprezzava di essere paragonato a Donald Trump quando quest’ultimo era al potere, e ha preso in prestito più di un elemento dal repertorio dell’ex presidente americano. Per esempio, la settimana scorsa ha dichiarato che non accetterebbe il risultato delle presidenziali dell’anno prossimo se ci fossero dei brogli (cioè se dovesse perdere).
  • Il fatto che il presidente eletto in un clima da “mani pulite” sia coinvolto in diversi scandali (legati non solo ai vaccini ma anche alla deforestazione dell’Amazzonia da parte dei grandi gruppi privati) ha un sapore paradossale che sorprende solo quelli che hanno creduto alle sue parole.
  • Jair Bolsonaro si è alienato il sostegno di ampi settori della popolazione, a cominciare da tutti quelli che hanno perso qualcuno durante la pandemia. È probabile che la mobilitazione continuerà a crescere fino al voto, previsto tra quindici mesi. In gioco c’è il futuro del Brasile, dopo gli anni perduti a causa di un apprendista dittatore che non ne aveva la stoffa.

Da Il ritiro dall’Afghanistan incrina la credibilità di Washington

Sulla guerra in Afghanistan, tradotto in Internazionale.it, 6 luglio 2021.

  • Prima di tutto si tratta di una sconfitta per gli afgani, a cominciare dalle donne sulle quali incombe la minaccia di un ritorno dell’oscurantismo patito quando i taliban erano al potere negli anni novanta.
    Ma è innegabile che la sconfitta sia anche degli Stati Uniti. Dopo vent’anni di presenza nel paese, infatti, gli americani partono senza aver minimamente raggiunto gli obiettivi prefissati, e perfino quello di tenere a distanza i jihadisti di al Qaeda è tutto fuorché assicurato, stando alle informazioni che provengono dal nord del paese.
  • La superpotenza statunitense è stata messa in scacco da uomini che non hanno un millesimo della potenza di fuoco del più grande esercito del mondo. Questa situazione ricorda il Vietnam, il grande trauma degli anni settanta. In quel caso gli Stati Uniti impiegarono parecchio tempo per riprendersi. L’immagine degli elicotteri che decollano in fretta e furia dal tetto dell’ambasciata di Saigon resta un ricordo umiliante.
    È possibile che la sconfitta afgana lasci le stesse tracce?
  • Come farà Biden a ristabilire la credibilità della protezione statunitense? Il “comandante in capo” che abbandona l’Afghanistan volerà in soccorso di Taiwan o dell’Ucraina se i due alleati degli Stati Uniti si trovassero in pericolo? È una domanda che si porranno sicuramente i leader dei paesi in questione, per parlare solo di due casi emblematici, e quelli dei paesi che rappresentano una minaccia, Russia e Cina, già convinti del declino dell’occidente.

Da La paura del vuoto ad Haiti dopo l’omicidio del presidente Moïse

Su Jovenel Moïse, tradotto in Internazionale.it, 6 luglio 2021.

  • Nella storia sono rari gli omicidi dei capi di stato che non siano stati seguiti da un tentativo di golpe. Jovenel Moïse, presidente di Haiti, è stato ucciso il 6 luglio in piena notte da un commando straniero probabilmente composto da mercenari. La moglie, Martine Marie Etienne Joseph, è stata gravemente ferita. Poi non è successo più nulla.
  • Resta il fatto che in oltre due secoli d’indipendenza – nel 1804 Haiti è stata la prima repubblica nera indipendente della storia, dopo una rivolta di schiavi contro l’esercito di Napoleone – il paese non ha mai trovato il suo equilibrio e il suo sistema di governo. Haiti non è stata aiutata né dalle potenze straniere – nel diciannovesimo secolo la Francia le ha fatto pagare fino all’ultimo centesimo la compensazione per i proprietari di schiavi, mentre gli Stati Uniti hanno occupato il paese per vent’anni del novecento – né dalla natura: ricordiamo il sisma del 2010 che ha provocato 230mila vittime e un milione e mezzo di sfollati, seguito sei anni dopo da un uragano devastante.
  • Paese più povero delle Americhe, Haiti ha conosciuto le dittature (come quelle dei Duvalier padre e figlio per trent’anni), i regimi pseudodemocratici e i governi incompetenti e corrotti, di cui Moïse è stato solo l’ultima incarnazione.
  • Cosa possono sperare oggi gli haitiani? Che l’elettroshock di quest’omicidio e la paura del vuoto permettano di “fare nazione” laddove nessuno ci crede più? È una speranza improbabile, soprattutto quando non si sa ancora chi abbia ucciso il presidente.

Da Le lezioni della disfatta di Kabul

Sulla caduta di Kabul, tradotto in Internazionale.it, 16 agosto 2021.

  • Nei prossimi giorni, forse anni, ci ritroveremo inevitabilmente a discutere della sconfitta americana (e occidentale, per estensione) in Afghanistan. [...] Il meccanismo, dopo la Cina nel 1948 e il Vietnam nel 1975, si applica ormai anche all’Afghanistan.
  • È necessario ricordare che nel 2001 l’intervento di una coalizione principalmente (ma non unicamente) statunitense è stato sostenuto dall’intera comunità internazionale, con il via libera del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dopo l’11 settembre. L’Afghanistan dei taliban era colpevole di aver permesso ad Al Qaeda di pianificare e organizzare dal suo territorio gli attentati più spettacolari della storia. Questo non va dimenticato.
  • Gli ultimi due decenni non hanno segnato il fallimento dell’intervento del 2001, ma quello del sogno civilizzatore che l’occidente ha voluto imporre in Afghanistan.
  • Una generazione di afgani e soprattutto di afgane è cresciuta sotto questo “ombrello” americano e occidentale, con l’idea che tutto fosse ormai possibile. Una ragazza poteva scegliere se indossare il burqa o meno, così come poteva sposarsi in base alla propria scelta e decidere in merito alla propria sessualità. Questo sogno oggi va in frantumi, con il tradimento di tutti gli afgani che avevano creduto in questa promessa disastrosa.
  • Assumersi questa parte di responsabilità obbliga quantomeno le democrazie a prendere coscienza delle conseguenze di ciò che hanno tentato di esportare, principalmente a Kabul e in parte anche fuori dalla capitale. I paesi coinvolti dovranno accogliere degnamente ed efficacemente i rifugiati che sicuramente lasceranno il paese dopo il ritorno di un regime retrogrado di cui pensavo di essersi sbarazzati nel 2001.

Da La disfatta di Kabul mette in dubbio l’affidabilità di Washington

Sulla caduta di Kabul, tradotto in Internazionale.it, 31 agosto 2021.

  • La sconfitta in Afghanistan è un evento di grande portata, ma è altrettanto vero che la storia degli Stati Uniti ne è piena, a cominciare dalla caduta di Saigon del 1975, con cui in questi giorni viene avanzato spesso un parallelo. Va detto però che in Vietnam le perdite americane furono 27 volte superiori a quelle della guerra in Afghanistan. All’epoca il trauma fu enorme, ma non impedì agli Stati Uniti di restare una superpotenza.
  • La principale lezione che possiamo trarre dalla vicenda di Kabul è che Biden, nel solco di Barack Obama e Donald Trump, ha deciso che l’America non sarà più il gendarme del mondo. È una tendenza di fondo: la potenza degli anni novanta ha ridimensionato le sue ambizioni e ha ridefinito quelli che considera i suoi interessi strategici.
  • L’Afghanistan ha sollevato il problema dell’affidabilità delle garanzie degli Stati Uniti. Gli avversari di Washington esultano, a cominciare dai cinesi che fanno presente agli abitanti di Taiwan che non possono più contare sul sostegno americano. Ma davvero i vertici di Pechino pensano che gli Stati Uniti resterebbero passivi in caso di attacco cinese contro l’isola? Sarebbe una scommessa rischiosa.

Da Putin vuole controllare la storia vietando Memorial

Tradotto in Internazionale.it, 29 dicembre 2021.

  • Memorial rappresentava un ostacolo sul cammino della riabilitazione selettiva dell’Urss, in una visione “putiniana” che fissa nell’immaginario della Russia zarista e della virilità guerriera staliniana gli strumenti del suo potere assoluto.
  • Non bisogna sottovalutare la capacità dei regimi totalitari di controllare la memoria collettiva. In questo Putin si ispira ai suoi amici cinesi, che attraverso un controllo assoluto sono riusciti a cancellare, generazione dopo generazione, il ricordo dei milioni di morti del “grande balzo in avanti” di Mao negli anni cinquanta o le vittime di piazza Tiananmen nel 1989.
  • Il primo atto di Memorial dopo la fondazione era stato quello di rivelare al pubblico russo la verità sul massacro di Katyn, lo sterminio di migliaia di ufficiali polacchi nel 1940, a lungo attributo ai nazisti dalla propaganda sovietica e che invece fu opera dell’Nkvd, il servizio di polizia segreta del ministero dell’interno sovietico. Sakharov riteneva che non fosse possibile costruire una società libera basata sulla menzogna.

2022[modifica]

  • Di sicuro Putin scommetteva sulle divisioni dell'Europa e la mancanza di spirito d’iniziativa, ma ha innescato un processo opposto, soprattutto il 27 febbraio quando ha agitato la minaccia nucleare nel tentativo di intimidire gli avversari. Possiamo già sostenere che la storia si dividerà in un "prima" e un "dopo" la guerra d'Ucraina.[6]
  • Oggi la popolazione russa ascolta soltanto una versione, quella che parla di "de-nazificazione" dell’Ucraina, della minaccia della Nato, dell'"illegittimità" delle autorità di Kiev. Soltanto una minoranza ha i mezzi per contestare questa narrazione.[7]
  • La potenza militare è favorevole a Mosca, ma le cose potrebbero cambiare se la popolazione russa non credesse più alle storie di Putin. Anche in una dittatura è difficile trascinare in eterno un paese in guerra contro la sua volontà.[7]
  • [Sull'assedio di Mariupol] La realtà è che Putin ha bisogno di conquistare Mariupol per poter ottenere un successo chiaro in questa guerra che diventa sempre più costosa. Mariupol, inoltre, è la chiave della continuità territoriale tra le repubbliche separatiste del Donbass e la Crimea, annessa nel 2014.[8]
  • Quella in corso non è evidentemente una guerra mondiale, ma ha comunque effetti sull’intero pianeta. [...] Non si parla solo degli oltre dieci milioni di ucraini che hanno dovuto lasciare la propria casa, dando vita alla migrazione forzata più rapida dai tempi della seconda guerra mondiale. A subire le conseguenze della guerra sono anche persone che vivono in Perù, in Tunisia o in Sri Lanka, per cui il prezzo del pane decolla e quello del carburante schizza alle stelle, mentre cominciano a mancare concimi e alcuni componenti e le spedizioni sono in ritardo o vengono bloccate. Queste persone vivevano già nella precarietà, ma la guerra, anche se lontana, è la goccia che ha fatto traboccare il vaso. [...] La guerra in Ucraina, dunque, non ha soltanto conseguenze geopolitiche. Come "l’effetto farfalla" di cui parlano gli scienziati, questa crisi produce un’onda d’urto che percorre tutto il mondo.[9]
  • Il colonnello Khodarjonok è un individuo che dice ciò che pensa e già in passato aveva previsto che la guerra non sarebbe stata la passeggiata che molti prevedevano. Ma non è un dissidente.[10]
  • [Su Dobbs v. Jackson Women's Health Organization] La decisione della corte suprema degli Stati Uniti ha avuto un impatto planetario, non solo perché si parla di un tema universale come il diritto all’aborto ma anche per le sue conseguenze geopolitiche. Un’America divisa, precipitata in una guerra culturale e politica profonda è una superpotenza meno impegnata nel mondo in un momento in cui le sfide si moltiplicano.[11]
  • [Su Dobbs v. Jackson Women's Health Organization] Per i democratici la provocazione dei giudici della corte suprema nominati da Donald Trump rappresenta un’occasione per mobilitare i propri elettori delusi dal bilancio poco entusiasmante di Biden, nella speranza di conquistare il voto dei repubblicani moderati (soprattutto le donne) contrari alla radicalizzazione della destra trumpista.[11]
  • D'ora in avanti, se l'esercito ucraino continuerà ad avanzare, non riconquisterà zone occupate, ma aggredirà la Russia. Come tesi è un po' grossolana, ma ha il vantaggio di trasformare l'aggressore in aggredito, giustificando qualsiasi escalation, comprese le più temute.[12]
  • L'annuncio di Mosca dimostra che Putin ha scelto, come previsto, la via dell'escalation dopo le ultime disfatte. Solo il capo del Cremlino sa fino a che punto intende spingersi, ma nel contesto attuale la sua ultima scelta significa chiaramente più guerra, non meno. Gli ucraini lo sanno, e sono pronti.[12]
  • Bolsonaro ha negato il covid, ha consentito la deforestazione dell’Amazzonia, non ha fatto nulla per impedire l’aumento della povertà e ha dato prova di un’etica personale sempre più degradata.[13]

Da Il dialogo impossibile tra la Russia e la Nato

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 12 gennaio 2022.

  • Mosca ritiene che tutto il periodo successivo alla fine dell’Urss, trent’anni fa, non conti nulla, e che la Russia conservi il diritto di controllare la sua vecchia zona di influenza.
  • Esattamente come i suoi amici cinesi, Vladimir Putin è convinto che i tempi siano maturi per modificare i rapporti di forza. Cina e Russia ritengono che l’occidente sia indebolito, con gli europei troppo divisi e Joe Biden assorbito dai problemi interni. Per questo Putin ha deciso di fare pressione sull’Ucraina con l’invio di una gran numero di soldati, consapevole che nessuno è disposto a “morire per Kiev”.
  • In passato alcuni, come Vaclav Havel nel 1989, hanno sognato una scomparsa della Nato insieme al Patto di Varsavia, ma oggi nessuno in Europa vuole privarsi della protezione contro una Russia sempre più minacciosa.

Da Per scoprire se Putin sta bluffando bisogna prepararsi al peggio

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 26 gennaio 2022.

  • E se Putin bluffasse? Questa è la domanda da un miliardo di dollari a cui gli occidentali vorrebbero saper rispondere, ma il problema è che il presidente russo si comporta come se avesse tutte le carte in mano, e cerca di alzare la posta con le minacce. Se invece Putin non stesse bluffando, significherebbe che esiste il rischio concreto di una guerra sul suolo europeo.
  • Ormai da settimane Putin tace in merito alle tensioni che lui stesso ha creato, e lascia che siano i suoi avversari a reagire, ad argomentare sulla strategia e a dividersi. Intanto osserva le reazioni, mette alla prova la solidità delle alleanze e valuta le possibili risposte in caso di conflitto.
  • Bisogna presentare una dissuasione credibile in caso si arrivi al peggio. In geopolitica come a carte, solo alla fine si scopre se qualcuno bluffava. Non siamo ancora arrivati alla mano decisiva.

Da Putin potrebbe cambiare la sua strategia sull’Ucraina

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 4 febbraio 2022.

  • Non è la prima volta che la Russia ammassa soldati alla frontiera con l’Ucraina, ma è la prima volta che Mosca avanza richieste specifiche. Queste pretese [...] puntano non solo a impedire l’entrata di Kiev nella Nato, ma soprattutto a far tornare indietro la storia al 1997, prima dell’adesione dei paesi dell’Europa centrale e orientale all’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti.
  • Sono molti i fattori che smentiscono la possibilità di un’offensiva di grande portata contro l’Ucraina (anche se questo non esclude l’impiego di altre tattiche destabilizzanti in questa “guerra ibrida”). Prima di tutto il costo economico e militare di una simile operazione non sarebbe indifferente per la Russia, anche se questo approccio sembra fin troppo razionale considerando che Putin può decidere senza incontrare alcun ostacolo. In secondo luogo bisogna considerare che la Cina, alleato indispensabile per la Russia, non ha interesse a lasciar scoppiare in Europa una guerra che destabilizzerebbe le sue esportazioni.

Da Europa e Stati Uniti hanno visioni diverse sul rischio di guerra in Ucraina

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 14 febbraio 2022.

  • A chi dobbiamo credere? Agli Stati Uniti, che hanno annunciato una guerra imminente e hanno chiesto ai loro diplomatici ed espatriati di lasciare l’Ucraina? O alla Francia, che ha ancora fiducia nella diplomazia e il cui ambasciatore a Kiev si è limitato a invitare un migliaio francesi che vivono in Ucraina a fare scorte d’acqua e riempire il serbatoio di benzina? O ancora all’ambasciatore dell’Unione europea in Ucraina, che su Twitter ha annunciato di essere ancora a Kiev e di non avere alcuna intenzione di partire?
  • Il presidente degli Stati Uniti ha un problema di credibilità agli occhi di Vladimir Putin. Il capo del Cremlino, infatti, pensa che gli americani siano divisi e incapaci di correre in aiuto dell’Ucraina, e lo stesso vale per i paesi dell’Unione europea, profondamente disprezzati da Putin.
  • La logica del Cremlino non è la nostra, perché Putin non deve rendere conto a nessuno e può correre rischi che nessuna democrazia occidentale è disposta ad accettare.

Da In Ucraina la guerra psicologica è già cominciata

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 15 febbraio 2022.

  • Quando è stata l’ultima volta che abbiamo visto in Europa 130mila soldati ultra- equipaggiati e ammassati alle frontiere di un altro paese, con la minaccia (finora senza conseguenze) di un’invasione? Non è mai successo almeno dalla fine della guerra fredda, nel 1991, mentre un’invasione reale non si vede dal 1945.
  • A stupire è [...] la distanza tra l’accettazione dell’atto di guerra da parte del capo di un’ex superpotenza che vorrebbe tornare a esserlo e i suoi avversari europei, che negli ultimi settant’anni hanno costruito un’unione nel culto della pace, stanchi delle guerre senza fine.
  • Il semplice fatto che il mondo sia in tensione è una vittoria per Vladimir Putin e la chiusura dell’ambasciata degli Stati Uniti rafforza la convinzione del presidente russo di un’America che ha perso il fuoco sacro della potenza.

Da Le crisi in Ucraina o nel Sahel non si affrontano con le semplificazioni

Sulla guerra in Mali e la crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 15 febbraio 2022.

  • Certo, le rivalità tra potenze esistono, oggi più che in qualsiasi altro momento dopo la caduta del muro di Berlino, trent’anni fa. Ma non spiegano ogni fenomeno e soprattutto, deformando lo sguardo, possono condurre a diagnosi sbagliate.
  • Una crisi come questa nasce dalla sedimentazione di conflitti tradizionali tra allevatori e agricoltori, l’eredità coloniale, il fallimento delle forme di governo che si sono alternate dopo l’indipendenza del 1960 e naturalmente le influenze straniere, che hanno approfittato delle contraddizioni locali per rafforzarsi in una partita globale.
  • Il fallimento maliano offre una buona occasione – in un momento in cui l’Unione europea rinnova la sua alleanza con il continente africano – per riconsiderare una modalità di intervento troppo segnata dal periodo coloniale e post-coloniale.

Da Putin sceglie la forza e abbandona la via della diplomazia

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 22 febbraio 2022.

  • I diplomatici raccontano di essere rimasti sconvolti dal discorso pronunciato la sera del 21 febbraio dal presidente russo, che uno di loro, soppesando le parole, ha definito “paranoico”. Putin è apparso collerico, vendicativo con l’Ucraina e accusatore contro gli occidentali, ricavando da strani riferimenti storici le giustificazioni per la sua fatidica decisione.
  • La Russia è tra i firmatari degli accordi di Minsk, il cui obiettivo è il reintegro in seno all’Ucraina delle due entità separatiste. Mosca ha violato gli accordi nonostante fino a dieci giorni fa Putin avesse ribadito che li avrebbe rispettati. Ma soprattutto il presidente russo ridisegna ancora una volta le frontiere di un paese sovrano, come aveva già fatto in passato in Moldova e in Georgia, appoggiando la separazione di altre repubbliche russofone (la Transnistria, l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia) attraverso la protezione delle truppe russe.
  • Viene da chiedersi se Putin si fermerà qui. Il primo test riguarda la possibilità che il Cremlino invii il suo esercito alla conquista dei territori situati oltre la linea del fronte e che sono rivendicati dalle due repubbliche separatiste, come il porto di Mariupol, sul mare d’Azov. Se le truppe russe attraverseranno la linea del fronte sarà la guerra, su questo non possiamo avere dubbi. Se invece Mosca si limiterà alle due entità separatiste, non farà altro che formalizzare il dominio russo che esiste di fatto dal 2014. A quel punto gli occidentali sarebbero tentati di non esagerare la portata della manovra, perché quantomeno avremmo scongiurato la temuta guerra totale.

Da Putin e la pericolosa negazione dell’identità ucraina

Sulla crisi russo-ucraina del 2021-2022, tradotto in Internazionale.it, 23 febbraio 2022.

  • Quello di Putin è stato un atto di revisionismo storico che gli ha permesso di affermare il principio secondo cui la Russia ha diritto di agire come crede, anche se questo significa che l’Ucraina potrebbe smettere di esistere o essere assorbita dall’ingombrante vicino.
  • Come tutte le manipolazioni storiche, anche questa nasconde una parte di verità a proposito della creazione delle repubbliche sovietiche compiuta dagli apprendisti stregoni che guidavano l’Urss. Ma senza entrare nei meandri di una storia complessa, è evidente che Putin abbia ignorato la lunga maturazione del sentimento nazionale ucraino conservando solo la versione sovietica. Cosa di cui nessuno può sorprendersi.
  • [Su Martin Kimani] Per comprendere la posta in gioco basta ascoltare un consiglio arrivato dall’Africa, e più precisamente dal delegato del Kenya presso l’Onu, che in occasione del dibattito sull’Ucraina ha spiegato che sessant’anni fa il continente africano ha scelto di rispettare le frontiere ereditate dalla colonizzazione per evitare conflitti senza fine. L’Africa, su questo punto, potrebbe dare una lezione di saggezza a Putin. Il presidente russo, però, sembra troppo immerso nel suo pericoloso sogno revisionista per ascoltare consigli.

Da Putin lancia l’attacco all’Ucraina

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 24 febbraio 2022.

  • Abbiamo sottovalutato la determinazione di un dittatore invecchiato, ossessionato dalla vendetta sulla storia.
  • Questa guerra era diventata inevitabile dal momento in cui nessuno era pronto a pagare il prezzo dell’opposizione a Vladimir Putin.
  • La deterrenza non ha più funzionato quando le uniche persone che potevano opporsi alla Russia hanno dichiarato pubblicamente che non l’avrebbero fatto.
  • Questa guerra è un disastro globale. Sono gli ucraini che ovviamente subiranno la realtà della potenza di fuoco russa. Ma questo conflitto cambia il mondo, cambia i tempi: Putin sta commettendo l’irreparabile, sta facendo precipitare il mondo in una nuova guerra fredda, che richiederà anni per essere superata.
  • La guerra in Ucraina è insensata, ingiustificata, ma ormai è una realtà imposta a tutti. Il 24 febbraio 2022, il mondo è diventato di nuovo terribilmente pericoloso e non siamo pronti a questo.

Da Impotenti davanti all’invasione russa gli occidentali pensano al futuro

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 25 febbraio 2022.

  • Nessun leader occidentale lo ammetterà mai, ma Vladimir Putin ha vinto, almeno nel breve termine. La guerra massiccia scatenata dal presidente russo sull’intero territorio ucraino mette uno di fronte all’altro due eserciti asimmetrici. La battaglia è chiaramente impari.
  • La credibilità degli Stati Uniti, appena usciti dalla disfatta in Afghanistan, e di un’Europa che Putin disprezza è minata da tre mesi caratterizzati da un braccio di ferro che si è concluso con questa guerra che nessuno è riuscito a impedire.
  • Al di là dell’Ucraina, vittima di un dittatore che non abbiamo saputo fermare in tempo, in ballo c’è il futuro del mondo, quello della nuova guerra fredda di cui ha parlato il presidente Volodimyr Zelenskij, eroe tragico di questo conflitto che viene dal passato.

Da Putin non fermerà la sua guerra senza ottenere qualcosa in cambio

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 1 marzo 2022.

  • Putin non si è certo impegnato in un conflitto di questa portata per poi rinunciare senza aver ottenuto nient’altro che qualche conquista territoriale che non giustificherebbe mai il costo dell’operazione. La resa non è né nella sua natura né nel suo stato emotivo attuale, a quanto pare.
  • Putin appare deciso a inviare al fronte forze più consistenti. Il rischio, a giudicare dall’esperienza passata dell’esercito russo in Cecenia o in Siria, è che Mosca decida di attaccare i centri urbani senza preoccuparsi della popolazione civile. Per questo motivo è in corso una gara di velocità tra l’azione dell’esercito russo e ciò che succede sul piano internazionale, un altro aspetto sottovalutato da Putin.
  • Il conflitto sembra destinato a durare, e non finirà fino a quando Putin non avrà stabilito che il costo è eccessivo. La tenacia degli ucraini e dei loro alleati sarà sicuramente messa a dura prova.

Da Da Pietro il Grande a Vladimir Putin, la storia russa passa da Versailles

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 10 marzo 2022.

  • La Russia ha fatto un enorme passo indietro da tutti i punti di vista. Sul piano economico l’impatto delle sanzioni ha fatto precipitare il rublo (che ha perso il 75 per cento del suo valore) e costringerà Mosca a un default sul debito. Le aziende straniere lasciano il paese e quelle che restano fanno buon viso a cattivo gioco. Il gas e il petrolio russo di cui Putin si serve come un’arma stanno perdendo il loro valore strategico.
    Ma la nuova cortina di ferro ha un impatto soprattutto psicologico. L’esodo dei russi della classe media è inedito, e impoverisce questo paese ricco di talenti.
  • Una conseguenza di questa guerra è anche l’urgenza di ridurre le dipendenze di oggi (energetica rispetto alla Russia, tecnologica rispetto alla Cina), ovvero l’antitesi della globalizzazione sviluppata negli ultimi decenni. L’Europa ha le dimensioni per riuscirci, dopo aver ignorato troppo a lungo questo aspetto della propria sovranità.
  • Pietro il Grande si era avvicinato all’Europa trovando ispirazione per la creazione del suo impero. Tre secoli dopo, Putin ha fatto una scelta diversa, quella dell’isolamento e dell’aggressività.

Da L'impotenza occidentale davanti alle immagini drammatiche dell'Ucraina

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 21 marzo 2022.

  • I sopravvissuti dell'assedio di Mariupol, grande porto ucraino sul mare d'Azov, descrivono la loro città come un "inferno sulla terra". [...] In questa città martire sono in corso combattimenti estremamente feroci, perché la sua conquista segnerebbe il primo successo importante per l'esercito di Vladimir Putin.
  • Zelenskyj incarna la resistenza ucraina e questo gli permette di portare il suo messaggio drammatico nelle aule dei parlamenti di Stati Uniti, Europa o Israele. [...] Nessuno potrà dire "io non sapevo".
  • Il ruolo delle emozioni nelle decisioni politiche non è irrilevante in democrazia, perché nessuno vuole passare alla storia come l’uomo o la donna che non ha fatto nulla mentre gli ucraini venivano massacrati. Ma è altrettanto vero che le emozioni non possono essere l’unico criterio per prendere una decisione.

Da La crisi alimentare causata dalla guerra in Ucraina

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 25 marzo 2022.

  • L’equazione è ormai nota: la Russia e l’Ucraina sono due grandi esportatori di prodotti agricoli, in particolare di cereali, e gli effetti della guerra si stanno già facendo sentire sui prezzi e sulle forniture. Ma il peggio deve ancora arrivare: [...] Oggi 27 paesi con una popolazione complessiva di 750 milioni di abitanti importano più del 50 per cento dei prodotti agricoli dalla Russia e dall’Ucraina. Questi paesi si trovano soprattutto in Medio Oriente e in Africa. In Egitto, paese popolato da cento milioni di abitanti, i prodotti importati da Russia e Ucraina rappresentano addirittura l’80 per cento del totale. L’argomento, insomma, è esplosivo.
  • Il primo pericolo è quello di una guerra di propaganda con cui la Russia cercherà di sostenere che le sanzioni occidentali sono responsabili per i problemi alimentari e l’aumento dei prezzi, laddove è stata la guerra scatenata da Vladimir Putin a causarli. I prodotti alimentari sono esclusi dalle sanzioni, ma le notizie fanno parte della guerra e spesso la verità conta poco.
  • La comunità internazionale non può permettersi di sbagliare, perché un fallimento, con l’avvento delle temute carestie, si aggiungerebbe agli altri drammi che sconvolgono un mondo già pieno di sofferenza. L’onda d’urto della guerra russa è appena cominciata.

Da Con la Novaja Gazeta si spegne l’ultima voce indipendente in Russia

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 29 marzo 2022.

  • È una tragedia per la Russia, che perde la sua ultima fonte di informazioni indipendente in un momento in cui queste risorse, nella nebbia della guerra, sono ancora più importanti. Questo è l’obiettivo di Vladimir Putin: fare in modo che i 140 milioni di russi abbiano accesso a un’unica fonte di informazioni, la sua.
  • La Novaja Gazeta era il giornale di Anna Politkovskaja, la giornalista assassinata nel 2006 a Mosca dopo essersi occupata della guerra in Cecenia. Sono passati sedici anni da quel giorno. Nel frattempo altri quattro giornalisti della Novaja Gazeta sono stati uccisi.
  • L’invasione dell’Ucraina ha dato il colpo di grazia ai mezzi d’informazione indipendenti, perché ora per Putin la posta in gioco nell’informazione è enorme.
  • Nei regimi totalitari non c’è più posto per la verità.

Da Il massacro di Buča è un momento decisivo della guerra in Ucraina

Sul massacro di Buča, tradotto in Internazionale.it, 4 aprile 2022.

  • Oggi le immagini agghiaccianti del massacro di Buča, nei pressi di Kiev, trasmesse a ripetizione, varcano una soglia nell’orrore di questa guerra.
  • L’orrore è innegabile, ma l’equazione non cambia: nessuno in occidente è pronto a rischiare uno scontro con la Russia, potenza nucleare. Tuttavia le immagini di Buča creano una grande pressione sui paesi occidentali affinché appoggino l’Ucraina in modo più efficace in un momento decisivo.
  • Nonostante la tragedia di Buča, il successo della resistenza ucraina ha impedito l’assedio e forse la conquista della capitale.
  • Ma davvero è possibile negoziare sullo sfondo di questo massacro? Sul fronte ucraino emerge un doppio obiettivo, in un certo senso contraddittorio: da un lato la fine immediata delle sofferenze della guerra, anche a costo di concessioni come la neutralità e il congelamento dei conflitti territoriali; dall’altro il desiderio profondo, basato sull’unità e la determinazione eccezionali mostrate in questa guerra, di non cedere nulla all’invasore. I morti di Buča rafforzano inevitabilmente il desiderio di resistere e senza dubbio anche quello di vendicarsi.

Da Le scelte dell'Europa dopo i massacri commessi dall’esercito russo

Sul massacro di Buča, tradotto in Internazionale.it, 5 aprile 2022.

  • Fin dall'inizio del conflitto l'Unione europea ha mostrato una coesione e una reattività che hanno sorpreso perfino gli stati membri. Ma ora, dopo la raffica di sanzioni, la situazione è "arrivata a un punto di rottura", spiegano i diplomatici. In sostanza da questo momento qualsiasi provvedimento avrà un costo molto elevato, e gli interessi nazionali (che non sempre sono convergenti) complicheranno ogni decisione.
  • Certo, il sostegno nei confronti dell'Ucraina è maggioritario ovunque e la popolazione europea è favorevole all'accoglienza di milioni di rifugiati, ma se l'energia venisse a mancare o se i prezzi schizzassero alle stelle allora le preoccupazioni interne finirebbero per prevalere.
  • Il massacro di Buča obbliga gli europei a porsi la domanda che avrebbero voluto evitare: quale prezzo siamo disposti a pagare per aiutare l’Ucraina a restare libera? Gli ucraini attendono di conoscere la risposta.

Da La battaglia di Mariupol, distrutta e affamata dall’assedio russo

Sull'assedio di Mariupol, tradotto in Internazionale.it, 12 aprile 2022.

  • È la più grave sconfitta militare dell’Ucraina dall’inizio dell’invasione russa. [...] Secondo tutte le testimonianze si tratta di un disastro umanitario, con migliaia di vittime civili (tra cui molti bambini) e una città in gran parte distrutta alla fine di un assedio medievale.
  • Il controllo di questo porto industriale sul mare d’Azov è la chiave della continuità territoriale che la Russia vuole realizzare tra le due repubbliche separatiste del Donbas e la Crimea, annessa nel 2014. La conquista di Mariupol apre la strada a una nuova fase della guerra, con l’offensiva russa per la conquista delle aree del Donbass che ancora sfuggono al suo controllo.
  • La Russia andrà fino in fondo e la conquista di Mariupol, città in rovina, ne è la tragica prova.

Da La guerra di Putin fa svanire la neutralità di Svezia e Finlandia

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 13 aprile 2022.

  • L’invasione russa dell’Ucraina potrebbe provocare un nuovo allargamento della Nato, l’alleanza militare guidata dagli Stati Uniti. Evidentemente questo non era l’obiettivo di Vladimir Putin quando ha scatenato la sua offensiva, lamentando proprio un eccessivo avvicinamento della Nato alle sue frontiere.
  • Evidentemente è paradossale che il paese della "finlandizzazione" finisca per aderire alla Nato, permettendo all’alleanza occidentale di raggiungere il confine con la Russia in un punto in cui Putin di sicuro non se l’aspettava.
  • L’impatto della guerra in Ucraina fa sì che il dibattito sulla difesa europea si situi chiaramente nel quadro della Nato e non al di fuori. È stato Putin a cambiare la situazione europea, in un continente che oggi cerca più sicurezza, non meno.

Da Russia ed Europa all’appuntamento del 9 maggio

Sull'invasione russa dell'Ucraina del 2022, tradotto in Internazionale.it, 9 maggio 2022.

  • Il 9 maggio non avrà lo stesso significato né lo stesso gusto a seconda che ci si trovi sulla piazza Rossa a Mosca, tra le macerie del porto ucraino di Mariupol o nella sede del parlamento europeo a Strasburgo. Il calendario ha trasformato questa giornata in un concentrato di simboli della situazione drammatica del vecchio continente, che nel 2022 sta vivendo un momento decisivo.
  • Il 9 maggio, l’anniversario della sconfitta della Germania nazista (in occidente è l’8 maggio, mentre in Russia è il 9) permette a Putin di giustificare qualsiasi cosa. 1945-2022: il continuum storico immaginario è al centro della guerra del presidente russo.
  • La guerra [...] non ha preso la direzione sperata da Putin, che deve accontentarsi del controllo assoluto dell’informazione e di un martellamento propagandistico per affermare che tutto si sta svolgendo come previsto. L’unica vittoria di cui possa vantarsi il padrone del Cremlino è la conquista di Mariupol, che non è ancora totale perché un ultimo manipolo di soldati resta asserragliato in un’acciaieria. Ma il prezzo pagato è altissimo: migliaia di vittime civili, una città rasa al suolo e decine di migliaia di sfollati, di cui molti alle prese con una sorte incerta in Russia.

Da Pyongyang ammette la presenza del covid ma rifiuta gli aiuti

Sulla pandemia di COVID-19 in Corea del Nord, tradotto in Internazionale.it, 19 maggio 2022.

  • La Corea del Nord [...] presenta l’incredibile particolarità di non aver vaccinato la popolazione ed è l’unico paese al mondo insieme all’Eritrea ad aver rifiutato tutti i vaccini preferendo trincerarsi dietro le frontiere sbarrate.
  • Le cifre annunciate sono consistenti per un paese che sosteneva di essere stato risparmiato dalla malattia: 1,7 milioni di casi dichiarati e una sessantina di decessi. Ma in realtà i numeri significano poco, perché in Corea del Nord manca tutto, dai test alle strutture sanitarie. Soprattutto mancano affidabilità e trasparenza. Il sito dell’Organizzazione mondiale della sanità continua a riportare "zero casi di contagio" nel paese, perché non ha ricevuto alcuna comunicazione sulle cifre.
  • A Shanghai l’approccio cinese ha comportato un isolamento totale, test a ciclo continuo e la vaccinazione degli abitanti. Ma la Corea del Nord non possiede né la logistica né gli equipaggiamenti per imitare il suo potente vicino, ed è lecito temere che un isolamento generalizzato possa rivelarsi ancora più brutale e autoritario di quello applicato in Cina.
  • La Corea del Nord può davvero permettersi di rifiutare le offerte di aiuto? Negli anni novanta il padre dell’attuale leader aveva permesso che la carestia uccidesse due milioni di persone piuttosto che chiedere assistenza. Oggi il regime dinastico investe una fortuna nel programma nucleare e balistico ignorando i problemi sociali.
  • Il sovrainvestimento militare rende il paese indifeso davanti alla malattia. Il vantaggio di una dittatura, però, è che si può sempre lasciare che il popolo muoia in silenzio.

Da Il mondo del Cremlino è fermo all’epoca sovietica

Su Sergej Viktorovič Lavrov, tradotto in Internazionale.it, 31 maggio 2022.

  • Lo spettacolo dei vertici europei che si protraggono all’infinito perché uno stato blocca una decisione fa orrore ai paladini del potere autoritario. E ammettiamolo, infastidisce anche gli europei. Ma in realtà in questo modo riusciamo a superare le contraddizioni tra stati che hanno storie differenti.
  • Secondo Mosca il mondo è ancora quello dei rapporti di forza. La Russia non si è sbarazzata della sua doppia eredità imperiale e stalinista e non riesce a considerare i suoi vicini come eguali. Il Cremlino, inoltre, non accetta che si possa essere russofoni senza voler per forza tornare nella sfera d’influenza della Russia, come dimostra il caso dell’Ucraina.
  • Lavrov e parte dei dirigenti russi sono ancora formattati dal loro passato sovietico, legati al mondo di ieri mentre una parte della popolazione, quella che emigra a decine di migliaia di persone e quella che occupa gli antichi possedimenti, vorrebbe una modernità incarnata dal sogno imperfetto dell’Europa.
  • Quando un aereo atterrava a Mosca si consigliava ai passeggeri di regolare gli orologi portandoli "vent’anni indietro". L’orologio di Lavrov è fermo ai tempi dell’Urss.

Da Fine dei giochi per Boris Johnson?

Su Boris Johnson, tradotto in Internazionale.it, 7 luglio 2022.

  • Boris Johnson è maestro nella sopravvivenza in situazioni politiche disperate, ma stavolta gli servirà un colpo di scena per conservare la carica di primo ministro del Regno Unito. Il Financial Times lo ha paragonato a uno schema Ponzi, una struttura finanziaria piramidale che finisce per crollare quando la fiducia sparisce.
  • Johnson è sopravvissuto a malapena al "Partygate", lo scandalo provocato dalle feste organizzate in piena pandemia nella sua residenza ufficiale. Ora però è stato travolto dal "Pinchergate", dal nome di un deputato a cui è stato assegnato un incarico importante nel partito ma che era stato implicato in una vicenda di molestie sessuali. Johnson lo sapeva, ma ha mentito. Forse è stata una bugia di troppo.
  • Johnson ha seguito un percorso politico atipico. Ex giornalista dalla reputazione dubbia, è entrato in politica come sindaco di Londra con un profilo cool che prometteva di incarnare un rinnovamento. Ma il suo passaggio alla politica nazionale lo ha trasformato in un leader populista, il cui momento di gloria è arrivato con l’adesione al fronte della Brexit nel 2015, vittorioso contro ogni attesa. In seguito la sua traiettoria verso il potere è stata caratterizzata da una totale mancanza di rispetto per le regole.

Da Come placare il vento di follia innescato da Boris Johnson

Su Boris Johnson, tradotto in Internazionale.it, 8 luglio 2022.

  • Possiamo già stilare un bilancio della Brexit? I sostenitori dell’uscita dal club europeo sostengono che sia troppo presto. Tuttavia il mese scorso un think-tank londinese ha mostrato che, alle prese con gli stessi problemi di altri paesi (covid, emergenza climatica), l’economia del Regno Unito è stata danneggiata maggiormente rispetto a quanto sarebbe successo se il paese fosse rimasto nell’Unione.
  • Re degli illusionisti, Johnson non ha mai riconosciuto il costo che la Brexit ha imposto al paese, anche perché aveva cavalcato l’onda della Brexit nella sua scalata ai vertici del partito conservatore. E pazienza se la sua promessa di "Global Uk", di un Regno Unito che sarebbe ripartito alla conquista del mondo, si è rivelata leggermente più complessa del previsto. Il "sistema Johnson" è stato un’acrobazia permanente, fino a quando non ha più funzionato.
  • La fiducia è evaporata dopo che Johnson ha voluto ignorare una delle clausole principali dell’accordo negoziato con grande fatica dalle due parti, quella che permette di non rimettere in discussione l’assenza di una frontiera in Irlanda. Questa fiducia potrà essere ripristinata con un altro primo ministro? Prima di tutto bisognerà che il vento di follia che ha travolto il partito conservatore cessi di soffiare.

Da Michail Gorbačëv, l’uomo che voleva umanizzare l’Unione Sovietica

Su Michail Gorbačëv, tradotto in Internazionale.it, 31 agosto 2022.

  • Al potere dal 1985 fino alla fine dell’Urss nel 1991, Michail Gorbačëv non ne desiderava la scomparsa. Voleva solo umanizzarla e modernizzarla nel tentativo di salvarla.
  • Gorbačëv è uscito di scena quando Putin ha trasformato la Russia in una potenza autoritaria agli antipodi della glasnost, in guerra semidichiarata con l’occidente laddove il principale merito dell’ultimo presidente dell’Urss era stato quello di aver seppellito la guerra fredda. L’invasione dell’Ucraina è il punto d’arrivo di questa demolizione di fatto del sogno di Gorbačëv.
  • Gorbačëv aveva scelto di consentire all’ex blocco sovietico di emanciparsi e aveva un progetto che avrebbe dovuto trascendere i blocchi, quello della "casa comune europea". Gli occidentali non lo hanno seguito, soddisfatti di aver ottenuto la fine della guerra fredda e poi anche la fine dell’Urss.

Da La collera di Mosca dopo la controffensiva ucraina

Sulla controffensiva Ucraina in Charkiv del 2022, tradotto in Internazionale.it, 12 settembre 2022.

  • È il secondo grande fallimento militare russo di questa campagna d’Ucraina, dopo quello di Kiev all’inizio dell’invasione.
  • Nei video si apprezza l’impressionante quantità di materiale russo abbandonato o distrutto, anche nella città di Izyum, un centro logistico regionale dove i depositi pieni di casse di munizioni sono finiti in mano agli ucraini. I russi non hanno avuto nemmeno il tempo di distruggerli durante la fuga.
  • Come spiegare questo successo? La determinazione delle forze ucraine è nota. Ma a risaltare, ancora una volta, sono la disorganizzazione e l’impreparazione dell’esercito russo.
  • L’impatto più interessante della vicenda è quello che si verifica in Russia, dove da due giorni assistiamo a un cambiamento di tono. Le trasmissioni della propaganda alla tv russa, che per tre mesi hanno vantato la virilità e la potenza dell’esercito del Cremlino, hanno lasciato il posto alla collera e all’incredulità. Un famoso commentatore ha chiesto di colpire i paesi della Nato e ha citato Stalin, secondo cui chi si lasciava prendere dal panico doveva essere abbattuto.

Da Prime crepe in Russia dopo la disfatta militare nel nordest ucraino

Sulla controffensiva Ucraina in Charkiv del 2022, tradotto in Internazionale.it, 13 settembre 2022.

  • Ciò che sta accadendo da una settimana nella regione di Charkiv rappresenta una grande vittoria per l’esercito ucraino, passato all'offensiva con successo. In Russia, dove l'informazione indipendente è soppressa, dove la parola "guerra" è vietata e dove qualsiasi critica è considerata un atto di tradimento, le reazioni sono inedite.
  • È verosimile che Putin non negozierà in posizione di debolezza, perché un gesto simile non è nelle sue corde. Probabilmente il capo del Cremlino sceglierà la via dell'inasprimento dei combattimenti, anche perché per lui la vittoria è una questione esistenziale.
  • Colpire obiettivi civili è un'ammissione di debolezza, soprattutto considerando che fino al 12 luglio 2021, sette mesi prima di inviare l'esercito, Putin sottolineava che russi e ucraini sono "un unico popolo". La sera dell'11 settembre, dopo il lancio di missili su Charkiv, il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj si è rivolto ai russi: "Pensate ancora che siamo un unico popolo?".

Da Le elezioni italiane cambiano gli equilibri politici europei

Sull'elezione di Giorgia Meloni, tradotto in Internazionale.it, 26 settembre 2022.

  • I commentatori non sanno ancora come definire Meloni. La sua storia politica e quella del suo partito, Fratelli d’Italia, affondano nel passato fascista del paese, un passato che però, negli ultimi anni, Meloni si è impegnata a nascondere sotto il tappeto. Fratelli d’Italia è descritto a volte come partito “postfascista”, altre come “ultraconservatore” e “populista”. In Italia la coalizione di cui fa parte è chiamata ufficialmente di “centrodestra”, con uno strano concetto di “centro” che dimostra fino a che punto Meloni sia riuscita a confondere le acque.
  • Duramente colpita dalla pandemia, l’Italia ha ottenuto la fetta più grossa del piano di rilancio europeo, circa 200 miliardi di euro. Di sicuro Meloni non vorrà mettere in pericolo questa manna legata a un progetto messo a punto da Mario Draghi, capo del governo uscente. Gli italiani non le perdonerebbero un conflitto su questo tema.
  • Un primo ministro di estrema destra in Italia, paese fondatore dell’Unione, costituisce una sfida inedita per un’Europa alle prese con una guerra alle sue porte, con una crisi economica incombente e con la definizione del suo ruolo nel nuovo mondo. L’Europa, in effetti, non è più la stessa, stamattina...

Da I mullah iraniani scelgono di reprimere una gioventù liberata

Sulle proteste per la morte di Mahsa Amini, tradotto in Internazionale.it, 27 settembre 2022.

  • Dopo la morte, dieci giorni fa, della giovane Mahsa Amini, arrestata dalla polizia morale per una ciocca di capelli di troppo o un contegno ritenuto inadeguato, le immagini che ci arrivano dall’Iran sono straordinarie. Un po’ ovunque nel paese le ragazze danno prova di un coraggio senza limiti, insieme agli uomini che condividono la loro lotta. Tutte le regioni e tutti gli strati sociali sono coinvolti da questo movimento innescato da un banale incidente (per gli standard dell’Iran) ma che sembra essere stato l’incidente di troppo.
  • Il regime ha i mezzi per controllare la situazione? Senza dubbio, e se la storia può insegnarci qualcosa possiamo presumere che ne abbia anche la volontà. Niente, in questo caso, potrà fermarne la repressione. Nemmeno le proteste internazionali, arrivate sia dai governi sia dalle opinioni pubbliche. L’Iran è impermeabile alle pressioni, anche perché subisce già sanzioni severe a causa del suo programma nucleare.
  • La novità è rappresentata da questa nuova generazione, da ragazze più istruite delle loro madri e decise a non lasciarsi sottomettere.
  • La spinta di un’intera generazione, quella dei nipoti della rivoluzione del 1979, ha fatto segnare una tappa importante nella tormentata storia del paese, con una richiesta di libertà individuale che i mullah pensavano di aver cancellato dal modello politico iraniano.

Da I danni al gasdotto Nord stream rischiano di estendere la guerra

Tradotto in Internazionale.it, 28 settembre 2022.

  • La Russia, verso cui si concentrano i sospetti, ha negato di essere coinvolta, ma è l’unico paese in grado di compiere un’azione simile e inoltre avrebbe un buon motivo: accentuare il panico sul mercato dell’energia europeo con l’avvicinarsi dell’inverno. Inoltre il Cremlino potrebbe aver voluto far presente agli occidentali che lo scontro è appena cominciato e che potrebbe allargarsi ad ambiti finora risparmiati.
  • L’attacco contro Nord Stream, in ogni caso, non avrà conseguenze sull’approvvigionamento dell’Europa, perché i russi hanno già interrotto la fornitura e gli europei si sono organizzati per adattarsi alla nuova realtà. Nel contesto attuale era comunque poco probabile che il gas russo tornasse in Europa, con o senza gasdotto. Paradossalmente non esistono sanzioni che riguardano il gas russo, ma il risultato è lo stesso.
  • Sarebbe un’escalation considerevole ma conforme alla voglia di alzare la posta che caratterizza il comportamento di Vladimir Putin dopo le sconfitte del suo esercito in Ucraina. La mobilitazione parziale ne è una prova, così come i referendum organizzati nelle zone occupate dell’Ucraina.

Da La sfida tra Bolsonaro e Lula è un test per la democrazia brasiliana

Tradotto in Internazionale.it, 30 settembre 2022.

  • I brasiliani dicono che quelle del 2 ottobre saranno le più importanti dal ritorno della democrazia nel 1985, dopo la fine della dittatura militare.
  • I sondaggi prevedono una vittoria di Lula, forse al primo turno, sicuramente al secondo. Ma Bolsonaro segue il copione scritto da Donald Trump, che rappresenta il suo modello: se perderà, sosterrà che le elezioni sono state truccate. Questa è la grande paura dei brasiliani nonché il motivo per cui importanti personalità del centro e della destra si sono avvicinate a Lula, l’uomo della sinistra. L’obiettivo è evitare una versione brasiliana del caos postelettorale negli Stati Uniti. È chiaro che le elezioni brasiliane rappresentano un test importante.
  • L’esercizio del potere non ha fatto bene ai partiti e agli uomini favoriti dalla contestazione e dalla rabbia popolare. La disfatta di Boris Johnson nel Regno Unito ne è il simbolo assoluto. C’è un limite alle menzogne che i cittadini possono accettare… Trump è stato battuto anche se resta una minaccia, mentre in Italia il Movimento 5 stelle è precipitato dal suo piedistallo. Resta Bolsonaro, che il 1 ottobre scoprirà se sarà sfuggito a questo gioco al massacro.
  • La storia recente dimostra che i populisti antisistema hanno cavalcato una rabbia reale, ma non sono riusciti a fornire risposte adeguate una volta arrivati al governo. L’alternanza democratica finisce regolarmente per penalizzarli, a condizione che la democrazia sia rispettata. Nel clima attuale questa è tutt’altro che una garanzia.

Da La bomba sul ponte di Crimea ha scalfito l’invincibilità di Putin

Sull'esplosione del ponte di Crimea del 2022, tradotto in Internazionale.it, 10 ottobre 2022.

  • I russi, per minimizzare la portata dell’evento, sottolineano che la circolazione è stata già ripristinata su una delle due carreggiate dell’infrastruttura. Ma il colpo è stato durissimo, perché l’attentato evidenzia per l’ennesima volta le debolezze dell’esercito di Mosca.
  • [Su Sergej Surovikin] Putin ha sostituito il capo dell’operazione speciale in Ucraina e nominato al suo posto un veterano della guerra in Siria. La mossa non promette bene.
  • Ciò che è certo è che l’attacco contro il ponte ha scalfito ulteriormente la patina di invincibilità costruita da Putin prima del 24 febbraio. Un capo fallibile, in un sistema simile, diventa automaticamente vulnerabile.

Da La fine di Liz Truss e delle illusioni della Brexit

Sulle dimissioni di Liz Truss, tradotto in Internazionale.it, 21 ottobre 2022.

  • La storia ricorderà il mandato di Liz Truss come il più breve tra quelli dei 56 capi del governo che si sono alternati alla guida del Regno Unito, nonché come il più triste.
  • Diversi premier conservatori hanno tentato di far funzionare un piano irrealizzabile, incapaci di dire ai britannici “ci siamo sbagliati” perché a quel punto sarebbero state le loro menzogne e le loro illusioni a finire nel mirino. E così Londra deve coesistere con indicatori che sono tutti al ribasso. Il Regno Unito ottiene risultati peggiori rispetto a qualunque paese paragonabile nella stessa situazione, e c’è una sola spiegazione: la Brexit.
  • Il naufragio di Liz Truss potrebbe servire a restituire ai conservatori un minimo di senno. I tory hanno già modificato i criteri di candidatura per rendere quasi impossibile il ritorno di Boris Johnson, e questo è già qualcosa.

Da Il ritiro da Cherson conferma il fallimento della strategia russa

Sulla ritirata russa da Cherson durante la controffensiva nell'Ucraina meridionale del 2022, tradotto in Internazionale.it, 10 novembre 2022.

  • La posta in gioco è sia simbolica sia strategica. Simbolica perché Cherson fa parte di uno dei quattro territori ucraini che a settembre hanno votato per l’adesione alla federazione russa. Perdere Cherson meno di due mesi dopo aver giurato che sarebbe stata “eternamente russa” significa una catastrofe sul piano militare.
  • Cherson è la conclusione di otto mesi di disastri di un esercito russo che non ha mai smesso di sorprendere in negativo, fino alla mobilitazione di più di 300mila riservisti e l’invio di decine di migliaia di soldati per tappare i buchi al fronte, senza preparazione e senza equipaggiamento adeguato. Le perdite tra i nuovi arruolati sono state considerevoli.
  • Questo tracollo spiega la brutalità dell’azione russa sulle città, che oggi priva quattro milioni di ucraini della corrente elettrica e dell’acqua corrente. Per Putin è l’unico modo per dimostrare di avere ancora in mano l’iniziativa, quando in realtà l’ha persa sul campo dopo la fine dell’estate.
  • La decisione di evacuare Cherson non può nascondere l’umiliazione di un fallimento cocente per il padrone unico del Cremlino. Il problema è che questa dinamica lo rende ancora più pericoloso.

Da La Polonia è una vittima collaterale dell’escalation russa

Sull'esplosione missilistica in Polonia del 2022, tradotto in Internazionale.it, 16 novembre 2022.

  • È un fatto che non ha precedenti, non solo dall’inizio di questa guerra, ma anche nella storia: anche al culmine delle tensioni est-ovest, nessun territorio della Nato era mai stato colpito.
  • Ci sarà una reazione, in un modo o nell’altro, se non altro per riaffermare la realtà della deterrenza garantita dall’alleanza; ma gli Stati Uniti e i loro alleati staranno attenti a non spingersi troppo lontano. Ma l’avvertimento è forte: mostra come possono cominciare le escalation e quindi l’allargamento della guerra.
  • A quanto pare le sconfitte di Putin stanno convincendo i suoi amici che bisogna evitare di affondare con Mosca.
  • Bisogna ammettere che Zelenskyj ha posto condizioni di pace che sembrano quelle di una capitolazione russa: ritiro delle truppe di Mosca, ritorno all’integrità territoriale ucraina e risarcimenti di guerra, quindi nessun compromesso che permetterebbe all’esercito russo di ricompattarsi.

Da Dove può arrivare la rivolta popolare iraniana?

Sulle proteste per la morte di Mahsa Amini, tradotto in Internazionale.it, 21 novembre 2022.

  • Considerando le immagini che arrivano da Mahabad, le voci in merito a una spaccatura nel regime e la determinazione dei giovani ma anche dei falchi del governo, non possiamo escludere l’ipotesi di una guerra civile. Già in passato l’Iran di Khomeini ha vissuto diversi periodi vicini alla guerra civile, e se una parte delle forze di sicurezza si schierasse con i manifestanti questa possibilità diventerebbe più concreta.
  • Gli analisti ipotizzano [...] uno scenario “alla pachistana”, ovvero una militarizzazione del potere a scapito del dominio dei religiosi. In questo caso i Guardiani della rivoluzione, braccio armato della repubblica islamica, diventerebbero più nazionalisti che messianici, un vero potere ombra a immagine dei militari pachistani.
  • Infine bisogna lasciare aperto uno spiraglio, minimo per ragioni di realismo ma comunque esistente, a una vittoria del movimento di protesta. Affinché ciò accada sarebbe indispensabile una profonda rottura degli equilibri attuali e dei rapporti di forze. Ma l’Iran non smette di stupirci, e di sicuro continuerà a farlo.

Da La Moldova nell’occhio del ciclone creato da Mosca

Tradotto in Internazionale.it, 22 novembre 2022.

  • Maia Sandu ricopre sicuramente uno degli incarichi più difficili del mondo. Questa donna, che si esprime sempre con una voce calma, è la presidente di un paese abitato da due milioni di persone che confina con l’Ucraina, comprende un territorio secessionista occupato da truppe russe (la Transnistria) ed è sottoposto a un ricatto energetico, ad attacchi informatici quotidiani e a una guerra dell’informazione permanente.
  • Nel 2020 Sandu è stata eletta con un programma filoeuropeo e contro la corruzione, che è il problema principale del paese. Di sicuro non immaginava che si sarebbe ritrovata con una guerra nella vicina Ucraina a stravolgere le vite dei moldavi. Quando la Russia bombarda le infrastrutture ucraine, infatti, la corrente elettrica manca anche in Moldova. L’accoglienza dei rifugiati, i traffici di ogni genere, le minacce, l’inflazione e i tentativi di destabilizzazione sono ormai all’ordine del giorno.
  • Putin, come sappiamo bene, è un nostalgico della defunta Urss. Ma con il suo revisionismo aggressivo ha ottenuto un risultato opposto rispetto a quello sperato: chi può prende le distanze dalla Russia chiedendo aiuto all’Europa per non essere più alla mercé del capo del Cremlino.

Da Cosa succede se la Russia è definita uno stato promotore del terrorismo

Tradotto in Internazionale.it, 24 novembre 2022.

  • La questione non riguarda tanto la realtà fotografata dalla risoluzione [da parte del parlamento europeo di dichiarare la Russia uno Stato promotore del terrorismo], in un contesto in cui ogni giorno sono aggiunti nuovi crimini di guerra a una lunga lista che cresce costantemente da nove mesi, quanto l’utilità di questo gesto e le sue conseguenze, ma anche l’opportunità (se non la necessità) di negoziare un giorno la pace con la Russia.
  • L’esitazione non nasce dalla volontà di minimizzare la portata dei crimini commessi dall’esercito russo, ma dal tentativo di non legarsi le mani nella ricerca di una soluzione. Con uno stato “promotore del terrorismo” non si parla, lo si combatte. Ma per mettere fine a una guerra, in mancanza di una vittoria totale di uno schieramento sull’altro, serve il negoziato.
  • Definendo la Russia uno “stato promotore del terrorismo”, il parlamento europeo rispetta il proprio ruolo, esprimendo tra l’altro un sentimento largamente condiviso dall’opinione pubblica europea, disgustata delle immagini delle atrocità russe. Ma questa posizione morale non è facile da tradurre in atti diplomatici da parte degli stati.

Da L'abolizione della polizia religiosa non basta per la rivoluzione

Sulle proteste per la morte di Mahsa Amini, tradotto in Internazionale.it, 5 dicembre 2022.

  • La prudenza è indispensabile anche perché le donne resteranno esposte all’arbitrio del regime. La legge, infatti, non è cambiata (il velo resta obbligatorio) e tutte le forze dell’ordine hanno la possibilità di applicarla, anche se in queste ultime settimane molte donne hanno abbandonato il velo in totale impunità.
  • Sarebbe sorprendente se questa semplice concessione mettesse fine al movimento. La rivolta è nata dalla morte di Mahsa Jina Amini, ma con il passare dei giorni è andata oltre la semplice rivendicazione rispetto al velo, diventando una contestazione globale della Repubblica islamica e della guida suprema Ali Khamenei.
  • Facendo un passo indietro sulla simbolica polizia religiosa, forse il regime vuole convincere una parte dei manifestanti che la ragione della loro collera è svanita. Il rischio, però, è che accada l’opposto: gli iraniani potrebbero credere che se il potere ha ceduto una volta, allora potrebbe continuare ad arretrare, e soprattutto convincersi che le concessioni non cambiano la natura del regime, ormai inviso ai giovani del paese.
  • Se davvero l’obiettivo è una nuova rivoluzione, il movimento dovrà superare un grande ostacolo comune alla maggior parte delle rivolte popolari degli ultimi anni, dal Libano all’Algeria: la mancanza di organizzazione e di leader. Questa fluidità è un punto di forza perché protegge il movimento dalla repressione mirata, ma è anche una debolezza perché limita le possibilità di coordinamento e iniziativa.

Da L’esecuzione di Mohsen Shekari è un monito del regime ai manifestanti

Sulle proteste per la morte di Mahsa Amini, tradotto in Internazionale.it, 9 dicembre 2022.

  • Mohsen Shekari è il primo manifestante messo a morte dall’inizio della rivolta, alla metà di settembre. Se fino a qualche giorno fa potevamo interrogarci su un possibile segno di distensione con l’annuncio, mai confermato, della dissoluzione della “polizia religiosa”, l’esecuzione di Shekari cancella qualsiasi ambiguità: il regime resta inflessibile.
  • Shekari è stato costretto sotto tortura a registrare una confessione e la sua famiglia è stata privata del suo corpo. Un video straziante girato fuori del carcere mostra la madre mentre urla il suo dolore.
  • Le forze dell’ordine sparano spesso con fucili ad aria compressa: le donne vengono colpite ai genitali, al viso e al seno, mentre gli uomini alle gambe, alle natiche e alle spalle.
  • Ormai siamo molto lontani dal velo. In Iran è in corso una lotta all’ultimo sangue.

Da La fornitura di armi all’Ucraina ha varcato una nuova linea rossa

Tradotto in Internazionale.it, 15 dicembre 2022.

  • Da circa dieci mesi, a ogni tappa del conflitto ucraino, si ripresenta lo stesso scenario. Gli occidentali esitano all’idea di consegnare all’Ucraina le armi che darebbero a Kiev un vantaggio, per paura di spingersi troppo oltre nei confronti della Russia. Ma alla fine, dopo aver valutato i rischi, decidono di procedere.
  • Esiste un disequilibrio crescente tra gli armamenti di cui dispone l’Ucraina e quelli in dotazione alla Russia. È paradossale, perché all’inizio del conflitto la superpotenza dotata di un esercito moderno era la Russia, non l’Ucraina.
  • [Sul MIM-104 Patriot] La Russia non ha accesso a questo genere di armi perfezionate. La Cina non le fornisce, perché contengono componenti statunitensi e questo esporrebbe Pechino a sanzioni. Mosca dipende dunque dai droni iraniani, poco sofisticati, e dai propri missili appartenenti a un’altra generazione.

Da L’onda d’urto dello scandalo al parlamento europeo

Sullo scandalo di corruzione di Qatar nel Parlamento europeo, tradotto in Internazionale.it, 16 dicembre 2022.

  • Lo scandalo è stato ingiustamente battezzato con il nome di “Qatargate”. Ingiustamente perché abbiamo scoperto che non era limitato solo all’influenza del Qatar: anche il Marocco è accusato di aver comprato l’influenza del parlamento europeo.
  • L’assemblea reclama maggiori poteri per ottenere una legittimità democratica diretta, ma oggi questa richiesta è minata dalle rivelazioni sulla debolezza del parlamento rispetto alla capacità di potenze straniere d’influenzarlo.
  • Con le elezioni europee in programma tra meno di un anno e mezzo, bisognerà fare uno sforzo etico convincente per spingere i cittadini europei a ritrovare la fiducia in un’istituzione che già in precedenza era giudicata troppo distante e opaca.

Da Il viaggio di Putin a Minsk fa temere l’apertura di un nuovo fronte di guerra

Tradotto in Internazionale.it, 20 dicembre 2022.

  • La Bielorussia è un attore speciale di questa guerra. Il suo territorio ha avuto la funzione di punto di partenza per i carri armati e per le truppe russe che il 24 febbraio scorso sono partite all’attacco di Kiev. Ma da allora Minsk ha mantenuto un atteggiamento discreto, senza partecipare allo sforzo bellico russo se non come retroguardia.
  • Il despota di Minsk ha tenuto per molto tempo la Russia a distanza di sicurezza, nel timore di farsi inghiottire. Tuttavia dopo le elezioni dell’estate del 2020, truccate dal regime che è stato punito con una serie di sanzioni, la Bielorussia si è schierata nettamente dalla parte di Mosca, sua unica ancora di salvezza.
  • La Bielorussia è una grande prigione. Al momento nelle carceri del paese sono rinchiusi 1.443 oppositori politici. In rapporto alla popolazione si tratta del tasso più elevato al mondo. Dopo larepressione del 2020 l’opposizione è stata messa a tacere o è stata costretta a rifugiarsi in esilio in Polonia e negli Stati baltici.

2023[modifica]

Da Il ritorno di Lula mostra che l’autocrazia si può battere

Tradotto in Internazionale.it, 2 gennaio 2023.

  • Con grande sollievo di chi temeva un colpo di stato dell’ultimo minuto, Bolsonaro è partito per la Florida due giorni prima del passaggio di consegne. Per i suoi sostenitori più intransigenti si è trattato di un tradimento, o peggio ancora di una fuga. Oggi restano alcune frange che continuano a rifiutarsi di riconoscere il verdetto delle urne, ma l’assenza di Bolsonaro le indebolisce.
  • La base elettorale di Lula vorrebbe che facesse gli stessi miracoli del 2003, quando era riuscito a ridurre enormemente la povertà alimentando allo stesso tempo la crescita economica.
  • Bolsonaro aveva provocato la disperazione dell’intero pianeta a causa della deforestazione dell’Amazzonia e dell’impatto della sua politica sul clima. Su questo tema Lula e la sua ministra dell’ambiente Marina Silva hanno già un’aura salvifica.

Da Il disastro di Makiïvka mostra la vulnerabilità dell’esercito russo

Sul bombardamento dei quartieri militari di Makiïvka, tradotto in Internazionale.it, 3 gennaio 2023.

  • I soldati uccisi erano coscritti, inviati in Ucraina nel quadro della mobilitazione parziale voluta da Vladimir Putin a settembre. Mal preparati, mal inquadrati e poco motivati, sono morti ancora prima di entrare in azione. Questo rafforza la sensazione che questi soldati siano sostanzialmente carne da cannone, inviati precipitosamente al fronte per tappare i buchi creati dalle perdite dei primi mesi di guerra.
  • Vale la pena notare che le voci della collera dopo il disastro di Makiïvka non sono contrarie alla guerra, ma solo al modo in cui viene condotta e soprattutto persa. Quelli che si oppongono alla guerra sono invece in prigione o all’estero, come le centinaia di migliaia di russi che sono riusciti a scappare al momento della mobilitazione.
  • La promozione dei vantaggi finanziari e materiali dell’arruolamento nell’esercito evidenzia l’insufficienza dell’argomentazione patriottica per aumentare gli effettivi. L’annuncio con cui otto giorni fa l’esercito ha comunicato che le nuove reclute potranno congelare il proprio sperma per poter procreare anche in caso di decesso al fronte è sorprendente. Di sicuro in Russia non trionfa l’ottimismo.

Da Dopo l’attacco di Makiïvka, i russi criticano il loro esercito

Sul bombardamento dei quartieri militari di Makiïvka, tradotto in Internazionale.it, 5 gennaio 2023.

  • Dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, dieci mesi fa, l’esercito russo ha affrontato diversi fallimenti. Ma niente aveva suscitato reazioni paragonabili a quelle arrivate dopo il disastro di Makiïvka, nei territori ucraini occupati dai russi nel Donbass, dove un attacco ucraino ha provocato centinaia di morti. Oggi viene da chiedersi se in futuro parleremo di un “prima” e di un “dopo” Makiïvka.
  • Il presidente russo Vladimir Putin è rimasto in silenzio davanti a quella che in Russia è stata vissuta come una tragedia. Eppure, per quanto resti isolato all’interno del Cremlino, il presidente coglie di sicuro il sentimento della popolazione e le critiche che ormai da due giorni travolgono l’esercito. Le accuse risparmiano lo “zar”, che è ancora inattaccabile, ma chiedono giustizia e perfino vendetta. Il bersaglio principale è la gerarchia militare, giudicata responsabile della serie di errori che hanno portato a questo disastro.
  • Il 4 gennaio lo stato maggiore russo ha dichiarato che i soldati russi sono stati individuati dagli ucraini a causa dei loro telefoni cellulari. Ma sui social network l’opinione pubblica accusa i militari di incolpare le vittime e sottolinea che gli ufficiali sono comunque responsabili del destino dei loro uomini.

Da Assalto alla democrazia brasiliana

Sull'assalto al Congresso nazionale del Brasile, tradotto in Internazionale.it, 9 gennaio 2023.

  • La domenica nera della democrazia brasiliana è stata la cronaca di una catastrofe annunciata, perché in Brasile abbiamo ritrovato tutti gli elementi che avevano caratterizzato la crisi degli Stati Uniti. E proprio come accaduto a Washington, anche in Brasile lo stato si è dimostrato più resistente di quanto pensassero gli insorti. E soprattutto l’esercito non ha risposto ai loro appelli.
  • Le similitudini [con l'assalto al Campidoglio degli Stati Uniti del 2021] sono evidenti: l’indebolimento delle regole democratiche, con la pericolosa contestazione dei processi elettorali senza alcuna prova e nonostante le smentite delle istituzioni di controllo indipendenti; un discredito permanente del mondo dell’informazione, che l’8 gennaio ha portato all’aggressione di sei giornalisti; e infine un rifiuto della democrazia stessa, i cui simboli sono stati saccheggiati da un esercito di esaltati.
  • Bolsonaro ha condannato senza troppa convinzione gli eventi dell’8 gennaio, ma su di lui aleggiano gli stessi dubbi che circondavano Trump due anni fa.

Da A Bakhmut russi e ucraini non sono disposti a passi indietro

Sulla battaglia di Bachmut, tradotto in Internazionale.it, 10 gennaio 2023.

  • Il nome di Bakhmut resterà nella storia della guerra in Ucraina per indicare una delle battaglie più serrate del conflitto.
  • La vicenda ricorda Verdun e la prima guerra mondiale, con uomini che muoiono per conquistare una casa o un quartiere che poi viene immediatamente perso il giorno dopo. Le armi, invece, sono quelle del ventunesimo secolo, con droni, geolocalizzazione e missili.
  • Finora l’Ucraina aveva evitato di correre il rischio di perdere troppi uomini per difendere posizioni non indispensabili. Ma l’esercito ucraino ha cambiato strategia a Bakhmut, diventata il simbolo della sua capacità di resistere e dunque di prevalere, un giorno, sulla Russia.
  • Per mostrare tutta la sua forza, Prigožin ha bisogno di vincere a Bakhmut. Una vittoria, infatti, avrebbe ripercussioni negative sull’esercito regolare.
  • Tutto questo non fa che confermare la sensazione che questa guerra non sia affatto vicina alla sua conclusione. "Morire per Bakhmut" oggi è il simbolo della determinazione di entrambi gli schieramenti a non cedere di un millimetro sui propri obiettivi.

Da In Ucraina un'escalation implacabile fa sempre più vittime

Sull'attacco aereo sull'edificio residenziale di Dnipro del 2023, tradotto in Internazionale.it, 16 gennaio 2023.

  • Il missile usato ha il codice Kh-22: è un missile concepito per affondare una portaerei, un’arma di precisione lanciata da un aereo a centinaia di chilometri di distanza che non avrebbe avuto alcun motivo di essere usata per colpire quell’obiettivo.
  • Questa sproporzione tra il tipo di arma e il bersaglio potrebbe indicare una penuria di missili sul fronte russo, dopo settimane di attacchi contro le città ucraine. Il fatto di attingere fino a questo punto alle riserve russe – il Kh-22 può trasportare cariche nucleari – non si spiega in nessun altro modo.
  • L’attacco dimostra che l’escalation prosegue implacabile, tappa dopo tappa, in una guerra che purtroppo appare inarrestabile allo stato attuale.
  • Uno dopo l’altro, cadono i tabù a proposito dei tipi di armamenti forniti dagli occidentali all’esercito ucraino.

Da Le minacce russe si estendono alla Moldova

Tradotto in Internazionale.it, 14 febbraio 2023.

  • La Moldova è un paese estremamente fragile, con appena 2,6 milioni di abitanti. Inoltre c’è stata una secessione che ha riguardato un terzo del territorio nazionale, nella Transnistria, pattugliata da un migliaio di soldati russi. Infine bisogna tenere presenti le ricadute quotidiane nella vicina Ucraina.
  • Quale sarebbe l’interesse di Putin a destabilizzare la Moldova? In realtà sarebbe doppio: prima di tutto potrebbe “punire” l’Unione europea per il suo sostegno all’Ucraina, per aver ricevuto Zelenskyj e aver espresso sostegno per il suo paese. Inoltre i 27 paesi dell’Unione, l’anno scorso, hanno concesso al paese lo status di candidato all’ingresso nell’Unione contemporaneamente all’Ucraina. Rovesciando il governo moldavo, Putin darebbe uno schiaffo all’Europa che osa sfidarlo.
    Ma esiste anche la possibilità che la Russia non abbia rinunciato al suo sogno di conquistare il sud dell’Ucraina per creare una continuità territoriale tra il Donbass, la Crimea e la Transnistria. Era uno degli obiettivi iniziali di Mosca, poi fallito a causa della resistenza della città di Mikolaiev, nel sud dell’Ucraina. Ora questa aspirazione potrebbe tornare a fare capolino.
  • È evidente che per Putin la Moldova è soltanto “polvere dell’impero”, un coriandolo nel cortile di casa. Per questo motivo il presidente russo non esiterebbe a usare la forza per sbarazzarsene se si mettesse di traverso sul suo cammino. L’Europa, ammettiamolo, sarebbe piuttosto impotente davanti a una simile escalation.

Da Biden a Kiev sfida Putin e rafforza la leadership statunitense

Tradotto in Internazionale.it, 21 febbraio 2023.

  • Passeggiando in una giornata di sole per le strade della capitale ucraina, in compagnia di Volodymyr Zelenskyj e di uno straordinario dispiegamento di forze di sicurezza, Biden ha scritto una pagina della storia di questa guerra. Con la sua presenza, più che con le parole, il presidente statunitense ha manifestato la propria solidarietà con l’Ucraina in guerra.
  • Biden, che Donald Trump aveva soprannominato in modo dispregiativo “Sleepy Joe”, “Joe il sonnolento”, si è mostrato ancora una volta all’altezza della gravità della situazione internazionale e questo non può evidentemente danneggiarlo nel momento in cui esita a candidarsi per un secondo mandato.
  • Biden ha rubato la scena a Vladimir Putin, che il 21 febbraio dovrà pronunciare un discorso molto atteso alla vigilia dell’anniversario del conflitto. Ma soprattutto il presidente statunitense si è recato nella capitale di un paese in guerra, mentre il suo collega russo non ha mai messo piede al fronte per fare visita ai suoi soldati.
  • Il messaggio che Biden invia a Putin è chiaro: non contare su una “stanchezza” degli Stati Uniti. Lo dimostra anche il fatto che Biden abbia annunciato un finanziamento di altri 500 milioni di dollari per gli aiuti miliari all’Ucraina.
  • Il significato di questo viaggio è forte anche in Europa e soprattutto nei paesi ex comunisti, che ripongono una fiducia illimitata nella leadership statunitense e della Nato, ben più che in un’Europa che resta un cantiere aperto. Il 20 febbraio Joe Biden ha dato a questi paesi un motivo in più per credere negli Stati Uniti, senza riserve.

Da Vladimir Putin punta di nuovo sulla minaccia nucleare

Tradotto in Internazionale.it, 22 febbraio 2023.

  • Dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina, un anno fa, il presidente russo ha agitato ripetutamente la minaccia nucleare, mentre i suoi propagandisti alla tv russa continuano a spiegare quanto tempo ci vorrebbe per sganciare una bomba atomica su Parigi o Berlino. Ma bisogna dirlo chiaramente: nell’ultimo anno non è cambiato niente nella postura nucleare dell’esercito russo, e l’annuncio del 21 febbraio non cambia niente, almeno a breve termine.
  • Il trattato era l’ultimo residuo dei grandi accordi per il disarmo o il controllo degli armamenti del dopo guerra fredda. Il documento limitava a 1.550 il numero di testate nucleari e a 700 quello dei lanciatori nucleari strategici. Può sembrare molto, ma è una cifra considerevolmente più bassa rispetto agli arsenali della guerra fredda.
  • L’impatto diretto sul conflitto, però, è irrilevante, tanto più che le armi nucleari tattiche, ovvero la minibombe atomiche per uso locale, non sono inserite nel New Start. È di questi ordigni che si è parlato spesso. Gli statunitensi hanno fatto sapere ai russi che qualsiasi ricorso alle armi atomiche, anche se tattiche, comporterebbe la distruzione dell’intera presenza militare russa in territorio ucraino, compresa la flotta sul mar Nero di stanza in Crimea.

Da Il mondo frammentato un anno dopo l’invasione dell’Ucraina

Tradotto in Internazionale.it, 23 febbraio 2023.

  • Per gli Stati Uniti la guerra è diventata una prova di credibilità dopo la disfatta di Kabul dell’agosto del 2021, con il conflitto sempre più teso con la Cina, che resta nel mirino.
  • Da un anno gli occidentali attendono come l’arrivo del Messia un qualunque segnale di allontanamento tra la Cina e la Russia. Ma questo segnale non è arrivato, e la propaganda cinese diffonde all’infinito le argomentazioni russe.
  • In gioco c’è l’approccio alla geopolitica: un’invasione militare e la legge del più forte ci farebbero ritornare al mondo del passato, quando gli imperi si formavano a suon di conquiste. È in quest’ottica che l’Ucraina è diventata un simbolo che non possiamo lasciar cadere.

Da La posta in gioco nella battaglia di Bakhmut

Sulla battaglia di Bachmut, tradotto in Internazionale.it, 6 marzo 2023.

  • La conquista di Bakhmut, annunciata come imminente dai russi insieme al possibile ritiro degli ucraini, ha ormai un carattere simbolico più che strategico. Il prezzo per la vittoria, così come quello pagato dagli ucraini per difenderla a ogni costo, è enorme. Eppure al momento nessuno può dire quale sarà l’impatto reale della battaglia sul proseguimento della guerra.
  • Decine, centinaia e forse migliaia di uomini sono morti per Bakhmut. Il numero esatto non lo conosceremo mai, perché il bilancio delle vittime è tenuto segreto da entrambi gli schieramenti. In ogni caso la città è stata completamente rasa al suolo. Non è stato risparmiato nemmeno un edificio.
  • La vera posta in gioco, infatti, risiede nelle offensive che arriveranno nelle prossime settimane e nei prossimi mesi, fino alla fine dell’estate. A quel punto la battaglia non sarà più simbolica, ma riguarderà la capacità di entrambi i fronti di sfondare in modo decisivo le linee avversarie e ribaltare il rapporto di forze.

Da La condanna di Vladimir Kara-Murza e il nuovo totalitarismo russo

Su Vladimir Kara-Murza, tradotto in Internazionale.it, 18 aprile 2023.

  • Davanti ai giudici, Vladimir Kara-Murza ha paragonato il suo processo a quelli dell'epoca staliniana. Di sicuro l’oppositore sa di cosa parla: durante il regno del "piccolo padre dei popoli" due suoi bisnonni furono infatti condannati a morte, mentre suo nonno fu mandato nel gulag.
  • In Russia qualsiasi opposizione alla guerra è severamente punita, ma il governo ha voluto evidentemente trasformare Kaza-Murat in un esempio aumentando considerevolmente il prezzo della sua dissidenza. La giustizia, infatti, ha rincarato la dose accusandolo di "sovversione".
  • Kara-Murza incarna tutto ciò che Putin detesta: è stato giornalista e oppositore politico, è carismatico, parla molte lingue e trova le porte aperte a Washington. Inoltre è in possesso di un secondo passaporto, quello britannico. Insomma è un "cosmopolita", come si diceva ai tempi di Stalin.

Da Chi sono i miliziani che portano la guerra dall’Ucraina in Russia

Sull'attacco all'oblast' di Belgorod del 2023, tradotto in Internazionale.it, 23 maggio 2023.

  • Mosca accusa i commando ucraini di aver attraversato la frontiera per attaccare obiettivi russi, ma l’incursione è stata rivendicata da due organizzazioni russe antiputiniane, schierate dalla parte dell’Ucraina. [...] Non è la prima volta che si verifica una simile incursione. A marzo c’erano stati combattimenti in villaggi situati a poche centinaia di metri dal confine, rivendicati dalle stesse organizzazioni. Stavolta la novità è l’annuncio della conquista di una località e dell’intenzione di creare una zona controllata da loro in Russia, un obiettivo che però sembra nettamente fuori portata.
  • Malgrado le smentite di Kiev, sembra poco probabile che due gruppi così marginali abbiano potuto organizzare un’operazione simile senza il sostegno e il via libera dell’esercito o dei servizi segreti ucraini. In questo contesto è probabile che Kiev abbia ripreso i metodi adottati dai russi dall’inizio dei combattimenti in Donbass, nel 2014, quando forze teoricamente indipendenti erano in realtà addestrate e armate da Mosca.
  • Attaccando il territorio russo attraverso l’azione di ribelli, l’Ucraina riduce il peso della conquista di Bakhmut e in questo modo costringe la Russia a impiegare risorse militari per proteggere le retrovie, in un momento in cui potrebbe verificarsi uno scontro decisivo al fronte.
  • Infine bisogna tenere presente che questa è una delle rare circostanze in cui i civili russi hanno sperimentato le conseguenze dirette della guerra, mentre gli ucraini le vivono sulla loro pelle da quindici mesi.

Da La distruzione della diga di Kachovka frena la controffensiva ucraina

Sulla distruzione della centrale idroelettrica di Kachovka, tradotto in Internazionale.it, 7 giugno 2023.

  • È una catastrofe umanitaria ed ecologica, nonché un atto molto grave. Vale la pena ricordare che le convenzioni di Ginevra vietano formalmente di colpire le dighe o le centrali nucleari, dunque potrebbe trattarsi di un crimine di guerra.
  • Se davvero gli ucraini intendevano lanciare la loro attesa controffensiva nella regione di Cherson, ora le cose si complicano. L’inondazione della zona e lo stato del terreno nelle prossime settimane, infatti, non permettono più il passaggio di veicoli blindati e truppe.
  • Incapace di raggiungere il suo obiettivo iniziale di conquistare il potere a Kiev, la Russia conduce una guerra sempre più brutale. In questo caso la posta in gioco è innegabilmente alta. Vladimir Putin, infatti, non può permettersi di lasciare la minima possibilità di successo all’annunciata offensiva ucraina.

Da Zelenskyj critica le Nazioni Unite ma sbaglia bersaglio

Sulla distruzione della centrale idroelettrica di Kachovka, tradotto in Internazionale.it, 9 giugno 2023.

  • Mosca non permette all’Onu di agire come dovrebbe. L’autorizzazione del Consiglio di sicurezza è indispensabile, ma bisognerebbe superare il veto della Russia.
  • Video ucraini mostrano perfino volontari a bordo di imbarcazioni impegnate a soccorrere i civili nelle zone russe. Sono operazioni ad alto rischio, ma al contempo costituiscono un’ottima pubblicità per la causa ucraina.
  • Mosca non permetterà agli aiuti umanitari dell’Onu di raggiungere la zona occupata dal suo esercito, tra le linee di difesa. Ma quanto meno l’Ucraina potrà sostenere che è la Russia a opporsi agli aiuti umanitari.

Da Tre lezioni dalla crisi innescata da Prigožin in Russia

Sulla ribellione del Gruppo Wagner, tradotto in Internazionale.it, 26 giugno 2023.

  • [Su Evgenij Prigožin] Gli storici troveranno diverse difficoltà a contestualizzare questo personaggio, ma sicuramente concorderanno nel dire che è stato una creatura di Vladimir Putin, sfuggita al suo creatore nel tentativo di diventare padrone del gioco.
  • Il capo del Cremlino esce sicuramente indebolito dalla crisi. Certo, il presidente ha mantenuto il potere, ha scongiurato una guerra civile e ha riportato l’ordine a Mosca. Ma la sua è una vittoria di Pirro.
  • Prigožin – l’uomo scelto per fare il lavoro sporco, il capo dei mercenari, il padrone delle "fabbriche di troll" all’avanguardia nella disinformazione – ha svelato che il re è nudo. Manovrando pericolosamente la Wagner, i ceceni e i clan che dividono il suo esercito, Putin ha finito per perdere il controllo.

Da Che succederà ora nel Nagorno Karabakh

Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023, tradotto in Internazionale.it, 21 settembre 2023.

  • All’esercito azero sono bastate 24 ore per ottenere la resa dell’enclave armena del Nagorno Karabakh. I combattimenti, che hanno provocato un centinaio di morti, si sono conclusi il 20 settembre, quando i leader dell’enclave hanno accettato le condizioni di Baku. È la fine della repubblica autoproclamata d’Artsakh, nome con cui gli indipendentisti chiamano il Nagorno Karabakh.
  • Il primo ministro armeno Nikol Pashinyan sapeva che aiutando gli armeni dell’enclave avrebbe corso il rischio che l’Azerbaigian, la cui forza militare è nettamente superiore rispetto a quella armena, allargasse il fronte della guerra, estendendolo al resto dell’Armenia. In quel caso, evidentemente, Pashinyan sarebbe andato incontro a una sconfitta ancora più drammatica. Dunque ha scelto di sacrificare il Nagorno Karabakh per salvare l’Armenia.
  • La Russia, per calcolo o per impossibilità, a causa del suo impegno in Ucraina, è rimasta a osservare. La scelta è un segno di debolezza di Mosca in questa regione del Caucaso, in cui si stanno affermando altre potenze, prima tra tutte la Turchia, molto attiva a sostegno di Baku.

Da Dopo quella nel Nagorno Karabakh si rischia una nuova guerra

Sull'offensiva azera nel Nagorno Karabakh del 2023, tradotto in Internazionale.it, 29 settembre 2023.

  • È una tragedia post-sovietica, ma anche il riflesso dell’inquietante deriva del mondo attuale. La storia racconterà la dissoluzione dell’autoproclamata repubblica di Artsakh, il Nagorno Karabakh, annunciata il 28 settembre dai suoi leader sconfitti. Ma ricorderà soprattutto una nuova pulizia etnica di massa, pratica medievale che va avanti di guerra in guerra.
  • Nemmeno un singolo armeno vorrà restare sotto il dominio azero. Così la pulizia etnica sarà compiuta, segnando una tragica regressione che niente e nessuno, nel contesto attuale, può fermare.
  • [Sul conflitto del Nagorno Karabakh] Alla fine degli anni ottanta la morsa sovietica si è indebolita, e nel 1991 l’Unione Sovietica è crollata. È allora che sono riesplosi i vecchi conflitti, con le rivendicazioni territoriali di Armenia e Azerbaigian, che hanno provocato una guerra e un primo esodo. Secondo gli storici all’epoca si è verificata la partenza in massa di duecentomila azeri che vivevano in Armenia e trecentomila armeni residenti in Azerbaigian.
  • Siamo davanti alla fine di questa vicenda? Purtroppo è lecito temere che non sia così. La mappa della regione presenta altre aree calde. L’Azerbaigian controlla anche un’enclave popolata da azeri, il Naxçıvan, nel sud dell’Armenia, vicino al confine con la Turchia. Il governo di Baku pretende l’apertura di un corridoio per collegare i due territori, che dovrebbe passare sul suolo armeno e costeggiare l’Iran. Se gli azeri cercheranno di sfruttare la loro superiorità militare per ottenere questo passaggio, il rischio evidente è quello di una nuova guerra.

Da La vittoria di Robert Fico in Slovacchia è una brutta notizia

Su Robert Fico, tradotto in Internazionale.it, 2 ottobre 2023.

  • È sostanzialmente un clone di Orbán.
  • È riuscito a farsi rieleggere promettendo di mettere fine al sostegno nei confronti dell’Ucraina, e questo nonostante la Slovacchia fosse stata il primo paese a offrire i suoi aerei da combattimento a Kiev. Fico, inoltre, si oppone alle sanzioni contro la Russia, all’immigrazione, alla comunità lgbt+ e a Bruxelles.
  • Oggi è innegabile che esista una parte dell’opinione pubblica sensibile alle sirene sovraniste e convinta che il sostegno accordato all’Ucraina abbia avuto un costo eccessivo. Ma non dobbiamo trascurare il ruolo della disinformazione di massa – dalle fake news ai video truccati – che ha imperversato durante la campagna elettorale slovacca. Tra l’altro il recente arrivo nel paese di migliaia di migranti è attribuibile a una manovra dell’Ungheria, che ha chiuso alcune rotte migratorie.

Da Le tre lezioni della guerra tra Hamas e Israele

Sulla guerra Hamas-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 9 ottobre 2023.

  • In Israele lo shock è enorme. Alcuni commentatori ritengono che si tratti del più grave trauma dall’indipendenza dello stato nel 1948. In nessun momento della storia soldati di paesi arabi hanno messo piede nel territorio israeliano su scala paragonabile a quanto successo il 7 ottobre.
  • Il prezzo politico degli errori dell’apparato di sicurezza sarà enorme e lo pagheranno i vertici militari. Tuttavia, Benjamin Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra non potranno sfuggire al disastro provocato dalle loro scelte ideologiche: sono stati loro a dividere Israele e a far salire alle stelle la tensione nei territori palestinesi. La loro leadership ha fallito. La stagione delle responsabilità si aprirà quando cesseranno i combattimenti.
  • Sul fronte palestinese bisogna sottolineare che gli islamisti di Hamas, attraverso un attacco tanto pianificato quanto sanguinoso, hanno mandato un doppio messaggio: prima di tutto a milioni di palestinesi, rivendicando così la loro leadership a spese dell’Autorità nazionale palestinese e di Al Fatah; e poi anche ai paesi della regione, a cominciare dall’Arabia Saudita, che ha voltato le spalle ai palestinesi.

Da I rischi di un'invasione israeliana di Gaza

Sulla guerra Hamas-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 10 ottobre 2023.

  • Parte della reazione israeliana è dettata dalla brutalità senza precedenti di ciò che è successo. L’opinione pubblica del paese non accetterebbe che dopo i catastrofici fallimenti l’esercito non facesse pagare un prezzo alto ai palestinesi di Gaza.
  • La superiorità militare di Israele gli permetterà certamente di distruggere buona parte delle infrastrutture di Hamas, dalle fabbriche dei razzi che piovono sulle città del paese ai tunnel verso l’Egitto o Israele, usati da Hamas per comunicare con l’esterno, fino agli arsenali del movimento.
  • Deif, il cervello dell’operazione “diluvio di Al Aqsa” scatenata il 7 ottobre, è diventato “un dio tra i giovani palestinesi”, come ha spiegato un professore di Gaza citato il 9 ottobre dal Financial Times. Di sicuro Deif ha preparato le sue difese, dunque trovarlo all’interno di questo dedalo urbano (vivo o morto) non sarà affatto facile.
  • Cosa fare della Striscia una volta eliminato Hamas, per quanto temporaneamente? Israele ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione di Gaza e non conserva buoni ricordi. Una nuova occupazione non è sicuramente nei desideri dei militari. Ma davvero si possono lasciare due milioni di persone in stato di abbandono? Significherebbe rischiare di far emergere qualcosa di ancor più pericoloso di Hamas dal punto di vista di Israele.

Da L’attacco di Hamas a Israele divide il mondo in tre gruppi

Sulla guerra Hamas-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 11 ottobre 2023.

  • Gli occidentali si ritrovano relativamente isolati in quella che considerano una posizione logica dal punto di vista morale, considerata la barbarie dei terroristi che hanno preso di mira i civili. Ma in realtà questa posizione non è affatto scontata agli occhi di buona parte del mondo, anzi risulta ipocrita.
  • Oggi dire che bisogna condannare Hamas per i suoi crimini abominevoli non basta a convincere quei paesi che non dimenticano come il mondo abbia chiuso gli occhi davanti al dramma dei palestinesi. Secondo loro gli occidentali hanno perso da tempo il diritto di stabilire cos’è giusto e sbagliato.
  • Privare i palestinesi degli aiuti per le cure sanitarie o per l’istruzione significherebbe fare il gioco degli estremisti, anche se alcuni in Europa non lo capiscono. Per non parlare del rischio di allargare il fossato con il resto del mondo, uno dei segnali più inquietanti di quest’epoca.

Da Perché gli abitanti di Gaza non vogliono scappare in Egitto

Sulla guerra Hamas-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 13 ottobre 2023.

  • L’Egitto non ha alcuna voglia di ospitare sul suo territorio una presenza palestinese che rischia di diventare permanente, soprattutto se sotto l’influenza di Hamas, emanazione dei Fratelli musulmani egiziani, bestia nera del regime del maresciallo Abdel Fattah al Sisi.
  • I palestinesi non vogliono lasciare quella che in fin dei conti è una loro terra, anche se le condizioni di vita erano un incubo già prima della guerra e negli ultimi cinque giorni hanno subìto i bombardamenti e le rappresaglie israeliane. La partenza verso l’Egitto è una soluzione che accetterebbero solo se costretti.
  • Con queste rappresaglie terribili che non fanno distinzione tra i combattenti di Hamas e la popolazione civile, lo stato israeliano, colpito al cuore il 7 ottobre, corre il rischio di essere accusato di voler infliggere una punizione collettiva, una pratica vietata dalla convenzione di Ginevra.

Da L'occidente in difficoltà di fronte al destino di Gaza

Sulla guerra Hamas-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 16 ottobre 2023.

  • I principali paesi occidentali hanno un problema: le loro prese di posizione a sostegno di Israele, logiche e giustificate dopo l’orrore dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, si trovano di fronte alla portata e ai metodi della risposta israeliana a Gaza. C’è una grande distanza tra le loro posizioni nei due casi, e questo li costringe in una posizione scomoda, che rischia di aggravarsi quando Israele lancerà la sua offensiva di terra.
  • Gli occidentali sostengono il diritto a difendersi di Israele, e chiaramente le atrocità del 7 ottobre gli conferiscono questo diritto e, tra l’altro, la popolazione israeliana lo pretende. Ma resta il fatto che nessun paese può ignorare il diritto internazionale, che vietano le punizioni collettive. Esattamente quello che sta succedendo a Gaza.
  • Negli ultimi otto giorni il paragone con gli attacchi dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti è stato spesso riproposto. Oltre a essere calzante per lo shock provocato, però, rischia di esserlo anche per la reazione del paese colpito. La guerra contro il terrorismo ha portato gli statunitensi all’impasse in Iraq e Afganistan, e a violare il diritto internazionale con la tortura dei prigionieri, il carcere di Guantanamo e l’invasione dell’Iraq senza l’avallo dell’Onu. Da allora gli Stati Uniti e il mondo hanno vissuto due decenni disastrosi.

Da In Polonia vince la coalizione filoeuropea contro i sovranisti

Sulle elezioni parlamentari in Polonia del 2023, tradotto in Internazionale.it, 19 ottobre 2023.

  • Il partito al potere nel paese, Diritto e giustizia (più conosciuto con la sua sigla Pis), risponde perfettamente alla definizione di “illiberale” usata così spesso negli ultimi anni. Nel corso degli anni, infatti, ha minato l’indipendenza della magistraturea e ha ridotto la libertà di stampa.
  • La sconfitta relativa del Pis, che ha mantenuto i voti ma ha assistito al crollo del potenziale alleato di estrema destra, segna un momento politico importante per l’Europa. Prima di tutto perché la Polonia è il principale paese dell’Europa centrale, con circa 40 milioni di abitanti, e registra una forte crescita economica. Ma l’euroscetticismo a volte estremo del Pis ha impedito a Varsavia di ricoprire il ruolo di primo piano a cui avrebbe potuto aspirare.
  • Dal ritorno del Pis al potere, nel 2015, la Polonia è diventata una società polarizzata, con le grandi città controllate dall’opposizione liberale e le zone rurali e i centri minori dominati dai conservatori. Il Pis ha spaccato il paese prendendo di mira l’aborto, la minoranza lgbt, la magistratura, i migranti e Bruxelles, indicata come una nuova Mosca.
  • Il sussulto del 15 ottobre, con un’affluenza da record e l’avanzata dei partiti liberali e di centrodestra, mostra che la maggioranza vuole un futuro europeo. Questa vittoria è arrivata a scapito delle paure della società e di un sovranismo che si presentava come protettivo e rassicurante.
  • La sconfitta del Pis è una pessima notizia per il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che continua a sognare di far saltare il banco dell’Unione a beneficio degli euroscettici. Anche se Varsavia e Budapest non avevano le stesse opinioni sulla Russia, Orbán ha comunque perso un alleato di peso nella sua battaglia contro Bruxelles.

Da In Medio Oriente c’è il rischio di un’escalation

Sul conflitto Gaza-Israele del 2023, tradotto in Internazionale.it, 23 ottobre 2023.

  • L’Iran ha in mano una delle chiavi della crisi, in quanto si trova nelle condizioni di decidere se limitare la portata del conflitto tra Israele e Hamas, o trasformarlo in uno scontro regionale con l’apertura di un nuovo fronte con l’organizzazione paramilitare libanese Hezbollah.
  • Da anni, anzi da decenni, il regime iraniano si alimenta dei conflitti nella regione. Teheran ha salvato Bashar al Assad in Siria, ha approfittato dell’invasione statunitense per rafforzare la sua influenza in Iraq, sostiene i ribelli yemeniti e ha trasformato Hezbollah nella prima forza in Libano, più potente dell’esercito nazionale.
  • Teheran non può avere dubbi su quali sarebbero le conseguenze, soprattutto considerando i messaggi espliciti lanciati dagli statunitensi: il territorio, le infrastrutture e il programma nucleare dell’Iran non uscirebbero indenni da una guerra scatenata da Hezbollah. Il regime iraniano è pronto a pagare questo prezzo nella speranza di uscire rafforzato dalla lotta contro l’occidente in Medio Oriente? Un esito di questo tipo non è affatto scontato, anche se le passioni suscitate nel mondo musulmano dai drammi di Gaza rischiano di pesare su qualsiasi decisione.
  • La Russia, dal canto suo, ha di che rallegrarsi. C’è ancora qualcuno che parla dell’Ucraina? A questo punto per gli Stati Uniti diventa problematico sostenere contemporaneamente Israele e Kiev, come dimostra il fatto che alcuni missili da inviare all’Ucraina siano stati destinati allo stato ebraico. Una questione di priorità.

Da La vittoria di Javier Milei in Argentina è una rivolta elettorale

Su Javier Milei, tradotto in Internazionale.it, 21 novembre 2023.

  • La sua vittoria è senza dubbio un voto di protesta da parte della popolazione di un paese fallito. Oggi il 40 per cento degli argentini vive sotto la soglia di povertà, mentre l’inflazione è al 143 per cento e il governo non può ripagare i suoi debiti.
  • Milei ha conquistato consensi con una promessa di rottura radicale. Come già successo in altri paesi, ha vinto perché gli elettori hanno scelto una formula politica nuova, bocciando quelle che avevano già dimostrato la loro inefficacia. È un’avventura ad alto rischio.
  • Milei è certamente un personaggio atipico dalle idee eccentriche, ma non bisogna sottovalutare quello che rappresenta: la stanchezza degli elettori delusi, che non hanno esitato a cedere alle sirene di una rottura radicale invece che restare in una situazione di stallo. È una lezione universale.

2024[modifica]

Da Benjamin Netanyahu sotto assedio

Su Benjamin Netanyahu, tradotto in Internazionale.it, 8 gennaio 2024.

  • La storia ci insegna che quando un paese è in guerra, inizialmente la popolazione si stringe intorno al suo leader. Ma Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, è un caso a parte.
  • Le ragioni della sua impopolarità sono molte, e principalmente di tre ordini. Prima di tutto c’è la tensione alimentata nell’ultimo anno dalla coalizione di estrema destra. [...] Il secondo motivo di questa ostilità è il disastro emerso il 7 ottobre dal punto di vista della sicurezza, di cui Netanyahu si rifiuta di accettare la responsabilità. [...] Il terzo motivo riguarda la guerra. Molti israeliani sono divisi tra il desiderio di vendetta dopo gli orrori del 7 ottobre e il risentimento nei confronti del primo ministro, soprattutto sulla questione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas, un tema che sembra passato in secondo piano.
  • Netanyahu e i suoi alleati di estrema destra, che sognano apertamente una pulizia etnica a Gaza, non vogliono una soluzione politica che coinvolga i palestinesi.

Da Le bugie sull’aereo russo precipitato a Belgorod sono armi di guerra

Tradotto in Internazionale.it, 26 gennaio 2024.

  • Mosca sostiene che il velivolo, un Ilyushin Il-76, sia stato abbattuto dalla difesa aerea ucraina mentre trasportava 65 prigionieri di guerra ucraini in vista di uno scambio previsto per il giorno stesso. La Russia accusa Kiev di aver commesso un crimine “mostruoso” e ha chiesto una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
    L’Ucraina smentisce questa versione, senza però negare di aver abbattuto un aereo. [...] Come capire chi dice la verità? Al momento è impossibile, così com’è altamente improbabile che la Russia autorizzi l’inchiesta internazionale invocata dall’Ucraina, che pure rappresenterebbe l’unico modo per stabilire i fatti, l’identità dei passeggeri e la causa della tragedia.
  • È evidente che la Russia stia facendo di tutto per seminare dubbi nella società ucraina, dichiarando che i prigionieri sul punto di essere liberati sarebbero stati uccisi dal proprio esercito.
  • Con queste manovre sull’aereo abbattuto, Mosca cerca inoltre di alimentare le incertezze degli alleati dell’Ucraina in un momento in cui i contrasti sugli aiuti si moltiplicano. La Russia vuole convincere gli occidentali a non consegnare all’Ucraina nuove armi che le permetterebbero di colpire in territorio russo, come succede sempre più spesso nelle ultime settimane.

Da La Moldova rischia di essere la prossima Ucraina?

Tradotto in Internazionale.it, 29 febbraio 2024.

  • Si chiamano "conflitti congelati". Sono quelle guerre che rimangono irrisolte anche dopo la fine dei combattimenti e che possono riaccendersi in qualsiasi momento.
    La Transnistria è un esempio perfetto.
  • Nella vicenda ritroviamo tutti gli ingredienti di quello che è successo in Ucraina: una minoranza di cittadini russofoni considerati da Mosca come “compratrioti”, una presidente moldava coraggiosa, Marina Sandu, con una posizione filoeuropea (l’Unione ha riconosciuto alla Moldova lo status di paese candidato) e infine un vuoto geopolitico con un paese che non gode di alcuna protezione.
  • Inutile dire che se la Russia dovesse decidere di annettere la Transnistria, la Moldova non avrebbe i mezzi per opporsi e l’occidente non sarebbe nelle condizioni di reagire. Un po’ com’è successo con la Crimea nel 2014, senza però la dimensione storica e simbolica di allora.
  • In realtà non esiste alcun motivo per cui la Transnistria dovrebbe finire al centro di una crisi internazionale: priva di grandi risorse e nelle mani di un clan mafioso, il suo vanto principale è quello di avere una squadra di calcio che continua a giocare nel campionato moldavo e dunque nelle competizioni europee. Ma al peggio non c’è mai fine, e un conflitto congelato potrebbe essere improvvisamente scongelato. A Putin, evidentemente, piace giocare con i nervi degli occidentali.

Da L'Ucraina rovina la nuova incoronazione di Putin

Tradotto in Internazionale.it, 13 marzo 2024.

  • L’obiettivo dell’offensiva è prima di tutto psicologico. Gli attacchi, infatti, volevano dimostrare al governo russo che non è l’unico a poter colpire infrastrutture importanti, come sta facendo da due anni. In secondo luogo si tratta di un modo per rispondere ai missili lanciati la settimana scorsa contro il porto di Odessa, uno dei quali pochi metri dall’auto su cui viaggiavano Volodymyr Zelenskyj e il premier greco Kyriakos Mitsotakis.
  • [...] l’Ucraina ha voluto ricordare ai russi che anche loro sono in guerra, una parola che Putin ha evitato durante la campagna elettorale. Kiev ha esitato a lungo rispetto alla possibilità di colpire in territorio russo, spinta dagli alleati occidentali costantemente preoccupati di evitare un’escalation. Ora, però, anche considerando la differenza di mezzi a disposizione dei due eserciti, i dubbi stanno svanendo.
  • [...] il 12 marzo l’Ucraina ha ottenuto due risultati con un’unica azione, rovinando la festa a Putin e dimostrando agli alleati occidentali che il suo esercito non ha ancora detto l’ultima parola. La risposta della Russia, senza dubbio, sarà impietosa.

Da L'attentato di Mosca tra fatti e manipolazioni

Sull'attentato al Krokus-City Hall, tradotto in Internazionale.it, 25 marzo 2024.

  • L'attentato ricorda quello del Bataclan a Parigi del 2015, ma in questo caso le forze di polizia sono arrivate dopo la fuga degli assalitori.
  • Gli esperti hanno dato credito alla rivendicazione [dell'ISIS-K] e ricordano che l'organizzazione non ha l'abitudine di assumersi la responsabilità di azioni che non ha compiuto.
  • Putin non ha citato direttamente il gruppo Stato islamico, nonostante a quel punto l'organizzazione avesse già rivendicato la paternità del massacro. Il fatto che Putin accusi l'Ucraina non sorprende nessuno. Era del tutto prevedibile che la comunicazione del Cremlino cercasse di colpire il suo avversario in un conflitto che sta vivendo una nuova escalation. D'altronde la parola “guerra” comincia a essere utilizzata ufficialmente anche a Mosca. E non è un buon segno. Dato che Putin non ha fornito le prove della collusione tra i terroristi e Kiev, bisogna prendere con le molle la “narrativa” russa, il cui obiettivo, più che fare luce sull'attentato, potrebbe essere quello di giustificare la sua guerra contro l'Ucraina, in corso da due anni.
  • La prima lezione di questo tragico evento è che esistono ottimi motivi per diffidare delle accuse russe. Prima di tutto perché Putin deve giustificare agli occhi della popolazione il disastro della sicurezza andato in scena il 22 marzo, anche alla luce degli avvertimenti americani di tre settimane fa, ignorati platealmente da Mosca. Inquadrando l'attentato nella cornice della guerra con l'Ucraina e l'occidente, il presidente russo fornisce una spiegazione semplice, forse troppo semplice. La seconda lezione è che la Russia ha indirizzato tutti i suoi sforzi militari, industriali e umani verso la guerra contro l'Ucraina, al punto da trascurare la lotta contro il terrorismo. È una delle grandi debolezze degli stati moderni, incapaci di gestire più di una crisi alla volta. L'attentato in Russia ne è l'ennesima dimostrazione.

Note[modifica]

  1. Da L'Obs; tradotto in I tre uomini forti che vogliono cancellare i diritti umani, Internazionale.it, 18 gennaio 2016.
  2. Da L'Obs; tradotto in Donald Trump riaccende lo scontro di civiltà, Internazionale.it, 7 febbraio 2017.
  3. Da France Inter; tradotto in La Brexit lascia il Regno Unito a secco di carburante, 28 settembre 2021.
  4. Da Putin minaccia l’Ucraina pensando all’ex impero sovietico, tradotto in Internazionale.it, 10 dicembre 2021.
  5. Da La nostalgia sovietica di Vladimir Putin, tradotto in Internazionale.it, 21 dicembre 2021.
  6. Da Spinte da Putin, la Germania e l'Europa aumentano le spese militari, tradotto in Internazionale.it, 28 febbraio 2022.
  7. a b Da Putin e la sfida del controllo dell’opinione pubblica russa, tradotto in Internazionale.it, 7 marzo 2022.
  8. Da L'assedio di Mariupol contraddice il negoziato tra russi e ucraini, tradotto in Internazionale.it, 30 marzo 2022.
  9. Da L'onda d'urto della guerra in Ucraina si propaga in tutto il mondo, tradotto in Internazionale.it, 7 aprile 2022.
  10. Da Sulla tv russa arrivano le prime verità sull’andamento della guerra, tradotto in Internazionale.it, 18 maggio 2022.
  11. a b Da Il divieto di aborto negli Stati Uniti ha anche un impatto geopolitico, tradotto in Internazionale.it, 27 giugno 2022.
  12. a b Da Putin sceglie l'escalation e vuole annettere le zone occupate in Ucraina, tradotto in Internazionale.it, 21 settembre 2022.
  13. Da La stentata vittoria di Lula rivela la forza dei populismi, tradotto in Internazionale.it, 31 ottobre 2022.

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